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TRADITIO CANONICA E TRADIZIONE GIURIDICA

6. DIRITTO E TRADIZIONE

In ogni caso, nell’affermare la natura intrinsecamente “tradizionale” del diritto non ci si può fermare all’ovvia considerazione che ogni sistema giuridico vive, nella sua interpretazione e applicazione (e financo nella sua continua innovazione), di un costante e imprescindibile rapporto con il passato: per sostenere piuttosto che il diritto è in sé tradizione occorre piuttosto guardare alle caratteristiche peculiari della tradizione e del diritto quali pratiche sociali.

Ebbene, tra gli elementi presenti in ogni tipo di tradizione vanno annoverati la provenienza dal passato (o comunque la connessione, vera o ritenuta tale, con esso), la sua normatività attuale, ovvero l’importanza e significatività (in qualunque forma) per i soggetti che la ricevono dopo la sua formazione e, infine, la sua socialità, cioè il fatto che sia stata elaborata e trasmessa nel passaggio tra le generazioni (o, almeno, sia creduta tale), non potendo esistere se non nella continuità del tempo e in forma interindividuale15.

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“A tradition is not merely the past made present. It must have been, or be thought to have been, passed down over intervening generations, deliberately or otherwise; not merely unearthed from a past discontinuous with the present. A necessary consequence […] is that traditions are social. Habits, even customs, can be born, live and die solely in the behaviour of one

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Questi stessi elementi, appunto, si ritrovano (anzi, sono esaltati) nel diritto. Non solo infatti, come abbiamo precisato, in esso il passato necessariamente si riflette e opera nel presente, ma la tradizione è “istituzionalizzata”: ovvero recepita, selezionata, conservata e trasmessa secondo criteri autoritativi che rendono alcuni testi, certe prassi, talora determinate opinioni degne di considerazione per il tempo presente e (anche se in diversa misura) vincolanti per i soggetti che in esso agiscono. Così, è giusto notare che negli ordinamenti giuridici non si ha soltanto un riflesso del passato nel presente, ma anche la presenza del passato, che viene selezionato proprio per finalità attuali: poiché la tradizione non è indagata, verificata, utilizzata per finalità antiquarie o erudite, bensì per trovare soluzioni (normative) a problemi giuridici esistenti nella società.

Un’ulteriore specificazione delle caratteristiche proprie di ogni tradizione è presentata dal diritto proprio nell’interpretazione dei testi appartenenti alla (e provenienti dalla) tradizione medesima: se, in generale, i materiali dei quali essa è costituita vanno compresi e ricostruiti all’interno della tradizione della quale fanno parte, nel diritto tale procedimento ermeneutico è infatti vincolante per l’interprete (lo abbiamo visto chiaramente, per il diritto canonico). Il giurista conserva ovviamente la propria autonomia nell’utilizzazione e applicazione del significato delle norme che ha ricavato (anche) grazie al confronto con la tradizione, ma non può sfuggire a tale confronto, poiché il testo, la norma ed egli stesso di quella tradizione fanno necessariamente parte.

Dopo aver sottolineato la natura complessa e variegata della tradizione giuridica e il ruolo che gli interpreti hanno nella sua costruzione e continuo aggiornamento è necessario tuttavia affrontare uno dei profili più insidiosi che tale prospettiva ermeneutica presenta al giurista contemporaneo. Ove infatti si guardi alla formazione della tradizione e alla sua retrospettiva valutazione, c’è il rischio (che poi, in parte, è anche una necessità esplicativa) che l’attenzione venga catturata dalle scelte compiute dagli interpreti, incentrando quindi l’analisi sulla natura intrinsecamente retorica del diritto, nonché sul carattere volutamente persuasivo (e quindi, potenzialmente ideologico) della sua identificazione con una “tradizione”, che può assurgere a mero espediente linguistico per la giustificazione di determinate posizioni.

individual. Traditions, as a simple matter of definition, cannot”: così KRYGIER, Martin. Law as Tradition, p. 240. Anche MATTEI, Ugo – DI ROBILANT, Anna. International style e postmoderno nell’architettura giuridica della nuova Europa. Prime note critiche, in Rivista critica del diritto privato, 2001, p. 99, proprio nel criticare il richiamo alla tradizione ne forniscono tuttavia una perfetta definizione, affermando che “il termine ‘tradizione’, termine dai confini incerti, difficilmente definibile, evoca un senso di continuità, o, più precisamente, l’idea di un processo di accumulazione di senso e significato che non fa perno sul singolo, ma su una catena di trasmissione che si estende di generazione in generazione. Esso non guarda al presente, né è proiettato al futuro, piuttosto, è radicato nel passato”.

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Allo stesso tempo, però, è comunque innegabile che il diritto consiste effettivamente in un opus interpretativo continuamente in divenire16:può allora essere utile affrontare la questione con un diverso approccio, proprio appunto del movimento di Law and Literature, che restituisca al diritto la sua peculiarità di linguaggio, inteso quale struttura relazionale dei rapporti intersoggettivi e non come mero involucro di un nucleo comportamentale, descrivibile in forme mutuate da altre scienze più o meno esatte.

Il recupero della dimensione linguistica consente, in effetti, di mettere in evidenza la stretta correlazione esistente tra il diritto come pratica sociale e le strutture espressive nelle quali si realizza il discorso giuridico, attraverso l’apporto cooperativo di tutti i soggetti impegnati nel suo contesto applicativo: tenendo ovviamente conto, tuttavia, della concreta incidenza dell’interpretazione giuridica (e, almeno indirettamente, di quella dottrinaria) sulle soluzioni pratiche da fornire agli appartenenti ad una data comunità socio-politica, con tutte le conseguenze in termini di aderenza alla ratio normativa, self-restraint, valutazione prospettica degli esiti pratici di determinate opzioni esegetiche.

Ripensare il diritto come tradizione può consentire, pertanto, in tale prospettiva, di guardare al linguaggio giuridico come modalità espressiva di un’immagine che affonda altrove le proprie radici, ovvero nella realtà sociale e nelle ideologie che ne formano il tessuto connettivo: in breve, in una comunità interpretativa, che è però essa stessa “creata” dal testo giuridico (e non soltanto lo “crea”).

Mentre infatti il testo letterario stabilisce un’interazione con il lettore che si svolge su un piano individuale17, quello giuridico, oltre a instaurare la comunità testuale con il singolo lettore, è anche un mezzo per creare una comunità fra i lettori, perché il diritto si presenta come “strutturalmente ulteriore[...] è letteralmente e deliberatamente costitutivo: crea ruoli e relazioni, luoghi e situazioni nelle quali parlare; fornisce alle parti un insieme di cose che possono dire, e proibisce loro di dirne altre; crea una società”18.

Pur presentando l’ordinamento quale prodotto continuamente ricreato nell’attribuzione di

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“Exercise in interpretation” lo definisce DWORKIN, Ronald. A Matter of Principle, Oxford, Oxford University Press, 1986, p. 146.

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Arrivando a costruire, con il sempre diverso rapportarsi dell’interprete al testo stesso, il lettore “ideale”. ECO, Umberto. Postille a “Il nome della rosa”, in ECO, Umberto. Il nome della rosa, X ed., Milano, Bompiani, 1986, p. 522 afferma che “quando l’opera è finita si instaura un dialogo fra il testo e i suoi lettori (l’autore è escluso) [...] scrivere è costruire, attraverso il testo, il proprio modello di lettore”.

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BOYD WHITE, James. Law as Language, Law as Language: Reading Law and Reading Literature, in Texas Law Review, 60 (1982), p. 434 (trad. ns.).

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significato da parte del giurista, si può così scongiurare il fallimento del procedimento ermeneutico, inevitabile portato dell’indeterminatezza dei significati attribuibili al testo stesso: infatti, nel momento in cui ci si mette in relazione con una norma (o una sentenza, o un provvedimento amministrativo) non si potrebbe comunque prescindere dal fatto che anche un eventuale cambiamento radicale nell’interpretazione del testo si collocherà comunque all’interno di un contesto definito dal diritto (o, più precisamente, da una tradizione giuridica).

Tuttavia, il vero dilemma (sostanziale, prima ancora che ermeneutico) consiste proprio nel rapporto che si instaura tra questi contenuti consegnati dalla tradizione e l’intervento attuale dell’interprete: ovvero nel rischio che i giuristi finiscano non per “scoprire”, ma per “inventare” una tradizione19.

In pratica, nei criteri con cui il singolo giurista si deve rapportare alla “storia istituzionale” di un determinato testo giuridico (sia esso legislativo o giurisprudenziale) e, quindi, edificare una data interpretazione non potrebbero non ravvisarsi la sua personale lettura e, al contempo, gli assunti culturali e ideologici dai quali egli muove. Si tornerebbe allora all’idea, ai cui nefasti effetti abbiamo appena accennato, per cui nella tradizione non si trova una storia già scritta, ma solo un insieme di materiali cui l’interprete deve attribuire un significato. Secondo una prospettiva tipicamente postmoderna, il diritto potrebbe quindi essere inteso come una tradizione in cui tutte le storie sono inventate (nel senso che non sono semplicemente “scoperte”, bensì costruite sotto la pressione di una qualche esigenza pratica), anche se al contempo nessuna lo è davvero: perché i termini e le argomentazioni usati dall’interprete (rectius, il suo linguaggio) non possono prescindere, affinché il risultato della sua attività venga identificato quale prodotto dell’ordinamento, dagli assunti condivisi da quella particolare cerchia di persone (la comunità giuridica) entro i cui confini culturali e ideologici si colloca l’autore.

Si può chiaramente comprendere il rischio di assunti siffatti: proprio in quest’ambito, tuttavia, può soccorrere la tradizione canonica.

In essa la duplice esigenza di flessibilità e stabilità del sistema è soddisfatta da un’apertura del processo ermeneutico a una pluralità di significati non indiscriminata, grazie all’implicito limite

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Per l’espressione “invenzione della tradizione” il riferimento obbligato è HOBSBAWN, Eric. Introduction: Inventing Traditions, in HOBSBAWN, Eric – Terence (curr.) The Invention of Tradition, Cambridge, Cambridge University Press, 1983, 1, ove si legge che “invented tradition is taken to mean a set of practices, normally governed by overtly or tacitly accepted rules and of a ritual or symbolic nature, which seek to inculcate certain values and norms of behaviour by repetition, which automatically implies continuity with the past. In fact, where possible, they normally attempt to establish continuity with a suitable historic past”.

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contestuale stabilito dall’ordinamento stesso: attraverso la comunità interpretativa nella quale si colloca, che per continuare a sussistere nei vincula che la costituiscono (fidei, sacramentorum e ecclesiastici regiminis: can. 205) può ammettere un’idea “evolutiva” del diritto soltanto come cambiamento nella continuità, ma altresì in funzione delle finalità ulteriori e metagiuridiche cui l’intero sistema canonico è dalla Tradizione consegnato. Questi invalicabili confini delimitano infatti un contesto predeterminato (e intangibile), soltanto all’interno del quale può svolgersi la complessa interazione fra testo normativo e interprete e nel quale il discorso giuridico pertanto necessariamente si sviluppa.

Grazie all’esempio della traditio canonica, in sostanza, l’idea del diritto come tradizione si può specificare, per evitare l’implosione del sistema a causa di operazioni ermeneutiche incontrollate, tendenzialmente ideologiche e potenzialmente antirealistiche, con la necessità di definire i principi fondanti (e conseguentemente, delimitativi) della tradizione medesima e il procedimento interpretativo essere riguardato quale incessante processo di ricostituzione di una comunità attorno alle regole: ereditate dalla tradizione attraverso il linguaggio giuridico, ad esso vincolate e per mezzo di esso adattate alle nuove esigenze.

Il valore della tradizione canonica, o meglio del diritto canonico in quanto tradizione giuridica, può situarsi così a un diverso livello. In un’epoca nella quale l’ancora assai diffuso positivismo giuridico si fa addirittura nichilismo20nel contestare prima, e infine nel demolire ogni presupposto extralegale delle norme (talora stravolgendo, nel volgere di pochi anni e sotto la spinta di ideologie capricciose istituti millenari, radicati nella storia e nella natura umana), l’ordinamento canonico, attraverso la continuità manifesta con la storia del diritto, la sua ispirazione razionale e il costante rinvio a principi superiori rispetto al contingente della lex, può aiutare ad opporsi all’ennesima, corrente riduzione del diritto alla legge, delle legittime istanze a pretese aggressive, dell’opinione a ideologia.

La tradizione è, infatti, in certa misura, emancipazione dal presente attraverso la storia21: la

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Nota IRTI, Natalino. Nichilismo giuridico, Roma-Bari, Laterza, 2004, p. 8 che “ora non restano che incessante produzione e consumo di norme. Le quali perseguono bensì singoli scopi, ed hanno ciascuna (e non potrebbero non avere) specifici sensi, ma rifiutano l’appello all’unità. Non c’è un ‘dove’ a cui si diriga la macchina produttrice di norme: basta che essa funzioni, e soddisfi il fabbisogno della più imprevedibile casualità. Insomma, un diritto senza destinazione: che va e va, ma non sa ‘perché’ e ‘verso dove’ muova”.

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Esemplari le conclusioni di LEGRAND, Pierre. Comparative Legal Studies and the Matter of Authenticity, in Journal of Comparative Law, 1 (2006), p. 378, n. 49: “Tradition, then, is also emancipation from the present. In other words, what comes to one from the past can be a means of drawing one out of oneself, of constituting oneself as historical being – which, as far as law’s subjects are concerned, entails the opportunity of escaping from a positivistic strategy of world-making predicated on the exclusion of the uncontainable”.

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tradizione canonica, inserita nella Tradizione ed essa stessa tradizione giuridica, può in tale compito non solo soccorrere il canonista nell’interpretazione della norma attuale, costringendolo al confronto con la storia e i principi dell’ordinamento della Chiesa (e attribuendo così un valore più profondo all’opera di esegesi ed applicazione dei canoni), ma altresì sostenere ogni giurista che intenda liberarsi dal giogo dal legalismo (il quale, non essendo più neppure formalmente giustificato dal positivismo, rischia facilmente di abbandonarsi all’irrazionalità). Attraverso l’esempio della tradizione canonica, in definitiva, il diritto (ogni diritto) può ancora rimanere ius.

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