VISIONI DI UNITÀ E DI MOLTEPLICITÀ NELLO SCENARIO MULTICULTURALE
4. VISIONI DI MOLTEPLICITÀ: SCRIVERE UN TESTO PLURIMO, TRA DIRITTO PENALE E MULTICULTURALISMO
Il testo plurimo, che Calvino ha proposto come una delle forme di espressione narrativa della molteplicità, è un prezioso spunto di riflessione rispetto ai problemi della modernità e in particolare della convivenza multiculturale.
È bene essere consapevoli, tuttavia, che il testo plurimo ben riuscito rappresenta un risultato raffinato, ottimale, per nulla scontato. L’autore, per quanto benintenzionato, potrebbe non essere in grado di governare la molteplicità, smarrendosi nella «vertigine […] del dettaglio del dettaglio del dettaglio»30, perdendo di conseguenza il quadro d’insieme; oppure potrebbe rimanere intrappolato nella spirale di approfondimenti interdisciplinari richiesti dal tema da trattare, dalle sue specificità e sfaccettature, che ostacolano alla fine il suo compimento; oppure, più semplicemente, potrebbe soffocare la pluralità di “voci” che animano la molteplicità. Dalle riflessioni di Calvino emerge, in altre parole, un monito serio e realistico, che anche il giurista penale dovrebbe raccogliere.
La complessità innescata dal multiculturalismo è un fatto umano immane e difficilmente governabile. Tante e tali sono le questioni da affrontare, sul piano empirico e su quello normativo, che qualsiasi pretesa di fornire facili soluzioni brandendo l’arma a doppio taglio della sanzione penale dovrebbe suscitare sospetto, come atto di arroganza o eccesso di semplificazione.
Ma se esiste un destinatario al quale sono indirizzate richieste di giustizia, soprattutto nei confronti di offese incomprensibili e irrimediabili, esso è precisamente il giurista penale; e se esiste un luogo – reale e simbolico – nel quale si chiedono risposte, esso è il processo penale. Occorre dunque apprestarsi ad esplorare la percorribilità di qualche via, iniziare una ricerca di possibili punti di confluenza tra unità e molteplicità: tra la tendenza del sistema penale
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CALVINO, Italo. Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, p. 76.
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all’autoconservazione e all’affermazione di un ordine che garantisca le condizioni minime della convivenza civile, e la varietà ed il dinamismo di nuove istanze di tutela culturalmente connotate che chiedono ascolto.
La norma e la sentenza rappresentano trame narrative cruciali per verificare la permeabilità del sistema penale rispetto alla molteplicità multiculturale. Le stesse comprendono – o dovrebbero comprendere – un momento conoscitivo che costituisce premessa fondamentale di quello valutativo: le esplorazioni necessarie a ricostruire il dato empirico.
Sarebbe illusorio, innanzitutto, auspicare che le scelte normative in materia penale possano semplicemente “inglobare” una pluralità di impostazioni etico-valoriali presenti nel tessuto sociale. Come si è detto, il sistema penale riflette orientamenti definiti, e le scelte di tutela di un determinato interesse giuridico non possono realisticamente estendersi – nemmeno in via interpretativa – fino a comprendere la sua negazione. È vero che i sistemi normativi presentano analogie sostanziali maggiori di quanto si possa ipotizzare rispetto agli interessi ritenuti giuridicamente rilevanti: si è efficacemente rilevato, a tale proposito, che se «le domande di fondo rimangono le stesse, allora è probabile che le varie culture giuridiche abbiano in comune molto di più di quanto comunemente si ritenga»31. Valori come la vita, la libertà personale, l’integrità fisica, la salute, la libertà di autodeterminazione nella sfera sessuale sono beni riconosciuti unanimemente meritevoli di tutela ed effettivamente tutelati in vari ordinamenti giuridici, oltre che al centro dell’attenzione di svariate fonti internazionali, che guidano – con modalità sempre più invasive – le scelte di regolamentazione del legislatore nazionale.
Tuttavia, se considera con maggiore consapevolezza la dimensione normativa nella sua effettività, esistono svariati sotto-sistemi normativi, anche di natura consuetudinaria32, radicati nelle pieghe della relazione globale-locale e della c.d. interlegalità33, che contribuiscono a delineare situazioni altamente problematiche. Esistono culture nell’ambito delle quali si ritiene che la vita umana possa essere sacrificata per ripristinare l’onore individuale e familiare compromesso da comportamenti moralmente discutibili (i c.d. honour killing). Ed esistono culture nelle quali la condizione di vedovanza femminile è considerata sconveniente, al punto che
31
FLETCHER, George P. Grammatica del diritto penale, p. 16.
32
Sul tema v. MONATERI, Pier Giuseppe. Legge, linguaggio e costume. L’ambiguità della legge dal ‘costume’ alla soft law. Napoli: Editoriale Scientifica, 2013.
33
Sul concetto di interlegalità cfr. SANTOS, Boaventura De Sousa. Law: A Map of Misreading. Toward a Postmodern Conception of Law. Journal of Law and Society. vol. 14, n. 3, pp. 279-302.
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sussistono forme socialmente accettate di istigazione al suicidio, da attuare in pubblico in forme rituali. In altre culture ancora la condizione di immaturità psico-fisica del minore non è considerata d’ostacolo a matrimoni imposti con soggetti adulti e ad altre forme di mercificazione sessuale.
Di fronte ad assetti così delineati e ad altre forme particolari di bilanciamenti di interessi che risultano in totale contrasto con i diritti fondamentali dell’individuo, secondo la concezione di un diritto penale costituzionalmente orientato, l’imparzialità non è certo un’opzione contemplata.
Ma quantomeno nel momento di formazione del precetto penale, in particolare nelle ipotesi in cui oggetto di disciplina siano proprio questioni culturalmente connotate, rilevanti sul piano della convivenza sociale con specifici gruppi culturali, dovrebbero essere riservati spazi di confronto e di discussione con le comunità coinvolte. Tale confronto dovrebbe avvenire tanto in riferimento alle linee portanti dell’intervento di tutela, quanto sul piano dell’affinamento concettuale e contenutistico della regolamentazione. Per l’incriminazione delle pratiche di mutilazioni genitali femminili si è mancata l’occasione per simile confronto, ma per le proposte normative tuttora all’attenzione del Parlamento circa l’uso del velo sussistono ancora le condizioni per costruire un dialogo a più voci, secondo un modello di democrazia deliberativa, che eviti l’introduzione dell’ennesima norma-manifesto, discriminatoria e sproporzionata rispetto agli obiettivi di tutela e nel contempo portatrice di un messaggio di contrapposizione culturale. Pubblica sicurezza e libertà di autodeterminazione delle donne coinvolte dall’uso del velo non sono interessi inconciliabili; la loro composizione, tuttavia, richiede l’avvio di una mediazione, sul piano dei significati e sui termini sostanziali della questione, che non può essere sostituita da una lettura unilaterale e approssimativa del fenomeno.
L’impostazione di un confronto dialettico multiculturale potrà comportare l’apertura a soluzioni di compromesso, che gli oppositori drasticamente profetizzano come premessa per l’edificazione di una “società di comunità”, separate e non dialoganti, ciascuna impegnata nel perseguimento dei propri specifici obiettivi, emblema di una deriva relativistica. In realtà, diritti la cui affermazione rappresenta l’esito di faticose conquiste e che rientrano tra i valori umani irrinunciabili non possono essere rimessi alle valutazioni e ai numeri di una maggioranza contingente, per un atteggiamento di malintesa tolleranza. Nel contempo, per rafforzare le condizioni della convivenza multiculturale, scenario dell’attuale ipercomplessità, sono necessarie dimostrazioni di sforzi tangibili finalizzati alla verifica dei presupposti per raggiungere un orientamento condiviso.
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La diversità culturale pone seri problemi di conoscenza e di conoscibilità dei contenuti rispetto ai quali gli interventi di regolamentazione dovrebbero indirizzarsi. Lo stesso vale, indubbiamente, per il momento decisorio, che contempla il confronto tra un precetto generale ed astratto e l’“immane concretezza” dei fatti umani34.
L’esattezza di una tradizione, di un patrimonio di simboli e di credenze, sia per la loro pluralità sia per la loro reciproca e continua trasformazione, richiederebbero l’instaurazione di una rete di conoscenze da realizzare con il contributo di differenti discipline. Le problematiche del multiculturalismo, infatti, soltanto in tempi recenti sono giunte all’attenzione del diritto penale, in concomitanza con la crescente realizzazione di reati in qualche modo connotati da una componente “culturale”. Le medesime problematiche, invece, sono da tempo espressamente al centro di altri ambiti del sapere: in particolare dell’antropologia, orientata alla documentazione e all’analisi di tradizioni culturali esistenti a livello mondiale, attraverso un punto di vista culturalmente situato. Ma anche gli studi criminologici hanno da tempo focalizzato e discusso i tratti distintivi dei c.d. conflitti culturali35. Inoltre, la stessa riflessione filosofica sul multiculturalismo ha fornito strumenti concettuali imprescindibili per l’identificazione degli interrogativi fondamentali da affrontare nella promozione di un determinato modello di disciplina.
Ma quanto di questo sapere è oggi condiviso nella dimensione giuridica? Nelle sedi istituzionali, nei luoghi reali e simbolici nei quali le risposte sono elaborate, raramente tali contributi scientifici trovano ingresso. Si tratta, piuttosto, di «idee chiave che rimangono ancora alle frontiere delle discipline tradizionali (bloccate in dogana per mancanza di visti)»36.
Si potrebbe agevolmente obiettare che il processo penale non è sede adatta ad ospitare dissertazioni filosofiche o approfondimenti antropologici, e che non sono disponibili risorse, tempi e forme per consentire al giurista di cimentarsi nella decodificazione di entità magmatiche e sfuggenti come le varie “culture”. Le emergenze dell’attualità, da un lato, orientano gli sforzi verso la comprensione di ben altre, infinite concatenazioni causali: quelle che chiamano in causa le c.d. hard sciences, e le spiegazioni scientifiche che le stesse sono in grado di offrire, via via cristallizzate in provvedimenti giudiziari che ne registrano gli sviluppi; le particolari tipologie delle discipline interessate al multiculturalismo, dall’altro lato, non sembrano godere di quella credibilità
34
FORTI, Gabrio. L’immane concretezza. Metamorfosi del crimine e controllo penale. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2000.
35
Si veda lo studio di SELLIN, Thorsten. Culture Conflict and Crime. New York: Social science research council, 1938.
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scientifica riservata a quelle in grado di offrire certezze empiricamente affidabili37.
Costituiscono esigue ma significative eccezioni alcune vicende giudiziarie recenti38, nelle quali il problema della corretta ricostruzione del substrato empirico-culturale di riferimento è stato compreso ed affrontato, attraverso il ricorso a perizie e al contributo di soggetti appartenenti alle comunità culturali rispettivamente coinvolte. Tali pronunce rappresentano uno spiraglio, anche per il futuro, verso il riconoscimento degli oneri di conoscenza, non eludibili, affinché il processo penale continui ad essere luogo deputato all’accertamento dei fatti e non alla fabbrica di interpretazioni culturali parziali, artefatte o deformanti.
Smascherare una narrazione (culturale) falsa, una difesa pretestuosa, districarsi rispetto agli effetti (reali o presunti) che il condizionamento culturale può aver esercitato sull’agente al momento del fatto non è un compito agevole39. Lo ha riconosciuto la dottrina più sensibile a tali problemi, che ha prospettato l’introduzione di un approccio metodologico specifico rispetto a quelli che – secondo una categorizzazione in uso – sono definiti reati culturalmente motivati. Si è notato, in primo luogo, che oggetto di valutazione in sede interpretativa e decisoria debba essere la concretezza del “fatto” culturalmente motivato, e non l’inafferrabile pulviscolo della soggettiva “motivazione” culturale40. Se la condotta realizzata trova riscontro, nella sua materialità, in una specifica pratica culturale, l’accertamento giudiziale potrà rivolgersi, sulla scorta di premesse meno incerte, al piano psicologico, verificando l’autenticità dell’adesione del soggetto alla pratica tradizionale invocata e il grado di rimproverabilità per il fatto commesso.
Un duplice livello di accertamento – oggettivo e soggettivo – è contemplato con varie formulazioni nei c.d. test culturali41, che costituiscono un interessante banco di prova, per il futuro, anche del dialogo e delle reciproche interazioni tra dottrina e giurisprudenza, al fine della costruzione di un linguaggio a più voci, nella ricerca «d’una verità non parziale»42.
37
Sui problemi di validità scientifica della perizia culturale, DE MAGLIE, Cristina. Reati culturalmente condizionati. Enciclopedia del diritto. Annali. vol. 7, 2014, p. 872 ss.
38
Trib. Verona, 14.04.2010. Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2010, p. 837 ss. con nota di PECORELLA, Claudia. Mutilazioni genitali femminili: la prima sentenza di condanna; Corte App. Venezia, sez. II penale, 23.11.2012. Diritto immigrazione cittadinanza, 2013, 2, p. 61 ss. con nota di BASILE, Fabio, Assolti in appello i primi (e finora) unici imputati per il reato di cui all’art. 583 bis c.p.: un commento alla sentenza della Corte d’Appello di Venezia del 23 novembre 2012; Trib. Cremona, 13.01.2008. Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2010, p. 957 ss. con nota di PROVERA, Alessandro, Il “giustificato motivo”: la fede religiosa come limite intrinseco alla tipicità.
39
TARUFFO, Michele. La semplice verità. Il giudice e la costruzione dei fatti. Bari: Editori Laterza, 2009, p. 68 ss.
40
Si veda la descrizione del modello di accertamento proposto da DE MAGLIE, Cristina. I reati culturalmente motivati. Ideologie e modelli penali, p. 146 ss.
41
Sui test culturali si veda l’approfondita indagine di RUGGIU, Ilenia. Il giudice antropologo, p. 53 ss.
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