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L'INCIDENZA SUL RUOLO DEL GIUDICE DELLA COSTRUZIONE DELLO SPAZIO SOVRANAZIONALE EUROPEO

LA GIUDIZIALIZZAZIONE DEL DIRITTO (E DEL POTERE): PATOLOGIA O EVOLUZIONE FISIOLOGICA DELLO STATO COSTITUZIONALE?

4. L'INCIDENZA SUL RUOLO DEL GIUDICE DELLA COSTRUZIONE DELLO SPAZIO SOVRANAZIONALE EUROPEO

La concezione legicentrica del diritto, già messa a dura prova dall'avvento delle costituzioni rigide e del controllo giurisdizionale di legittimità delle leggi, nella progressiva realizzazione dell'ordinamento comunitario ha visto segnare la strada verso il suo ineluttabile e definitivo superamento.

alla vita, il fondamento giuridico, e quindi la norma applicabile, vada desunto direttamente dall’interpretazione congiunta di norme di rango costituzionale, in particolare dagli artt. 2, 3, 13 e 32 Cost., dalla quale emergerebbe l’affermazione della libertà di autodeterminazione terapeutica e quindi della libertà di scelta per il paziente, a seguito di consenso informato, di rifiutare o interrompere la terapia in tutte le fasi della vita. Cfr. Cass., Sez. I, 16 ottobre 2007, n. 21748.

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PUGLIATTI, Salvatore. La giurisprudenza come scienza pratica. In: PUGLIATTI, Salvatore. Grammatica e diritto. Milano: Giuffrè, 1978. p. 171.

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SANTORO, Emilio. Diritto e diritti: lo stato di diritto nell'era della globalizzazione. Torino: Giappichelli, 2008. p. 18.

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La formazione dello spazio sovranazionale europeo, nei tratti che attualmente lo caratterizzano, ha infatti portato alla luce in tutta la loro evidenza le potenzialità dell'opera posta in essere dagli organi giurisdizionali, rappresentando, quello, un ordinamento “giuridico” ancor prima che “politico”, dal momento che i termini della sua evoluzione sono stati principalmente, e per certi versi addirittura esclusivamente, dettati per il tramite dell'attività pretoria espletata dalla Corte di Giustizia.

A tal proposito basti considerare che l'affermazione del principio del primato del diritto comunitario, in virtù del quale i giudici nazionali sono onerati dal compito di disapplicare ogni normativa nazionale – persino di natura costituzionale – che risulti essere in contrasto con il diritto comunitario, non discende da un'esplicita previsione dei Trattati istitutivi dell'Unione, bensì da una pronuncia della Corte di Giustizia in cui, per la prima volta, veniva affermato che “a differenza dei comuni trattati internazionali, il trattato CEE ha istituito un proprio ordinamento giuridico, integrato nell'ordinamento giuridico degli Stati membri all'atto dell'entrata in vigore del trattato e che i giudici nazionali sono tenuti ad osservare”20.

Sin dall'inizio del cammino comunitario, a fronte delle profonde incertezze caratterizzanti un ordinamento che attribuiva alla Corte di Giustizia il preciso compito di assicurare “il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione” dei trattati (art. 164 Trattato CEE, oggi art. 19 TUE) pur non provvedendo a definire in cosa quel diritto effettivamente consistesse, la Corte comunitaria si è ritrovata a rivestire un ruolo decisivo in ordine all'individuazione del tessuto normativo del sistema giuridico europeo, rilevandone i principi qualificanti e facendo di esso un sistema coerente e sistematico, così da connotarlo come un ordinamento giuridico autonomo e dotato di una specifica individualità.

Non è possibile in tal sede approfondire in maniera puntuale i termini e le modalità attraverso cui si è determinata l'azione della Corte, ma vale la pena sottolineare come l'opera di individuazione – definita spesso tra l'altro, più o meno impropriamente, di “creazione” – del sistema giuridico dell'Unione da quella realizzata abbia trovato la sua linfa vitale nell'esperienza e nelle tradizioni giuridiche degli Stati membri, dalle quali l'elaborazione delle norme e dei principi dell'ordinamento comunitario ha tratto una fondamentale ispirazione.

Nella sua autorità di interprete supremo nonché di effettivo garante del diritto dell'Unione,

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tra l'altro, la Corte ha esercitato un ruolo determinante nel conferire un carattere dinamico e una natura dialettica ai rapporti intercorrenti con i vari Stati membri, in un'ottica di reciproca influenza e di collaborazione, in particolare attraverso la valorizzazione del coinvolgimento dei giudici nazionali nell'azione di garanzia del diritto comunitario.

L'attività della Corte di Giustizia si è rivelata determinante soprattutto rispetto alla tutela dei diritti fondamentali. Nonostante oggi, a seguito dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, possa dirsi che questo principio abbia trovato non soltanto una piena affermazione, bensì una vera e propria formalizzazione nel diritto dell'Ue21, non può restare sottaciuto che l'esigenza di tutelare i diritti fondamentali era già penetrata nell'ordinamento giuridico sovranazionale come principio costitutivo di quello stesso sistema proprio per il tramite della giurisprudenza della Corte.

Peraltro, il rapporto di stretta collaborazione con i giudici nazionali22, fortemente incentivato dall'azione della Corte di Giustizia col proposito di realizzare un'efficace integrazione tra i rispettivi ordinamenti, ha comportato una considerevole complicazione nel panorama nell'ambito del quale quelli sono ormai chiamati ad operare. La complessità propria di un sistema multilivello di salvaguardia dei diritti, nel quale si ritrovano a “convivere” una molteplicità di fonti, nazionali e sovranazionali, i cui rapporti possono essere risolti soltanto attraverso il ricorso ad una difficile opera di coordinamento, ha conferito ai giudici nazionali un ruolo di importanza centrale, con tutti gli oneri e gli onori che ne conseguono. Infatti, se, da un lato, questa complessità mette l'interprete nazionale di fronte al rischio concreto di rivelarsi inadeguato rispetto alla realizzazione di quel necessario coordinamento tra norme diverse e in continua evoluzione, dall'altro gli attribuisce una funzione che va ben al di là dei confini entro i quali l'attività giurisdizionale, quantomeno nel modo in cui la concepisce (o la concepiva) la tradizione giuridica eurocontinentale, ha potuto sino ad ora dispiegarsi.

In un contesto di interlegalità come quello che si è sommariamente tratteggiato, nel quale non è rinvenibile un paradigma normativo unitario, il giudice diviene, in sostanza, colui che decide il diritto. Se, in passato, nell'ambito di un sistema legicentrico era sufficiente rivolgersi a quanto disposto dalla legge al fine di individuare il diritto vigente, data la sostanziale coincidenza ed assimilazione tra i due termini, nella dimensione attuale il giudice è costretto ad evadere dai

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L'art. 6, par. 2, TUE dispone che “i diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali”.

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ristretti confini della legislazione nazionale, ampliando l'orizzonte del suo sguardo fino a ricomprendere al suo interno ogni altra fonte suscettibile di determinare il diritto vigente valido.

Ma c'è di più. Come è stato osservato

il potere giudicante, quando si trova a decidere quale norma applicare o quale interpretazione privilegiare nel caso concreto, assolve a una funzione che, ancor prima di essere quella di “giudice della legge”, è eminentemente politica: in un quadro spesso conflittuale, il giudice assurge ad attore chiave di quella che [è stata definita] politics of definition of law23.

La caratterizzazione in senso politico dell'attività degli organi giurisdizionali, d'altra parte, costituisce la conseguenza necessitata della circostanza che vede attribuire agli stessi il compito di coordinare la pluralità di sistemi giuridici nell'ambito dei quali sono chiamati ad operare, non potendo la loro opera limitarsi alla mera constatazione delle diversità, bensì dovendo spingersi fino al tentativo di comporre la complessità, protendendo verso la ricostruzione di un “ordine”.

In un quadro simile, sostenere che i giudici dovrebbero tornare a ricoprire il tradizionale ruolo che li vedrebbe come dei semplici burocrati, chiamati ad applicare il diritto sulla base di un potere legal-razionale, diviene impossibile. E questa impossibilità è puramente riconducibile al fatto, non difficilmente riscontrabile, che oggi ad essere venuto meno è anzitutto lo scenario rispetto al quale gli stessi giudici sono chiamati ad operare: quel corpus normativo perfetto e conoscibile che il diritto legicentrico otto-novecentesco, avendone l'attitudine, pretendeva di realizzare, oggi manca di tutti i fondamentali presupposti utili ai fini di una sua rivendicazione. La stessa complessità e la frammentazione che caratterizzano le società contemporanee richiedono un più ampio margine d'intervento da parte degli organi giudicanti, rendendo evidenti l'inadeguatezza e l'incapacità delle formulazioni normative astratte e generali di provvedere alla loro regolamentazione, e spostando, perciò, il momento della composizione degli interessi a quello dell'intervento giudiziale.

Il disorientamento degli individui che vivono la crisi di legittimazione delle moderne società democratiche richiede la vigenza di un diritto che risponda non tanto ad una mera razionalità formale, quanto a quella che viene percepita come razionalità sociale: un diritto che sappia comporre le differenze, pur preservandone le rispettive identità; un diritto che venga percepito come “accettabile” in quanto rispettoso del pluralismo identitario; un diritto che intervenga a regolare le diverse situazioni concrete tenendo conto degli interessi e dei valori che vengono da

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quelle di volta in volta coinvolti, senza la pretesa di una aprioristica validità generale.

In questa situazione occorre semplicemente “rassegnarsi” all'idea che il judicial activism di cui oggi si parla, lungi dal rappresentare un'eversione del costituzionalismo contemporaneo, una patologia contingente dello stato di diritto costituzionale, costituisca piuttosto un'inevitabile e strutturale portato del passaggio da una democrazia monistica ad una democrazia pluralistica (prima), da una democrazia nazionale a una democrazia sovranazionale (poi).

5. FINO A CHE PUNTO PUÒ SPINGERSI IL GIUDICE? L'ESAME DI UN CASO CONCRETO: LA

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