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ALCUNE BREVI OSSERVAZIONI CONCLUSIVE SULL’USO DEL LINGUAGGIO TECNICO GIURIDICO CON RIFERIMENTO AL TERMINE “PERSONA”

APPPUNTI PER UNO STUDIO CRITICO SUL CONCETTO GIURIDICO DI “PERSONA”

4. ALCUNE BREVI OSSERVAZIONI CONCLUSIVE SULL’USO DEL LINGUAGGIO TECNICO GIURIDICO CON RIFERIMENTO AL TERMINE “PERSONA”

Forse uno studio sulle trasformazioni – oltre che sulla crisi – del concetto giuridico di persona, potrebbe essere davvero esauriente, soltanto se nel corso della ricerca si spostasse il fuoco dell’indagine anche in quel campo del sapere, intermedio tra la riflessione filosofica e quella più specificamente giuridica, che è quello del linguaggio, soprattutto quello tecnico che i giuristi utilizzano quando parlano di “persona”.

In due tra i suoi più importanti scritti, raccolti nel volume intitolato Problemi di linguistica generale, Émile Benveniste si interrogava sul modo in cui il linguaggio nomina la soggettività, a partire dalla natura dei pronomi personali31. Il linguista francese chiarisce subito che nella definizione comune dei pronomi personali, nelle prime tre forme singolari, non presuppone sempre la nozione di “persona”: essa, infatti, appartiene certamente all’io e al tu, ma non all’egli.

L’io può essere definito soltanto in termini di «parlare» e non in termini di oggetto, in quanto l’io significa “la persona che enuncia l’attuale situazione di discorso contenente «io»”32. In questa prospettiva, allora, l’io non può essere identificato che dalla situazione di discorso che lo contiene e solo da essa. «Io» vale solo nella situazione in cui è prodotto”33.

Allora, afferma Benveniste, la definizione di io può essere precisata meglio, intendendo per io “l’individuo che enuncia la presente situazione di discorso contenente la situazione linguistica «io»”34. Si tratta, quindi, di un segno legato all’esercizio del linguaggio che afferma il parlante in quanto tale nell’esercizio linguistico: ciò vuol dire che è nel linguaggio – e soltanto mediante esso – che l’uomo si costituisce in quanto soggetto, perché è “nell’io che dice io” che troviamo il fondamento della soggettività.

Ciò implica, allora, che la coscienza di sé è possibile soltanto per contrasto, ossia in rapporto ad un tu:

Io non uso «io» se non rivolgendomi a qualcuno, che nella mia allocuzione sarà un «tu». È questa condizione di dialogo che è costitutiva della «persona», poiché implica reciprocamente che «io» divenga «tu» nell’allocuzione di chi a sua volta si designa con «io». [... Ciò significa che] Il linguaggio è

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Si tratta, rispettivamente, dei saggi La natura dei pronomi (in BENVENISTE, Émile, Problemi di linguistica generale, trad. it. a cura di M. V. Giuliani, Milano: il Saggiatore, 1971, pp. 301-309) e La soggettività nel linguaggio (ivi,pp. 310-320).

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BENVENISTE, Émile, La natura dei pronomi, p. 302.

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BENVENISTE, Émile, La natura dei pronomi, p. 302.

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possibile solo in quanto ciascun parlante si pone come «soggetto», rimandando a se stesso come «io» nel suo discorso35.

Il linguaggio è organizzato in modo tale da permettere ad ogni parlante di appropriarsi della propria lingua designandosi come io. Ma è qui che si apre una questione molto interessante, anche per i giuristi: se il “dispositivo” della persona, da un punto di vista linguistico, è riconducibile sia all’io che al tu, qual è allora la condizione, se così si può dire, personale dell’egli, ossia della terza persona ? È proprio a partire da questa domanda che Benveniste ci indica un nuovo percorso di ricerca, in particolare quando sottolinea che il pronome egli non rimanda a sé stesso, ma ad una situazione “oggettiva”, ad un’idea di “terza persona”, ovvero ad un’idea di “non-persona”:

La «terza persona» rappresenta infatti il membro privo di demarcatore della correlazione di persona. È per questo che non è banale l’affermazione che la non-persona è il solo genere di enunciazione possibile per le situazioni di discorso che non devono rimandare a se stesse, ma che predicano il processo di qualsiasi persona o cosa eccetto la situazione stessa, persona o cosa qualsiasi che possono sempre essere dotati di una referenza oggettiva36.

Ad avviso del linguista francese, allora, la “terza persona” si caratterizzerebbe per quattro elementi distintivi fondamentali: a) la proprietà di combinarsi con qualsiasi referenza oggettuale; b) la proprietà di non riflettere mai la situazione di discorso; c) la proprietà di implicare un numero anche alto di varianti pronominali o dimostrative; ed infine, d) la proprietà di non essere compatibile con il paradigma di termini referenziali come, ad esempio, qui, ora e così via37. La “terza persona” rinvia proprio a quella condizione che, nella lingua greca e latina classica, corrispondeva ai verbi medio-deponenti, ossia ad una particolare classe di verbi che presentavano una coniugazione passiva, ma il cui significato linguistico veniva reso nella forma attiva.

Si tratta cioè di un verbo che esprime una posizione di indistinzione tra soggetto ed oggetto, tra attivo e passivo, ovvero, per utilizzare una locuzione ancora una volta creata da Benveniste, si tratta di un verbo che “effectue en s’affectant” l’azione che esprime38. Proprio di recente, Giorgio Agamben è tornato su questa definizione di Benveniste dei verbi medio- deponenti e ne ha illustrato il significato concettuale in questi termini:

Da una parte, il soggetto che compie l’azione, per il fatto stesso di compierla, non agisce transitivamente su un oggetto, ma implica e affeziona innanzitutto se stesso nel processo; dall’altra,

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Così BENVENISTE, Émile, La soggettività nel linguaggio, p. 312.

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BENVENISTE, Émile, La natura dei pronomi, p. 306.

37

BENVENISTE, Émile, La natura dei pronomi, p. 307.

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proprio per questo, il processo suppone una topologia singolare, in cui il soggetto non sovrasta l’azione, ma è egli stesso il luogo del suo accadere39.

Quanto tutto questo ragionamento ha a che fare con il diritto e, per quello che qui più ci interessa, con il problema della crisi del concetto giuridico di “persona” ?

Ad avviso di chi scrive, la questione centrale della scienza giuridica contemporanea è quella di riuscire a ripensare le proprie categorie dogmatiche andando al di là delle grandi dicotomie che hanno segnato i confini del diritto moderno, come “Diritto pubblico/Diritto privato”, “Diritto soggettivo/Diritto oggettivo”, “Individuo/Proprietà”, “Persona/Cosa”. Il superamento di queste dicotomie non è finalizzato ad un decostruzionismo fine a sé stesso che si limiterebbe, in maniera anche un po’ estetizzante, a ricondurre nell’alveo della scienza giuridica una serie di riflessioni maturate nell’ambito del dibattito filosofico, quanto piuttosto ad un’esigenza che nasce proprio dalla crisi delle categorie dogmatiche del diritto.

In sintesi, è l’esperienza dei limiti che i concetti tradizionali della dogmatica mostrano nel nostro presente – a cogliere e spiegare cioè fino in fondo i cambiamenti sociali –, che ci sollecita a ripensare queste categorie, provando ad andare oltre i tradizionali assi dualistici su cui si è strutturata per molti secoli la scienza giuridica. E la questione di che cosa intendiamo noi oggi con il concetto di “persona”, ci appare come il campo della ricerca in cui questo sforzo analitico sembra poter dare i suoi frutti migliori.

Del resto, la crisi del soggetto giuridico è una crisi che da sempre è insita nella scienza giuridica moderna che – come abbiamo visto – ha fatto proprio della “mondanizzazione del soggetto”, la caratteristica peculiare della propria esperienza. La “grande illusione” della Pandettistica tedesca, che ha forgiato il concetto di “persona” – assumendo inconsciamente la riflessione lockiana al riguardo –, fu quella di voler trasportare dal piano filosofico-giusnaturalistico al piano giuridico-positivo l’idea dell’individuo come soggetto di diritto e di poter costruire, in questo modo, sulla innata potestà di volere del soggetto, il sistema giuridico.

Da qui la contraddizione insanabile in cui ricade la Pandettistica, e con essa anche la “Scuola storica del diritto”, che consiste, ancora una volta, in una visione dualistica del problema della soggettività giuridica, formalizzabile in questi termini:

…o i diritti soggettivi si considerano posti al di sopra e indipendenti del diritto obiettivo e come tali assoluti, universali, veri e propri attributi dell’essenza del «soggetto di diritto» […], oppure la

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considerazione del diritto obiettivo come un’entità che si ponga quale un prius rispetto al diritto soggettivo vanifica e distrugge il significato stesso di questa categoria logica e rende impossibile costruire con essa un «sistema giuridico coerente»40.

Bisogna allora concludere, sempre con Orestano, che sino ad oggi nella scienza giuridica positivista si è soltanto parlato dei diritti soggettivi, cioè a dire si sono formulati semplicemente una molteplicità di concetti, ma dietro a questi concetti “..non c’è null’altro di reale, di effettivo, di concreto, se non il modo in cui i vari concetti sono stati volta a volta formulati, impiegati, discussi, esaltati, negati”41. Essi, invece, devono essere considerati per quello che sono e cioè mere definizioni, storicamente condizionate e determinate dal tempo in cui sono state concepite, un semplice dato nominativo dell’esperienza giuridica (rectius, delle esperienze giuridiche) che le hanno formulate.

Questa molteplicità di definizioni, tuttavia, se non può essere apprezzata per la propria effettività normativa, deve però essere considerata per il loro intrinseco valore storico. Pertanto, risulta chiaro che se vogliamo “mondanizzare il soggetto” di cui si occupa il diritto, allora è necessario andare oltre quell’idea tutta positivista che vuole la norma al centro del sistema giuridico, poiché una simile concezione si limita a registrare semplicemente “..l’impossibilità di mantenere all’uomo una posizione «logica» differenziata rispetto alla categoria puramente formale di tutti i possibili «oggetti» di qualificazione giuridica”42.

Parlare di crisi del concetto di “persona” allora, in conclusione, significa parlare della crisi del positivismo giuridico e, quindi, della crisi del diritto inteso come “sistema”, capace di sussumere in sé stesso e di dare conto, in maniera esaustiva, di ogni nuovo fenomeno sociale e questo perché i dualismi costitutivi del proprio apparato epistemologico non riescono più a “fare attrito” con la realtà.

Non si tratta, quindi, di destrutturare un concetto per il solo piacere critico di mandare in frantumi un “dispositivo” filosofico-giuridico, ma di ripensare un concetto così importante, per provare allo stesso tempo a ripensare la realtà che ci circonda e per estendere le garanzie giuridiche ad un più vasto numero di soggetti.

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Così ORESTANO, Riccardo, Diritti soggettivi e diritti senza soggetto, p. 167.

41

ORESTANO, Riccardo, Diritti soggettivi e diritti senza soggetto, p. 188.

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LA GIUDIZIALIZZAZIONE DEL DIRITTO (E DEL POTERE): PATOLOGIA O EVOLUZIONE

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