Microstorie e narrazioni totalizzanti
L’analisi e la pluralità delle operazioni testuali condotte da Paolo sulla Conquista di Costantinopoli di Villehardouin solleva non solo degli interrogativi sui procedimenti umanistici di rilettura della storiografia medievale, e sul ruolo senza dubbio determinante che lo spazio sembra rivestirvi, ma rende problematica la leggibilità stessa dell’opera nel momento in cui il lettore contemporaneo sembra difficilmente rinunciare alla contestualizzazione storica. In altre parole, gli atteggiamenti di Giovanni Battista, Paolo e Girolamo Ramusio verso lo spazio, il mondo e i luoghi rischiano oggi di apparire irrilevanti o di essere equivocati qualora non si inseriscano in una cornice storiografica adeguata. Le opzioni disponibili non sono in questo senso univoche, come testimonia il sempre vivace dibattito postmoderno sulle metodologie che sorreggono tanto la scrittura storiografica quanto gli studi di storia letteraria, in cui vengono sottoposte a esame critico non solo le procedure e le ambizioni del lavoro dello storico ma gli oggetti stessi dei suoi studi. In fondo le nozioni finora delineate di spazio, mondo e luogo, in cui la presenza corporea dell’individuo viene rispettivamente obliterata a favore della mappa, oppure inserita in uno schema prefissato di movimenti necessari, o infine presa come fonte dell’esperienza e quindi chiave d’accesso alla storia, possono utilmente misurare la distanza che intercorre fra alcune forme generali di rappresentazione che la storia ha ricevuto o riceve tuttora. A livello liminale, la concezione della storia che sembra ripetere in maniera più estrema le caratteristiche dello spazio potrebbe essere individuata nella cronologia, successione ordinata di eventi sull’asse diacronico, ovvero il tempo preconizzato da Leibniz in analogia allo spazio ordine delle coesistenze. Nella cronologia possono infatti figurare uomini, donne e altri esseri viventi, a costo però di perdervi ogni consistenza materiale, mentre il tempo vi si riduce a una sequenza uniforme di date senza gerarchie qualitative e i nessi di causa ed
effetto possono risaltare unicamente dalla selezione (come non esiste spazio allo stato puro, nemmeno può esistere cronologia a livello assoluto, quindi anche una serie di date può sottintendere una narrazione minima), senza svolgervi alcuna funzione strutturale. All’opposto le grandi narrazioni dello storicismo, totalizzanti per ambizione quanto la cronologia, restituiscono invece un mondo, in cui i luoghi animati dagli attori storici sono legati fra loro da un potente movimento di sviluppo progressivo. La teoria dello storicismo, in realtà antichissima quanto povera, dice Karl R. Popper, secondo cui la storia avrebbe un senso di marcia, e di conseguenza se ne potrebbe stabilire la direzione e le finalità, ha incontrato negli ultimi due secoli un successo senza precedenti grazie alla «credenza diffusa nel determinismo storico e nella possibilità di predire il corso storico razionalmente o “scientificamente”»1. Se le miserie dello storicismo, verificabili nei fallimenti delle grandi utopie politiche novecentesche, sono incontestabili, tuttavia c’è anche altro in quel complesso e ancora mal definito fenomeno di pensiero che trova le sue origini nella riflessione etica di Friedrich Schleiermacher e nell’ermeneutica problematica di Alexander von Humboldt2, assume influente forma assoluta con Hegel, alimenta gran parte della filologia e del positivismo ottocenteschi (da Niebuhr, Ranke e Droysen a Dilthey e De Sanctis), e arriva fino agli studi sulla religione di Max Weber ed Ernst Troeltsch. Lo storicismo è infatti il primo indirizzo di pensiero a preoccuparsi davvero della «condizione dell’individuo come soggetto dentro e di fronte alla storia e alle formazioni storiche»3. Friedrich Meinecke, facendone un esame critico in qualche modo conclusivo, indicava nella volontà di «comprensione della vita umana» il fondamentale contributo dello storicismo rispetto al pensiero precedente:
1 Popper, K. P., The Poverty of Historicism, Boston, Beacon Press, 1957; trad. it., Miseria dello
storicismo, Milano, Feltrinelli, 2005, p. 11.
2 Che a detta di Fulvio Tessitore segna, «al culmine del pensiero moderno, l’introduzione, a lungo misconosciuta della contemporaneità» (Tessitore, F., Introduzione allo storicismo, Roma-Bari, Laterza, 20034, p. 26). Oltre al volume, sulla non facile definizione di storicismo si vedano inoltre i diversi saggi contenuti nel numero monografico a esso dedicato della rivista annuale «Storiografia», V (2001); Maj, B., Storicismo, in Cometa, M., a cura di, Dizionario degli studi culturali, Roma, Meltemi, 2004, pp. 411-416; Ryn, C. G., Defining Historicism, in «Humanitas», XI (1998) 2, http://www.nhinet.org/ryn-rob.htm
(ultima consultazione gennaio 2011).
I molto celebrati sistemi anteriori allo storicismo soffrivano del vizio fondamentale proprio dell’intellettualismo normativo ereditato dall’antichità, incapace di attraversare l’immenso abisso dell’individualità nella vita e nell’umanità. Il sistema di Hegel, che cercò di unificare norma logica e individualità, ha fallito proprio in questo. Il vantaggio del pensiero storicista individualizzante rispetto a quello generalizzante e assolutizzante è enorme4.
Lo storicismo, chiarisce Meinecke, era proprio una reazione alla vecchia tradizione storiografica, poco interessata a cogliere nella temporalità il rapporto fra individuo e collettività quanto a individuare nel filo degli eventi i processi di sviluppo che avevano portato alle attuali formazioni politiche e culturali. Questa tradizione rappresentava l’evoluzione contemporanea di quella più spaziale storiografia umanistica, infarcita di dati e nozioni erudite, nel cui ambito si era mosso Paolo Ramusio: più spaziale se non altro rispetto alla cronaca di Villehardouin che già non rispondeva più alla spazialità della struttura annalistica medievale e che per il suo incalzante svolgimento narrativo e il suo necessario disegno provvidenziale rimandava invece a un mondo costruito sugli estremi di un movimento storicamente inevitabile, se non ancora per dispiegamento dello spirito, sicuramente per volere divino (e non sorprenda che le narrazioni dello storicismo in alcuni casi abbiano assunto certo afflato religioso). D’altra parte, a qualche secolo di distanza da quella umanistica, decisamente più spaziale appare anche la storiografia strutturalista delle Annales nella sua versione quantitativa braudeliana, che con le sue variazioni di scala proprio ai vizi deleteri dello storicismo cercava a sua volta di reagire.
Se è dunque possibile associare lo spazio alla cronologia, il mondo alla narrazione storicista, e fra questi due estremi riconoscere e una ricca gradazione di letture totalizzanti della storia di alterna fortuna, associabili, come ha dimostrato l’indagine metastorica di Hayden White, a ben riconoscibili modelli retorici, veri e propri tropi5, ciò che invece potrebbe corrispondere al luogo della storiografia,
4 Meinecke, F., Allgemeines über Historismus und Aufklärungshistorie, in Aphorismen und Skizzen zur
Geschichte, Lipsia, Koehler und Amelang, 1942, pp. 11-54; trad. it., Sullo storicismo in generale e sulla storia illuministica, in Aforismi e schizzi sulla storia, Napoli, Liguori, 2006, p. 20.
5 Vedi inoltre White, H., The Poetics of History in Metahistory, Baltimore, Johns Hopkins Press, 1973; trad. it., Le poetiche della storia, in Fortunati, V. e Franci, G., a cura di, Il neostoricismo. Nuova
tendenza della critica anglo-americana, Modena, Mucchi, 1996, pp. 31-80; Miglio, C., Metastoria, in
Cometa, M., Dizionario degli studi culturali, cit., pp. 272-282. Metahistory è stato inoltre tradotto per intero in italiano sotto il titolo di Retorica e storia, Napoli, Guida, 1973.
l’aneddoto, sembra offrirsi più difficilmente come campo d’indagine della scrittura storiografica. Gli aneddoti, frammenti di storia annotabili nel calendario degli eventi sulla base della loro identificazione cronologica, ma anche atomi di vita che contribuiscono a dirigere l’incessante flusso del divenire, di per se stessi non sono però in alcun modo riducibili al rango di date in cui è sezionabile la storia o a piccoli vettori di una grande risultante. Di conseguenza considerare gli aneddoti nel loro valore storiografico topico e farne la chiave d’accesso privilegiata al passato significa dichiarare, in aperta rottura con i sistemi tradizionali di indagine storiografica, l’impossibilità di una lettura totale tanto della storia quanto del testo. La microstoria nell’ambito degli studi storici e il neostoricismo in quello degli studi letterari, malgrado l’esplicita distanza dei rispettivi impianti concettuali, rappresentano entrambi gli esiti più alti di questa presa di posizione teorica. È difficile infatti non associare la microstoria italiana, praticata a partire dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso e più tardi teorizzata da Carlo Ginzburg, Giovanni Levi ed Edoardo Grendi, alla contemporanea ascesa internazionale della micropolitica negli studi letterari, sostenuta tanto dall’indirizzo filosofico decostruzionista quanto dall’opera foucaultiana, all’origine negli Stati Uniti del neostoricismo e in Gran Bretagna del materialismo culturale. Un’ascesa che Terry Eagleton ha ulteriormente ricondotto al declino della critica marxista che, dopo aver raggiunto il proprio apice a metà degli anni Settanta, era stata bruscamente penalizzata da una generale delusione nei confronti del socialismo reale dell’Est europeo. Sono anni, a detta di Eagleton, in cui
le teorie totalizzanti e la politica di massa organizzata furono sempre più associate ai dominanti fondamenti logici del patriarcato o dell’illuminismo. Se, come qualcuno sospettava, qualunque tipo di teoria era intrinsecamente totalizzante, occorreva che le nuove forme concettuali fossero una sorta di antiteoria: locali, settoriali, soggettive, episodiche, autobiografiche, “estetiche”, piuttosto che oggettivistiche e onniscienti. L’idea di un agente umano trasformativo e capace di autodeterminazione fu liquidata in quanto “umanistica”, e rimpiazzata da un soggetto decentrato, mobile, fluido. Non c’era più un sistema coerente o una storia unificata da contrastare, ma semplicemente una serie discreta di forze, discorsi, pratiche, narrative6.
6 Eagleton, T., Literary Theory. An Introduction, Oxford, Blackwell, 1983; trad. it., Introduzione alla
Se il contesto di emergenza di microstoria e neostoricismo in risposta ai grandi sistemi di analisi storica marxisti, strutturalisti e macroscopico-quantitativi è comune, una distanza teorica, in prima istanza di origine disciplinare, sembra separare profondamente le due pratiche: il rapporto fra testo e mondo. Nel primo caso la microstoria, perseguendo «un paradigma imperniato sulla conoscenza dell’individuale che non rinunci a una descrizione formale e a una conoscenza scientifica anche dell’individuale»7 approda alla nozione di eccezione normale8 che dà risalto all’incoerenza della realtà e dei sistemi normativi, ma rifiuta apertamente ogni forma di scetticismo, perché «ogni configurazione sociale, culturale, economica è il risultato dell’interazione di innumerevoli strategie individuali»9 (strategie, si noti, non tattiche). In questo senso la microstoria, che non si istituzionalizza mai in una vera e propria scuola, viene praticata da un gruppo disperso di studiosi accomunato da «un forte collante antirelativistico, duramente critico nei confronti del rhetorical turn e della visione della storia come attività retorica che interpreta testi e non eventi»10. Il bersaglio polemico principale è qui il temibile Hayden White, cattivo maestro la cui allarmante teoria della metastoria, ritenuta ereticamente colpevole nientemeno che di negare la realtà della storia, avrebbe seriamente minacciato la dissoluzione degli studi storici. In realtà l’insegnamento di White, che si rivelerà molto meno pericoloso di quanto paventato, non faceva altro che indicare agli studiosi di storia letteraria e di storia della storiografia, piuttosto che agli storici tout court, gli enormi vantaggi offerti da una fondamentale quanto semplice distinzione tra gli eventi realmente accaduti e i fatti in cui questi vengono trasformati dal discorso storiografico. Lo scandalo nasceva allora soprattutto dalle conclusioni, in qualche modo già prevedibili, delle ricerche avviate a partire da una tale distinzione, cioè dalla dimostrazione, argomentata in svariati modi e condotta su altrettante opere, di un assunto alla fin fine difficilmente contestabile, ovvero che il «valore attribuito alla narrazione nella rappresentazione di eventi reali derivi dal desiderio che gli eventi reali manifestino la coerenza, l’integrità,
7 Levi, G., On Microhistory, in Burke, P., a cura di, New Perspectives on Historical Writing, Londra, Polity Press, pp. 93-113; trad. it., A proposito di microstoria, in Burke, P., a cura di, La storiografia
contemporanea, Roma-Bari, Laterza, 1993, pp. 129.
8 Vedi Grendi, E., Ripensare la microstoria?, in «Quaderni storici», LXXXVI (1994), p. 544.
9 Fazio, I., Microstoria, in Cometa, M., a cura di, Dizionario degli studi culturali, cit., p. 285.
la pienezza e la conclusione di un’immagine di vita che è e può essere solo immaginaria»11. Timorosa dei danni provocabili dall’ascesa del postmodernismo negli studi accademici, la microstoria, quando raggiunge la sua prima sistemazione teorica12, manifesta ulteriori preoccupazioni per i connessi «pericoli del geertzismo»13, laddove non è tanto l’antropologia ermeneutica di Clifford Geertz in sé, all’origine in quegli anni dei cultural studies, a suscitare apprensione quanto il diffondersi incontrollato in ambito storiografico di calligrafiche emulazioni con la pretesa di testualizzarne il campo d’indagine. Anche in questo caso la materia del contendere è dunque il rapporto fra testo e mondo: debitrice dell’insegnamento di Paul Ricoeur, per il quale la scrittura fissa il significato dell’evento “discorso” ma non l’evento come tale, la descrizione etnografica di Geertz, dal momento che l’antropologo si muove in un mondo di discorsi, si vuole interpretativa e «quello che interpreta è il flusso del discorso sociale»14. Questa descrizione, ci avverte, non deve condurre al testualismo, ma al contrario, in quanto scienza dell’uomo nella sua fatticità, deve «tenere l’analisi delle forme simboliche legata il più strettamente possibile agli eventi sociali concreti, al mondo pubblico della vita in comune»15.
L’analisi delle forme simboliche in relazione alla concreta esistenza degli individui, presupposto degli studi culturali16, guida anche la rivalutazione neostoricista
11 White, H., The Value of Narrativity in the Representation of Reality, in The Content of the Form:
Narrative Discourse and Historical Representation, Baltimora, Johns Hopkins University Press, 1987,
pp. 1-25; trad. it., Il valore della narrazione nella rappresentazione della realtà, in Forme di storia.
Dalla realtà alla narrazione, Roma, Carocci, 2006, p. 60. Si vedano inoltre gli altri saggi presenti in
raccolta curata da Edoardo Tortarolo e in quella curata da Daniela Carpi (White, H., Storia e narrazione, Ravenna, Longo, 1999). Sulla polemica fra Carlo Ginzburg e Hayden White: Pisani, D., Carlo Ginzburg
e Hayden White. Riflessioni su due modi di intendere la storia, «Engramma», LV (2007),
http://www.engramma.it/engramma_revolution/55/055_saggi_pisani.html (ultima consultazione gennaio
2011).
12 Oltre ai già citati saggi di Edoardo Grendi e Giovanni Levi, si vedano: Ginzburg, C., Sulla
microstoria: due o tre cose che so di lei, in «Quaderni storici», LXXXVI (1994), pp. 511-539; Grendi,
E., Microanalisi e storia sociale, in «Quaderni storici», XXXV (1977), pp. 506-520; Revel, R.,
Microanalisi e costruzione del sociale, in «Quaderni storici», LXXXVI (1994), pp. 549-575.
13 Levi, G., I pericoli del geertzismo, in «Quaderni storici», LVIII (1985), pp. 257-278.
14 Geertz, C., The Interpretations of Cultures: Selected Essays, New York, Basic Books, 1973; trad. it.,
Interpretazione di culture, Bologna, Il Mulino, 1987, p. 59.
15 Ivi, p. 70.
16 Il cui oggetto finale sarebbe «la ricostruzione della cultura intesa come l’insieme dei significati e delle concezioni ereditarie espresse in forma simbolica che determinano la concreta esistenza degli individui nei diversi assetti storici e sociali in cui sono inseriti nonché il modo in cui gli uomini comunicano, perpetuano e sviluppano le loro conoscenze e i loro atteggiamenti nei confronti della vita» (Crescenzi,
dell’aneddoto, che in quanto possibilità di lettura più che di ricostruzione è sulla questione di testo e mondo ben altrimenti radicale della microstoria. L’idea di matrice gramsciana che la mimesi non rispecchi semplicemente il corso della vita economica o politica di una data cultura, ma costituisca invece un vero e proprio rapporto di produzione sociale, «essa stessa un rapporto sociale, legato alle convinzioni collettive, alle gerarchie di status, alle resistenze e ai conflitti che esistono nelle altre sfere della cultura nel cui ambito essa circola»17, capace di alterare le forze stesse alla propria origine, porta i neostoricisti e le neostoriciste a considerare il testo in quanto evento: non riflesso sovrastrutturale del processo di cambiamento storico, ma esso stesso cambiamento storico. A determinare qualsiasi possibilità di rapporto al passato è dunque, come spiega Louis Montrose, la condizione circolare che lega inestricabilmente «storicità dei testi e testualità della storia»18:
Per storicità dei testi intendo suggerire la specificità culturale, il radicamento sociale di tutte le modalità di scrittura, non solo dei testi che i critici studiano ma anche dei testi sui quali noi, a nostra volta, studiamo altri critici. Per testualità della storia, intendo suggerire, prima di tutto, che ci è impedito un accesso completo e autentico al passato, come esistenza materiale vissuta, non mediata dalle superstiti tracce testuali della società in questione – tracce la cui sopravvivenza non possiamo ritenere meramente contingente, ma che dobbiamo presumere almeno in parte conseguente a complessi e sottili processi sociali di conservazione e cancellazione19.
Gli oggetti di questa storiografia esplosa che vuole riportare al centro degli studi l’attenzione per il contesto in quanto base materiale della produzione letteraria, ovvero i mezzi per risalire alle pratiche discorsive che organizzano l’esperienza che l’individuo ha del mondo, non possono secondo Stephen Greenblatt che essere gli «aneddoti, le petites histoires, distinti dal grand récit della storia totalizzante integrata e progressiva, una storia che sa in che direzione muove»20. Perché, aggiunge Joel Fineman,
L.,“Cultural studies” e “Kulturwissenschaft”: contributi per un dibattito aperto, in «Osservatorio Critico della germanistica», III (2000) 7, p. 3).
17 Greenblatt, S., Marvelous Possessions. The Wonder of the New World, Oxford, Clarendon Press, 1991; trad. it., Meraviglia e possesso. Lo stupore di fronte al nuovo mondo, Bologna, Il Mulino, 1994, p. 29.
18 Montrose, L., Professing the Renaissance: The Poetics and Politics of Culture in Veeser, H.A., The
New Historicism, New York-Londra, Routledge, 1989, pp. 15-36; trad. it., Professare il Rinascimento: poetica e politica della cultura in Fortunati, V. e Franci, G., a cura di, Il neostoricismo, cit., p. 114.
19 Ibidem.
«l’aneddoto produce l’effetto del reale, l’occorrenza della contingenza, fissando un evento in quanto tale all’interno e tuttavia senza la cornice di un contesto di successione storica»21. Ma è anche il luogo della pericolosa articolazione fra letteratura, storia e politica e «unire questi tre termini esplicitamente significa ancora scandalizzare l’istituzione della critica letteraria, perché significa proporre un rapporto tra il trascendente (letteratura), il contingente (storia) e il puramente strategico (politica)», come spiega a sua volta Catherine Belsey22. Anche qui la reazione qui è duplice: al «pantestualismo dei decostruzionisti, i quali hanno una loro propria versione dell’asserzione che la cultura è un testo»23 e finiscono per restaurare i privilegi gerarchici del letterario, privando il linguaggio di ogni «riferimento a discorsi storicamente identificabili»24; e allo stesso tempo alla prassi monologica del vecchio storicismo, tendente a scoprire una singola visione politica, di solito attribuita ai letterati, cui dare «dignità di fatto storico, e cui l’interpretazione letteraria può far riferimento senza pericolo»25. Immaginare il passato come un insieme di voci, valori e centri in competizione e in continua negoziazione significa in questo senso «resistere all’integrazione di tutte le immagini ed espressioni in un singolo discorso dominante»26, scoprire cioè tracce di dissenso e di conflitto piuttosto che costruire una coerente Weltanschauung27. Lo statuto stesso della letteratura ne esce radicalmente modificato: desacralizzata dal colloquio con altre meno nobili tracce testuali, da deposito di
21 Fineman, J., The History of the Anecdote in The New Historicism, cit., p. 61.
22 Belsey, C., Literature, History, Politics, in «Literature and History», IX (1993), pp. 17-27; trad. it.,
Letteratura, storia, politica, in Fortunati, V. e Franci, G., a cura di, Il neostoricismo, cit., pp. 219-220.
23 Gallagher, C. e Greenblatt, S., Practicing New Historicism, Chicago, The University of Chicago Press, 2000, p. 14. Oltre a questo fondamentale bilancio teorico, sul neostoricismo si vedano soprattutto la monografia di Brannigan, J., New Historicism and Cultural Materialism, New York, St. Martin’s, 1998 e il saggio di Ceserani, R., Nuove strategie rappresentative: La scuola di Berkeley, “Belfagor”, XXXIX(1984), pp. 665-685.
24 Simpson, D., Criticism, Politics and Style in Wordsworth’s Poetry, in «Critical Inquiry», XI (1984), p. 69.
25 Greenblatt, S., The Forms of Power and the Power of Forms in the English Renaissance, in «Genre», XV (1982), 1-2, p. 5.
26 Id., Shakespearean Negotiations: The Circulation of Social Energy in Renaissance England, Oxford, Clarendon, 1988; trad. it., La circolazione dell’energia sociale, in Fortunati, V. e Franci, G., a cura di, Il
neostoricismo, cit., p. 83.
27 «Le pratiche di rappresentazione sono ideologicamente significative ma ritengo che sia importante opporsi a quello che potremmo chiamare determinismo ideologico a priori, ossia la convinzione che particolari modalità di rappresentazione siano inerenti e necessariamente legate a una data cultura o classe o sistema di credenze, e che i loro effetti siano unidirezionali» (Greenblatt, S., Meraviglia e possesso, cit., pp. 26-27).
consenso sociale si rivela come memoria delle forze che hanno dilaniato il tessuto sociale. Un procedimento che dal presunto centro del campo letterario porta ai margini del testo, dove l’aneddoto può essere rinvenuto e alimentare l’esercizio di pratiche narrative frammentarie in cui i testi figurano come avvenimenti materiali e gli eventi come fenomeni testuali, i cui soggetti insomma non sono tanto le persone nella storia