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Venezia, 1558. Anton Francesco Doni, qualche anno dopo aver dato alle stampe le edizioni definitive dei fortunatissimi Mondi e dei meno apprezzati Marmi, pubblica una versione aggiornata della sua Libraria, uno dei primi tentativi italiani di bibliografia. Lo scrittore fiorentino vi si cimenta, un secolo dopo la pubblicazione della Bibbia di Gutenberg e a partire dal migliore osservatorio editoriale della penisola, nella compilazione della lista completa dei testi stampati in volgare, ordinati secondo gli autori e seguendo una fondamentale partizione fra edizioni originali e traduzioni, sia da lingue classiche che da lingue moderne. L’operetta di Doni, certamente esile se confrontata alla poderosa Bibliotheca universalis di Konrad Gesner (1545), limitando i propri articoli a quelli dei cataloghi veneziani, non raggiunge in realtà nemmeno quel respiro “nazionale” che il criterio linguistico adottato sembra promettere. Tuttavia, oltre a registrare una non trascurabile circolazione dovuta a numerose riedizioni, la Libraria ha il merito di gettare uno sguardo panoramico sull’editoria italiana, e in particolar modo lagunare, che si presta a interessanti osservazioni, come il netto squilibrio notato da Massimo Donattini fra la materia delle trentuno pubblicazioni di argomento geografico segnalate da Doni: malgrado l’attualità delle scoperte atlantiche e l’apertura degli orizzonti commerciali indiani, solo quattro testi riguardano il Nuovo Mondo e ancora meno, tre per l’esattezza, le Indie Orientali1. A dispetto dei secondi (L’Itinerario di Ludovico Vartema, le Lettere di Andrea Corsali, il libro di John Mandeville), dei primi nessuno sembra poi attenersi strettamente all’argomento: il Viaggio fatto dagli Spagniuoli a torno a’l mondo, pubblicato con le cure anonime di Ramusio nel 1536, raccoglie infatti la testimonianza del vicentino Antonio Pigafetta circa l’impresa magellanica di circumnavigazione della terra; nell’Utopia di Tommaso Moro poi, tradotta e pubblicata dallo stesso Doni dieci anni prima, il richiamo alle scoperte americane serve solo a dare consistenza geografica a

1 Vedi Donattini, M., Orizzonti geografici dell’editoria italiana (1493-1560), in Prosperi, A. e Reinhard, W., a cura di, Il nuovo mondo nella coscienza italiana e tedesca del Cinquecento, Bologna, Il Mulino, pp. 79-83.

un immaginario microcosmo su cui proiettare un elevato ideale di vita politica; se invece nell’Isolario di Bordone lo stesso schema insulare, moltiplicato potenzialmente all’infinito, si applica alla realtà dei territori di recente scoperta, il modulo descrittivo rimane in questo caso comunque ancorato al Mediterraneo e ai suoi arcipelaghi; altrettanto centrifugo, ma in maniera ben più totalizzante, è infine il disegno delle Navigazioni delle terre nove in tre volumi segnalate da Doni, se è vero che sarebbero da identificarsi con l’opus ramusiano (di cui però erano usciti al momento solo il primo e il terzo volume). Senza contare queste ultime due, difficilmente riconducibili a un’unica area geografica di pertinenza, più di un terzo delle pubblicazioni, undici per l’esattezza, sono relative invece al Vicino Oriente e all’impero ottomano, e in esse l’asse prevalente, anzi l’unico a ricorrere, è quello del viaggio da Venezia a Costantinopoli2. Il che fornisce una prima evidenza: l’«ossessione turca», che come ha osservato Giovanni Ricci, viene prodotta nelle capitali del sapere, nei «gangli della decisione e del comando» come Venezia, Vienna, Roma o Madrid, ma prende forza solo mettendo in moto il «corpo delle retrovie» cristiane3, diventa non solo un tema privilegiato della pubblicistica europea cinquecentesca a partire dalla conquista ottomana di Costantinopoli nel 1453, ma orienta decisamente anche la produzione della letteratura geografica nelle sue variabili e sovrapponibili forme del commentario umanistico e del racconto di viaggio. L’emergere, assieme a ondate di panico e stati d’animo di costante terrore, di una mitologia turchesca e di vari topoi di lunga durata nei quali il turco assume i tratti crudeli e barbari del tiranno, si accompagna dunque all’esigenza di informazioni sui loro usi e costumi, sulle loro leggi e i loro ordinamenti, sulla loro storia e la loro religione: «domande alle quali l’editoria, specie quella veneta, risponde ampiamente offrendo ai lettori una vasta scelta di testi spesso elegantemente illustrati»4. Questi testi, relazioni di viaggio quanto compilazioni, costituiscono un episodio fondamentale della straordinaria produzione

2 Sono, nella forma di Doni: il Viaggio di Costantinopoli (B. Ramberti), De’ Turchi (P. Giovio),

commentario de’ Turchi (A. Cambini), Costumi de’ Turchi (G. A. Menavino), La guerra di Tunisi (G.

Paoluccio), Confusione della setta maomettana (J. Andres), Asia, Europa (E. S. Piccolomini), Prophetia d’

Turchi (B. Georgijevic), Historia di Scanderbech (M. Barlezio), Viaggio al re di Persia (A. Contarini), Viaggio di Gerusalemme (N. Bianco). I testi rimanenti sono di trattatistica cosmografica (9) o generali (3),

più una relazione relativa alla Russia (Doni, A. F., La Libraria, Venezia, Giolito, 1558; l’edizione veneziana del 1580 presso Altobello Salicato è stata ristampata a Bologna da Aldo Forni nel 1979.

3 Ricci, G., Ossessione turca. In una retrovia cristiana dell’Europa moderna, Bologna, Il Mulino, 2002, p. 9.

editoriale di cui Venezia si vuole capitale in un momento in cui, a seguito dell’introduzione della prospettiva nelle arti e del reticolo tolemaico nella sistemazione delle conoscenze del mondo, il sapere geografico e cartografico che accompagna le espansioni commerciali e le conquiste coloniali delle grandi potenze europee va incontro a un forte rinnovamento. Nella loro insistenza sulla dimensione navale delle attività di governo veneziane, nella loro inventariazione dei domini marittimi della Repubblica, nella descrizione dei luoghi di potere dell’Impero (il Gran Serraglio sopra tutti), delle sue province e della sua capitale Costantinopoli, questi testi per le loro eccezionali articolazioni spaziali danno compattezza discorsiva al viaggio da Venezia a Costantinopoli, facendone in assoluto l’itinerario più raccontato in Europa durante il Rinascimento.

La prospettiva della Libraria è quella di una territorializzazione linguistica della produzione editoriale, non molto diversa in questo dalla ricerca condotta negli anni Trenta del Novecento da Geoffroy Atkinson sulla letteratura geografica francese del Rinascimento, da cui emergeva allo stesso modo come il numero dei libri sul mondo turco fra il 1480 e il 1609 superasse del doppio quello delle pubblicazioni relative al Nuovo Mondo5. Ma è possibile misurare ulteriormente l’interesse italiano e veneziano per il nuovo assetto geografico dell’impero ottomano all’interno di un più ampio contesto europeo. I dati statistici forniti dal censimento condotto da Stéphane Yerasimos sulle testimonianze di viaggio dal XIV al XVI secolo parlano chiaro: il gruppo più numeroso di viaggiatori-autori proviene dalla penisola italiana (136 su 449), dei quali ben due terzi (il 65%) sono veneziani, senza contare i sudditi dalmati della Repubblica. Sono prevalentemente alti funzionari dello Stato (24%), religiosi (17%), nobili (17%), in minor proporzione mercanti (8%), borghesi (8%), letterati, avventurieri. Malgrado il censimento inizi a partire dal 1330, la stragrande maggioranza dei racconti si riferisce a viaggi compiuti con costanza e regolarità solo a Cinquecento inoltrato. L’itinerario più frequentato è il viaggio di Costantinopoli (35%) e non più quello tradizionale del pellegrinaggio a Gerusalemme (25%)6. Appare inoltre chiaramente come il viaggio da Venezia a Costantinopoli non sia prerogativa veneziana, ma anzi come l’itinerario di

5 Atkinson, G., Les nouveaux Horizons de la Renaissance française, Parigi, Droz, 1935, p. 10.

6 Yerasimos, S., Les voyageurs dans l’empire ottoman (XIV-XVI siècles). Bibliographie, itinéraires et

ambasciatori e viaggiatori stranieri avvenga frequentemente sui convogli della Repubblica, attraversandone quindi i domini e possedimenti marittimi7.

Ora considerando nello specifico gli ottantotto racconti veneziani, è interessante notare come circa la metà di essi sia relativa al viaggio di Costantinopoli, la restante parte sia invece variamente dedicata al viaggio di Gerusalemme, di Cipro, di Alessandria, di Soria, di Candia o ancora di Persia. Fra i primi è possibile, non senza qualche ragionevole approssimazione, distinguere due gruppi di testi. Un primo gruppo è costituito dai diari che gli ambasciatori, i baili e i loro segretari, compilano mediando le due diverse modalità di scrittura praticate durante o al termine della missione, quella narrativa della corrispondenza epistolare, i dispacci al governo, con la loro presa diretta sui momenti particolari e contingenti del viaggio, e quella sintetica e descrittiva della prosa diplomatica, le relazioni in Senato trascritte da Marin Sanudo nei suoi Diarii o conservate negli archivi della Repubblica, quasi tutte pubblicate a stampa fra Otto e Novecento. Nonostante siano rimaste a lungo manoscritti, sia le relazioni che alcuni di questi diari hanno avuto ampia circolazione nella classe dirigente veneziana e spesso addirittura all’estero, come provato dalla pubblicazione anonima a stampa, del 1589, nel Thesoro politico della più celebre relazione di Costantinopoli, quella di Marcantonio Barbaro8. Più dei racconti di viaggio, le relazioni, dal momento che «formano la codificazione più esplicita del discorso politico della Serenissima» in quanto «affermano apertamente l’ideale veneziano dell’ordine civico e la visione veneziana dell’ordine mondiale»9, sono state ampiamente studiate dagli storici delle dottrine politiche e della diplomazia, che non ne hanno trascurato la dimensione retorica e imagologica, per non dire psicologica. Il secondo gruppo è costituito invece da testi talvolta rimasti manoscritti, come nel primo caso in ordine di tempo, il tardoquattrocentesco Viaggio di Negroponte (e di Cosatntinopoli) del vicentino Giovan Maria Angiolello, ma perlopiù pubblicati a stampa a Venezia e che sembrano durante il secolo ruotare attorno a tre fortunate compilazioni

7 Un solo grande esempio: i sette noti viaggiatori francesi (Pierre Belon, Jean Chesneau, Jacques Gassot, Pierre Gilles, Nicolas de Nicolay, Guillaume Postel e André Thevet), ampiamente studiati da Frédéric Tinguely (L’écriture du Levant à la Renaissance. Enquête sur les voyageurs français dans l’empire de

Soliman le Magnifique, Genève, Droz, 2000), che hanno steso le relazioni più significative sul viaggio di

Costantinopoli, si imbarcano tutti a Venezia (e non rappresentano di certo un’eccezione).

8 Thesoro politico cioè relazioni instruttioni trattati, discorsi varii, Colonia, Alberto Coloresco, 1589.

9 Valensi, L., Venise et la Sublime Porte. La naissance du despote, Parigi, Hachette, 1987; trad. it, Venezia

geografiche, tre raccolte di viaggi di scala diversa: l’Oriente dell’edizione aldina dei Viaggi fatti da Vinetia, alla Tana, in Persia, in India, et in Costantinopoli a cura di Antonio Manuzio (1543); l’intero globo (Europa esclusa) dei tre volumi delle Navigationi et viaggi, dei quali il secondo, pubblicato nel 1559, in gran parte dedicato alla conoscenza veneziana dell’Oriente; infine l’impero ottomano dell’Historia universale de’ Turchi pubblicata da Francesco Sansovino nel 1560.

Il prezioso censimento di Yerasimos, proseguito dall’inventariazione di Elisabetta Borromeo per gli anni 1600-164410, risponde a criteri ben precisi che possono gettare molta luce sulla storia dei viaggiatori nell’impero ottomano nel Rinascimento, ma meno circa il discorso che circola sul principale fra i loro itinerari, dal momento che nella ricostruzione documentaria l’attenzione riservata al referente storico preciso (il viaggiatore) prevale nettamente sulla relativa tematizzazione del viaggio stesso (il discorso), così come la possibilità di rintracciare un itinerario effettivamente compiuto mette il contenuto narrativo dei racconti in secondo piano e allo stesso tempo esclude dall’analisi sia le descrizioni impersonali che le rielaborazioni di secondo grado. D’altra parte, più interessato al discorso sugli ottomani che sui contatti effettivi con il loro mondo, viceversa proprio perché largamente relativo all’ordine del commento più che del viaggio, neanche il repertorio di testi di argomento turchesco, argomento vastissimo, compilato da Carl Göllner riesce a restituire gli elementi narrativi e descrittivi che conferiscono al viaggio di Costantinopoli la sua inconfondibile fisionomia11.

Per dare invece in qualche modo conto della straordinaria coerenza discorsiva che permette a questo viaggio di prendere una forma distintiva e per dimostrare come questa coerenza abbia non solo ragioni ideologiche, politiche, economiche e sociali, ma risponda anche a un’organizzazione spaziale senza precedenti, è necessario che il modo di valorizzare e individuare le tracce testuali del viaggio di Costantinopoli sia completamente ripensato. Occorre dunque da una parte selezionare e ridurre gli articoli dei repertori alla ricerca di elementi descrittivi e narrativi che diano conto del viaggio nella sua unità, rinunciando per esempio ai dispacci che possono fornire solo notizie

10 Borromeo, E., Voyageurs occidentaux dans l'Empire Ottoman (1600-1644). Inventaires des récits et

étude sur les itineraires, les monuments remarqués et les populations rencontrées (Roumelie, Cyclades, Crimee), Parigi, Maisonneuve et Larose, 2007.

11 Göllner, C., Turcica. Die europaeischen Türkendrucke des 16. Jahrhunderts, 3 voll., Bucarest-Berlino, Editora Academiei-Akademie Verlag, 1961.

sparse sull’itinerario o alla trattatistica di argomento ottomano esclusivamente incentrata sugli usi e costumi, leggi e ordinamenti in vigore nell’impero del Gran Signore. D’altra parte occorre procedere a significative integrazioni, chiamando in causa la produzione editoriale geografica, cartografica, portolanica e guidistica generalmente esclusa o marginalizzata dalle ricognizioni bibliografiche. Se in questo caso le integrazioni si limiteranno a testi riconducibili a una produzione veneta, va detto che un’ulteriore allargamento della base testuale potrebbe riguardare opere – che verranno qui a volte solamente nominate, a volte brevemente commentate – che intrattengono con i primi un legame di forte prossimità, come per esempio testi redatti da autori non veneziani, o pubblicati nella città lagunare o stampati altrove ma specificamente legati alla dimensione veneziana del viaggio, testi di autori veneti ma dati alle stampe altrove, infine le fortunate guide veneziane alla Terra Santa, che per la parziale coincidenza dell’itinerario, per l’apparato iconografico e la struttura delle descrizioni, presentano forti analogie con i testi già considerati.

Per riuscire a far dialogare quante di queste opere sfuggono alla definizione di letteratura di viaggio, è pero necessario, per quanto brevemente, interrogarsi sulle caratteristiche di questo macrogenere, ancora mal definito nei confronti della storia letteraria in generale e che presuppone tuttavia un contenuto ideologico molto forte: predominio delle esperienze maschili e occidentali, connotazioni di genere, classe e razza che definiscono il viaggio come privilegiato incontro interculturale con l’altro. Un tratto che Tzvetan Todorov assegna al «racconto di viaggio così come lo immagina – inconsciamente – il lettore di oggi […] sembra essere una certa tensione (o un certo equilibrio) tra il soggetto che osserva e l’oggetto osservato», tra una narrazione personale che non si riduce a descrizione oggettiva, e il quadro delle circostanze esterne al soggetto, che viene fornito dal viaggio. «Se uno dei due fattori resta solo, si abbandona il genere in questione, per sfociare in un altro»12. Il racconto vivrebbe, almeno da un paio di secoli, della compenetrazione reciproca e del conflitto fra scienza e autobiografia. Con il rischio continuo di trapassare da un discorso all’altro. Questo rischio è però strettamente legato alla piena dimensione estetica che la letteratura di viaggio sembra meritare soltanto a

12 Todorov, T., Les morales de l’histoire, Parigi, Grasset et Fasquelle, 1991; trad. it., Le morali della storia, Torino, Einaudi, 1995, p. 111.

partire dalla fine del Settecento, ovvero quando da un lato si costituisce il celebre e discusso patto autobiografico, che secondo Philippe Lejeune avrebbe impresso alla memorialistica un fondamentale movimento evolutivo, creando la personalità dello scrittore come storia13, dall’altro quando la demarcazione fra prassi e teoria dissolve il sistema umanistico delle lettere e delle arti che si sforzava in tutti i modi di conciliare discorsi fra loro sempre più distanti, quando cioè la questione del genere, che ha, come osserva Jean-Marie Schaeffer, il compito fondamentale, dai tempi di Aristotele, di distinguere fra pratiche verbali artistiche e pratiche verbali non artistiche, abbandona il terreno privilegiato della poesia per investire i più diversi domini della prosa14. Ne è derivata la pericolosa possibilità di elaborare un canone ristretto della letteratura odeporica, costituito da pochi e autorevoli nomi, isolati dal loro contesto epistemologico, e di riservare ai testi marginalizzati una funzione perlopiù documentaria. Questo spiegherebbe in parte i problemi ancora attuali della critica alle prese con l’annessione al letterario di un genere considerato ibrido, misto, se non paraletterario. Todorov stesso precisa che l’aspettativa nutrita dal lettore contemporaneo verso la letteratura di viaggio non può coincidere con quella del lettore rinascimentale e suggerisce l’opportunità di riformulare in senso storico i termini di una tensione che sembra già presente nell’odeporica cinquecentesca. Un esempio ricorrente è dato dall’oscillazione dei viaggiatori medievali, ma ancora operante in quelli moderni, fra la svalutazione del viaggio stesso, ridotto a effimera contingenza, e la retorica della meraviglia e della curiosità, legata il più spesso a una proiezione utopica. Questa oscillazione si collega soprattutto al processo di lunga durata di laicizzazione della peregrinatio medievale, un processo destinato a trovare una soluzione proprio nell’unità epistemologica del sistema umanistico, «che accorda ai viaggi uno statuto serio all’interno della Storia concepita come discorso al tempo stesso narrativo e descrittivo»15. Lo sforzo umanistico di conciliare narrazione e descrizione è precisamente il principio guida dei testi relativi al

13 Lejeune, P., Le pacte autobiographique, Parigi, Seuil, 1975; trad. it., Il patto autobiografico, Bologna, Il Mulino, 1986, in cui si dà la definizione dell’autobiografia come si è costituita in Europa a partire dal 1770: «racconto retrospettivo in prosa che una persona reale fa della propria esistenza, quando mette l’accento sulla sua vita individuale, in particolare sulla storia della propria personalità» (p. 12).

14 Vedi Schaeffer, J.-M., Qu’est-ce qu’un genre littéraire, Parigi, Seuil, 1989; trad. it., Che cos’è un genere

letterario, Parma, Pratiche, 1992, pp. 7-10.

15 Wolfzettel, F., Le discours du voyageur. Le récit de voyage en France, du Moyen Âge au XVIII siècle, Parigi, PUF, 1996, p. 6.

viaggio di Costantinopoli, sforzo che da un punto di vista spaziale illustra alla perfezione la teoria di Michel de Certeau circa l’incessante trasformazione, effettuata dal racconto di viaggio, di luoghi in spazi e di spazi in luoghi16. Sostituire alla contemporanea competizione fra discorso autobiografico e discorso scientifico quella, profilata per il Rinascimento da Franco Farinelli, fra spazi, luoghi e mondo può allora essere un approccio teorico capace di dare accesso ai singolari procedimenti di costruzione retorica e potenziamento discorsivo che organizzano i testi sul viaggio da Venezia a Costantinopoli nella loro sorprendente quantità, varietà ma soprattutto solidarietà. Un unico quadro generale di questa produzione non riuscirebbe forse a rendere conto di questo approccio, che invece sembra poter emergere seguendo e raccordando quattro diverse direzioni di ricerca: l’esame delle strategie che descrivono gli spazi utopici del viaggio di Costantinopoli (il mare, l’isola, le capitali imperiali), nei testi in cui esse prevalgono su ogni intenzione narrativa (mappe, portolani, isolari, vedute, guide); la trascrizione dei brani narrativi in cui il racconto dà conto di un’esperienza dei luoghi, che siano eterotopici (Venezia, Lepanto, Costantinopoli, il Serraglio) o semplicemente eterocronici (i luoghi della memoria personale e collettiva), che siano il frutto di una valutazione economica o di una ricreazione fisica e sensuale, che favoriscano oppure ostacolino il viaggio; l’analisi di come nell’imbricatura di questi spazi e questi luoghi si articolino discorsi ben riconoscibili e riconducibili a ideali figure di produzione del sapere (l’uomo di stato e l’umanista) che permettono di misurare le continuità e discontinuità con il precedente discorso del pellegrino, quello del viaggio in Terrasanta, e quello successivo del viaggio esotico in Oriente (l’orientalismo); la redazione di un inventario di tutti questi testi che permetta di individuarne gli autori, la circolazione, la specifica presenza dell’itinerario nel loro corpo testuale. Con questo approccio plurale si spera di ricomporre, con le tracce e gli strumenti critici disponibili qui e adesso, un potente immaginario intertestuale, tanto visuale quanto verbale, che perduranti barriere disciplinari tenderebbero a frammentare e a far perdere di vista.

16 Certeau, M. de, L’invention du quotidien 1. Arts de faire, Paris, Gallimard, 1990, pp. 172-73; trad. it.,

Capitolo 4