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Forlani, Camocio, Bertelli. Mappe dell’impero

Fin dal Trecento esisteva al primo piano nobile di Palazzo Ducale un ambiente che serviva da sala di ricevimento o udienza, che per la decorazione cartografica veniva chiamato Sala delle Mappe, più tardi Sala dello Scudo per l’usanza di esporvi lo stemma del doge in carica. Alle due mappe che vi si trovavano in origine, nella vicina stanza in cui si radunavano i Savi del Collegio se ne erano aggiunte nel Quattrocento altre due dipinte dal cosmografo Antonio Leonardi, delle quali una rappresentava lo stato della

12 Coronelli, V. M., Golfo di Venezia, descritto dal P. M. Coronelli Cosmografo della Serenissima

Repubblica, [Venezia], s.e., 1688. Sulla rappresentazione dell’Adriatico nella cartografia antica si veda

Lago, L., Imago Adriae. La patria del Friuli, l’Istria e la Dalmazia nella cartografia antica, Trieste, La Mongolfiera, 1996.

13 La denominazione veneziana del mare, con l’avvallo della storia della cartografia e della tradizione popolare, ancora alla fine del Ventennio fascista assicura a un patriota «che l’Adriatico potrà riprendere il nome consacratogli dalla tradizione veneziana affermatasi a continuazione di quella romana» (Nani Mocenigo, M., L’Adriatico «Golfo di Venezia» nella cartografia e nella tradizione popolare, in Atti del IV

Congresso Nazionale di Arti e Tradizioni Popolari. Venezia – Settembre 1940 XVIII, Roma, Edizione

dell’O. N. D., 1943, p. 229). La conclusione dello stesso intervento, ampliato qualche tempo dopo, in pieno tempo di guerra, con un Saggio di cartografia dell’Adriatico «Golfo di Venezia» è già meno fiduciosa: «l’Adriatico potrà, se non riprendere il nome […] rispondere appieno alla missione d’italianità, di cui quel nome è stato nei secoli la sintesi e il simbolo» (Id., L’Adriatico «Golfo di Venezia», Venezia, Istituto di Studi Adriatici “Piero Foscari”, 1942, p. 9).

14 Crema, M., Sulle ali del leone. A vela da Venezia a Corfù lungo le rotte della Serenissima, Portogruaro, Ediciclo, 2007, p. 12.

Serenissima e l’altra l’Italia, entrambe andate distrutte nell’incendio del 1483, come testimonia Marin Sanudo. La seconda, a quanto pare di eccezionale fattura e perciò subito rinnovata per opera dello stesso Leonardi, doveva però a sua volta bruciare nel rogo del 1574, come ci informa in questo caso Francesco Sansovino. Nel 1531 il Consiglio dei Dieci commissiona invece al cartografo, già attivo a Costantinopoli, Giovanni Domenico Zorzi da Modone un mappamondo da collocare nella Sala del Collegio, mentre per la chiesetta dello stesso Collegio, pagato a parte dalla Repubblica per mezzo di Giovanni Battista Ramusio, Zorzi realizza nel 1536 una carta di Cipro e della Terrasanta e nel 1541 una pittura «del paese di Costantinopoli in qua»15. Per la Sala dello Scudo due nuove mappe, una dell’Africa e del Brasile e una dell’Asia e dell’America, da disegnare attingendo all’abbondante letteratura di viaggio raccolta da Ramusio, vengono poi commissionate a Gastaldi rispettivamente nel 1549 e nel 1553. Se la seconda rispetta il disegno originario di descrivere i territori percorsi dai capitani castigliani nella Nuova Spagna e da Marco Polo nel Catai, l’area rappresentata nella prima, inizialmente concepita per registrare le informazioni fornite dai viaggiatori portoghesi, da Alvise Da Mosto e da Leone l’Africano, sembra essersi successivamente circoscritta alle regioni africane prospettanti il Mediterraneo orientale: «forse possono aver suggerito il cambiamento gli stessi studi del Ramusio sul delta del Nilo e il desiderio di porre in maggior evidenza i paesi ordinariamente percorsi dai veneziani, invece delle nuove regioni e dei nuovi itinerari da poco scoperti»16. Le carte di Gastaldi infatti completano un ciclo, ideato e diretto da Ramusio, che contava già due grandi tele, una dedicata all’Asia anteriore e un’altra, la più importante, al Mediterraneo centro-orientale, che «rispondevano, oltre che al decoro del palazzo, ad un bisogno della Signoria di conoscere la esatta posizione geografica dei paesi coi quali erano ancora attivi quei traffici che costituivano la fonte maggiore di ricchezza per Venezia»17. Chiunque ne sia l’autore, abbia attinto o meno alle mappe coeve di Battista Agnese, di

15 Archivio di Stato, Venezia, Capi Cons. X, Decreto 12 settembre 1544, Notatorio 16, c. 158 t., cit. in Gallo, R., Le mappe geografiche del Palazzo Ducale di Venezia, in «Archivio Veneto», XXXII-XXXIII (1943), p. 59.

16 Ivi, p. 88. A questo importante lavoro di Rodolfo Gallo si rinvia per la ricostruzione documentaria e la ricognizione bibliografica della storia delle mappe di Palazzo Ducale.

Gastaldi o a quelle già disponibili di Zorzi, l’inquadratura scelta per l’ultima carta rappresenta non solo una novità nella decorazione di Palazzo Ducale ma anche una recente acquisizione della cartografia in generale. L’area rappresentata, collegando Venezia a Costantinopoli, trascurava infatti sia le coste africane che nella cartografia nautica solitamente chiudevano i bacini marittimi sia le partizioni regionali che scandivano i quadri della geografia tolemaica. L’introduzione del formato, facilitato dall’erroneo posizionamento orizzontale dell’Italia nella cartografia tolemaica, si deve al già citato Pietro Coppo, nella cui carta Italia Illyricum Epirus Graetia et mare Aegeum (1524, fig. 10)18 troviamo «per la prima volta, rispetto ai documenti tolemaici o d’ispirazione tolemaica, un’inquadratura che successivamente avrà grande fortuna, soprattutto nell’ambiente veneziano, interessato a queste aree che costituirono a lungo il cuore del suo impero»19. Un’inquadratura che si ripresenta tale e quale in una carta realizzata nel 1539 e ristampata nel 1541 da Giovanni Andrea Vavassore, che per primo la associa esplicitamente a un asse geografico fondato sulla navigazione fra le due capitali: Exigua hec tabella continet quicquid Venetiis Constantinopolim, aut in Syria navigantibus occurrit: insulas, scopulos, promontoria, sinus, portus, maritimas urbes, et loca (RB 17). Negli anni in cui comincia a farsi strada nella cartografia nautica (in particolar modo in quella di Battista Agnese)20, la stessa inquadratura compare a Palazzo Ducale, dove è tuttora visibile nel rifacimento settecentesco del ciclo, condotto, a causa dell’usura delle tele, dal celebre naturalista Francesco Griselini e dal pittore Giustino

18 La carta costituisce l’ottava tavola di un atlante conservato presso il Museo del Mare di Pirano, intitolato De Sum[m]a totius orbis, comprendente un riassunto del De toto orbe già compilato da Coppo nel 1520, corredato da quindici carte geografiche, alcune datate e firmate fra il 1524 e il 1526, nonché da un testo manoscritto del Portolano pubblicato dallo stesso autore nel 1524. Dell’atlante esiste un facsimile commentato: Coppo, P., Le «Tabulae» (1524-1526). Una preziosa raccolta cartografica custodita a

Pirano. Note e documenti per la storia della cartografia, a cura di L. Lago e C. Rossit, 2 voll., Trieste,

Lint, 1984-1986 (cfr. vol. I, pp. 225-231 e vol. I, pp.45-47).

19 Lago, L., Imago Adriae, cit., p. 34.

20 Gli atlanti attribuiti a Battista Agnese presentano generalmente la tradizionale divisione fra Mediterraneo centrale e orientale, come nel caso di quelli conservati alla Newberry Library e alla Biblioteca del Museo Correr di Venezia (Port. 1, 2 e 31), tuttavia in alcuni casi il cartografo sembra preferire un’inquadratura alternativa, che dalla Corsica e la Sardegna arriva fino alla coste del Levante (ivi, Port. 3 e 32; Biblioteca Nazionale Marciana, Venezia, Ms. It. IV 62 = 5067), un’inquadratura che tra l’altro ricompare nella seconda metà del secolo in un’anonima carta nautica (forse di Giorgio Sideri detto Callapoda da Candia, ivi, Port. 33) e successivamente nel 1651 in un atlante del Mediterraneo compilato da Pietro Giovanni Prunes (ivi, Port. 21). Vedi Biadene, S., a cura di, Carte da navigar, cit., pp. 54-56, 60-70 (n. 7-9-10-11).

Menescardi (1762). Nella trasformazione di un ciclo che mirava a glorificare Venezia ma anche i grandi viaggiatori internazionali in una celebrazione esclusiva della cultura viatoria marciana, Griselini associa attraverso cartigli e ritratti a ogni area geografica determinate figure di illustri viaggiatori veneziani21. Nella carta del Mediterraneo non può però non troneggiare al centro la personificazione femminile di Venezia, con tutti i tradizionali attributi (il leone di S. Marco, il corno ducale, il manto di ermellini e i mitologici abitanti del mare), mentre sulla sinistra un basamento di pietra sormontato da una figura alata di fama indica Ramusio quale autore delle Navigazioni e della stessa carta che rappresenterebbe il teatro mediterraneo delle attività commerciali veneziane:

TABULAM HANC QUAE SOLA / EX RHAMUSIANIS FATO EVASIT THEATRUM VENETAE / NEGOTIATIONIS PER MEDI-/TERRANEUM EXIBENTEM / J. BAPTISTA RHAMUSIUS / DESCRIPSIT. VIR MULTIPLICI ERUDITIONE ET PRIMA / ITINERUM COLECTIONE / SOLERTER CURATA / INSIGNIS22.

Le tele di Palazzo Ducale ripetono un atto politico e ideologico di ostensione del potere che già in epoca romana subordinava ove necessario la diffusione di informazioni

21 Oggi nella Sala Scudo si ammirano quattro grandi tele e sei più piccole, ognuna raffigurante una parte del globo con cartigli e iscrizioni che ne indicano i rispettivi scopritori o commentatori veneziani. In senso orario dallo stemma del doge Manin: una grande tela dell’area che va dalla Cilicia all’Egitto, con il Levante e l’isola di Cipro (l’iscrizione ricorda Marin Sanudo il vecchio, Andrea Gritti, Domenico Trevisan e Pellegrino Brocardo); due piccole della penisola arabica (vi si ricorda il viaggio di un comito veneziano e i tre esploratori Giovanni Gradenigo, Nicolò Brancaleone e Bonaiuto de Albanis) e dell’America settentrionale (Giovanni e Sebastiano Caboto); due grandi tele con le regioni del Medio Oriente (Caterino Zeno, Giosafat Barbaro e Ambrogio Contarini) e dell’Asia, con la Cina, l’India e la Californa (il richiamo è sia a una nave veneziana che nel 1550 navigò tra le isole Filippine, sia ai viaggiatori Matteo, Nicolò e Marco Polo, Cesare de Federici, Gaspare Balbi, Alvise Roncinotto e Nicolò Manucci); quattro piccole mappe della costa occidentale dell’Africa (Alvise Da Mosto), delle Americhe (Sebastiano Caboto), delle regioni polari con la Groenlandia (Sebastiano Caboto) e del mare Artico con l’Islanda, la Scozia e la Svezia (Nicolò e Antonio Zeno, Pietro Querini); infine la grande tela del bacino del Mediterraneo orientale (Ramusio, Pietro Loredan, vittorioso sui genovesi a Rapallo, e Alvise Da Mosto). Sopra le finestre sette ritratti compresi in altrettanti tondi sono dedicati ai più importanti personaggi ricordati nelle iscrizioni (da una parte Giosafat Barbaro, Alvise Da Mosto, Marco Polo, Marino Sanudo; dall’altra Ramusio, Andrea Gritti e Nicolò Manucci). La descrizione del ciclo e il testo delle iscrizioni si trova in Franzoi, U., Storia e

leggenda del Palazzo Ducale di Venezia, Verona, Storti, 1982, pp. 2-8; un piccolo interessantissimo

esempio di come sia difficile, ma non impossibile, discernere fra elementi originari e interventi settecenteschi è in Walter, H., Un ritratto sconosciuto della “Signorina Clara” in Palazzo Ducale di

Venezia. Nota sulle mappe geografiche di Giambattista Ramusio e Giacomo Gastaldi, in «Studi

Umanistici Piceni», XIV (1994), pp. 207-228.

geografiche alla volontà di metaforizzare la grandezza dell’impero e il suo dominio sulla terra: pur basandosi sulle informazioni raccolte in maniera sistematica dal genero di Augusto, Marco Vipsanio Agrippa, e da altri funzionari, la prima carta geografica del mondo conosciuto, fatta dipingere dal principe stesso su una parete del portico di Pollia nei pressi del Campo Marzio a Roma, sembra infatti rispondesse principalmente alle esigenze di propaganda culturale del principato augusteo23. Senonché la distanza che separa l’operazione messa in atto da Augusto e quella voluta dal Consiglio dei Dieci non è solo temporale, dal momento che quest’ultima si trova a fare i conti con un contesto in cui l’immagine cartografica, come quella pittorica, sembra svincolare la propria funzione politica (e una volta liturgica, si pensi alle mappaemundi medievali, a quella di Fra Mauro a Murano) dall’esigenza di un luogo stabile di esposizione. Entrambe le immagini acquistano in questo periodo una possibilità di circolazione e di manipolazione, e di conseguenza un valore di produzione sociale, senza precedenti, si fanno cioè, come dice Victor I. Stoichita, quadro, abbandonando la precisa collocazione e la funzione cultuale tradizionalmente assegnate alle immagini antiche24.

Se l’invenzione del quadro apre una nuova riflessione sullo statuto dell’immagine e sulle sue possibilità creative, d’altro canto l’introduzione e la diffusione della tipografia, Rivoluzione inavvertita, hanno un effetto epistemologico altrettanto dirompente: «i cambiamenti prodotti dalla stampa forniscono il punto di partenza più plausibile per spiegare come la fiducia dell’uomo si spostò dalla rivelazione divina al ragionamento matematico e alle mappe da lui prodotte»25. La stampa, secondo Elizabeth L. Eisenstein, aiutando a stabilire edizioni corrette sia delle Scritture che dei classici, era venuta incontro a esigenze di purificazione ed emendazione condivise dalla cultura umanistica e teologica. Tuttavia mentre l’esegesi trilingue e le traduzioni volgari della

23 Vedi Dilke, O. A. W., Roman Land Surveyors: an Introduction to the Agrimensores, Amsterdam, Adolf M. Hakkert, 1992, p. 109.

24 Vedi Stoichita, V. I., L’Instauration du tableau, Paris, Méridien Klincksieck, 1993; trad. it.,

L’invenzione del quadro. Arte, artefici e artifici nella pittura europea, Milano, Il Saggiatore, 2004.

25 Eisenstein, E. L., The Printing Revolution in Early Modern Europe, Cambridge, Cambridge University Press, 1983; trad. it., Le rivoluzioni del libro. L’invenzione della stampa e la nascita dell’età moderna, Bologna, il Mulino, 1995, pp. 279-280. La rivoluzione inavvertita è il titolo del primo capitolo, nonché quello della traduzione italiana della prima e molto più estesa versione dell’opera, pubblicata presso gli stessi editori in inglese nel 1979 e in Italia nel 1985.

Bibbia avevano avuto l’effetto di frammentare l’esperienza cristiana in Occidente, la volontà scientifica di emendare Tolomeo, che mirava non a diffondere il verbo di Dio, ma a decifrarne l’opera, aveva portato Libro Sacro e Libro della Natura a un bivio:

L’unico modo per «aprire» il libro della natura all’esame pubblico esigeva (paradossalmente) una preliminare codificazione dei dati in equazioni, diagrammi, modelli e grafici sempre più sofisticati. […] Costellazioni celesti e continenti terrestri poterono essere localizzati senza ricorrere a etimologie incerte, una volta posti su mappe e mappamondi uniformi. […] Lo sviluppo di un vocabolario figurativo e matematico valido per tutti rese possibile un’associazione di ingegni su larga scala per analizzare i dati, e sfociò infine nel raggiungimento di un consenso che attraversava tutte le vecchie frontiere. […] Il ricorso a «istruttori silenziosi» che comunicavano messaggi non fonetici nei minimi particolari contribuì a liberare la letteratura tecnica dalle insidie semantiche. «Il regno delle parole» era finito, notava Fontanelle nel 1733; ora si volevano «cose». Duecento anni prima, si era già abbandonata la disputa verbale a favore della dimostrazione visiva26.

In questo processo le mappe secondo Kenneth Boulding riescono ad arrogarsi «un’autorità straordinaria, un’autorità maggiore di quella dei libri sacri di tutte le religioni»27. Una simile rivoluzione epistemologica, rimarcava a suo tempo Marshall McLuhan a proposito dell’origine della Galassia Gutenberg, ha non solo cruciali implicazioni teoriche, ma anche effetti di ordine qualitativo, e cioè psicologico («l’interiorizzazione della tecnologia dell’alfabeto fonetico traduce l’uomo dal mondo magico dell’orecchio al mondo neutro della vista»)28, e cause di ordine quantitativo, e cioè economico («il semplice aumento quantitativo del movimento delle informazioni favorì l’organizzazione visiva della conoscenza e il nascere della prospettiva ancora prima della tipografia»)29. Quest’ultimo aspetto è particolarmente evidente nel caso della produzione cartografica veneziana, in cui l’impatto della stampa si rivela fenomenale: Venezia nel Rinascimento non solo diventa in assoluto la capitale editoriale dell’Europa (nel Quattrocento vi si era stampato più che in qualsiasi altra città, circa 4.500 titoli per

26 Ivi, pp. 272-276.

27 Boulding, K. E., The Image. Knowledge in Life and Society, Ann Arbor, University of Michigan, 1961, p. 67.

28 McLuhan, M., The Gutenberg Galaxy. The Making of Typographic Man, Toronto, Toronto University Press, 1962; trad. it., La galassia Gutenberg: nascita dell’uomo tipografico, Roma, Armando, 1976, p. 42.

due milioni e mezzo di copie; nel Cinquecento, malgrado la concorrenza di altri centri, continua a incrementare la produzione, fra 15 e 17, 5 mila titoli per 18 milioni di copie e circa cinquecento editori30), ma raggiunge il rango di capitale indiscussa anche per quanto riguarda l’editoria cartografica, con cinque o seicento lastre di rame in uso in città negli anni Sessanta del Cinquecento31: «tra il Quattrocento e il Seicento la penisola italiana era il paese dove si concentrava il più gran numero di informazioni e di modelli che riguardavano il funzionamento del mondo. Era, cioè, il paese dove si produceva ed esercitava il massimo dell’intelligence planetaria»32. In questo contesto generale il formidabile sviluppo industriale, che a Venezia trova il proprio centro di produzione nelle zone della Merzeria e della Frezzaria, coinvolge abili figure di imprenditori che si valevano di collaboratori ma a volte ricoprivano loro stessi più d’una fra le quattro funzioni specifiche richieste dalla stampa di carte geografiche: «quella dell’inventore o disegnatore, quella dell’incisore o dell’intagliatore a seconda che la riproduzione del disegno avvenisse su lastra metallica per mezzo di un bulino oppure su legno, quella dello stampatore ed infine quella dell’editore o commerciante»33. Se per esempio Giacomo Gastaldi e Paolo Forlani sono i più noti disegnatori dell’epoca, il primo si vale perlopiù del lavoro di incisione di Fabio Licinio, mentre il secondo incide egli stesso tavole proprie e altrui, in una bottega in cui è attivo anche l’incisore ed editore Matteo Pagan. Così come le attività di altri incisori, per esempio Ferrando Bertelli, Domenico Zenoi e Simon Pinargenti, si confondono con quelle di noti stampatori, editori e commercianti, come Bolognino Zaltieri, Michele Tramezzino, Giovan Francesco Camocio. Come stratificato è il procedimento di produzione, altrettanto variegata è la destinazione delle carte a stampa, che creano un nuovo pubblico, non necessariamente

30 Burke, P., Early Modern Venice as a Center of Information and Communication, in Martin, J., Romano, D., a cura di, Venice Reconsidered. The History and Civilization of an Italian City-State, 1297-1797, Baltimora-Londra, The Johns Hopkins University Press, p. 398.

31 Woodward, D., Maps as Prints in the Italian Renaissance. Makers, Distributors and Consumers, Londra, The British Library, 1996; trad. it., Cartografia a stampa nell’Italia del Rinascimento, Milano, Sylvestre Bonnard, 2002, p. 18.

32 Farinelli, F., L’invenzione della terra, Palermo, Sellerio, 2007, p. 74.

33 Bevilacqua, E., Geografi e cosmografi in Storia della cultura veneta. Dal primo Quattrocento al

interessato a sicure e precise informazioni geografiche34, e che a metà Cinquecento entrano, in qualità vere e proprie icone di status sociale, negli inventari delle case veneziane delle classi professionali laiche e della nobiltà. Attraverso una penetrazione quotidiana e una retorica dell’ostensione mutuata dai vertici del potere ma in tono decisamente minore, le carte geografiche a stampa

sostennero un ruolo esile ma importante nella formazione delle idee sul mondo. Oltre a comunicare conoscenze – reali o meno – su luoghi ed eventi strani, simboleggiavano, attraverso una complessa iconografia, alcuni temi più elevati: la magia di afferrare il mondo come una singola immagine ordinata, la sostituzione del contenuto della geografia classica con una geografia “moderna” che incorporava le “nuove scoperte” e la secolarizzazione dell’immagine del mondo con il passaggio dalla raffigurazione dello spazio spirituale a quella dello spazio geometrico. […] Riesce arduo ritenere che il radicamento dell’idea di carta geografica, durante la seconda metà del XVI secolo, non avesse effetto sul modo in cui le classi medie vedevano il mondo35.

È a questa vivace attività editoriale, con tutte le sue implicazioni epistemologiche, economiche, sociali e psicologiche, che sono riconducibili tre mappe, più o meno ristampate, che fanno esplicito riferimento al viaggio da Venezia a Costantinopoli. All’incirca nello stesso periodo in cui sta lavorando alla sua tripartita mappa dell’Asia, quella che registrerà il fondamentale contributo di Marco Polo alla cartografia moderna, il 29 aprile 1559 Giacomo Gastaldi riceve dal Senato il privilegio di stampa per una grande mappa in quattro fogli dell’Europa sud-orientale in cui riunire le tre aree regionali circoscritte da Tolomeo. Della mappa, pensata in modo che i singoli fogli possano essere usati separatamente (ragione che ne spiega la presenza indipendente in varie raccolte), in quell’anno escono solo i quadranti settentrionali, con il titolo Dissegno particolare de Regni, et Regioni, che son da Constantinopoli a Venetia, da Venetia a Viena, et da Vienna a Constantinopoli (RB 19, fig. 11). Ristampati l’anno successivo a Roma da Antonio Lafreri, che rimuove il titolo originale, aggiunge il proprio nome e

34 In maniera un po’ troppo riduttiva c’è chi nega addirittura che le carte geografiche a stampa italiane del Cinquecento abbiano alcun valore storico o geografico (Ganong, W. F. Crucial Maps in the Early

Cartography and Place Nomenclature of the Atlantic Coast of Canada, Toronto, University of Toronto

Press for the Royal Society of Canada, 1964, p. 264).

affianca al privilegio veneziano quello papale36, i due fogli vengono intagliati nuovamente a Venezia nel 1566 da Paolo Forlani (RB 21, fig. 13), che ne estende sensibilmente l’area descritta a settentrione, in un’edizione a sua volta ripresa un paio d’anni dopo da Donato Bertelli (RB 22) e infine nel 1584 dal Theatrum Orbis Terrarum di Ortelio, che ripiega però ormai su indicazioni regionali titolando nel cartiglio Romaniae, (quae olim Thracia dicta) vicinorumque regionum, uti Bulgariae. Walachiae,