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Per quanto Ramusio si sforzi di dimostrare il contrario, Gastaldi dispone sulla carta le informazioni poliane in maniera radicalmente diversa rispetto a quanto aveva fatto Fra Mauro. In questo passaggio da un mondo medievale in via di spazializzazione ma ancora affollato di luoghi speciali e unici a uno spazio reso completamente omogeneo e misurabile, il rapporto tra operazione cartografica e pratica del viaggio, mediato in gran parte dai testi letterari, va incontro a un fondamentale mutamento. È ancora Michel de Certeau ad attirare l’attenzione sul processo rinascimentale di formalizzazione e autonomizzazione della mappa, che tende a sganciarsi lentamente dagli itinerari che ne erano la condizione di possibilità. Il riferimento è all’evacuazione dalla superficie delle mappe di tutte quelle figurazioni pittoriche profondamente narrative che la arredavano, quei «frammenti di racconto che ricordavano e fissavano sulla carta le operazioni storiche (politiche, commerciali, belliche) da cui essa risultava»60. Certeau sembra attribuire la capacità di autolegittimazione scientifica della cartografia moderna a un procedimento sistematico di equiparazione e livellamento di elementi eterogenei provenienti da attività umane altrettanto disparate (la spazializzazione). La carta dunque,

59 Arbel, B., Maps of the World for Ottoman Princes? Further Evidence and Questions Concerning ‘The

“Mappamondo” of Hajji Ahmed’, in «Imago Mundi», LIV (2002), pp. 19-29. Un contributo ancora più

recente allo studio della mappa è in Barthe, P., An Uncommon Map for a Common World: Hajji Ahmed’s

Cordiform Map of 1559, «L’Esprit Créateur», XLVIII (2008) 1, pp. 32-44. L’autore a sua volta,

sottolineando gli elementi più tipicamente ottomani della mappa, mette in discussione l’idea della carta come «puro prodotto dell’Occidente» (ivi, p. 34), suggerendo un’attiva partecipazione ottomana alla sua compilazione.

60 Certeau, M. de, L’invention du quotidien 1. Arts de faire, Parigi, Gallimard, 1990, p. 178, trad. mia; trad. it., L’invenzione del quotidiano, Roma, Lavoro, 2005. Si ricordi che anche in questo passo Certeau impiega la propria nozione “cartesiana” di luogo.

trasformata dalla geometria euclidea poi descrittiva, costituita in un insieme formale di luoghi astratti, è un “teatro” (così si chiamavano gli atlanti) in cui lo stesso sistema di proiezione giustappone tuttavia due elementi ben differenti: i dati forniti da una tradizione (la Geografia di Tolomeo, per esempio) e quelli provenienti dai navigatori (i portolani, per esempio). Sullo stesso piano, la carta collaziona dunque dei luoghi eterogenei, gli uni ricevuti da una tradizione e gli altri

prodotti da un’osservazione. Ma l’essenziale qui è la cancellazione degli itinerari che, supponendo i

primi e condizionando i secondi, assicurano difatti il passaggio degli uni agli altri. La carta, scena totalizzante dove elementi di origine disparata sono assemblati a formare il quadro di uno “stato” del sapere geografico, rigetta nel suo prima o nel suo dopo, dietro le quinte, le operazioni di cui essa è l’effetto o la possibilità. Rimane sola. I descrittori di percorso sono scomparsi61.

Certeau afferma che negli ultimi cinque secoli si è verificata una lenta dissociazione fra le rappresentazioni letterarie e scientifiche dello spazio, ben leggibile nel cammino lungo il quale la carta moderna ha evacuato dalle sue superfici i descrittori di percorso. Il parametro medievale di comparazione non è però in questo caso quello delle mappaemundi, la cui funzione didattica, tanto storica quanto geografica, mescolava concetti di spazio e tempo, fonti classiche e scritturali, in modo da localizzare i principali eventi biblici e fornire al fedele un quadro geografico in cui ripercorrere la storia cristiana62. In quanto rappresentazioni del mondo e non dello spazio, le mappaemundi sono state a lungo trascurate da una tradizione di studi positivista per la loro mancanza di accuratezza descrittiva, ma hanno in seguito consentito un ampio ripensamento teorico dell’oggetto della disciplina, che ha aperto allo studio dell’iconologia della mappa, ovvero dei diversi messaggi simbolici e politici veicolati dalla cartografia63, fino a una sua vera e propria decostruzione64. Certeau fa invece riferimento a un’altra tipologia di mappe di in cui il percorso dominava ancor di più: quelle itinerarie confezionate a uso

61 Ivi, pp. 178-79.

62 Al punto da essere state indicate come «la preistoria dell’atlante storico europeo» (Black, J., Maps and

History: Constructing Images of the Past, New Haven-Londra, Yale University Press, 1997, p. 4).

63 Harley, J. B., The Iconology of Early Map in Clivio Marzoli, C., a cura di, Imago et Mensura Mundi. Atti

del IX congresso internazionale di storia della cartografia, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana,

1985, pp. 29-38; Woodward, D., Medieval Mappaemundi, in Harley, J. e Woodward, D., a cura di, History

of Cartography. Volume One: Cartography in Prehistoric, Ancient, and Medieval Europe and the Mediterranean, Chicago, University of Chicago Press, 1987, v. I, pp. 286-370; Id., Reality, Symbolism, Time, and Space in Medieval World Maps, in «Annals of the Association of American Geographers»,

LXXV (1985), pp. 510-521.

64 Harley, J. B., Deconstructing the Map, in Id., The New Nature of Maps. Essays in the History of

dei pellegrini, che prescrivevano azioni e tappe da effettuare, scandivano tracciati rettilinei con indicazioni performative su distanze, locande dove sostare e conventi dove pregare. Queste mappe, prodotto di esperienza viatoria, inscrivevano geograficamente l’esperienza del pellegrinaggio in maniera complementare alle mappaemundi: laddove queste ultime le offrivano uno schema morale e teologico, illustrando vicende del passato biblico, le prime servivano alla pianificazione strategica di un cammino ancora da compiere. Malgrado Certeau ne sottolinei il carattere narrativo, le mappe itinerarie risalivano a una tradizione romana in cui lo spazio svolgeva una funzione importante: si pensi alla celebre Tabula Peutingeriana del IV secolo, itinerarium pictum, classico esempio di sintassi non euclidea della mappa che costituisce la «massima ed icastica espressione del principio della celeritas, cioè della riduzione del mondo a tempo di percorrenza, sulla quale si fondava l’intera concezione latina dello spazio strategico»65. Ma la loro evoluzione medievale appare coerente con una vicenda di sopraffazione del luogo sullo spazio: come segnala Paul Zumthor «si è fatta l’ipotesi che, nella tradizione romana, gli itinerari fornissero la base delle rappresentazioni cartografiche della Terra. Nel Medio Evo, invece, i primi sembrano provenire da una frammentazione delle seconde»66. Il fenomeno che aveva portato dalla possibilità di comporre un quadro unico (a partire da elementi accomunati da uno standard descrittivo) a quella di isolare luoghi carichi di qualità proprie (a partire da uno schema basato sulle loro peculiari relazioni), sembra ripetersi in forma invertita durante il Rinascimento.

Se, per gli illustri precedenti, questo ulteriore rovesciamento non è soltanto una questione di strumentazione (non è la tecnologia a spiegare la nascita della mappa, ma il contrario) conta ora rilevare che «all’opposto del medioevo, non è la carta la copia del mondo ma è il mondo la copia della carta»67. La mappa allora spopolandosi e diventando sempre più reticente sui procedimenti della propria creazione riconfigura totalmente il rapporto fra viaggio e cartografia. Questo rapporto, come suggerisce Italo Calvino, è strutturale, dal momento che «il primo bisogno di fissare sulla carta i luoghi è legato al viaggio: è il promemoria della successione delle tappe, il tracciato d’un percorso […] la

65 Farinelli, F., I segni del mondo. Immagine cartografica e discorso geografico in età moderna, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia, 1992, p. 73.

66 Zumthor, P., La mesure du monde, Parigi, Seuil, 1993; trad. it., La misura del mondo. La

rappresentazione dello spazio nel Medio Evo, Bologna, Il Mulino, 1995, p. 314.

carta geografica, insomma, anche se statica, presuppone un’idea narrativa, è concepita in funzione d’un itinerario, è Odissea»68. Se questo nesso tende a farsi meno visibile per l’estromissione dei descrittori di percorso, per la continua demolizione dei luoghi condotta dallo spazio, il contenuto narrativo apparentemente obliterato della carta moderna può essere recuperato all’analisi considerando la mappa come una costruzione dello spazio che non sempre rispetta i codici di lettura che propone, mettendo in gioco essa stessa, un’«utopica», direbbe Louis Marin69. Come Certeau, anche il semiologo francese, le cui analisi arrivano fino alla contemporaneità, si rapporta innanzitutto al carattere allo stesso tempo spaziale e narrativo della mappa itineraria medievale, che in quanto «trasposizione diretta di un itinerario, costituisce di conseguenza il testo di un discorso narrativo possibile»:

Ma se inscrive così degli enunciati nel loro testo “grafico”, ne elimina radicalmente l’enunciazione. Costruisce d’emblée il sistema degli itinerari; articola, in un sol colpo, il testo dei percorsi possibili da un punto all’altro. È la totalizzazione di un insieme di elementi semplicemente possibili, di cui neutralizza la reale effettuazione […] Ma, a sua volta, la figura come “carta geografica” è una sorta di schema produttore di tutta una classe di racconti possibili70.

Questo potenziale narrativo della mappa diventa pienamente utopico per Marin solo con la profonda cesura rinascimentale che inaugura un discorso della rappresentazione

in cui l’operazione mimetica e analogica di scambio fra realtà e immagine trova le sue regole nella geometria e nell’ottica, in una mutazione scientifica e tecnica e in una crisi politica, sociale e culturale. L’immagine rappresentativa può allora avere la pretesa di significare il mondo che imita “esattamente” e di sostituire alla sua realtà il segno figurativo che la esaurirà, totalmente e senza residui. Di conseguenza, nel discorso della rappresentazione che si tiene a partire dal Rinascimento nei segni del linguaggio e nelle figure dello sguardo, si possono formulare le esigenze di una verità

68 Calvino, I., Il viandante nella mappa, in Id., Collezione di sabbia (1984), Milano, Oscar Mondadori, pp. 21-23.

69 L’esempio paradigmatico di utopica secondo Marin è la mappa della città: «1. Una mappa della città rappresenta la produzione di un discorso sulla città. 2. L’analisi decostruttiva […] di questa rappresentazione mette in luce le ideologie (i presupposti impliciti) sui quali tale discorso si fonda. 3. Una mappa della città è un’“utopica”: lascia apparire luoghi e spazi non coerenti; ed è proprio questo insieme di non-coerenze a raffigurare il progetto di cui la mappa è portatrice» (Marin, L., La ville dans sa carte et son

portrait, in «Cahiers de l’école normale supérieure de Fontenay», XXX-XXI (1983), pp. 11-26; trad. it., La mappa della città e il suo ritratto. Proposte di ricerca, in Della rappresentazione, Roma, Meltemi, 2001,

p. 76).

universale, adeguamento perfetto dei segni, delle figure, delle cose e delle idee, per cui le particolarità, le screziature delle situazioni storiche concrete, delle relazioni individuali, dei luoghi specifici si trovano definitivamente escluse71.

Le mappaemundi con le loro esplicite rappresentazioni dei luoghi utopici della religione, erano delle utopiche del mondo, in cui il fedele poteva leggere i destini di redenzione o dannazione di tutta la Cristianità; la carta rinascimentale è invece un’utopica dello spazio, le cui regole di costruzione e decodificazione dipendono da un principio di descrizione messo continuamente in gioco da una potenzialmente infinita produttività narrativa. Il pionieristico approccio geosofico e cartosofico di John K. Wright già più di sessant’anni fa aveva individuato l’importanza di questa pulsione utopica nello studio della storia della cartografia, analizzando i diversi livelli attraverso cui l’immaginazione cartografica poteva esercitarsi. Per capirne il ruolo strutturale nel progetto ramusiano delle Navigazioni, è possibile rileggere attraverso le indicazioni di Wright il passo di Heart of Darkness, oggetto da più parti di riflessioni sulla funzione della cartografia in epoca coloniale72 e già evocato per suggerire come la letteratura possa trasformare gli spazi astratti della cartografia in luoghi materiali dell’esperienza73. Wright ha infatti messo in luce come sulle terrae incognitae si possano dirigere tre tipi diversi di immaginazione geografica, paradigmaticamente introdotti in sequenza dalla prosa di Conrad: un’immaginazione intuitiva (oggettiva), legata al lavoro dei cartografi, che aspira alla verità delle descrizioni realistiche e che in questo caso coinciderebbe con l’accumulo dei nomi sulla mappa cui per primo corre la mente di Marlow; un’immaginazione promozionale (oggettiva-soggettiva), controllata da desideri e ambizioni personali nondimeno realistici, in questo caso i sogni di gloria connessi alla corsa all’impero; infine un’immaginazione estetica (soggettiva), in cui il desiderio personale viene diretto verso il processo immaginativo stesso, quello per cui il fiume di Marlow assume alla fine del passo i tratti di un serpente incantatore. Dall’inizio alla fine del brano lo stesso blank space della carta, oltre ad aver lasciato il posto al luogo di

71 Ivi, p. 264.

72 Per una lettura del passo alla luce delle teorie del mapping sviluppate da Edward Said, Fredric Jameson e Michel de Certeau, si veda Iacoli, G., La percezione narrativa dello spazio. Teorie e rappresentazioni

contemporanee, Roma, Carocci, 2008, pp. 29-34.

tenebra riemerso dalla memoria di Marlow, è esso stesso, in quanto rappresentazione, mutato: il rigido ordine cartografico di descrizione è stato gradualmente violato dai desideri personali del lettore (e il desiderio e ciò che più qualifica la pulsione utopica)74. L’equilibrio dei tre ordini di immaginazione è fondamentale, dice Wright, perché nelle terrae incognitae e nei blank spaces risuona il canto delle Sirene che, come insegna Ulisse canto, va ascoltato, perché lo stesso viaggio, raccontato dai compagni (le cui orecchie sono rimaste tappate) sarebbe stato con ogni probabilità un resoconto fattuale, realistico, e perciò stesso presto dimenticato; ma va ascoltato ben legati all’albero della nave, altrimenti al contrario il racconto di Ulisse si sarebbe trasformato in quello di un’avventura sensazionale e irreale, altrettanto effimera dell’altra e cui nessuno avrebbe dato credito: non avremmo avuto insomma l’Odissea75.

Le riflessioni di Marin e di Wright, mettendo l’accento sul potenziale narrativo dell’utopica cartografica, invitano a riconsiderare la distinzione, associata da Certeau a quelle di spazio e luogo76, mappa e racconto, e quindi descrizione e narrazione, fra strategie e tattiche:

Chiamo “strategia” il calcolo dei rapporti di forza che diventa possibile a partire dal momento in cui un soggetto di volere e di potere è isolabile da un “ambiente” [environnement]. Postula un luogo suscettibile di essere circoscritto come un proprio e dunque di servire come base a una gestione delle sue relazioni con un’esteriorità distinta. La razionalità politica, economica o scientifica si è costruita su questo modello strategico. Chiamo al contrario “tattica” un calcolo che non può contare su un proprio, né dunque su un confine che distingua l’altro come totalità visibile. La tattica non ha altro luogo che quello dell’altro77.

74 Jameson, F., Archaeologies of the Future. The Desire Called Utopia and Other Science Fictions, Londra-New York, Verso, 2005; trad. it., Il desiderio chiamato Utopia, Milano, Feltrinelli, 2007. L’esaurimento dei blank spaces ha dunque il potente effetto letterario del crollo dell’utopia: «la caduta dell’immaginazione “fanciullesca”, la perdita d’incanto che connota l’età moderna, l’età in cui, sulla breve carta che figura il mondo, tutti i nomi sono stati ormai messi» (Fasano, P., Letteratura e viaggio, Roma-Bari, Laterza, 1999, p. 59). Fasano in proposito porta altri autorevoli esempi: «E figurato è il mondo in breve carta; / Ecco tutto è simile, e discoprendo, / solo il nulla s’accresce» (Leopardi, G., Ad Angelo Mai, 1820, ivi, p. 48); «Amer savoir, celui qu’on tire du voyage! / Le monde, monotone et petit, aujourdhui, / Hier, demain, toujours, nous fait voir notre image: / Une oasis d’horreur dans un désert d’ennui!» (Baudelaire, C., Le voyage, 1859, ivi, p. 54).

75 Wright, J. K., Terrae Incognitae: The Place of Imagination in Geography, in «Annals of the Association of American Geographers», XXXVII (1947) 1, pp. 1-15.

76 Inverto qui i termini impiegati da Certeau, rispettati invece nella citazione.

La narrazione, per quanto sia il procedimento privilegiato della messa in discorso delle tattiche, non è infatti prerogativa del racconto personale, così come la mappa, che al contrario si costruisce su un principio descrittivo impersonale, trasgredisce le proprie regole offrendosi al gioco delle strategie: a una strategia dominante della descrizione corrispondono infinite strategie della narrazione. Il progetto ramusiano delle Navigazioni, il più serio tentativo cinquecentesco di far incontrare letteratura di viaggio e cartografia in maniera organica, fonda il proprio disegno di spazializzazione su questa duplicità utopica della mappa, che diventa la vera e propria strategia di lettura dei racconti dei viaggiatori. Progetto totalizzante di mappatura verbale, la silloge chiama costantemente in causa la produzione cartografica, in quanto movente e bersaglio polemico (Ramusio contesta esplicitamente e fin da subito le carte della Geographia tolemaica, «molto imperfette rispetto alla gran cognizion che si ha oggi»)78, in quanto strumento di corredo, coordinazione e veridizione dei materiali letterari (l’esempio, nel caso di Marco Polo, è la tavola desunta da Abu ‘l-Fida Isma‘il), in quanto primario obiettivo di riforma scientifica (la raccolta vuole fornire dati utili alla compilazione di nuove mappe)79. Appartiene dunque all’ordine intuitivo (oggettivo) dell’immaginazione cartografica il principale valore strategico riconosciuto da Ramusio al proprio libro che, come osserva Raleigh Ashlin Skelton

doveva offrire documenti originali che registrassero l’esperienza e le osservazioni dei viaggiatori moderni, i quali dovevano fornire i dati – latitudini e longitudini, luoghi e nomi – necessari alla costruzione di mappe corrette; i profili generali andavano desunti dalla migliori carte contemporanee. Da queste fonti documentarie poteva essere intrapresa la descrizione sistematica del mondo80.

Ma è Ramusio stesso, nella prefazione all’opera, ad attirare l’attenzione sull’ulteriore potenziale strategico delle Navigazioni, legato tanto a un’immaginazione promozionale (forniscono un attendibile e agevole strumento di lavoro ai governi che attuano progetti

78 Ramusio, G. B., All’eccellentiss. M. Ieronimo Fracastoro Gio. Battista Ramusio, in Id., Navigazioni, cit., vol. I, p. 4.

79 «Crediamo che una parte della geografia moderna sarà talmente illustrata, che poco necessario sarà l’affaticarsi sopra le tavole di Ptolomeo» (Ramusio, G. B., Alli studiosi di geografia, ivi, vol. I, p. 911).

80 Skelton, R. A., Introduzione a Ramusio, G. B., Navigationi et viaggi: Venice, 1563-1606, Amsterdam, Theatrum Orbis Terrarum, 1967-70, p. VII.

coloniali e gestiscono il commercio internazionale), quanto a un’immaginazione estetica (soddisfano la sete di meraviglia e conoscenza dei lettori più curiosi):

Ma che dico io del piacere che ne avranno li dotti e studiosi? Chi è colui che possa dubitare che ancor molti dei signori e principi non si abbiano a dilettare di così fatta lezione? Ai quali più che ad alcun altro appartiene il saper i secreti e particolarità della detta parte del mondo e tutti i siti delle regioni, provincie e città di quella, e le dependenzie che l’hanno l’uno dall’altro i signori e popoli che vi abitano81.

L’aneddoto di Chaggi Memet appare dunque uno dei numerosi momenti paratestuali, come quello in cui il “pilotto” portoghese considera i residui blank spaces sulla superficie del mappamondo o quello in cui Ramusio discute con Fracastoro di nuove possibili rotte per il commercio orientale delle spezie, in cui le strategie ramusiane si rendono visibili, eccedendo la loro apparente dimensione oggettiva di perfezionamento della descrizione cartografica. Laddove negli altri casi la carta in quanto utopica consente un’immaginazione promozionale di ordine militare o commerciale, la cui realizzazione rimane soltanto allo stato potenziale, nel caso di Chaggi Memet l’operazione è tanto più significativa perché di ordine puramente culturale – la consacrazione simbolica di Venezia a mediatrice europea con l’Oriente – e di perciò stesso già in fase di attuazione.