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Certo è che gli inizi sono promettenti: molto probabilmente Ramusio, che morirà sette mesi dopo, al momento della supplica ha già completato quella che pare in assoluto la prima traduzione della Conquête25, tuttora leggibile in due codici manoscritti cinquecenteschi, ma non autografi e posteriori al 1572, conservati presso la Biblioteca

22 Ibidem.

23 Ibidem.

24 1556 more veneto.

25 «È notabile, che fino ad allora il Villarduino, scrittore d’impresa di tanto grido, fosse stato fra’ suoi francesi e fiamminghi quasi ignoto e seppellito», dice Marco Foscarini che però dà notizia dell’esistenza nel catalogo dei manoscritti di Bernardino Trivigiano di un antico codice pergamenaceo intitolato Istoria

di Giuffrè di Villarduin, maresciallo di Sciampagna, dell’acquisto dell’imperio di Romania fatto da Enrico Dandolo, doge di Venezia, e da Baldovino, conte di Fiandra, et altri baroni crociati con lui

(Foscarini, M., Della letteratura veneziana ed altri scritti intorno ad essa (1854), Bologna, Forni, 1976 p. 299; Zeno, A., Lettere di Apostolo Zeno cittadino veneziano, vol. I, Venezia, Francesco Sansoni, 17852, p. 227).

Marciana di Venezia sotto i titoli più tardi rispettivamente di Storia della Conquista di Costantinopoli fatta dalli Veneziani e Francesi nel 1204 scritta da Gottofredo Villarduino e tradotta da Giovambattista Ramusio (RB 1)26 e Spedizione di Terra Santa e Conquista di Costantinopoli fatta da’ Crocesegnati (RB 2)27. Sia il primo, che in base ad alcune osservazioni linguistiche sarebbe da ritenersi il più autorevole, che il secondo, provenienti entrambi dalla biblioteca di Amedeo Schweier, riportano la partizione in sei libri che verrà successivamente adottata nell’opera di Paolo, alla quale non solo forniscono la materia prima ma indicano dunque una prima direttiva di elaborazione. Il contributo del padre, che finora ha avuto troppo poco a che fare con la geografia e i suoi procedimenti di spazializzazione, non si ferma certo qui e anzi in un certo qual modo gli sopravvive: un ulteriore episodio editoriale due anni dopo viene infatti ad anticipare, nel corpo stesso delle Navigazioni e viaggi, il lavoro di Paolo, imprimendo ai suoi preparativi un inconfondibile interesse geografico che Giovanni Battista già aveva cercato di trasmettere al figlio chiamando l’amico Giacomo Gastaldi a tenere in casa lezioni di cosmografia. Nel 1559 (ma il colophon è dell’anno precedente) esce infatti postumo, in ritardo rispetto al terzo volume stampato nel 1556 – il ritardo è causato sia dalla scomparsa dell’autore nel luglio del 1557 sia dall’incendio della stamperia giuntina avvenuto il 4 novembre dello stesso anno – il secondo volume della grande raccolta di relazioni di viaggio, in cui l’editore si rammarica delle ragioni della rimandata pubblicazione ma soprattutto rivela al pubblico l’identità del compilatore della raccolta, che in vita aveva preferito mantenere l’anonimato. Subito dopo l’avviso di Tommaso Giunti, in quell’articolato insieme di paratesti confezionati da Ramusio per introdurre i viaggi di Marco Polo che aprono propriamente il volume, dopo la Prefazione al Milione, in cui il segretario poneva solide e durature basi ideologiche alla fondazione del mito letterario e scientifico di Marco, e prima tanto della Dichiarazione contenente la storia del rabarbaro e dell’incontro con Chaggi Memet quanto della tavola di coordinate desunte da Abu ‘l-Fida Isma‘il, si inseriva un

26 Villehardouin, G. de, Storia della Conquista di Costantinopoli fatta dalli Veneziani e Francesi nel

1204 scritta da Gottofredo Villarduino e tradotta da Giovambattista Ramusio, Ms. Marc. It. VII. 138

(8749); ff. 1r-53v. Nelle prossime pagine le ulteriori citazioni in italiano dalla cronaca di Villehardouin, anziché da Garavini, verranno tratte da questo manoscritto.

27 Id., Spedizione di Terra Santa e Conquista di Costantinopoli fatta da’ Crocesegnati, Ms. Marc. It. VII.

ampio discorso dal titolo altrettanto poco conciso: Espositione di messer Gio. Battista Ramusio sopra queste parole di messer Marco Polo: «Nel tempo di Balduino imperatore di Costantinopoli, dove allora soleva stare un podestà di Venezia per nome di messer lo dose, correndo gli anni del nostro Signore 1250» (RB 6)28. Con il pretesto, a prima vista piuttosto esile, di glossare l’incipit del Milione, Ramusio confeziona qui un sostanziale riassunto della cronaca di Villehardouin, cogliendo l’occasione per annunciare ai lettori la prossima pubblicazione dell’opera di Paolo. Ma le ragioni profonde della presenza dell’Esposizione in una delle sezioni più studiate e finemente calibrate della raccolta superano di gran lunga le esigenze di pubblicità familiare, né si deve credere che rispetto a queste siano meno interessate. Adottando lo stesso stratagemma all’opera nelle pagine immediatamente successive – il rabarbaro nominato da Marco Polo che giustifica l’entrata in scena di Chaggi Memet – a Ramusio basta un elemento marginale del testo per avviare un inaspettato commento che nella forma dell’erudito medaglione storiografico in un caso e del cammeo geografico nell’altro riesce però a veicolare un potente messaggio ideologico: la superiorità veneziana nella conoscenza dell’Oriente (Marco Polo) discende direttamente da un legittimo diritto politico sul Mediterraneo orientale e finanche su Costantinopoli (dove continua a risiedere il bailo veneziano). La posta in gioco non è, come può sembrare, quella della commemorazione storica, ma quella ben più carica di implicazioni della legittimazione politica che, per quanto introdotta con molto riguardo, è individuabile fin da subito nel suo carattere di “somma necessità”:

Cominciando messer Marco Polo il suo viaggio dalle sopra dette parole, m’è parso nel principio di questo libro cosa sommamente necessaria e da non essere in modo alcuno pretermessa, ancor che molti istorici n’abbino fatto diversamente menzione, l’esporre quanto più brevemente si potrà, a più compiuta satisfazione de’ lettori, la cagione perché in Constantinopoli in que’ tempi stesse un podestà per nome del doge di Venezia, massimamente che appartiene la cognizione di cosí illustre e gloriosa memoria alla grandezza ed eccellenzia di questa veramente divina Republica, dalle cui

28 Ramusio, G. B., Espositione di M. Gio. Battista Ramusio sopra queste parole di M. Marco Polo: “Nel

tempo di Balduino Imperatore di Constantinopoli: dove allhora soleva stare un Podestà di Venezia per nome di Messer lo Dose, correndo gli anni del nostro signore 1250”, in Secondo Volume delle Navigationi et Viaggi, Venezia, Tommaso Giunti, 1559, cc. 9r-13v. Il testo viene qui citato dall’edizione

moderna a cura di Marica Milanesi (Id., Navigazioni e viaggi, Torino, Einaudi, 1978-1983, vol. III, pp. 37-55).

antiche scritture e memorie, in antichissimi libri e a que’ tempi notate, di questa impresa di Constantinopoli, n’ho io sommariamente tratte quelle particolar cose, che qui sotto, sì come io stimo, con molto contento de’ benigni lettori saranno descritte29.

All’incisivo esordio segue direttamente il racconto degli eventi, che prosegue ben oltre il 1207, toccando in maniera sommaria le successive turbolenze politiche di cui l’impero latino si era fatto inquieto teatro ma soprattutto dando conto dello stabilizzarsi dei privilegi commerciali veneziani nei territori del vecchio impero bizantino. Quando, avviandosi a concludere, Ramusio può finalmente spiegare la menzione poliana come esemplare gesto di riverenza patriottica, compiuto «per dimostrare l’onorificenzia e grandezza in che per avanti era stata la sua patria»30, e ritornare con soddisfazione allo stupito interrogativo iniziale, oramai pienamente chiarito, la dimostrazione dell’autorità imperiale veneziana sui mari può considerarsi conclusa e rivelare l’identità di chi questa autorità cerca costantemente di mettere in discussione:

non paia cosa fabulosa il leggere che già trecento anni questa Republica abbia tenuto per cosí lungo spazio di tempo podestà in Constantinopoli, sì com’ella fece, e sia con molto beneficio della cristianità stata tanti anni patrona d’una parte di quella cosí bella e gloriosa città e di quel tanto maraviglioso imperio, che ora, per le molte discordie longamente state fra’ principi cristiani, si truova soggetto agl’infideli31.

Chiuso finalmente il cerchio, dopo pagine dense di eventi, battaglie, matrimoni e accordi politici, ecco dunque l’improvvisa apostrofe al lettore in cui Ramusio annuncia il prestigioso incarico affidato al figlio Paolo e nega con consumata sprezzatura di aver raccontato alcunché:

Ma chi averà piacere d’intendere particolarmente e con più diritto e continuato ordine il filo di tutta questa istoria, ch’io di sopra non ho raccontato né è sino ora stata scritta da alcuno […] leggerà l’istoria di Paolo mio figliuolo, la quale egli latinamente scrive d’ordine dell'illustrissimo ed eccellentissimo Consiglio di Dieci di questa Republica32.

29 Ivi, p. 37.

30 Ivi, p. 52.

31 Ibidem.

Dalla rivelazione del prezioso ritrovamento di Contarini33 il discorso del commentatore prende infine il giusto slancio per un’appassionata promozione pubblicitaria delle qualità e dei soggetti dell’opera, azionando una sorta di anteprima visionaria, cinematografica al punto che risulterebbe quasi fantasmagorica, solo non obbedisse a un preciso e meditato ordine logico (come d’altronde molte delle apparenti fantasmagorie che costellano l’umanesimo rinascimentale). Snocciolati rapidamente, uno a uno, come proiettili destinati a colpire l’annoiato lettore, i numerosi argomenti che l’opera a venire si farà carico di trattare saranno com’è ovvio di natura storica, come gli avvenimenti burrascosi e romanzeschi in cui la storia politica bizantina precipita definitivamente a cavallo dei due secoli:

Or in queste istorie di mio figliuolo si leggeranno le mutazioni e i rivolgimenti di quelle signorie, con la morte, creazioni e prigionie di tanti imperatori e tiranni ch’erano a quel tempo in molte parti della Grecia e dell'Asia, con la turbulenzia del stato loro, e finalmente la perdita di tutto quello imperio che pervenne nei Latini34.

Ma che saranno anche e soprattutto, quasi a segnare una pausa di riposo rispetto al filo aggrovigliato degli eventi storici, argomenti più posati di ordine geografico, relativi a territori di cui si sottolinea l’appartenenza a Venezia:

il dominio de’ Veneziani nella Romania, con suoi privilegii e onoratissime giurisdizioni, e co’ nomi di ciascheduna città, luogo, castello o casale, che così nella Tracia come nella Morea e nel Peloponeso le toccarono in sorte nella divisione dell'imperio fatta da’ partitori; e dell’isole dell'Arcipelago, e de’ signori che l’occuparono, a chi furono tolte; la porzione dell'imperio venuto in sorte a’ baroni francesi, ch’altrimente si chiamavano pellegrini, e quella del medesimo imperatore Balduino ed Enrico fratelli, incoronati imperatori l’un dopo l'altro, con lor nozze e parentadi dopo l’acquisto dell’imperio fatti35.

E così via: l’elenco di Ramusio prosegue ricapitolando tutti i momenti salienti

33 «Questo libro già alquanti anni il clarissimo messer Francesco Contarino, il procuratore di San Marco, essendo ambasciator in Fiandra a Carlo V imperatore l'anno 1541, e avendolo a caso in una libraria d’un monastero trovato, portò seco in questa città, non volendo patire che così bella istoria, tanto diligentemente e con tanto onore della sua patria per un uomo francese descritta, che altrove non si trovava, rimanesse perpetuamente nascosta in un solo libro scritto a penna dentro una libraria della Fiandra» (ivi, p. 53).

34 Ibidem.

dell’impresa e rimarcandone gli aspetti più avventurosi e appetibili per il lettore cinquecentesco, dall’incoronazione di Bonifacio di Monferrato a re di Salonicco alla morte dell’imperatore Baldovino (dalla cui testa il terribile zar dei Bulgari Kalojan volle ricavare una coppa), dal valore dell’anziano doge Dandolo, ultranovantenne e ancora prestante sui campi di battaglia, all’istituzione del podestà veneziano a Costantinopoli di cui fa fede Marco Polo. Nell’opera di prossima pubblicazione, che si concluderà con la dettagliata ricostruzione dei protratti conflitti militari fra i crociati e i loro alterni avversari, da Leone Sgure a Teodoro Lascaris a Kalojan (Ivanica), non mancherà infine nemmeno la scrupolosa enumerazione dei tesori e delle reliquie attraverso i quali si realizza materialmente la tanto propugnata e idealizzata translatio imperii dalle rive del Bosforo all’ombelico della laguna veneta:

le gioie, i tesori, le colonne, i marmi che vennero di que’ paesi e della Grecia mentre che signoreggiorno i Veneziani; come furno da Constantinopoli portati que’ quattro bellissimi cavalli di metallo, di mirabil arteficio, che Costantino imperatore, tolti dall’arco di Nerone, ch’egli avea di prima tolti dall’arco d’Augusto, portò da Roma a Constantinopoli, e ch’ora si veggono nel corridore della chiesa di San Marco, sopra la piazza, da tutto ’l mondo sempre riguardati con somma maraviglia; le molte reliquie d’infiniti uomini santi e beati, di che son piene tutte le chiese e monasteri di questa città, e l’istessa chiesa di San Marco36.

Pubblicità, certo, ma non solo: oltre a questo movente difficilmente contestabile, l’Esposizione, sia per il suo contenuto informativo che per la sua posizione strategica in uno dei luoghi più nevralgici della raccolta, svolge una funzione importantissima. Dal primo punto di vista, malgrado la dichiarata intenzione sinottica, segna infatti un significativo livello di elaborazione e ricerca storiografica rispetto alla cronaca originaria che anticipa e prepara allo stesso tempo il lavoro di Paolo. Per ammissione dell’autore stesso, che cita la propria fonte primaria solo alla fine del testo, l’Esposizione attinge già a una serie diversificata di fonti documentarie, tanto cancelleresche («ho letto io la copia del privilegio del prefato Roberto imperatore»37) quanto di libera circolazione, fra le quali è possibile riconoscere le cronache veneziane di Andrea Dandolo, quelle bizantine di Niceta Coniate e Giorgio Acropolita («una

36 Ivi, p. 54.

istoria greca di que’ tempi non ancora publicata»38) e il Liber secretorum fidelium crucis di Marino Sanudo. Senza contare che, come segnala Şerban Marin, in un codice manoscritto conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana al testo dato alle stampe si aggiunge la trascrizione di ulteriori documenti inediti relativi all’Impero Latino, forse riconducibili allo stesso Ramusio (RB 7)39. La decisione poi di estendere consultando altre fonti la sinossi a eventi posteriori a quelli narrati da Villehardouin risponde all’esigenza ideologica di illustrare l’ascesa commerciale veneziana nel Mediterraneo orientale e ha dunque la funzione di presentare il viaggio di Marco Polo come conseguenza diretta della Quarta Crociata. Infine, in quella sorta di scaletta già formata consegnata al figlio e data in anteprima alle stampe, emerge con insistenza un compito per nulla scontato, ovvero la necessità di completare la narrazione storica con l’accurata descrizione geografica delle località e dei territori teatro della vicenda.

Dal secondo punto di vista, l’Esposizione, posta com’è in apertura al tanto sudato volume, dominato dalla figura di Marco Polo, sulla conoscenza veneziana dell’Oriente, non solo ne costituisce la dimostrazione storica dell’origine e la patente di legittimità, ma nell’ambito dell’intera raccolta serve a comprendere meglio una questione tanto delicata come quella dell’assenza dei Turchi dalle Navigazioni. La questione è in realtà più ampia e ha a che vedere con il ruolo decisivo svolto dalla letteratura di viaggio rinascimentale nella costruzione dell’identità europea40, dal momento che in questa descrizione totalizzante del mondo, non manca solo l’impero ottomano, ma l’Europa stessa. Queste assenze possono infatti spiegarsi sia da un punto di vista teorico, collegabile all’adozione rinascimentale della teoria tolemaica sulla differenziazione di scala, sia da un punto di vista psicologico, legato alla ben nota alterizzazione del Turco nel Rinascimento, sia infine da complementare punto di vista

38 Ivi, p. 50.

39 Ramusio, G. B., Historia, o espositione di ms. Gio. Battista Ramusio sopra la cagione, perche in

Costantinopoli anticamente stesse un Podesta per nome del Serenissimo Doge di Venezia tratta da’ molti antichissimi libri, Biblioteca Apostolica Vaticana, Roma, Ms. Ottob. Lat. 2240, 1r-13r.Vedi Marin, S., A

Humanistic Vision, cit., p. 70n.

40 Lo stesso Federico Chabod, che ben diversamente da Ramusio muoveva dall’esigenza di caratterizzare l’Europa come individualità storica e morale in opposizione alla sua realtà geografica, proprio al tempo delle scoperte geografiche individuava la nascita dell’Europa come cultura, indicando nella letteratura geografica e nelle relazioni di viaggio un agente fondamentale della diffusione del senso di appartenenza a un’entità culturale europea, capace di determinare in profondità mutamenti di giudizi e modi di pensare (vedi Chabod, F., Storia dell’idea d’Europa, Roma-Bari, Laterza, 2005, pp. 61-62).

geopolitico, che rimanda cioè a quella che Eduard Fueter chiamava l’unità del «sistema degli stati europei»41. Nel primo caso il fenomeno che nel Cinquecento fa sì che lo spazio mediterraneo cessi di confondersi con lo spazio mondiale, introducendo una sorta di disparità nella effettiva conoscibilità del globo, conduce a una netta separazione fra geografia e corografia, laddove le audaci anticipazioni strategiche della prima servono a restituire la quantità del mondo, abolendo gli accidenti di un terreno sorprendentemente disponibile alle speculazioni di sovrani e imprenditori, mentre la minuzia regionale e cronachistica dalla seconda viene al contrario a concentrarsi sulla qualità dello spazio. La distinzione, metaforicamente e a volte letteralmente illustrata dall’immagine di un orecchio contrapposta a quella di tutto il capo, è posta in apertura alla Geografia di Tolomeo e nell’edizione veneziana che in quegli stessi anni (1561) ne dà Girolamo Ruscelli suona così:

La geografia è imitazione del disegno di tutta la parte conosciuta della terra, con tutte quelle cose che universalmente le son congiunte. Ed è differente dalla corografia, percioché questa, dividendo i luoghi particolari, gli espone separatamente, e ciascuno secondo se stesso; e insieme descrive tutte quasi le cose, ancorché minime, le quali in quelle parti, o in quei luoghi, che ella descrive, son contenuti, sì come sono i porti, le ville, i popoli, i rami che scono da’ primi fiumi, e altre cose simili a queste. Là ove proprio della geografia è di mostrar tutta in uno, e continua, la terra cognita, com’ella stia di natura e di sito, e si stende solamente fino alle cose più principali, sì come sono i golfi, le città grandi, le nazioni, le genti, i fiumi più celebri e tutte quelle cose che in ciascuna specie son più notabili. Il fine della corografia è di rappresentare una sola parte, sì come chi imitasse o dipingesse un’orecchia sola o un occhio. Ma il fine della geografia è di considerare il tutto in universale, alla guisa di coloro, i quali descrivono o dipingono tutto un capo42.

Che Tolomeo insista sul fatto che «la corografia poi più attende alla qualità de’ luoghi, che alla quantità o grandezza loro»43, mentre la geografia procura «di rappresentare o descrivere la misura e la proporzione delle lontananze»44, non significa debbano intendersi rispettivamente come scienza del luogo e scienza dello spazio, perché

41 Fueter, E., Storia del sistema degli stati europei dal 1492 al 1559 (1932), Firenze, La Nuova Italia 1969.

42 Ptolemaeus, C., La Geografia di Claudio Tolomeo alessandrino nuovamente tradotta di Greco in

Italiano da Girolamo Ruscelli, Venezia, Vincenzo Valgrisi, 1561, p. 1.

43 Ivi, p. 2.

oggetto di entrambe le discipline rimane comunque lo spazio, preso però in esame a livelli diversi di scala. Quindi più che di luoghi, la corografia sembra doversi occupare di particolari frammenti estraibili dal quadro totalizzante offerto dalla geografia, laddove è proprio lo spazio con la sua omogeneità a garantire la possibilità di questo collegamento e di questa estrazione. Prova ne sia che per l’alessandrino la cartografia ricade soprattutto nell’ambito della prima, la quale non può fare a meno di rappresentazioni visuali, mentre alla seconda possono bastare «sole minute lettere e segni»45 di ordine matematico. Se oggetto della geografia è dunque il mondo intero, quello della disciplina corografica non può essere, almeno per ora, che l’Europa con le sue nazioni e regioni. Questo divorzio secondo Frank Lestringant si consuma in maniera ufficiale precisamente a Venezia con la contemporanea pubblicazione di due monumentali collezioni di documenti: alla geografia delle Navigazioni di Ramusio (1550-1559) risponde velocemente la corografia dell’Historia universale de’ Turchi di Francesco Sansovino (1560)46. Il che viene a significare sia che il mondo ottomano assume nell’immaginario europeo una funzione antagonista il cui impatto psicologico varia dall’estrema fascinazione al puro terrore («il Turco rappresenta con insistita apprensione l’Altro»47), ed è il secondo caso, sia, ed è il terzo caso, quello della questione geopolitica, che questo mondo è parte integrante del sistema politico europeo: se l’idea di Europa nasce dall’isolamento del sistema mediterraneo al centro di un mondo dalle periferie in continua espansione, questo significa che di questo centro fanno parte anche i Turchi. Almeno così è certamente per Venezia, la cui vita economica e politica è fortemente condizionata dai rapporti diplomatici con la Sublime Porta48, ma sui quali territori la Repubblica può vantare diritti altrimenti antichi, che, come prova l’Esposizione, risalgono alle instabilità della politica greca, ma non per questo cessano di valere sotto la nuova dominazione islamica. In questo senso Ramusio