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Nel dibattito francese è dunque Certeau a recuperare la nozione di luogo in opposizione a quella di spazio, riprendendo la riflessione di Merleau-Ponty su spazio geometrico e spazio vissuto e dandone chiara definizione in un capitolo de L’invention du quotidien intitolato Récits d’espaces:

un luogo [lieu] è l’ordine, qualunque esso sia, in base al quale degli elementi sono distribuiti in rapporti di coesistenza. Vi si trova esclusa la possibilità, per due cose, di essere allo stesso posto [place]. La legge del “proprio” vi regna: gli elementi considerati sono gli uni a fianco agli altri, ognuno situato in un “proprio” e distinto posto [endroit] che esso definisce. Un luogo è dunque una configurazione istantanea di posizioni. Implica una indicazione di stabilità. C’è spazio [espace] non appena prendiamo in considerazione vettori di direzione, quantità di velocità e la variabile del tempo. Lo spazio è un incrocio di entità mobili. È in qualche modo animato dall’insieme dei movimenti che vi si dispiegano. […] A differenza del luogo, non ha né l’univocità né la stabilità di un “proprio”. Insomma, lo spazio è un luogo praticato43.

Dall’oscillazione fra un quadro contrassegnato da indicatori di mappa [carte] e la successione di movimenti segnalati da indicatori di percorso, dall’alternanza fra la conoscenza di un ordine di luoghi (vedere) e delle azioni spazializzanti (andare, fare),

43 Certeau, M. de, L’invention du quotidien 1. Arts de faire, Parigi, Gallimard, 1990, pp. 172-73, trad. mia; trad. it., L’invenzione del quotidiano, Roma, Lavoro, 2005.

deriva per Certeau un tratto che è caratteristico di ogni récit, ma si rivela particolarmente decisivo nei racconti di viaggio, ovvero l’incessante trasformazione di luoghi in spazi e viceversa di spazi in luoghi. Sottoposto alla duplice attrazione del linguaggio simbolico della mappa, della mise à plat delle osservazioni, e del linguaggio antropologico dell’itinerario, ovvero di una serie discorsiva di operazioni, il racconto di viaggio più di altri – perché lusingato tanto dal discorso autobiografico quanto da quello scientifico – gioca la propria cifra stilistica e il proprio contenuto informativo di volta in volta in base alla prevalenza di descrittori d’itinerario o al contrario di indicatori di mappa e alle modalità di passaggio dagli uni agli altri.

In generale, dice Certeau, i descrittori di percorso hanno la meglio, mentre quelli di mappa vengono condizionati o supposti dai primi, cosicché le «storie di passi e di gesti sono scandite dalla “citazione” dei luoghi che ne risultano o che li autorizzano»44. Il Racconto di David esemplifica perfettamente questo tipo di testualità, presentando l’“esacerbazione del fare” caratteristica dei récits d’espaces, ma adempiendo anzitutto alla loro funzione primaria, ovvero la fondazione di un campo d’azione. Che l’incipit sia da individuare nella partenza da Khaybar, con il solenne commiato al fratello Joseph e ai settanta anziani, o nella scenografica entrata in Vaticano in sella a un cavallo bianco, il racconto «apre un teatro di legittimità ad azioni effettive, crea un campo che autorizza pratiche sociali rischiose e contingenti»45. Quanto al Summario di Ramusio, più che creare un teatro d’azione, sembra articolare, confrontare e manipolare diverse autorità narrative secondo procedimenti tipici di un’altra categoria di testi cui fa riferimento Certeau, quella dei méta-récits, dei verbali processuali e dei “giudizi interlocutori” dei magistrati, immensa letteratura di viaggio in cui spazi eterogenei creati da voci diverse e da narrazioni orali di svariata provenienza vengono sottoposti a digestione e ricomposizione. Ramusio allora interviene con un giudizio regolatore, che segue al racconto fondatore, o meglio, ai racconti fondatori validati secondo un principio gerarchico: infatti non è solo il racconto di David a concorrere al giudizio, ma anche l’Itinerario di Varthema, l’Antico Testamento, le narrazioni orali e scritte legate al

44 Ivi, p. 177.

messianesimo, alla cabala, al mito del Prete Gianni e alla collocazione del Paradiso terrestre. Ramusio privilegia le informazioni di David verificabili sulla letteratura di viaggio ma soprattutto sulle carte geografiche, che sicuramente consulta: nel suo discorso non si fa difficoltà a riconoscere una vera e propria soggezione alla legge del proprio, rintracciabile nell’enumerazione delle tappe del viaggio, nella messa in tavola dell’itinerario di David. Ramusio dà del viaggio una “traiettoria” che «trasforma l’articolazione temporale dei luoghi in una successione spaziale di punti»46, sostituisce un grafico a un’operazione dispiegata nel tempo. Secondo la terminologia di Certeau, nel récit di David prevarrebbe dunque lo spazio [espace] delle tattiche, mentre il méta-récit di Ramusio ridurrebbe, ma solo ove possibile, questo spazio all’insieme dei luoghi [lieux] di una strategia.

Questo punto di vista offre anche la possibilità di rispondere a una domanda rimasta in sospeso: David viene espulso non perché il suo racconto è delinquente – ogni racconto è delinquente, insegna Certeau, delinquenza in riserva, mantenuta compatibilmente con l’ordine costituto – ma perché prende il proprio racconto alla lettera. In questo consisterebbe la delinquenza sociale, nel fare del racconto, il quale guida, attraversa e trasgredisce rispetto alla carta che ritaglia e definisce:

il principio dell’esistenza fisica laddove la società non offre più vie d’uscita simboliche o aspettative di spazi a soggetti o a gruppi, laddove non vi è più alternativa se non la messa in riga [rangement] disciplinare e la deriva verso l’illegalità, ovvero una qualche forma di carcerazione e l’erranza all’esterno»47.

Ed è proprio questo che il governo veneziano sembra temere, confrontato al verificarsi negli ambienti ebraici veneziani, recentemente destinati al ghetto, di preoccupanti episodi di fanatismo religioso o alla circolazione di voci sul culto votato a David dai conversos portoghesi, dagli ebrei nordafricani e spagnoli investiti dalla tragedia delle espulsioni, un’adorazione che già gli era costata la partenza forzata dal Portogallo e non

46 Ivi, p. 59.

pochi problemi in Spagna. Con il paradosso che, se il delinquente è colui che si sposta, l’espulsione condanna ulteriormente David alla delinquenza.

Sono dunque le rispettive interpretazioni letterali della mappa e del racconto a qualificare Ramusio come autorità e David come delinquente, attirando l’attenzione sul valore sociale e politico delle loro enunciazioni, che sembrano rispondere a livello testuale a istanze profondamente diverse. La polarizzazione fra spazio e luogo, che contraddistingue secondo Certeau ogni récit, è infatti riconoscibile nei testi per la diversa maniera in cui l’enunciato tende a sganciarsi dai suoi elementi fondatori. Per Louis Marin il racconto e la descrizione costituiscono le due principali modalità di “debraiaggio” dell’enunciazione, laddove nel primo l’impressione che l’avvenimento si racconti da sé viene resa cancellando le marche pronominali, separando il tempo dell’enunciazione dal tempo dell’enunciato, mentre la seconda, più ambiguamente, abbracciando nel presente un ordine stabile di luoghi, si offre come sguardo sinottico presente in ogni punto del proprio oggetto. All’istanza descrittiva, il cui prototipo è la mappa, si oppone il tentativo mimetico del racconto – «una grande sintagmatica a sintassi plurali, un insieme fatto di percorsi, itinerari, tragitti» – di coincidere con lo sguardo del viaggiatore in movimento. Marin è particolarmente efficace nel sottolineare lo stretto legame che racconto e descrizione intrattengono:

il racconto, inscrivendo un percorso, fa “passare” il viaggio, dissipa la mobilità della sua performanza nella stabilità delle tracce che costruiscono l’ordine dei luoghi attraversati. Ogni racconto è così la costruzione di una configurazione di luoghi come inscrizione di un percorso. […] La descrizione, al contrario, è una configurazione di siti nell’ordine preciso di una coesistenza. Ma implica, nella sua stessa iscrizione, sintagmi di racconti presenti nella forma discreta di percorsi possibili. La descrizione dispiega una matrice o uno scenario di spazializzazioni virtuali come concatenazione di strategie spazializzanti48.

In questo modo diventa più chiaro il procedimento attraverso il quale Ramusio riesce facilmente a dare una descrizione del racconto del viaggio di David. Quello che sfugge

48 Marin, L., La ville dans sa carte et son portrait, in «Cahiers de l’école normale supérieure de Fontenay», XXX-XXI (1983), pp. 11-26; trad. it., La mappa della città e il suo ritratto. Proposte di

invece al segretario è che, per quanto minima, anche la descrizione del Nilo offerta da David implica a sua volta un racconto. L’interrogato dà del fiume la più elementare forma di descrizione possibile, l’esempio minimo della legge del proprio, che consiste nell’attribuzione del nome: come ha detto Gregory Bateson «dare un nome è sempre un classificare e tracciare una mappa è essenzialmente lo stesso che dare un nome»49. Il problema è che David fa una doppia attribuzione: il Nilo è il Phisom della Bibbia e viene dal giardino di Adamo ed Eva. Ramusio sa che nel Vecchio Testamento si parla di quattro fiumi, si sente quindi autorizzato a sfidare la preparazione di David chiedendone l’ubicazione, ma rimane poi deluso dall’evasione alla domanda. Per lui i quattro corsi d’acqua sono equivalenti, siano essi, attraverso disperati tentativi, da inscrivere nella secolarizzata cartografia moderna, siano essi disegnati nelle mappaemundi medievali o nella sacralizzazione della rota terrarum, rimangono comunque omogenei e ciò che conta è dunque la quantità, che abolisce ogni distanza materiale: non c’è un solo fiume, ma ce ne sono quattro, ed esattamente come uno è stato identificato, è possibile fare altrettanto per gli altri. Al segretario sfugge il fatto che l’attribuzione di David è di ordine qualitativo e non quantitativo: il grande fiume perenne su cui ha navigato, quel grande fiume mitico attorno a cui si è da sempre organizzata la vita in Egitto e in Nubia, doveva per forza essere uno dei fiumi biblici, sicuramente il primo nominato nelle scritture. Senza contare poi che il paradiso terrestre veniva spesso associato al regno del Prete Gianni, dove David sostiene di aver soggiornato. Ebreo del deserto o meno, il fiume maestoso deve averlo impressionato, basti pensare all’importanza simbolica e materiale delle sorgenti e dei fiumi nella tradizione di una cultura giudaica tormentata dall’aridità e dalla siccità (e fra i miracoli compiuti da David non a caso c’è la rinascita di una fonte sacra da tempo prosciugatasi)50. L’associazione del Nilo al Phisom non

49 Bateson, G., Mind and Nature. A Necessary Unity, New York, Dutton, 1979; trad. it., Mente e natura, Milano, Adelphi, 1984, p. 47.

50 Vedi Racconto del viaggio di David Reubeni, in Sestieri, L., David Reubeni, cit., p. 97. È stato inoltre suggerito che il soprannome del çapato, attribuito a David nei registri di Badajoz dopo la sua morte, possa «contenere una vaga reminiscenza del fiume miracoloso Sambation a proposito del quale il personaggio sapeva con ogni probabilità snocciolare più d’una favola curiosa» (Roth, C., Le martyre de David

Reubeni, in «Revue des Études Juives», CXVI (1958), p. 93), per quanto sia più verosimilmente dovuta a

confusione con Luis Dias il ciabattino (çapateiro), il martire marrano del Portogallo, il “Messia di Setubal” vittima del primo autodafé portoghese nel 1542.

implicava minimamente la conoscenza dell’ubicazione attuale degli altri fiumi. Ramusio, così occupato ad astrarre i racconti di David, non poteva certo sospettare che dietro i nomi citati librescamente da David ci fossero delle pratiche materiali, delle esperienze di attraversamento, dei racconti.

Che un fiume possa essere la sede di conflitti fra saperi è comprensibile: la navigazione, combinando mobilità e visione a distanza, è stata a lungo, quantomeno da Ulisse, la pratica del viaggio che più ha favorito l’astrazione. L’immagine di una navicella nell’acqua di un fiume serve, prima che a Cartesio, anche ad Aristotele per definire il luogo («alcunché di grande e di difficile a comprendersi»)51. Alla domanda su quale sia il luogo di una cosa che si muove dentro un’altra a sua volta in movimento, Aristotele risponde che esso non può identificarsi nell’acqua in cui di volta in volta una nave si trova, che il luogo, per quanto sia ciò che abbraccia immediatamente il corpo, deve essere immobile, cosicché «luogo è piuttosto tutto il fiume: perché nella sua totalità è immobile»52. Nella cautela adottata da Aristotele nel precisare che il luogo deve essere il primo limite immobile del contenente è già implicitamente racchiuso il destino cartesiano del luogo, il suo arruolamento al servizio della colonizzazione geometrica della terra. Con questa indicazione infatti Aristotele spalanca l’immaginazione: fino a dove arriva il fiume? Qual è il suo limite? Dal fiume in questione si può proseguire al corso d’acqua in cui esso affluisce, con esso gettarsi in mare, o ancora risalire più in su fino alla sorgente, al paradiso terrestre, proseguire per altri fiumi e attraversare altri mari, fino ad abbracciare tutto il globo (e per i gli antichi Greci l’oceano non era altro che un grande fiume che circondava la terra). Così avviene il passaggio dal luogo allo spazio, così si può parlare di spazio come luogo in Aristotele53, così nella voce di un noto dizionario italiano lo spazio figura anzitutto come «luogo illimitato»54, così Ramusio passa disinvoltamente dal Nilo al Tigri e all’Eufrate. È il vizio della liquidità e prima ancora della nozione di limite, la quale implica il proprio superamento, certo, ma

51 Aristotele, Fisica, cit., p. 220 (Phys. 212a 5-10).

52 Ibidem (Phys. 212a 15-20).

53 Sacchetto, M., Spazio, cit., p. 1027.

54 Grande Dizionario Italiano dell’Uso ideato e diretto da Tullio De Mauro, Torino, Utet, 1999, v. VI, p. 269.

viene da pensare a quale luogo possa occupare la nave di Aristotelea gli occhi di Ramusio, pochi anni dopo aver con ogni probabilità ascoltato in Senato la relazione del vicentino Antonio Pigafetta sulla più meravigliosa delle navigazioni, la circumnavigazione magellanica. Inseguendo con il dito sul mappamondo quel filo continuo si certificava che un limite definitivo era stato trovato e che l’ordine delle coesistenze poteva essere stabilito. La teoria aristotelica e medievale dei climi, luoghi naturali e allo stesso tempo limiti per l’uomo, era stata invalidata: un nuovo principio dell’abitabilità della terra trasformava in questo modo i luoghi in nodi di un reticolo che avvolgeva saldamente la palla del mondo, le cui maglie erano ora campi resi disponibili alle strategie della politica e del commercio e a visionari progetti della fantasia. In questa mappatura totalizzante della superficie terrestre, nel passaggio da un fiume all’altro, si perde però qualcosa di importante: si butta il corpo, e si butta la nave.

Sarà compito dei racconti recuperarli. Si pensi, per fare un celebre esempio, a come in Heart of Darkness Joseph Conrad contrapponga in maniera paradigmatica agli spazi vuoti della carta geografica il luogo come sito in cui tutto il corpo si espone ai conflitti e ai cambiamenti dell’esperienza55. Non a caso il luogo di tenebra in questione, il fiume Congo, non viene mai nominato nel libro, non viene mai restituito alla legge del proprio della logica cartografica, occupando invece nello sviluppo del racconto un ruolo tale da sovrapporsi all’idea stessa di narrazione. Per Marlow quello è il fiume, come per David il Nilo o Phisom che si voglia è il fiume, come nel caso del contadino del

55 «“Now when I was a little chap […]”» (Conrad, J., Heart of Darkness in Youth, Heart of Darkness, The

End of the Tether, Oxford-New York, Oxford University Press, 1984, p. 52; trad. it., Cuore di tenebra,

trad. di Ettore Capriolo, Milano, Feltrinelli, 1995, p. 11). Nel brano, in cui il protagonista racconta la propria giovanile contemplazione degli spazi vuoti delle carte geografiche, i luoghi (places) inizialmente assolvono precisamente alla funzione che Certeau assegna loro, elementi identificabili distribuiti sulla mappa secondo un ordine e delle regole. Ma già nel paragrafo successivo il ricordo di a place of darkness si offre in violenta contrapposizione al blank space di prima. Nel passaggio da uno all’altro si è svolta la vita adulta del narratore, Marlow, è avvenuto il viaggio, la navigazione che sarà al centro del racconto che seguirà. Conrad descrive qui efficacemente la trasformazione di un luogo in uno spazio, ma il suo linguaggio, forse più vicino al senso comune, sembra contraddire la terminologia di Certeau. Luoghi e spazi infatti si trasformano entrambi da un paragrafo all’altro, ma la trasformazione più decisiva sembra riguardare i primi. Mentre lo spazio da vuoto che era si riempie di nomi, laghi e fiumi, i luoghi della mappa che inizialmente si offrivano alle scorribande dell’occhio e alle incisioni dell’indice, lasciano il posto alla pesantezza di un terribile vissuto, alla storia di tattiche delinquenti e drammatiche. Nelle parole di Conrad lo spazio resta il dominio della mappa, anzi ne costituisce l’ordine, il sistema in base al quale luoghi non vissuti possono esistere ed essere accumulati grazie a un nome o a un segno grafico. Per un’ulteriore discussione del passo si veda il prossimo capitolo (2.4).

Bergamasco, al centro di un divertente aneddoto ricorrente nei manuali di cartografia, che non conosce il nome della montagna ai piedi della quale vive, perché per lui è la montagna56. In qualche modo il Nilo è il fiume per eccellenza anche per Ramusio, ma in tutt’altro modo, ovvero nei termini di una sfida cartografica e di un mistero scientifico: alle incongruenze nella localizzazione delle sue fonti (fra le coordinate tolemaiche e quelle moderne) e all’annoso dibattito sulla sua escrescenza qualche anno più tardi dedica il Discorso sopra il crescer del fiume Nilo, accompagnato da una replica del matematico e fisico veronese Girolamo Fracastoro57. L’individuazione delle fonti del Nilo diventa qui un argomento schiacciante per dimostrare la superiorità del metodo scientifico moderno rispetto ai procedimenti del sapere classico (i Monti della Luna del geografo alessandrino, le recensioni di Diodoro Siculo) e alla testimonianza autoptica da esso non sorretta (l’errore dell’ambasciatore portoghese Francisco Alvares che si riversa sul corpo intero della cartografia africana). Ma la ricerca delle fonti da parte dei viaggiatori rimane la prova migliore per invalidare la teoria antica e medievale dei climi, dei luoghi aristotelici propri all’uomo, come insiste Ramusio vantando i meriti dell’amico:

è ben conveniente che anche dagli occhi ella ne debbia levar via la offuscazione di tante erronee immaginazioni che li detti [gli antichi] fecero sopra questo globo della terra, la qual si sa ora chiaramente che è tutta abitata, né vi è parte alcuna o calda o fredda, se non sono solitudini e mari, che non sia piena di uomini e animali, che vi stanno ciascuno come in region temperata, dico temperata alla complessione data loro dalla natura58.

Sbaragliata la superficie terrestre dai limiti imposti dai luoghi e dalle loro qualità, il Nilo diventa una porzione di spazio misurabile e attraversabile, certo speciale, se rimane

56 Il contadino in questione rispose al topografo, che non era del luogo e che doveva rilevare il nome della montagna: «So mia» (in dialetto «non lo so»), e da allora ancora oggi sulle carte si legge Monte Somía (Farinelli, F., Geografia. Un’introduzione ai modelli del mondo, Torino, Einaudi, 2003, p. 38).

57 Fracastoro, G., Risposta dello eccellentissimo messer Ieronimo Fracastoro del crescimento del Nilo a

messer Gio. Battista Ramusio, ivi, vol. II, pp. 407- 428.

58 Ramusio, G. B., Discorso, di messer Gio. Battista Ramusio sopra il crescer del fiume Nilo, allo

eccellentissimo messer Ieronimo Fracastoro, in Navigazioni e viaggi, cit., vol. II, pp. 404-405.

Sull’importanza di questa presa di coscienza a Venezia nel Cinquecento vedi Headley, J. M., The

Sixteenth-Century Venetian Celebration of the Earth's Total Habitability. The Issue of the Fully Habitable World for Renaissance Europe, in «Journal of World History», VIII (1997) 1, pp. 1-27.

l’unico fiume a meritare una delle poche mappe confezionate dal celebre cartografo Giacomo Gastaldi per la raccolta di Ramusio (fig. 1). Contemporaneamente, dopo essere stato così a lungo parte del panorama mediterraneo, il Nilo viene respinto dalla cultura umanistica e rinascimentale verso dimensioni esotiche e lontane59.