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A Hebron così, attraverso il racconto dei guardiani, David riesce a eludere l’ostacolo della porta murata e a penetrare nella grotta di Makpelah. Una settimana più tardi a Gerusalemme, dopo la visita alle tombe dei re e dei profeti (questa volta nella cripta sotto la roccia del tempio) e un’esposizione da parte dei guardiani musulmani simile alla precedente e similmente contestata, David aspetta di nascosto la partenza dei pellegrini e la chiusura delle luci per passare la notte nella grotta e appropriarsene affettivamente. Dopo cinque settimane di digiuno avviene un prodigio: la mezzaluna sulla cupola del tempio si volge a oriente, segnale per David di partire per Roma. Non prima però di aver visitato anche le grotte del monte degli ulivi. E proprio una grotta, l’antro di Polifemo, è per Franco Farinelli il primo luogo di cui l’Occidente conserva memoria, a dimostrare che ben lungi dall’essere pacifici, i luoghi sono da sempre sedi di conflitto e cambiamento79. Infatti è lì secondo il geografo italiano che si consuma una vicenda fondatrice, ovvero lo scontro tra Ulisse, il primo compiuto rappresentante occidentale della mentalità cartografica, e Polifemo, il mondo prima di ogni ragione, lo scontro fra chi conosce le leggi e le assemblee e chi no, fra chi si muove e chi sta fermo. L’esito

78 Tuan, Y.-F., Space and Place, cit., p. 178.

cruciale di questo scontro, favorevole al primo, sarebbe quello di fare della mobilità «la condizione fondamentale di ciò che chiamiamo cultura»80. Come avvenga questo scontro, cosa permetta a Ulisse di uscirne vittorioso, è faccenda sottilmente sviscerata da Farinelli. Arbitrariamente, come ogni cartografo, l’eroe si assegna un nome, ma fa di più: sopprimendo l’intervallo fra Outis (Odisseo) e ou tis (nessuno), abolisce una distanza puramente visiva, compiendo un’operazione, proprio come il gesto di indicare una montagna, cui non può corrispondere nessuna descrizione verbale, gesto che fonda lo spazio e supera il luogo, primo esempio della relazione indicale fra segno e oggetto81. Facendo sgrossare, o meglio, rettificare un legno storto d’ulivo, al fine di accecare Polifemo, Ulisse segna l’inizio della tecnica, ma anche dell’applicazione del modello simmetrico alla conoscenza del mondo. Raccomandando di tagliarlo per la lunghezza di due braccia (che lo immaginiamo stendere ben tese) prefigura la sintassi rettilinea (il palo come una matita e le braccia come un compasso) che appiattirà la sintassi sferica dell’occhio circolare di Polifemo, cancellando ogni profondità: l’inserzione del palo è così il momento d’invenzione della centralità82. Dopodichè Ulisse per fuggire dalla grotta, aggrappandosi alla pancia di un ariete (“facendo il morto”) diventa il primo soggetto (alla lettera sub-iectum) stabile ma allo stesso tempo mobile, rendendo anzi funzionale e subordinando la stabilità alla mobilità. Con questo movimento il soggetto viene trasferito dal luogo allo spazio. Polifemo aprendo il suo antro, per far uscire il gregge, tasta i dorsi degli animali ma non le loro pance, perché la regola del suo mondo si basa sulla coincidenza di ruolo e posizione e su un ordine che dipende dall’esistenza di livelli, ordine che Ulisse con il suo trucco annulla83. Ma non finisce qui: liberatosi assieme ai compagni, a bordo della nave in partenza decide di inveire contro il nemico accecato e per essere sicuro di non rischiare sciagurate reazioni, lancia il suo grido quando crede che poco oltre non verrà più sentito, ma per sua sfortuna Polifemo adirato scaglia un macigno che, schiantandosi a prua della nave, fa ritornare l’imbarcazione a riva. Ripartito, Ulisse non rinuncia a gridare all’avversario il suo vero nome, aspettando

80 Ivi, p. 94

81 Ivi, p. 39.

82 Ivi, pp. 4s, 104s.

in questo caso di aver percorso il doppio della distanza: il piano riesce, anzi, il nuovo proiettile cade a poppa spingendo la nave al largo. Nel primo caso Ulisse ha effettuato una stima, tattica che però si è rivelata inadatta alle sue intenzioni, mentre nel secondo caso ha effettuato un calcolo, strategia che l’ha premiato, che non si basava più su dei riferimenti materiali, ma effettuava un’astrazione, implicando l’esistenza di un intervallo standard, quello che per Farinelli implica lo spazio:

All’interno dello spazio tutte le parti sono l’un l’altra equivalenti, nel senso che sono sottomesse alla stessa astratta regola che non tiene affatto conto delle loro differenze qualitative […] Luogo, al contrario, è una parte della superficie terrestre che non equivale a nessun altra, che non può essere scambiata con nessun’altra senza che tutto cambi. Nello spazio invece ogni parte può essere sostituita da un’altra senza che nulla venga alterato84.

Se, come spiega Certeau, sia lo spazio che il luogo sono entrambi prodotto di pratiche e se, come insiste Tuan, è il corpo a determinarne le strutture fondamentali, ciò che li differenzia profondamente sarebbe l’obliterazione del corpo (necessaria allo spazio per essere tale) portata a massimo compimento dalla riduzione cartesiana del soggetto a puro pensiero (res cogitans) e del corpo a presenza misurabile (res extensa). Merleau-Ponty, alle prese con la Diottrica nel suo ultimo lavoro sulla pittura come esperienza della visione, ha lasciato un’immagine efficace di questa riduzione: «un cartesiano non si vede allo specchio: vede un manichino, un “fuori” e ha tutte le ragioni di pensare che gli altri lo vedano allo stesso modo. La sua “immagine” nello specchio è un effetto della meccanica delle cose […] non è niente di lui»85. Pensando la luce come un’azione per contatto, adottando lo sguardo oggettivante della metafisica ovvero esercitando un pensiero della visione, per il quale il vedere coinciderebbe con il rappresentare, il soggetto cartesiano si sottrae allo spettacolo del mondo, sfugge all’esperienza e all’enigma della visione, distruggendone il potere e la struttura ontologica.

Il modello della visione di questo sguardo disincarnato, che segna l’apoteosi dell’oculocentrismo, a ben vedere per Merleau-Ponty allora è il tatto, perché ci sbarazza

84 Ivi, p. 11.

85 Merleau-Ponty, M., L’Œil et l’Esprit, Parigi, Gallimard, 1964; trad. it., L’occhio e lo spirito, Milano, SE, 1989, p. 30.

dall’azione a distanza, come il bastone dei ciechi, che vedono con le mani. Questa riduzione non inizia con Cartesio, anzi, il suo simbolo più letterale potrebbe essere, dice ancora Farinelli, l’emblema di Leon Battista Alberti: un occhio con un paio d’ali, che guarda tutto e subito, che grazie alla prospettiva moderna percorre velocemente lo spazio finito degli oggetti terrestri e va oltre il punto di fuga a misurare lo spazio infinito86. Se questa riduzione dei tempi di percorrenza, che fa della prima modernità un’epoca dello spazio, è la stessa che caratterizzava la logica imperiale romana della celeritas, allora significa che lo spazio ha una storia, che ha una sua dimensione diacronica. Con Ulisse diventa uno dei fondamenti della cultura occidentale ma ciò non significa che il suo dominio sull’esperienza sia stato ininterrotto, che altri modelli e altri ordini del mondo non abbiano dettato legge. Il mondo di livelli di Polifemo infatti rassomiglia molto all’ordine gerarchico medievale riscontrabile nelle parole riportate di David, a quello che Foucault chiama «spazio di localizzazione»:

un insieme gerarchizzato di luoghi: per quanto riguarda la vita reale degli uomini, vi erano luoghi sacri e luoghi profani, luoghi protetti e, al contrario, luoghi aperti e privi di difesa, luoghi urbani e luoghi rurali; secondo la teoria cosmologica, vi erano i luoghi sovra-celesti in opposizione al luogo celeste; e, a sua volta, il luogo celeste si opponeva al luogo terreno; vi erano i luoghi in cui le cose erano state spostate violentemente e i luoghi in cui, al contrario, le cose trovavano la loro collocazione e la loro quiete naturali87.

Questo spazio medievale della localizzazione è stato dissolto secondo Foucault dallo spazio galileiano dell’estensione (cui a sua volta sarebbe subentrato quello contemporaneo della dislocazione), che ha cercato di desacralizzarne i luoghi, pur non riuscendoci mai del tutto, riducendo il luogo di una cosa a un punto del suo movimento. È chiaro che una storia dei luoghi sarebbe molto più problematica, per quanto Tuan abbia provato a farne una casistica, esattamente come può aver miglior esito una storia

86 Ivi, p. 14s.

87 Foucault, M., Des espaces autres (1967), in Dits et Écrits, Parigi, Gallimard, 1994, vol. IV, pp. 752-762.; trad. it., Eterotopie, in Archivio Foucault. Interventi, colloqui, interviste. 3. 1978-1985. Estetica

delle grammatiche rispetto a una storia degli atti linguistici, la cui classificazione non sarà mai onnicomprensiva.

Questi suggerimenti possono aiutare a gettare un’ulteriore luce sull’atteggiamento di Ramusio nei confronti di David: è possibile che la discriminazione fra i luoghi citati dal sedicente principe rinvii a ordini diversi dello spazio? Le tappe del viaggio rinviando a punti e coordinate rintracciabili sulle mappe, Gerusalemme e il paradiso terrestre a luoghi sacri che definirebbero invece uno spazio gerarchico? I primi allo spazio tout court per Farinelli, quello di Ulisse e dell’estensione che sarà svuotato del tutto da Cartesio e Galileo, i secondi al mondo tout court, quello di Polifemo, lo spazio della localizzazione? Nello spazio i nomi delle città sembrano equivalersi, come i grani di un rosario dalle identiche dimensioni che misurano una porzione della superficie terrestre. Al contrario nel mondo l’esperienza si costruisce su violente opposizioni fra luoghi inequivalenti, eterogenei, prodotti di una drammatizzazione: la Città santa come origine della tragedia della diaspora e come meta utopica di liberazione e salvezza, il paradiso terrestre come principio dell’umanità e della geografia, il Nilo come origine della vita e del suo riprodursi. I luoghi del Racconto (ne sia David l’autore o meno) sono costitutivi in gran parte di un mondo fatto di livelli, ruoli e posizioni: la casa del Papa a Roma, il santuario a Gerusalemme, la grotta a Hebron, la corte del re del Portogallo si oppongono continuamente alle ossessive annotazioni sull’inadeguatezza o meno delle case e delle stanze in cui alloggia. La narrazione di David è l’ammirevole e testarda cronistoria della conquista e della perdita di posizioni a cui corrispondono determinati ruoli, cui il Summario aggiunge un significativo quanto sfortunato episodio. La distruzione dei luoghi che vi si perpetra, inizialmente favorevole a David perché condotta su informazioni compatibili con le regole del giudice, nel momento in cui ne lascia trapelare l’irriducibilità vira alla condanna. Sulle vicende successive al primo arrivo di David in Italia abbiamo terribili notizie: dopo i felici anni passati presso la colta borghesia ebraica italiana e presso la corte portoghese, imprigionato in Francia, screditato dal marchese di Mantova, espulso da Venezia in seguito alla relazione di Ramusio, arrestato nel 1532 a Ratisbona per ordine di Carlo Quinto assieme a Diogo

Pires (arso sul rogo a Mantova lo stesso anno)88, a David secondo le ultime indagini nel 1538 a Llerena in Spagna, malgrado una conversione dell’ultimo minuto al cristianesimo, viene riservata la stessa tragica sorte89.

Le riflessioni teoriche affrontate fin qui sono state scelte per la loro attenzione al momento storico di rottura rappresentato dal Rinascimento, ma si articolano all’interno di un più vasto e complesso dibattito contemporaneo sugli spazi e i luoghi che vede al proprio centro la questione della postmodernità90. Sono riflessioni che mettono in luce la polisemia della nozione di spazio, «ibrido nozionale», che riporta inevitabilmente a quella di luogo: «lo spazio non è il luogo, ma è impossibile accedere allo spazio senza ritornare alla figura del luogo in cui agisce e al quale si sottrae». Se «la posta in gioco è oramai quella di tenersi sul bordo di una relazione problematica, che pone la scrittura al margine dei luoghi, laddove essa cede allo spazio»91, sembra inevitabile alternare o

88 Il segretario converso di João III era ritornato all’ebraismo ispirato dalla predicazione di David (causandone la caduta in disgrazia) e si era proclamato messia con il nome di Shelomo Molko.

89 Eliav-Feldon, M., Invented Identities, cit., p. 212. Assieme alla ricostruzione dell’origine di David, sembra sia quella della sua morte a interessare maggiormente gli storici: l’ipotesi avanzata da Cecil Roth sull’autodafé di Evora del 1542 (Le martyre de David Reubeni, cit., pp. 93-95) è stata confutata da Israël S. Révah (David Reubeni éxécuté en Espagne en 1538, in «Revue des Études Juives», CXVII (1958), pp. 128-135), per il quale David sarebbe stato giustiziato quattro anni prima dall’Inquisizione spagnola in una città dell’Estremadura. Al di là delle diatribe sulla nascita e sulla morte, la leggenda e il ricordo della vita di David, mantenuti sempre vivi nella storiografia ebraica, hanno trovato nel Novecento esistenza romanzesca per opera di due noti testimoni della realizzazione del sogno sionista, due scrittori di generazioni diverse ma entrambi protagonisti della vita culturale e politica del neofondato stato di Israele, Max Brod e Marek Halter (Brod, M., Rëubeni Fürst der Juden, cit.; Halter, M., Le messie, Parigi, Robert Laffont, 1996; trad. it., Il messia, Milano, Spirali, 1998).

90 In questo ampio dibattito è a mio avviso individuabile un nutrito filone di studi, promosso da alcuni interventi di Fredric Jameson e Michel Foucault, che rappresenterebbe lo sviluppo dell’indagine francese sullo spazio condotta da Lefebvre e che sarebbe all’origine del cosiddetto spatial turn negli studi umanistici. In maniera complementare, il lavoro di Tuan ha provocato un rivoluzionario humanistic turn nell’ambito della geografia, la cui riscoperta del luogo si è rivelata man mano centrale anche in altri ambiti disciplinari, dalla filosofia (Casey, E. S., The Fate of Place. A Philosophical History, Berkeley-Los Angeles-Londra, University of California Press, 1997) all’antropologia (Archetti, M., Lo spazio ritrovato.

Antropologia della contemporaneità, Roma, Meltemi, 2002), dalla critica femminista (Massey, D., Space, Place and Gender, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1994) agli studi letterari (Westphal, B., La Géocritique. Réel, fiction, espace, Parigi, Minuit, 2007; trad. it., La geocritica. Reale, finzione, spazio,

Roma, Armando, 2009), dall’architettura (Derrida, J., Maintenant l’architecture, in Psiche. L’invention de

l’autre, Parigi, Galilée, 1987, pp. 477-93; trad. it., Maintenant l’architecture, in Belli, G., Rella, R., a cura

di, La città e le forme, Mazzotta, Milano, pp. 99-106) agli studi culturali (Bhabha, H., Location of Culture, Londra-New York, 1994; trad. it. I luoghi della cultura, Roma, Meltemi, 2001). Per un quadro generale si veda Hubbard, P., Kitchin, R., Valentine, G., a cura di, Key Thinkers of Space and Place, Los Angeles-Londra-New Delhi-Singapore, Sage, 2004.

91 Ropars-Wuilleumier, M.-C., Écrire l’espace, Parigi, Presses Universitaires de Vincennes, 1980, p. 85. Le difficoltà teoriche collegate alle nozioni di spazio e luogo riguardano, prima ancora che le tradizioni

piuttosto oscillare fra descrizione, racconto e metaracconto, configurare coesistenze di nomi e testi, posizionare autori e autrici, scandire infine le pagine con quelle note bibliografiche e quelle citazioni che, a detta di Ginzburg, realizzano l’«effetto di verità» della storiografia92. Ma è anche possibile fare un quadro sinottico, una sorta di prospetto, delle serie oppositive presentate finora, per misurarne le analogie ma anche le ambiguità:

disciplinari, il senso comune e le equivalenze imperfette che si trascinano dietro concetti di ampio campo semantico, ma è altrettanto chiaro che gli slittamenti terminologici fin qui osservati rispondono a ben determinati intenti polemici, di volta in volta diversi a seconda degli ambiti di produzione e del momento storico: dalla critica in filosofia di Merleau-Ponty allo spazio cartesiano, alla valorizzazione in Certeau della trasgressione delle pratiche, in particolare narrative, rispetto ai sistemi normativi portati alla luce dai lavori di Foucault; dall’invito rivolto da Marin alla semiotica del visivo ad aprirsi a un’ermeneutica delle immagini, alla messa in discussione di Augé dei fondamenti del lavoro dell’antropologo di fronte ai cambiamenti introdotti dalla surmodernità; dal progetto di Yi-Fu Tuan di rinnovare la propria disciplina inaugurando una geografia umanistica legata alla dimensione dell’esperienza, a quello di Farinelli di attaccare l’egemonia e l’autorità di una logica cartografica in favore di una conoscenza storico-critica della Terra (la Erdkunde di Carl Ritter). Oltre agli ambiti disciplinari, entrano in gioco delle inequivalenze linguistiche, laddove il termine inglese place si presta agli usi eclettici di uno spettro semantico (to take

place, to make place, to be placed, unplaced, displaced) più ampio rispetto al francese lieu, che sembra

ancora risentire del trattamento cartesiano dello spazio, quantomeno in Certeau. Diversamente da quest’ultimo, Foucault sembra riconoscere invece nei luoghi degli “spazi vissuti” (è la qualità che distingue le eterotopie dalle utopie, spazi senza luogo), costringendosi ad adoperare per l’idea più astratta di luogo posizionale il termine di emplacement (“ubicazione”, “postazione” o “presa di posto”), che rinvia all’occupazione di uno spazio sgombro, aperto (place). In italiano credo che “posto” (nello spazio delle coesistenze due cose non possono occupare lo stesso posto) abbia una valenza meno “affettiva” rispetto a “luogo”, così come lo “spazio” rimane più astratto generale rispetto alla dimensione particolare del luogo e del posto.

92 Ginzburg, C., Descrizione e citazione, in Il filo e le tracce, cit., pp. 15-38. Con Foucault, al contrario piuttosto allergico all’uso delle note, si potrebbe dire che ne sono un procedimento di “veridizione”.

Spazio Luogo

Merleau-Ponty Spazio geometrico sguardo disincarnato pensiero della visione

Spazio antropologico o esistenziale pesantezza dello sguardo

esperienza della visione

Certeau (Lieux)

a) ordine secondo il quale elementi sono distribuiti in rapporti di coesistenza; legge, regole

b) legge del proprio c) l’essere-là del morto d) indicatori di mappa

e) vedere (conoscenza dell’ordine) f) mappa (mise à plat totalizzante delle osservazioni)

g) linguaggio simbolico h) strategie

i) identification de lieux

l) la carta ritaglia, è topica (definisce i lieux)

(Espaces)

a) lieu praticato con il tradimento di un ordine; trasgressione dei limiti disobbedienza alla legge

b) altrove, alterità

c) operazioni, azioni, movimenti d) indicatori di percorso

e) andare, fare

f) itinerario (serie discorsiva di operazioni)

g) linguaggio antropologico h) tattiche

i) effectuations d’espaces

l) il récit attraversa (diegesi), è topologico (deforma le figure) Marin descrizione: configurazione di siti

nell’ordine specifico di una coesistenza

racconto: costruzione di una configurazione di luoghi come inscrizione di un percorso

Augé luogo antropologico come

costruzione simbolica dello spazio, obbediente alla legge del proprio e geometrico

Luogo antropologico come

costruzione concreta dello spazio, identitario, relazionale, storico

Tuan libertà

indifferenziato movimento

lo spazio ha bisogno del movimento da un luogo all’altro

sicurezza

investito di valori pausa

un luogo necessita di uno spazio per essere un luogo

Farinelli quantità, misura

stadìon, intervallo standard continuo, omogeneo, isotropico movimento senza il corpo

astrazione dai riferimenti materiali Ulisse

l’occhio con le ali di L.B. Alberti storico: oltre allo spazio, il mondo di Polifemo, lo spazio medievale di localizzazione, lo spazio di dislocazione (Foucault)

qualità unicità

conflitto e del cambiamento plusensorialità dei riferimenti concretezza del corpo

antro di Polifemo

il globo dell’occhio di Polifemo storico: dipendente di volta in volta dall’ordine che costruisce e trasgredisce (spazio e mondo), dalla conflagrazione di spazi

Sacrificati gli spazi e i luoghi alla strategia della tabella (ogni tabella è strategica), le provvisorie conclusioni che se ne possono trarre segnano l’arrivo di un percorso fra colonne e campi (fra la geometria del tempio e la materialità del terreno), che rimandano all’ordine delle tattiche (se per esse è possibile parlare di un ordine). Si noterà come la definizione di luogo antropologico di Augé si distribuisca su entrambe le colonne, laddove mette efficacemente in risalto l’intreccio incessante di spazi e luoghi, di descrizione e racconto, riscontrabile nel lavoro e nella scrittura dell’etnologo, sottolineando come il luogo in generale sia qualcosa di ambivalente: a seconda dell’approccio, esso può rappresentare la sicurezza ma anche la prigionia, l’affezione ma anche il conflitto, la casa ma anche l’altrove, la pausa dell’attenzione ma anche la frenesia dell’esplorazione, l’abitare ma anche l’attraversare, la trasgressione dei limiti ma anche l’appropriazione, l’identità ma anche il cambiamento, l’alterità. In ogni caso il luogo rappresenta la qualità in opposizione alla quantità dello spazio, l’unicità rispetto all’omogeneità, la concretezza di contro all’astrazione, la rottura che spezza ogni continuità, l’esacerbazione della presenza del corpo di fronte alla sua obliterazione nel soggetto, l’eliminazione del tempo in antagonismo alla contingenza della storia. Lo spazio, per quanto più regolato, per quanto esso stesso regola, non per questo è meno ambivalente: esso può significare libertà quanto pericolo, dominio dell’occhio quanto distruzione della visione, oggettività quanto illusione, realtà quanto simbolismo, legge numerica quanto terreno arbitrario di progetti e fantasie. I discorsi sullo spazio sembrano però scontare i pericoli di un universalismo sempre in agguato, laddove l’irrequietezza del luogo sembra resistere maggiormente alle tentazioni essenzialiste e rimandare all’instabilità delle condizioni storiche. Nell’analisi di relazioni di viaggio quanto di mappe, è allora preferibile adottare una nozione ristretta di spazio, capace però di