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Tolomeo e Gastaldi. Inquadrature e corografie

Le continue negoziazioni, all’opera in ogni racconto di viaggio, fra l’esigenza narrativa di raccordare fra loro i luoghi dell’esperienza del viaggiatore e la necessità descrittiva di inscrivere questi raccordi all’interno di un ordine geografico più ampio (mondo o spazio che sia), sono particolarmente visibili nell’impulso che i testi rinascimentali sul viaggio

a Costantinopoli ricevono sia dal formidabile sviluppo dell’editoria a stampa veneziana sia dall’emergenza di nuovi paradigmi scientifici di descrizione geografica e cartografica. Per individuare queste negoziazioni all’interno dei racconti stessi, è allora possibile in via preliminare considerare la varietà e la diversa intensità delle forze descrittive che operano in diversi settori della produzione culturale veneziana, creando talvolta dei veri e propri sottogeneri letterari, ma anche visuali. Le strategie dello spazio quantitativo che concorrono a descrivere il viaggio di Costantinopoli e a sezionarlo in porzioni misurabili possono essere distinte innanzitutto per il grado di scala adottato: da una parte la rappresentazione cartografica di una specifica area del Mediterraneo orientale permette di visualizzare in maniera totalizzante l’itinerario (le mappe corografiche), mentre il potere diagrammatico della pagina stampata consente alla scrittura di dare uno schema efficace del viaggio (gli itinerari e i portolani a stampa); d’altra parte nella grande scala le singole tappe, mantenendo sempre salda la loro successione, acquistano autonomia tanto visuale (la pianta topografica, la veduta) quanto verbale (il commento umanistico, la guida), al punto che in alcuni casi la frammentazione sembra mettere in crisi il principio stesso della scala e offrirsi come modello descrittivo in competizione con lo stesso reticolo tolemaico. Fra gli estremi visuali del quadro completo (la mappa) e dell’inquadratura parziale (la veduta), fra quelli verbali del prospetto dell’itinerario con le distanze in miglia e della descrizione particolare di ogni singola città, il genere tipicamente veneziano dell’isolario occupa una posizione ambigua e problematica. Se infatti è evidente a prima vista il proposito quasi anacronistico di sostituire all’ubiquità dello sguardo tolemaico un procedimento di insularizzazione e di idealizzazione topografica, capace però di estendersi a tutte le terre conosciute, non va trascurato che nelle opere che portano l’isolario al successo l’asse di coerenza geografica è chiaramente individuabile ed è quello del viaggio da Venezia a Costantinopoli. E non è un caso che sia proprio il genere dell’isolario nella sua evoluzione tardocinquecentesca a contaminarsi più di tutti al punto da risultare, con l’opera di Giuseppe Rosaccio, una vera e propria sommatoria di tutte le altre strategie descrittive precedentemente applicate al viaggio, non estranea nemmeno alle tattiche

narrative riscontrabili nei racconti che invece riconducono alla presenza fisica del viaggiatore.

L’autonomia formale e discorsiva che il viaggio da Venezia a Costantinopoli acquisisce nel Cinquecento rispetto ad altri itinerari trova dunque una precisa rispondenza nella cartografia rinascimentale veneziana, in cui la rappresentazione della particolare area geografica interessata dal viaggio emerge e si affianca ai tradizionali format delle mappe corografiche derivati dalla cartografia nautica quattrocentesca e a quelli totalizzanti mutuati prima dal modello medievale delle mappaemundi e poi da quello classico della geografia tolemaica. Le carte portolaniche manoscritte del secolo precedente, se arrivavano a comprendere il mar Nero, parti dell’Oceano Atlantico e perfino il mar Baltico, erano generalmente dedicate al bacino mediterraneo e quando ne ritagliavano porzioni particolari lo facevano in modo da rispettare, al di là del loro effettivo uso pratico o meno, le esigenze della navigazione: se la scelta poteva rispondere alla rappresentazione di precise sfere d’influenza politica e commerciale, i cui centri marittimi prendevano risalto grazie a vivaci prospetti cittadini dimensionati in funzione della loro potenza, questa avveniva nel rispetto sostanziale di unità in qualche modo già individuate dalla geografia fisica. Per esempio, dal primo punto di vista, nella carta catalana del 1456 di Pietro Roselli (Pere Rosell)1, Genova, di solito ben segnalata, è completamente messa in ombra dalla rappresentazione figurata della città di Venezia, rivestendovi quasi la stessa importanza che nella carta compilata nel 1472 dall’anconetano attivo a Venezia Grazioso Benincasa2; non diversamente, nella carta realizzata, con ogni probabilità nella stessa città, nel 1520 dal greco Giovanni Xenodocos da Corfù, il profilo della città di S. Marco supera praticamente del doppio quello della città di S. Giorgio3. Queste tre carte isolano rispettivamente tre inquadrature geografiche molto diffuse all’epoca: la rappresentazione dell’intero bacino mediterraneo,

1 Newberry Library, Chicago, VAULT oversize Ayer MS map 3; in proposito vedi Winter, H., Petrus

Roselli, in «Imago Mundi», IX (1952), pp. 4-5.

2 Biblioteca del Museo Correr, Venezia, Port. 5. Sulla rappresentazione delle città nella cartografia nautica vedi Romanelli, G., Città di costa. Immagine urbana e carte nautiche, in Biadene, S., a cura di, Carte da

navigar. Portolani e carte nautiche del Museo Correr 1318-1732, Venezia, Marsilio, 1990, pp. 21-32.

3 Biblioteca del Museo Correr, Venezia, Port. 29. La carta fa parte di un atlante nautico in tre carte, la prima raffigurante le coste atlantiche dell’Europa e dell’Africa settentrionale e quelle del Mediterraneo occidentale, la seconda quelle del Mediterraneo orientale, del mar Egeo e del mar Nero.

quella dell’Adriatico, quella del Mediterraneo centrale, costituito dai mari circondanti la penisola italiana. Inoltre in area mediterranea le carte nautiche potevano individuare come unità geografica anche l’area comprendente il mar Egeo, il mar Nero e il Levante, come nella mappa, risalente alla prima metà del Cinquecento, dell’Anonimo di Lucca4. Di queste inquadrature due atlanti nautici tre e quattrocenteschi, realizzati a Venezia rispettivamente da Pietro Vesconte (1318) e da Andrea Bianco (1436), offrono una sorta di catalogo, essendo costituiti entrambi da nove tavole, di scala più o meno omogenea nel primo caso, di respiro più variabile nel secondo caso, spaziando dalla carta corografica del mar Egeo al tradizionale mappamondo medievale declinato in versione portolanica5. Questa tradizione di carte manoscritte, che prosegue a Venezia per tutto il secolo successivo, complicandone sensibilmente il frazionamento, esteso alle nuove scoperte geografiche (si pensi agli atlanti e alle mappe di Battista Agnese e Antonio Millo)6, aveva registrato significative contaminazioni prima con lo schema armonico, conchiuso e gerarchizzato al suo interno, dei mappamondi medievali (Pietro Vesconte e Fra Mauro), poi con la possibilità offerta dai meridiani e dai paralleli di Tolomeo e dalle carte di Marino di Tiro di frammentare a piacere uno spazio altrettanto totalizzante ma

4 Biblioteca Statale, Lucca, Ms. 1898.

5 Le tavole del celebre atlante nautico di Pietro Vesconte (Österreichischen Nationalbibliothek, Vienna, Cod. 594) sono, in ordine: 1. mar Nero, mar di Marmara e mar d’Azov; 2. Mediterraneo orientale (mar di Levante, Egitto, Cipro, Creta e Rodi); 3. mar Egeo; 4. il bacino marittimo delimitato dalle isole della Sicilia e di Candia e dalla costa libica; 5. mar Tirreno, con Sardegna, Sicilia e Corsica; 6. coste della Spagna e del Marocco; 7. affaccio atlantico di Francia e Spagna; 8. coste inglesi e della Francia settentrionale; 9. mare Adriatico. Nell’altrettanto famoso atlante veneziano realizzato da Andrea Bianco (Biblioteca Nazionale Marciana, Venezia, Ms. It. Z, 76 = 4783) le tavole sono, in ordine: 1. mar Nero, mar di Marmara e mar d’Azov; 2. Mediterraneo orientale; 3. Mediterraneo centrale (i mari circondanti la penisola italiana); 4. Mediterraneo occidentale (con l’affaccio europeo e nordafricano sull’oceano Atlantico); 5. Atlantico settentrionale (con le coste britanniche, irlandesi e francesi); 6. mar Baltico e mare del Nord; 7. Europa, carta generale che giustappone le precedenti carte; 8. planisfero circolare; 9. mappamondo tolemaico.

6 La continuità nella scelta delle inquadrature si vede per esempio nelle sei tavole di un atlante di Battista Agnese risalente alla metà del secolo (Newberry Library, Chicago, VAULT Ayer MS map 10): 1. coste dell’Europa settentrionale; 2. Spagna, Portogallo, Africa nord-occidentale e Baleari; 3. Mediterraneo occidentale; 3. Mediterraneo centrale (Italia, Sicilia, Sardegna, Corsica e prospiciente costa africana); 4. Mediterraneo orientale dalla Puglia alla Siria; 6. Mar Nero. Due altri atlanti contemporanei sempre attribuiti ad Agnese e conservati presso la stessa biblioteca registrano d’altro canto, con un vertiginoso aumento di carte, l’incremento delle conoscenze sull’Africa, sull’America e sull’Asia (ivi, VAULT Ayer MS map 12 e 13). Quanto a singole carte nautiche, quella manoscritta del Mediterraneo e del mar Nero di Antonio Millo del 1567 (ivi, VAULT Ayer MS map 15) presenta come quella di Xenodocos due maestose vedute di Venezia e Genova, l’una sovradimensionata rispetto all’altra, particolarmente nell’altezza dei rispettivi campanili.

già omogeneo e isotropico. Giacomo Gastaldi all’inizio della sua carriera aveva portato questa possibilità a risultati senza precedenti: non solo l’edizione veneziana del 1548, pubblicata da Giovanni Battista Pederzano per la prima volta in versione tascabile (in 8°, una novità rispetto ai precedenti volumi greci e latini in folio), offriva, per opera del senese Pietro Andrea Mattioli, la prima traduzione in italiano della Geografia di Tolomeo7, due anni prima che Ramusio iniziasse a rendere disponibile in volgare le più importanti relazioni di viaggio dalla classicità in poi, ma riportava in auge nell’editoria rinascimentale l’incisione su rame con risultati sbalorditivi:

quando venne pubblicato, il piccolo Tolomeo del 1548 costituiva il più completo e aggiornato atlante del mondo che fosse disponibile. Le sue 60 mappe comprendono 26 carte tolemaiche e 34 carte moderne. Delle ultime solo nove combaciano con quelle del Tolomeo di Basilea di Sebastian Münster: sono per la maggior parte completamente nuove, compreso un piccolo ma significativo gruppo di mappe del Nuovo Mondo. Un’altra novità è la loro disposizione: mentre nei precedenti Tolomei cinquecenteschi le mappe moderne erano state aggiunte separatamente alla fine, dopo quelle tolemaiche, nell’edizione del 1548 ogni carta moderna veniva inserita nelle serie tolemaiche, dopo la corrispondente o la più vicina mappa antica. Le tavole stesse, a dispetto della loro piccola dimensione, sono importanti anche storicamente: le mappe di tutte le successive edizioni italiane cinquecentesche di Tolomeo, qualunque sia il loro formato, derivano da loro8.

All’opposto della visione talassocentrica della cartografia nautica, che tendeva a separare Adriatico ed Egeo, Venezia e Costantinopoli, la descrizione tolemaica procedeva per masse continentali, per cui le aree interessate dal viaggio di

7 Ptolemaeus, C., La geografia di Claudio Ptolemeo Alessandrino, con alcuni comenti et aggiunte fattevi

da Sebastiano Munstero Alamanno, con le tavole non solamente antiche et moderne solite di stamparsi, ma altre nuove aggiuntevi di Meser Iacopo Gastaldo Piamontese cosmographo, ridotta in volgare Italiano da M. Pietro Andrea Mattiolo senese medico Eccelletissimo. Con l’aggiunta di infiniti nomi moderni, di Città, Provincie, Castella, et altri luoghi, fatta con gran grandissima diligenza da esso Messer Iacopo Gastaldo, il che in nissun altro Ptolemeo si ritrova. Opera veramente non meno utile che necessaria, Venezia, Gioan Baptista Pedrezano, 1548. È questa la prima traduzione italiana della Geographia se si eccettua la versione poetica toscana in terza rima composta da Francesco Berlinghieri e

pubblicata a Firenze attorno al 1480. Sulle varie edizioni a stampa di Tolomeo nel Rinascimento, di cui la prima tra l’altro è vicentina (1475), ma sprovvista di mappe, si veda Stevens, Henry N., Ptolemy’s

Geography. A Brief Account of all the Printed Editions down to 1730, 19082, Amsterdam, Theatrum Orbis Terrarum, [1972]; l’edizione del 1548 è segnata a p. 50.

8 Fahy, C., The Venetian Ptolemy of 1548, in Reidy, D. V., a cura di, The Italian Book 1465-1800, Londra, The British Library, 1993, pp. 92-93.

Costantinopoli si ritrovano in questo caso smembrate in tre diverse tavole dell’Europa antica: la quinta, comprendente le coste adriatiche e tirreniche dell’Italia, la nona, dedicata alla penisola balcanica e alla Dacia, e infine la decima, incentrata sulla Grecia. La duplice innovazione gastaldina opera comunque nel rispetto del modello classico: da una parte vengono inserite tavole completamente nuove che circoscrivono aree continentali dell’Italia molto meno estese (come le tavole 15 e 16 dedicate rispettivamente a Venezia con la Marca trevigiana e alla Marca anconetana); dall’altra il cartografo piemontese procede al rifacimento e all’aggiornamento delle tavole tolemaiche. In quest’ultimo caso però l’introduzione di alcuni accorgimenti, apparentemente marginali, dà luogo a una significativa riorganizzazione geografica. La quinta tavola tolemaica in realtà era dedicata non tanto all’Italia, la cui superficie rimaneva incolore e priva di indicazioni, quanto alle regioni montuose alpine e dinariche, a quelle costiere della Dalmazia e al bacino danubiano, dal momento che la penisola con i suoi rilievi, fiumi e città, veniva trattata nella successiva sesta tavola, dove a loro volta le precedenti aree passavano in secondo piano. Rispetto alla fedeltà filologica delle prime edizioni rinascimentali, come quella del manoscritto francese di Blois (fig. 6)9, le pubblicazioni primocinquecentesche della Geografia avevano già ammodernato la tavola aggiungendo nella parte ignorata da Tolomeo la città di Venezia, posta al fondo del Sinus Hadriaticus, come è possibile vedere nell’edizione di Laurent Fries (Strasburgo, 1522), ripresa più tardi da Melchior e Gaspar Trechsel (Lione, 1535), che ne sottolineavano la dimensione danubiana e la suddivisione regionale (Rhetia et Vindelicia, Noricum, Pannonia superior, Pannonia inferior, Illyris, Liburnia, Dalmatia). Ma l’addizione compariva anche nella decima tavola del manoscritto De toto orbe (1520) del veneziano Pietro Coppo, meno attento ai confini regionali e più alla conformazione di bacini idrografici e marittimi10. Gastaldi nella stessa tavola tolemaica sente la necessità non solo di spargere sullo spazio escluso dalla descrizione doverosi

9 Ptolemaeus, C., Cosmographia, Jacobus Angelus interpres, Librairie Royale de Blois, Ms. Latin 4804; la tavola 5 si trova alle carte 112v-113r. Il manoscritto, anteriore al 1485, riprende la traduzione latina di Jacopo D’Angelo, quella della prima edizione a stampa del 1475, ripubblicata innumerevoli volte in tutta Europa.

riferimenti contemporanei, ma soprattutto di mettere in risalto con un marcato profilo cittadino la sua patria di elezione (fig. 7). Nella versione modernizzata che segue, intitolata Dalmacia nova tabula (tavola 11, fig. 8), estende poi esplicitamente l’area cartografata all’entroterra veneziano e alla sua capitale, lasciando chiaramente intendere il legame fra Adriatico orientale e nord-occidentale, ora significativamente ribattezzato Sinus Venetus antea Adriaticus. Un procedimento simile riguarda la carta dell’Egeo, dove la tavola tolemaica trovava il proprio limite nord-orientale nell’Ellesponto, mentre nella corrispondente carta moderna questo è dato con ogni evidenza dalla città di Costantinopoli (fig. 9), che a sua volta serve da limite sud-orientale alla carta moderna della Polonia e dell’Ungheria, che sposta sensibilmente l’inquadratura della Dacia offerta da Tolomeo nella precedente nona tavola dell’Europa. Queste ultime variazioni hanno due effetti sostanziali sulla cartografia veneziana del Mediterraneo. In primo luogo Gastaldi individua nella posizione liminale delle città di Venezia e di Costantinopoli, entrambe capitali di imperi, due riferimenti geografici in base ai quali rimodellare le unità regionali della descrizione corografica, indicando la prima come limite a nord-ovest del Mediterraneo orientale e a sud-ovest dell’Europa centro-orientale, la seconda come limite occidentale dell’Asia (si pensi alla prima carta del 1559), settentrionale del Mediterraneo orientale e sud-orientale dell’Europa continentale. In secondo luogo, se già nelle carte nautiche manoscritte la navigazione della costa adriatica orientale (quella che costituisce la prima parte di qualsiasi viaggio marittimo da Venezia verso Oriente, quella occidentale essendo in confronto quasi priva di porti naturali) spiccava nella colorazione delle isole dalmate soggette alla Repubblica, la riproposizione dell’inquadratura tolemaica permette di assumere lo stesso bacino marittimo come unità descrittiva tanto politica quanto geografica, rafforzando un’idea dell’Adriatico come Golfo di Venezia all’origine di una lunga tradizione visuale che si richiama alla cartografia nautica e che accompagna tutta la storia della Repubblica, dalla celebre mappa di Paolo Forlani (1568)11 a quella un secolo dopo di Vincenzo Maria

11 Forlani, P., Il Golfo di Venetia si come è il più famoso et illustre di quanti sono dal Mare circondati, [Venezia], Alla Libraria della Colonna in merzaria, 1568.

Coronelli (1688)12, tradizione rivitalizzata prima ai tempi del fascismo13 e recentemente dalla retorica della riconciliazione fra le opposte sponde adriatiche che con la fine dei totalitarismi vorrebbe «far ritornare l’antico Golfo di Venezia, l’Adriatico, un ponte fra genti e culture dopo che per un secolo, l’ultimo, è stato un muro»14. Tuttavia nell’episodio centrale del ciclo cartografico, progettato nel Cinquecento per la sala delle udienze di Palazzo Ducale, le autorità della Repubblica decidono di esibire ai propri ospiti istituzionali l’immagine di un potere politico ed economico che non si estende solo al Golfo di Venezia, ma che, superando la frammentazione della cartografia nautica e di quella tolemaica, abbraccia in un unico colpo d’occhio gli spazi marittimi e continentali che da Venezia arrivano fino alla capitale ottomana e costruiscono il teatro del viaggio di Costantinopoli.