• Non ci sono risultati.

3. L’affaire Moro di Leonardo Sciascia

3.5 Una conclusione nel segno di Borges

L’ultimo capitolo dell’Affaire Moro è dedicato alle lettere inedite che la questura di Roma ha pubblicato circa un mese dopo l’assassinio di Aldo Moro. Tra di esse, Sciascia sceglie di riportare per intero una lettera quasi sconosciuta al tempo, che Moro scrive alla moglie Noretta: si tratta dell’ultimo libero sfogo dell’«uomo solo», il quale mette a fuoco la sua profonda delusione e rassegnazione, nonché un ultimo commiato a Noretta. Sciascia si sofferma sulla confusione linguistica che trapela dal testo della lettera, in particolare a

proposito dell’espressione «strage di Stato», secondo il narratore assimilata dai brigatisti e reimpiegata da Moro in modo consapevole.

A questo punto, Sciascia conclude il suo libro mediante una citazione tratta da

Finzioni di Borges, che si riporta per intero:

«Ho già detto che si tratta di un romanzo poliziesco … A distanza di sette anni, mi è impossibile recuperare i dettagli dell’azione; ma eccone il piano generale, quale l’impoveriscono (quale lo purificano) le lacune della mia memoria. C’è un indecifrabile assassinio nelle pagine iniziali, una lenta discussione nelle intermedie, una soluzione nelle ultime. Poi, risolto ormai l’enigma, c’è un paragrafo vasto e retrospettivo che contiene questa frase: “Tutti credettero che l’incontro dei due giocatori di scacchi fosse stato casuale.” Questa frase lascia capire che la soluzione è sbagliata. Il lettore, inquieto, rivede i capitoli sospetti e scopre un’altra soluzione, la vera» (J.L. Borges, Ficciones). [AM 147]

Tutto quanto letto finora è improvvisamente messo in discussione dalla frase «Tutti credettero che l’incontro dei due giocatori di scacchi fosse stato casuale», che sola ha la forza di rovesciare le certezze che il lettore credeva acquisite. Dunque, dopo la lunga e minuziosa disamina di testi, linguaggi e documenti che ha percorso tutto l’Affaire, Sciascia consegna ora il caso alla libertà dei posteri, alla memoria di chi in futuro potrà e vorrà reinterrogarlo e riscriverlo: in questo risiede l’unica verità ancora possibile.

Eppure si è potuto osservare come Sciascia sia effettivamente pervenuto a una verità nell’Affaire; e sembrerebbe da escludere che la stia adesso ritrattando, dato che lo scrittore continuerà, dopo la pubblicazione del libro, a sostenere la propria tesi sull’omicidio di Moro.

A dirimere ogni dubbio viene in aiuto l’informazione – contenuta in un’intervista rilasciata da Sciascia a Tony Zermo, pubblicata sul quotidiano “La Sicilia” il 14 agosto 1978 – secondo la quale la citazione di Borges era stata inizialmente posta in esergo all’Affaire, e, solo in un secondo tempo, spostata in conclusione. Emerge, così, come rileva Raffaello Palumbo Mosca, che

da una parte all’autore sta a cuore non revocare immediatamente in dubbio la verità civile del suo pamphlet, conservarne la forza – anche politica e polemica – per tutto il volume; dall’altra, però, Sciascia è consapevole, e vuole ribadire, che ogni verità raggiunta dalla ragione non può che essere parziale e apparente; ogni verità della ragione è forse quella «verità di un momento, che contraddice altre verità di altri momenti» della fotografia del saggio Verismo e fotografia.98

Questa dinamica per cui ogni verità – provvisoria – apre sempre a nuove e altre verità ugualmente provvisorie rimanda, ancora una volta, alla dimensione letteraria dalla quale, secondo Sciascia, sembra originarsi tutto il caso Moro (cfr. AM 28-29): è proprio una simile e ricorrente «‘fuga dalla realtà’ che fa della realtà un romanzo»99.

Dunque, tutto L’affaire Moro gioca a confondere il limite che intercorre fra letteratura e realtà. Questo confine non si dissolve mai del tutto, ma i due ambiti, intersecandosi continuamente, sembrano come suggestionarsi a vicenda. Infatti, se è vero che il reale si presenta mediante una configurazione letteraria, d’altra parte, come prova la scelta del finale nel segno di Borges, è anche vero che in sede di non fiction «la scrittura, in ossequio della realtà di cui vuole essere una restituzione ingrandita e semplificata, deve “non concludersi”»100.

Sciascia, quindi, conclude L’affaire Moro adempiendo alle due caratteristiche principali della narrazione non finzionale: la verificabilità e l’incompletezza. La non definitività del riferimento a Borges va proprio in questa direzione:

Chiudere una storia vera significa spesso prendere una posizione troppo forte, dire “l’ultima parola” su questioni su cui, per ragioni cronologiche o morali, non può essere ancora detta. Gli autori preferiscono spesso, perciò, non risolversi nella certezza di un finale, adottando una sorta di apertura, o di “non-finito”, che finisce per diventare un’estrema risorsa di prudenza interpretativa sui fatti raccontati.101

99 BENVENUTI 2013, p. 235. 100 MARCHESE 2019, p. 224. 101 Ivi, pp. 195-196.

Conclusioni

Alla luce dell’analisi fin qui condotta, è possibile procedere ora a una sintesi che dia conto, sommariamente, sia del ruolo rivestito di volta in volta dal narratore rispetto alla materia non finzionale che racconta, sia della configurazione dei personaggi non finzionali incontrati nei tre testi presi in esame.

Come l’autrice stessa dichiara fin dall’Avvertenza, Lessico famigliare di Natalia Ginzburg è un racconto di tipo autobiografico, che, tuttavia, non presenta propriamente i contorni di una cronaca puntuale, ordinata e completa di avvenimenti. La verità non finzionale al centro dell’opera, che consiste in una ricostruzione della vita della famiglia Ginzburg, è riletta soggettivamente dalla narratrice, che la filtra secondo il suo personale scopo comunicativo: «semplicemente di far rivivere la realtà a modo suo e come lei voleva»102.

Si tratta di una narrazione che si direbbe “non necessaria”, dato che i personaggi che Ginzburg presenta al lettore vivono anche al di là della sua testimonianza. Nondimeno, la narratrice è tenuta a essere fedele ai vissuti dei suoi familiari; il profondo rispetto nei loro riguardi, per cui si è parlato di «oltranza del riserbo», traspare, per esempio, dalla censura che opera sulle notizie riguardanti le persone a lei più vicine, su tutti, quelle sul marito Leone.

In generale, i ritratti dei personaggi presentati da Ginzburg si caratterizzano per una predominanza della dimensione della vita privata, essenzialmente domestica, la cui fonte documentale consiste nella sola memoria personale della narratrice. I fatti storici, cui pure diversi personaggi sono connessi, rimangono prevalentemente sullo sfondo.

La tregua di Primo Levi è l’opera di un superstes, cioè di quel testimone che ha

vissuto in prima persona un’esperienza – alla quale altri, invece, non sono sopravvissuti – e che può quindi renderne conto. Si tratta di una narrazione “necessaria”: delle vite di alcuni personaggi (è, per esempio, il caso di Hurbinek), se Levi non narrasse, non esisterebbe alcuna traccia reale. Ne consegue che Levi, in quanto narratore non finzionale, si trova a rispondere con la sua scrittura a precisi «obblighi di memoria, di riconoscimento e rispetto

dell’alterità, di responsabilità davanti destini individuali»103. Tuttavia, l’obiettivo di Levi non è quello di riservare a sé il compito del giudizio, ma, come egli stesso precisa, «il testimone offre al giudice il modo di giudicare. E il giudice siete voi»104. Il giudizio ultimo, dunque, spetta al lettore.

Per quanto riguarda i personaggi, i ritratti che Levi mette a punto tendono a consolidarsi attorno a una caratteristica-chiave, contornata di pochi tratti significativi, in un assetto che li rende simili a dei caratteri; spesso questi acquisiscono delle sfumature romanzesche, in accordo con il cronotopo stesso della Tregua. L’accento è posto sull’umanità ferita che l’uomo Primo ha personalmente incontrato, nonché sui modi originali di ciascuno dei suoi compagni di viaggio di fronteggiare la lunga via del ritorno in Europa.

L’affaire Moro di Leonardo Sciascia si presenta come un testo molto complesso, sia

perché gioca continuamente a confondere il limite fra realtà e letteratura, sia perché è l’opera stessa a enunciare a priori il problema del personaggio: quello di Aldo Moro. L’autore, così, conduce un meticoloso lavoro di ricerca sui testi, specificamente sul linguaggio, per ricostruire l’autentica identità di Moro.

La posizione su cui si trova il narratore è, in questo caso, quella del testis, cioè del “terzo” che non ha esperito ciò che narra, ma che ha a disposizione il materiale necessario per raccontarlo; inoltre, visto il suo coinvolgimento non diretto con i fatti, il testis è chiamato al giudizio. Precisamente, quello a cui Sciascia risponde con L’affaire è un dovere che si potrebbe definire ermeneutico – e sempre morale – verso documenti che attestano il discorso del protagonista di una vicenda innanzitutto molto vicina nel tempo, e, poi, ampiamente testimoniata, sebbene molto oscura.

Nel suo tentativo di delineare l’identità del personaggio, dal momento che le notizie cui già si ha accesso su Moro sono numerosissime, Sciascia privilegia aspetti a suo avviso trascurati dall’attenzione pubblica: scambi epistolari privati, oppure poco diffusi, squarci di corrispondenze per lo più ignorate dalla stampa, e altri documenti. Da questi ricava la sua interpretazione del caso Moro, salvo rilanciare, nella conclusione del libro, la sfida ermeneutica al «lettore inquieto».

Dall’analisi dei testi e dei loro personaggi, e dalla considerazione dello sguardo che su di essi posa di volta in volta il narratore, è possibile anche trarre delle conclusioni sul

103 DONNARUMMA 2020, in corso di stampa. 104 LEVI 2016, II, p. 925.

tipo di rapporto che il lettore è chiamato a intessere con i personaggi non finzionali. Infatti, se con i personaggi finzionali il lettore può avere una relazione libera, aperta, creativa, perché sono i personaggi stessi a muoversi in uno spazio letterario autonomo, al lettore di

non fiction è richiesto qualcosa di diverso: cioè che si coinvolga più direttamente, che, a

partire dai suggerimenti predisposti dal narratore, assuma una posizione di fronte al personaggio, rispetto al quale è imprescindibile un’interazione morale.

Bibliografia

O

PERE

I testi studiati sono citati da queste edizioni e con queste sigle, seguite dal numero di pagina:

GINZBURG, Natalia

LF Lessico famigliare, Torino, Einaudi 1999

LEVI, Primo

T La tregua, Torino, Einaudi 1963

SCIASCIA, Leonardo

AM L’affaire Moro, Milano, Adelphi 1994

S

TUDI GENERALI

COHN, Dorrit

1999 The Distinction of Fiction, Baltimore, Johns Hopkins University Press; trad.

fr. Claude Hary-Schaeffer, Le propre de la fiction, Paris, Seuil, 2001 DONNARUMMA, Raffaele

2010 Storia, immaginario, letteratura: il terrorismo nella narrativa italiana (1969- 2010), in AA. VV., Per Romano Luperini, a cura di Pietro Cataldi, Palermo,

Palumbo, pp. 438-465

DONNARUMMA, Raffaele

DONNARUMMA, Raffaele

2020 Raccontare l’altro. Primo Levi, il personaggio non finzionale, l’etopea, in

«Enthymema», n. XXV, in corso di stampa FORSTER, Edward Morgan

1927 Aspect of the novel, Cambridge, Edward Arnold; trad. it. Aspetti del romanzo, Milano, Il Saggiatore, 1963

GENETTE, Gérard

1976 Figure III. Discorso del racconto, Torino, Einaudi

MARCHESE, Lorenzo

2019 Storiografie parallele. Cos’è la non-fiction?, Macerata, Quodlibet

STARA, Arrigo

2004 L’avventura del personaggio, Firenze, Le Monnier

S

AGGI E STUDI SU

L

ESSICO FAMIGLIARE

BERTONE, Giorgio

2015 Lessico per Natalia. Brevi «voci» per leggere l’opera di Natalia Ginzburg,

Genova, Il melangolo CALVINO, Italo

1963a [risvolto editoriale di] Lessico famigliare, Torino, Einaudi DE TOMMASO, Piero

1963 Una scrittrice «geniale», in «Belfagor», XVIII, 3

FALLACI, Oriana

FERRATA, Giansiro

1963 Ringraziamento a Natalia Ginzburg, in «Rinascita», 17 aprile

GARBOLI, Cesare

1999 Introduzione, in Lessico famigliare, Torino, Einaudi

LA FAUCI, Nunzio

2018 Il nome nel testo, col pretesto di Lessico famigliare di Natalia Ginzburg, in

«il Nome nel testo – Rivista internazionale di onomastica letteraria», XX MAGRINI, Giacomo

1996 «Lessico famigliare» di Natalia Ginzburg, in ASOR ROSA, 1996, pp. 771-

810

ASOR ROSA, Alberto (a cura di)

1996 Letteratura italiana. Le opere, IV. Il Novecento, II. La ricerca letteraria,

Torino, Einaudi MINGHELLI, Giuliana

1995 Ricordando il quotidiano. Lessico famigliare o l’arte del cantastorie, in

«Italica», 72, 2 MONTALE, Eugenio

1996 «Lessico famigliare» crudele con dolcezza, in Il secondo mestiere, II. Prose 1920-1979, a cura di G. Zampa, Milano, Mondadori

SCARPA, Domenico

1999 Cronistoria di «Lessico famigliare», in Lessico famigliare, Torino, Einaudi

SEGRE, Cesare

S

AGGI E STUDI SULLA

T

REGUA

AGAMBEN, Giorgio

1998 Quel che resta di Auschwitz. L’archivio e il testimone, Torino, Bollati

Boringhieri ARIAN LEVI, Giorgina

1978 La tregua alla radio, in «Ha Keillah. Bimestrale ebraico torinese», III, n. 4,

aprile BARENGHI, Mario

2013 Perché crediamo a Primo Levi?, Torino, Einaudi

BELPOLITI, Marco,

2015 Primo Levi di fronte e di profilo, Milano, Guanda

CALVINO, Italo

1963b [risvolto editoriale della] Tregua, Torino, Einaudi DEL GIUDICE, Daniele

1997 Introduzione a Primo Levi, Opere, Torino, Einaudi

FABIANI, Enzo

1963 Un tatuaggio rivela il dramma dello scrittore, in «Gente», 38

LEVI, Primo

1965 La tregua. Note all’edizione scolastica. Presentazione, in BELPOLITI, 2016,

pp. 1380-1383 BELPOLITI, Marco (a cura di)

MATTIODA, Enrico

2011 Levi, Roma, Salerno Editrice

MENGALDO, Pier Vincenzo

2019 Per Primo Levi, Torino, Einaudi

MENGONI, Martina

2017 Primo Levi e i tedeschi, Torino, Einaudi

POLI, Gabriella - CALCAGNO, Giorgio

1992 Echi di una voce perduta. Incontri, interviste e conversazioni con Primo Levi, Milano, Mursia

PORRO, Mario

2017 Primo Levi. Profili di storia letteraria, Bologna, Il Mulino

SCARPA, Domenico

1997 Chiaro/oscuro, in BELPOLITI 1997, pp. 230-253

BELPOLITI, Marco (a cura di)

1997 Primo Levi. Riga, 13, Milano, Marcos y Marcos

TODOROV,Tzvetan

2004 Les abus de la mémoire [1995], Paris, Arléa

S

AGGI E STUDI SULL

’A

FFAIRE

M

ORO

AMBROISE, Claude

2000 Verità e scrittura, in SCIASCIA, [1987], Opere 1956-1971, Milano,

Bompiani, pp. XXV-XLVII

BELPOLITI, Marco

2001 Settanta, Torino, Einaudi

BENVENUTI, Giuliana

2013 Microfisica della memoria. Leonardo Sciascia e le forme del racconto,

Bologna, Bononia University Press CAMPBELL, Federico

2014 La memoria di Sciascia, S. Maria C. V., Ipermedium libri

COLLURA, Matteo

2009 Alfabeto Sciascia, Milano, Longanesi

FERRONI, Giulio

2002 L’Affaire Moro: la letteratura e l’imprendibile verità, in «L’uomo solo:

L’Affaire Moro di Leonardo Sciascia: atti del convegno-seminario

“L’affaire Moro: testo e contesto di un mistero italiano”», Milano, La vita felice, pp. 159-171

PASOLINI, Pier Paolo

1975 Il vuoto del potere in Italia, in «Corriere della Sera», 1 febbraio

PIRAS, Alessio

2012 Oltre la cronaca: «l’Affaire Moro» tra storia e letteratura, in «Todomodo»,

II, pp. 215-230 SQUILLACIOTI, Paolo

1999 Oltre la filologia. Un approccio all’Affaire Moro, in AA.VV., Da un paese

indicibile, a cura di R. Cincotta, “Quaderni di Leonardo Sciascia”, n. 4,

Milano, La Vita Felice, pp. 81-107 TRAINA, Giuseppe

1999 Leonardo Sciascia, Milano, Bruno Mondadori

VITIELLO G. - PISCHEDDA B. - GOTOR M. - BORDIN M.

2014 L’Affaire Moro rivisitato: la verità tra filologia e ideologia (Forum), in

«Todomodo», IV, pp. 231-249 ZUCCONI, Francesco

2005 Tra inchiesta e diagnosi del discorso politico. Montaggio, interlettura e valore testimoniale de L’Affaire Moro di Leonardo Sciascia, in «E/C», 2,

Sitografia

CAPPELLANI, Francesco

2019 Un nome tra milioni di vittime per ricordare Auschwitz: Vanda Maestro, amica di Primo Levi, in «Bet Magazine Mosaico», https://www.mosaico- cem.it/cultura-e-societa/personaggi-e-storie/un-nome-tra-milioni-di-vittime- per-ricordare-auschwitz-vanda-maestro-amica-di-primo-levi [consultato il 25 gennaio 2020]

MARCHESE, Lorenzo

2019 L’impotenza della non-fiction, in «Le parole e le cose2»,

http://www.leparoleelecose.it/?p=35269 [consultato il 10 dicembre 2019] PALUMBO MOSCA, Raffaello

2020 L’Affaire Moro, Whitehead e Manzoni. Una lettura, in «L’ospite ingrato»,

http://www.ospiteingrato.unisi.it/laffaire-moro-whitehead-e-manzoniuna- letturaraffaello-palumbo-mosca/ [consultato il 21 marzo 2020]

Ringraziamenti

Vorrei premettere onestamente di non aver mai nutrito grande simpatia per questa cosa dei ringraziamenti alla fine di una tesi di laurea. Forse perché i ringraziamenti rappresentano quella sezione della tesi che finisce per ammaliare i più, lasciando apparire il resto come qualcosa di indecifrabile; e, ancor di più, perché reputo un po’ insufficiente stilare elenchi di nomi a cui dire grazie: non sarà mai possibile dire abbastanza la gratitudine con la vita, figurarsi con qualche rigo a fine tesi.

Tuttavia, nella vita di ogni giorno, dire grazie è forse il mio sport preferito. Ringraziare è il frutto della riconoscenza, ringraziare è ri-conoscere, conoscere un’altra volta, o conoscere per davvero, l’immensità dei doni di cui siamo immeritatamente beneficiari e custodi. Ringraziare è una necessità: è un respiro di meraviglia che rende nuove tutte le cose. Non si può non ringraziare. Inoltre, mai come in questo tempo così doloroso, ringraziare non solo mi sembra necessario, ma fondamentale: ci aiuta a tenere in circolo la vita, a rimettere in movimento le energie, a scorgere il bello che c’è e a continuare a coltivarlo.

Così, poco coerentemente con i miei ripetuti e senz’altro noiosi dissensi ai ringraziamenti a fine tesi, ma provando a rimanere fedele al desiderio di ringraziare, che forse è quello che dice di più di me, questa volta ho scelto anch’io di scrivere qualche rigo.

Al termine di questi anni universitari, più che mucchi di libri accatastati ed esami ordinatamente sistemati su un libretto accademico, sento che ciò che di più bello mi porto

per la vita sono i volti dei tanti e diversi compagni di strada incontrati, con i quali la

condivisione – lo spezzare – di questo tempo ha avuto il gusto autentico della moltiplicazione: del bene. Forse non è esatto dire che non siamo niente senza l’altro: siamo, ma qualcosa “in meno”; siamo “di più” noi stessi solo in relazione all’altro. Siamo, quindi, al fondo, relazione.

Le persone che potrei nominare, a questo punto, mi sembrano infinite; eppure non per questo indefinite o confuse, ma precisissime, nitide, luminose. Vere. Reali. Non le citerò una per una: in quanto parte della realtà, ovvero ciò che esiste, sostanza, faccenda, verità, provo a dire le multiformi realtà per le quali ringrazio. La mia famiglia, il primo e

più grande dono della vita. Le mie amiche storiche, altrimenti note come “Homeless Girls”, ricchezza costante nella mia crescita. Le colleghe e i colleghi di facoltà, con cui ho condiviso le gioie e le fatiche dello studio, e della vita. Gli insegnanti che hanno saputo appassionatamente interpellarmi non tanto a nozioni consolidate, ma alla creatività autentica del sapere che interroga ciascuno, chiamandolo a esprimere il meglio di sé. Le coinquiline della casa pisana: casa d’adozione e presenza premurosa. Il Gruppo Universitari San Frediano, in ciascuno dei suoi volti giovani e desiderosi d’incontro e di servizio al prossimo. La Chiesa Universitaria di San Frediano, in ognuno dei suoi componenti, studenti, educatori e guide: luogo di grazia in cui, nella condivisione dell’ordinario, ho scoperto la bellezza della parola «comunità». Le Suore Apostoline, piccoli grandi fari che accompagnano con gioia il discernimento del sogno di Dio per me. Il buon Dio, Signore di ogni incontro, realtà che fa vera ogni realtà.

Per tutti e ciascuno, desidero affidare il mio grazie a una poesia di Mariangela

Gualtieri. Comunemente nota mediante il suo emistichio ricorrente, «Ringraziare desidero», il componimento si intitola in realtà Bello mondo, ed è tratto dalla raccolta Le

giovani parole (Einaudi, 2015). Si tratta di un lungo, ricco e variopinto inno di lode per

tutti i doni di cui la poetessa si riconosce beneficiata. È la scrittrice stessa, nella nota al testo, ad affermare di aver preso spunto dal Poema de los dones di Borges, di cui riscrive le parti che si leggono in corsivo. Gualtieri sceglie di fare propria, arricchendola, la lode che è anche di molti altri uomini e donne che nella storia «scrissero già questa poesia», abbracciando il motivo della “poesia infinita”: quella dal tema inesauribile del «grazie».

Nell’ambito della rassegna biennale “Ciò che ci rende umani” del Teatro Valdoca di Cesena (del quale la poetessa è stata cofondatrice insieme a Cesare Ronconi), l’8 ottobre 2018 Mariangela Gualtieri invita Lorenzo Jovanotti, con il quale dialoga di poesia. Commentando con l’autrice Bello mondo, Jovanotti pronuncia un elogio della parola «per», specificando che, negli inni di lode, «per» non vuole significare tanto “a motivo di”, ma “tramite”, “attraverso”. Per tutti e ciascuno, allora, con i versi di Gualtieri, il mio più sincero grazie:

In quest’ora della sera da questo punto del mondo

Ringraziare desidero il divino labirinto delle cause e degli effetti

che compongono questo universo singolare ringraziare desidero

per l’amore, che ti fa vedere gli altri come li vede la divinità

per il pane e il sale per il mistero della rosa che prodiga colore e non lo vede

per l’arte dell’amicizia per l’ultima giornata di Socrate

per il linguaggio, che può simulare la sapienza io ringraziare desidero

per il coraggio e la felicità degli altri per la patria sentita nei gelsomini

e per lo splendore del fuoco che nessun umano può guardare

senza uno stupore antico

e per il mare

che è il più vicino e il più dolce fra tutti gli Dèi

ringraziare desidero perché sono tornate le lucciole

e per noi

per quando siamo ardenti e leggeri