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2. La tregua di Primo Levi

2.3 Lavoro della memoria e credibilità

2.4.4 Mordo Nahum

Il personaggio di Mordo Nahum – “il greco” – si differenzia dai personaggi finora presi in esame innanzitutto per lo spazio che occupa nel racconto. Infatti, a Mordo Nahum – e ad altri con lui – non è dedicata una sequenza narrativa circoscritta, tendenzialmente breve. Al contrario, la sua presenza nel testo si protrae più a lungo: come si vedrà, Mordo si relaziona al protagonista in più occasioni, tornando sulla pagina in tempi diversi. Questo ampliamento dello spazio narrativo conferisce al personaggio dei contorni più marcatamente romanzeschi, all’interno di quella «picaresca epopea del sopravvissuto»61 che prende forma proprio in questa parte della Tregua.

La figura di Mordo Nahum dà anche il titolo al capitolo a lui dedicato, Il greco. In esso cominciano propriamente le peregrinazioni di Primo, che esce dall’ospedale arrangiato ad Auschwitz per giungere prima a Cracovia, poi a Katowice, e, ancora, in Bielorussia.

Dall’ospedale di Auschwitz, Primo e una decina di compagni sono condotti per mezzo di una carretta militare in una stazione ferroviaria sconosciuta. A questo punto, passando in rassegna i volti che lo circondano, la memoria del narratore va al greco: «E c’era finalmente il greco, con cui il destino doveva congiungermi per una indimenticabile settimana randagia» [T 38]. Segue un ritratto minuzioso e disteso di Mordo, del quale vengono evidenziate subito le scarpe («di cuoio, quasi nuove, di modello elegante: un vero portento, dato il tempo e il luogo» [T 38]), dettaglio che tornerà successivamente come emblema della previdenza di Mordo.

Il narratore procede descrivendo la fisionomia del greco; in particolare, si sofferma sugli occhi e sul naso, a partire dai quali può associargli due metafore che accennano alla sua topica scaltrezza: «aveva grossi occhi scialbi ed acquosi e un gran naso ricurvo; il che conferiva all’intera sua persona un aspetto insieme rapace ed impedito, quasi di uccello notturno sorpreso dalla luce, o di pesce da preda fuori dal suo naturale elemento» [T 38- 39]. Poco dopo, il narratore ravvisa nella lingua e nella provenienza il terreno fertile su cui poggia la loro immediata sintonia: «Pur senza sentirci particolarmente attirati l’uno dall’altro, eravamo avvicinati dalle due lingue in comune, e dal fatto, assai sensibile in quelle circostanze, di essere i soli due mediterranei del piccolo gruppo» [T 39].

Più avanti, Primo e il greco si trovano in treno, mentre cercano, ciascuno per sé, di fronteggiare il freddo e il sonno. Così, i due si confrontano sulla notte tremenda appena trascorsa e sanciscono di «stringere sodalizio» [T 43]. Più precisamente, è Primo a essere attratto, dell’altro, da quella «qualità di salonichiota, che, come ognuno ad Auschwitz sapeva, equivaleva ad una garanzia di raffinate abilità mercantili, e di sapersela cavare in tutte le circostanze» [T 43]. È questo il tratto principale attorno al quale si condensa la personalità di Mordo Nahum, quello che agli occhi del narratore ha contraddistinto più di ogni altro il suo incontro.

Giunti nei pressi di Cracovia, il loro convoglio va in avaria. Così, i due s’inoltrano insieme verso la città. Dopo poco cammino, però, le scarpe di Primo, già malandate, perdono le suole. Ecco che il greco si trova servita un’occasione propizia per ammonire la scarsa lungimiranza del compagno: «– Allora sei uno sciocco, – mi disse tranquillamente. – Chi non ha scarpe è uno sciocco» [T 45]. Il narratore così commenta l’annotazione di Mordo:

Era un grande greco. Poche volte nella mia vita, prima e dopo, mi sono sentito incombere sul capo una saggezza così concreta. C’era ben poco da replicare. La validità dell’argomento era palpabile, evidente: i due rottami informi ai miei piedi, e le due meraviglie lucenti ai suoi. Non c’era giustificazione. Non ero più uno schiavo: ma dopo i primi passi sulla via della libertà, eccomi seduto su un paracarro, coi piedi in mano, goffo e inutile come la locomotiva in avaria che da poco avevamo lasciata. Meritavo dunque la libertà? Il greco sembrava dubitarne. [T 45]

Si evince chiaramente da queste parole la profonda ammirazione che Levi prova per quest’uomo: una stima che lui stesso definisce «unilaterale» [T 43], a fronte della «simpatia, bilaterale» [T 43], ma che cresce e s’irrobustisce lungo tutto il racconto, e grazie alla quale trova puntualmente spazio il sostegno reciproco. Infatti, per esempio, è Mordo che alla fine mostra a Primo come riparare le scarpe per proseguire verso la città.

I due, grazie alla tenace mediazione del greco, trovano ospitalità per la notte in una caserma, già piena di rifugiati. Subito il greco riesce a catturare l’attenzione dei presenti attraverso «l’adatta attrezzatura: sapeva parlare italiano, e (ciò che più importa, e manca a molti italiani stessi) sapeva di che cosa si parla in italiano» [T 48]. È interessante che Levi precisi, subito dopo, che la straordinaria eloquenza che Mordo esibisce non è dettata solo da ragioni di convenienza; egli percepisce la concretezza del greco anche e soprattutto

nella sua storia, nelle lotte che racconta, per niente dissimili da quelle vissute dagli italiani. La stima di Primo per Mordo acquista, in questo frangente, un di più di fraternità, di inaspettata benevolenza, che va oltre la parvenza semplicistica del mercante senza scrupoli: «eppure sentivo fiorire in lui, favorito dalla simpatia dell’uditorio, un calore nuovo, un’umanità insospettata, singolare ma genuina, ricca di promesse» [T 50].

Il mattino successivo, a mettere in discussione la constatazione di Primo appena enunciata, è, di nuovo, l’intransigenza di Mordo, che esprime all’altro la necessità di uscire a procurarsi da vivere («– Andiamo dove? – Al lavoro. Al mercato. Ti pare bello farci mantenere?» [T 50]). A questo punto il narratore lascia emergere con forza la rigidità della concezione del lavoro del greco, che non conosce regole e limiti:

Fondamento della sua etica era il lavoro, che egli sentiva come sacro dovere, ma che intendeva in senso molto ampio. Era lavoro tutto e solo ciò che porta a guadagno senza limitare la libertà. Il concetto di lavoro comprendeva quindi, oltre ad alcune attività lecite, anche ad esempio il contrabbando, il furto, la truffa (non la rapina: non era un violento). [T 51]

È ciò che Mordo stesso, più avanti, ribadirà lapidariamente nel suo proverbiale «guerra è sempre». Si tratta dell’aspetto a proposito del quale emerge la distanza più incolmabile fra i due, che, se da un lato qualifica il carattere di Mordo, dall’altro permette al lettore di saperne di più sul protagonista. Levi, infatti, non manca di mostrarsi del tutto contrario ai propositi del greco; tuttavia, le sue considerazioni sono subito spazzate via dalla risolutezza di quello, che, ancora una volta, si conquista l’interesse di Primo: «Così seguii il greco al mercato; non tanto perché convinto dai suoi argomenti, quanto per inerzia e per curiosità» [T 52]. Al mercato, l’alleanza fra i due trova occasione per rinsaldarsi nella collaborazione concreta: Mordo mette l’esperienza mercantile, Primo la conoscenza linguistica e la manodopera.

In seguito, raggiunta Katowice, Primo e Mordo devono separarsi: le loro strade si dividono davanti all’esistenza di un campo di raccolta per gli italiani e di un altro per i greci. Così il narratore descrive ciò che prova in quel momento:

Ci separammo senza molte parole: ma nel momento del congedo, in modo fugace eppure distinto, sentii muovere da me verso lui una solitaria onda di amicizia, venata di tenue gratitudine, di disprezzo, di rispetto, di animosità, di curiosità, e del rimpianto di non doverlo più vedere. [T 63]

Levi avverte un miscuglio confuso di sentimenti, che dice l’intensità multiforme dell’amicizia che si è instaurata fra i due.

Si legge, subito dopo, che Primo vedrà il greco ancora in due occasioni. La prima è durante la marcia dei greci di Katowice, quando Mordo si stacca dalla schiera per avvicinarsi a Primo; e, «con gesto inconsueto» [T 63], gli dona un paio di pantaloni. Il secondo e ultimo incontro fra i due è proletticamente accennato nella chiusa del capitolo Il

greco con queste coordinate: «doveva ricomparire un’altra volta, molti mesi più tardi, sul

più improbabile dei fondali e nella più inaspettata delle incarnazioni» [T 63]. Così, diverso tempo dopo, nel tratto di viaggio verso nord, racconta Levi: «nel bel mezzo del prato, quasi mi attendesse, chi vidi se non lui, Mordo Nahum, il mio greco, quasi irriconoscibile per la suntuosa pinguedine e per l’approssimativa uniforme sovietica che indossava» [T 147- 148]. Si apprende che Mordo sta ora operando nell’ambito di uno dei pochi commerci in cui non si era ancora cimentato: un giro di donne con cui vanno a letto i russi. Mordo chiede a Primo se ha bisogno di una donna; lui risponde negativamente.

Anche nel racconto del loro ultimo colloquio emerge quindi la radicale antitesi, di principi, desideri, approcci alla vita che caratterizza la relazione fra Primo e Mordo Nahum. A ben vedere, se si estende lo sguardo ai personaggi di Levi in genere, come nota Porro, «il sodalizio con uno degli ebrei di Salonicco è una variante della coppia di opposti complementari che Levi aveva sperimentato con Alberto»62, in Se questo è un uomo. Le proverbiali capacità commerciali dei greci di Salonicco, infatti, erano state messe a tema già nella prima opera di Levi. Per esempio, egli scriveva di Alberto: «ha capito prima di tutti che questa vita è guerra»63, con un’espressione che fa il paio con la topica massima di Mordo «guerra è sempre».

Constatare questa corrispondenza non significa, tuttavia, asserire che Levi abbia fatto di Mordo Nahum un personaggio finzionale: al contrario, la trasposizione letteraria del greco parte indubbiamente dal vissuto reale che Primo ha condiviso con lui. La sua descrizione è referenziale, e, in quanto tale, verificabile (altri testimoni superstiti presenti nelle circostanze che Levi narra potrebbero confutarla) e incompleta. Il ripresentarsi del tratto della scaltrezza dei greci di Salonicco rientra piuttosto nella specifica modalità descrittiva che il narratore ha scelto per i suoi personaggi (cfr. 2.4): essa seleziona e

62 PORRO 2017, p. 72. 63 LEVI 2016, I, p. 180.

privilegia una caratteristica-chiave, la qualità che «li rende singolari», intorno alla quale concentra i loro ritratti.