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La Presentazione dell’edizione scolastica del 1965

2. La tregua di Primo Levi

2.1 La Presentazione dell’edizione scolastica del 1965

Scritto – almeno per la maggior parte – fra il 1961 e il 1962, La tregua fu pubblicato nel 1963, anno in cui vinse anche il Premio Campiello. Il testo è un racconto autobiografico di tipo memorialistico, che costituisce idealmente la continuazione di Se questo è un uomo. Primo Levi vi narra il lungo e intricato viaggio che, in seguito alla liberazione del campo di concentramento da parte dell’Armata Rossa sovietica, insieme ai deportati e ai lavoratori sopravvissuti al Lager, lo ricondusse da Auschwitz in Italia.

L’intenzione di scrivere il libro risale a più di un decennio prima della sua pubblicazione: infatti, già in una lettera del 1949 indirizzata a Jean Samuel, il Pikolo di Se

questo è un uomo, Levi manifesta il desiderio di narrare l’esperienza del suo viaggio di

ritorno da Auschwitz. Se questo desiderio di narrare è una caratteristica che, come si vedrà, contraddistingue in modo peculiare la Tregua, è soprattutto il «bisogno di raccontare» a porsi all’origine della scrittura di Levi in genere: così si legge anche nella poesia posta in epigrafe alla Tregua, dove quella del racconto è un’esigenza annoverata fra i bisogni primari e improrogabili dei reduci («Tornare; mangiare; raccontare»); così lo stesso Levi afferma nella più preziosa sede di autocommento di cui si dispone, la Presentazione anteposta all’edizione scolastica della Tregua del 1965. In essa Levi, dopo aver ripercorso le tappe salienti della sua vita, dà notizia al lettore del momento in cui torna in Italia e si mette alla ricerca di un lavoro, per poter mantenere la sua famiglia. E, tuttavia:

la non comune esperienza che mi era toccata in sorte, il mondo infernale di Auschwitz, la miracolosa salvazione, le parole e i volti dei compagni scomparsi o sopravvissuti, la libertà ritrovata, l’estenuante e straordinario viaggio di ritorno, tutto questo mi premeva dentro imperiosamente. Avevo bisogno di raccontare queste cose: mi sembrava importante che esse non rimanessero a giacere dentro di me, come un incubo, ma fossero conosciute, non solo dai miei amici ma da tutti, dal pubblico più vasto possibile.34

Così, Levi comincia a scrivere Se questo è un uomo, «con furia e insieme con metodo», in modo immediato e liberante, e con la sensazione che le cose che aveva

bisogno di raccontare «trovassero in qualche modo una via diretta dalla [sua] memoria alla carta».

Levi prosegue raccontando che, sebbene Se questo è un uomo sia andato incontro quasi dall’inizio a un grande successo, e il suo incalzante bisogno di raccontare sia stato soddisfatto, tuttavia cominciava progressivamente a farsi spazio in lui qualcosa di diverso da una necessità stringente, più simile a un desiderio, frutto del piacere che gli ha procurato la sua prima prova di scrittura:

questa esperienza dello scrivere, del creare dal nulla, del cercare e trovare la parola giusta, del fabbricare un periodo equilibrato ed espressivo, era stata per me troppo intensa e felice perché non desiderassi ritentare la prova. Avevo ancora molte cose da narrare: non più cose tremende, fatali e necessarie, ma avventure allegre e tristi, paesi sterminati e strani, imprese furfantesche dei miei innumerevoli compagni di viaggio, il vortice multicolore e affascinante dell’Europa del dopoguerra, ubriaca di libertà e insieme inquieta nel terrore di una nuova guerra.35

Dunque, questo desiderio di cimentarsi nuovamente nella scrittura si origina da un lato dall’entusiasmo che questa ha già dato a Levi, dall’altro dal fatto che egli individua ora altra materia potenzialmente narrativa. Una materia che si annuncia diversa da quella della sua prima opera, e che, così com’è accennata nella Presentazione, lascia già intravedere quella che è una cifra tipica della Tregua: il registro e i toni di una specie di epopea abbassata, nutrita del racconto di gesti – e non gesta – forse non gloriosi ma profondamente vissuti, compiuti da uomini appena tornati “uomini”. Ecco allora il resoconto di un lungo e intricato peregrinare che si protrae per dieci mesi, durante i quali i sopravvissuti attraversano i luoghi più disparati dell’Europa momentaneamente in tregua:

i mercati clandestini di Cracovia e di Katowice; gli acquartieramenti e le tradotte bibliche e zingaresche dell'Armata Rossa in smobilitazione; la terra russa sterminata, pervasa di gloria, di miseria, di oblio e di vigore vitale; paludi e foreste intatte; le baldorie corali dei russi ubriachi di vittoria; le camerate piene di sogni degli italiani sulla incerta via del ritorno.36

Avvicinandosi verso la conclusione della Presentazione, Levi prende atto di come il suo secondo testo risulti esser stato scritto da un uomo indubbiamente diverso dall’autore del primo: più vecchio, ma anche più sereno e più consapevole. Subito dopo, Levi si

35 Ibidem. 36 CALVINO 1963.

sofferma a riflettere sulla sua duplice condizione sociale, che lo vede scrittore ma, al contempo e ancor prima, chimico. Sottolinea i benefici dell’indipendenza e della libertà verso la scrittura stessa che proprio questo status gli ha dato, e, infine, afferma che il mestiere di chimico lo ha educato, di riflesso, ad alcuni aspetti essenziali per uno scrittore:

soprattutto, mi ha abituato a quello stato d’animo che suole chiamarsi obiettività: vale a dire, al riconoscimento della dignità intrinseca non solo delle persone, ma anche delle cose, alla loro verità, che occorre riconoscere e non distorcere, se non si vuole cadere nel generico, nel vuoto e nel falso.37

Levi sta quindi attribuendo a sé stesso la caratteristica dell’obiettività, precisata come la capacità di individuare la verità delle cose e la dignità delle persone, in questo caso al centro della narrazione della Tregua, e di riferirle fedelmente a chi legge.