• Non ci sono risultati.

Intorno al personaggio: un problema dichiarato

3. L’affaire Moro di Leonardo Sciascia

3.1 Intorno al personaggio: un problema dichiarato

Scritto da Leonardo Sciascia soltanto pochi mesi dopo l’assassinio di Aldo Moro, quindi nell’estate del 1978, L’affaire Moro si presenta come un testo tanto rivoluzionario quanto composito, denso di contenuti e interpretazioni. Pubblicato dapprima in Francia e in un secondo momento in Italia, L’affaire Moro costituisce il primo sforzo letterario concreto di ricostruzione dell’omicidio Moro, nonché la prima effettiva operazione di ripulitura di quella matassa intricata di fatti in cui questo si colloca, e che compone il contesto socio- politico complesso e ambiguo dell’Italia di quegli anni. Nello stesso genere dell’Affaire

Moro, di lì a poco, sarebbe uscito anche In questo stato di Alberto Arbasino.

La prima edizione del testo di Sciascia reca la data del 12 ottobre 1978, a cura dell’editore Sellerio di Palermo. Successivamente, nel 1994, Adelphi ripubblica l’opera, integrandola con la relazione di minoranza presentata da Sciascia il 22 giugno 1982, in qualità di membro della «Commissione Parlamentare d’inchiesta su la strage di via Fani, il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro, la strategia e gli obiettivi perseguiti dai terroristi».

La caratteristica sicuramente più notevole e innovativa dell’opera di Sciascia risiede nella maniera con cui l’autore sceglie di far luce sulla strage di via Fani, ovvero imboccando la via forse più ovvia, ma anche più difficile: l’analisi della voce del suo protagonista. Una voce, quella di Moro nelle lettere scritte dalla prigionia, calcolatamente screditata e valutata come irrazionale e priva di valore, perché coartata dai brigatisti. Proprio queste lettere, accolte (o non accolte) per il resto con profondo scetticismo, come si legge nel risvolto dell’edizione Adelphi dell’Affaire Moro,

Sciascia si azzardò a leggerle, con l’acume e lo scrupolo che sempre aveva verso qualsiasi documento. Riuscì in tal modo, sulla base di quelle lettere, a ricostruire una intelaiatura di pensieri, di correlazioni, di fatti che sono, fino a oggi, ciò che più ci ha permesso di capire, o di avvicinarci a capire, un episodio orribile della nostra storia.75

Un simile modo di procedere, tanto nel previo esame delle lettere di Moro quanto nella costruzione vera e propria dell’opera, lascia fin d’ora ben intravedere un aspetto

dell’Affaire Moro fortemente significativo ai fini di questo studio: il problema del personaggio è qui espressamente enunciato dall’autore. Infatti, come si osserverà, è Sciascia stesso a sottoporre all’attenzione del lettore la questione dell’autenticità del personaggio-Moro, che costituisce il nucleo attorno al quale tutto l’Affaire si sviluppa.

L’occasione e le circostanze dell’Affaire Moro sono piuttosto diverse da quelle di

Lessico famigliare e della Tregua. In primo luogo, infatti, il testo di Sciascia è

particolarmente vicino nel tempo ai fatti che narra, dato che l’autore scrive – e pubblica – il testo a caldo, a distanza di pochissimi mesi dall’assassinio di Moro. Inoltre, com’è evidente, esso tratta la vicenda di un personaggio pubblico (e politico), a proposito del quale sono disponibili non solo numerose fonti documentali, ma anche molte letture controverse, e, immancabilmente, ideologiche. Di conseguenza, per L’affaire Moro, la questione cruciale sta nello sforzo di Sciascia di dipanare il groviglio di interpretazioni già esistenti della vicenda Moro piuttosto che nel ricercarle, come accadeva, invece, per i testi di Ginzburg e Levi.

L’intensa operazione ermeneutica che contraddistingue il lavoro di Sciascia informa anche della tipologia di narratore-testimone che sta dietro L’affaire Moro. Non si tratta del superstes: Sciascia non è stato partecipe degli eventi che racconta, non li ha vissuti in prima persona; egli è piuttosto un testis, «colui che si pone come terzo (*terstis) in un processo o in una lite tra due contendenti»76, vale a dire un testimone che ha accesso ai fatti di cui parla solo attraverso fonti altre, e che quindi riveste un ruolo defilato, non direttamente coinvolto. Tuttavia, nel compiere questo lavoro, Sciascia mette in campo tutte le sue forze di intellettuale e scrittore.

Questa configurazione implica che il testis – in qualità, appunto, di “terzo” – sia tendenzialmente neutrale; che si attesti cioè su una posizione sufficientemente distante dagli avvenimenti da poter formulare su di essi un giudizio attendibile. Il testis è, dunque, un vocato al giudizio: così è anche Sciascia nell’Affaire Moro. Infatti, emerge nitidamente dal testo la decisa volontà del narratore di esprimersi sulla vicenda in oggetto, di prendere esplicitamente posizione, sostenendola con vigore lungo tutta la sua argomentazione.

Nella fattispecie, come si vedrà, Sciascia sembra presentare la propria lettura dei fatti non solo come una fra le molteplici ipotesi interpretative del caso Moro, ma piuttosto come “la” lettura, l’unica veramente accreditabile, nonché la più evidente, sebbene

ignorata: Moro è stato ucciso dalle Brigate Rosse perché la sua voce non è stata considerata, perché quanto cercava di comunicare durante la prigionia attraverso le sue lettere non è stato – volutamente – considerato il contenuto di un messaggio autentico, tanto dai suoi compagni di partito quanto dallo Stato. In questo modo, è stata decretata la morte civile di Moro, cioè «la più radicale liquidazione che si possa immaginare per un politico: non conti più, non sei più niente, perché non sei neanche l’emittente del tuo messaggio»77.

L’assolutezza di questa lettura, tuttavia, non è sostenuta esplicitamente: la prospettiva di chi narra è volutamente parziale, attraverso quella «compromissione dello sguardo che esibisce la soggettività della ricostruzione e che, anzi, cerca in essa la propria credibilità»78, atteggiamento tipico della non fiction.

Per quanto riguarda le coordinate diegetiche dell’Affaire Moro, va detto che il testo è raccontato da un narratore di tipo eterodiegetico, dal momento che Sciascia non è un personaggio della storia che narra; questo è, al contempo, autobiografico, perché Sciascia interviene spesso come voce saggistica che commenta e riflette. La diegesi, come nella

Tregua di Levi, è contraddistinta da una forte funzione testimoniale o di attestazione, che

informa il lettore circa il tipo di rapporto fra narratore e storia, anche qui morale. Infine, il discorso dei personaggi è riferito in stile diretto, con frequenti inserzioni testuali delle parole di Moro e degli altri personaggi che con lui corrispondono.