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CAPITOLO 4. LA RICERCA

4.9 Conclusioni

Il neonato sin dai primi istanti di vita comunica con il mondo che lo circonda interagendo con esso, instaurando relazioni, esprimendo non solo i propri bisogni ma anche le proprie emozioni. Interagisce con le persone che si prendono cura di lui inserendosi in un sistema interattivo capace di costruire e condividere significati, in grado di scambiare informazioni attraverso sequenze comunicative in cui bambino, partner e ambiente si influenzano reciprocamente.

Così come asserito da Oster, Izard e collaboratori, fin da molto piccoli i bambini sono in grado di produrre espressioni facciali discriminabili, coerenti con lo stimolo e associabili alle espressioni facciali degli adulti. Il bambino sorride e piange. Il pianto è interpretato dall’adulto che di lui si prende cura come un indicatore di disagio o di dolore, il sorriso è l’espressione facciale con la quale il bambino ci comunica il suo agio, il suo benessere ed il suo piacere.

La reazione della madre di fronte alle esternazioni emozionali del neonato contribuisce alla creazione di una relazione comunicativa in cui il neonato acquisisce meccanismi di autoregolazione biologica e comportamentale. Lo scambio comunicativo tra madre e bambino avviene attraverso il rapporto faccia a faccia e si attua in modo reciproco attraverso sguardi e sorrisi, costituendo, nei primi mesi, la forma prevalente di comunicazione delle emozioni positive. Con l’aumentare dell’età aumenta la capacità di interazione, la comunicazione faccia a faccia ed i giochi di imitazione contribuiscono a sviluppare la relazione intersoggettiva tra lattante ed adulto. Con il passare delle settimane il bambino elabora e sperimenta la capacità di autoregolazione della comunicazione: è un soggetto attivo ed adeguatamente competente, dotato di capacità specifiche e di complesse abilità, che gli consentono di ricevere e di elaborare le informazioni provenienti dall’ambiente in modo appropriato. Sono queste abilità che si possono suddividere grossomodo in competenze percettive e competenze sociali.

Il “cervello sociale” negli esseri umani è una realtà che si attua attraverso la nostra esperienza di interazione con gli altri. Il neonato, come abbiamo già avuto modo di asserire, interagisce prevalentemente con la madre o con chi si prende cura di lui, ed il volto materno è per il bambino un’immagine che quotidianamente può osservare. E’ un attore che ha capacità mnemoniche rilevabili con l’analisi del contatto visivo e delle espressioni facciali, dalla loro presenza o meno e dalla loro durata. Sono elementi questi illustrati dai paradigmi sperimentali della preferenza e dell’abituazione per quanto fa riferimento al contatto visivo e dalle metodologie di rilevazione dell’azione muscolare per quanto fa riferimento alla mimica facciale. Molti studi hanno permesso di chiarire come il bambino interagisca con l’estraneo. Il

neonato, così come il lattante, è in grado di riconoscere i volti ed osserva maggiormente l’estraneo rispetto alla madre, che è in grado di riconoscere dopo solo dodici ore dalla nascita e verso la quale subisce un processo di abituazione. Dal punto di vista di questo paradigma il volto materno è uno stimolo ripetuto che prevede un calo dell’interesse. Relativamente al sorriso Duchenne pochi sono gli studi effettuati su neonati. Oster e Rosenstein hanno rilevato sorrisi Duchenne su bambini nati pretermine, altri Autori hanno avuto modo di osservare che nei bambini nati a termine questo sorriso è molto raro (Emde, Koenig, 1969) e che si sviluppa compiutamente appena attorno alle tre settimane (Wolff, 1987). In letteratura è stato dimostrato, attraverso la microanalisi, che il sorriso Duchenne è già presente non soltanto nel neonato a termine, rappresentando il 50% dei sorrisi visibili a questa età, ma anche nei nati pretermine con età post-concezionale di 33/34. In linea con la letteratura, sette neonati hanno esibito questo tipo di sorriso in interazione con un adulto, dimostrando quindi di rispondere coerentemente con lo stimolo ricevuto.

Attorno ai tre mesi il sorriso diventa molto articolato e frequente, si trasforma da “risposta a stimolo” ad esplicita volontà comunicativa. Il sorriso quindi rappresenta una spinta che segnala la maturazione del lattante e che mette in luce il ruolo dei processi biologici che determinano la comparsa del sorriso sociale. E non basta pensare al sorriso come ad una volontà comunicativa espressa dai soggetti interagenti che hanno stabilito un contatto visivo: il fatto che la capacità di comunicare attraverso questa espressione facciale è innata è fornita dall’osservazione dei bambini nati ciechi. A tre mesi di età questi bambini sorridono alle stimolazioni uditive e tattili operando una selezione tra il suono della voce della madre e quella di una persona estranea, esattamente come gli altri bambini operano una distinzione nel dispensare i sorrisi (Fraiberg, 1971). Tuttavia, non basta licenziare le aumentate e migliorate capacità di sorridere e di interagire come innate. Il bambino per avere garantito un corretto sviluppo biologico, emozionale e sociale, oltre a motivazionale, deve avere garantiti la disponibilità di stimoli sociali in un contesto interattivo che incentivi il contatto visivo con il volto umano (Lavelli, Fogel, 2005; Messinger, Fogel, 2007) e che favoriscano la condivisione dell’esperienza affettiva positiva con l’adulto.

Il presente elaborato si è proposto di analizzare alcuni aspetti della comunicazione del neonato e della sua interazione con la madre, con gli altri adulti, e con gli stimoli ricevuti, siano questi positivi o negativi.

Rispetto agli obiettivi questo studio ha dimostrato che il contatto visivo dipende fortemente dal volto che il neonato ha di fronte, e di come la capacità precoce di fissare lo sguardo rappresenta un presupposto fondamentale per il successivo sviluppo della capacità del

bambino di comunicare all’adulto le sue necessità, i suoi stati interni e la sua volontà comunicativa.

I risultati dimostrano chiaramente che fin dai primissimi giorni di vita i bambini sono capaci di produrre espressioni facciali distinte che comunicano il loro stato interno: si orientano, guardano il volto che si rivolge loro attraverso il contatto visivo e rispondono coerentemente agli stimoli ricevuti. All’inizio, nell’interazione positiva, è un continuo tentativo di stabilire una relazione: le emozioni vengono inizialmente trasmesse dal neonato in modo non consapevole al fine di aumentare le possibilità di sopravvivenza: piange dal primo momento che viene alla luce. Questa ricerca ha dimostrato come il bambino fin dalla più tenere età, posto di fronte ad un volto estraneo lo predilige rispetto al volto materno, essendo questo uno stimolo nuovo dimostrando di riconoscere semplici varianze percettive. Egli comunica in modo appropriato e coerente i suoi stati interni, le sue aspettative, i suoi desideri, le sue emozioni, siano queste positive o negative e lo fa mantenendo il contatto oculare, sorridendo e piangendo. Fin dai primi momenti dopo la nascita oltre al pianto ed al sorriso endogeno, che emerge primariamente durante le fasi del sonno REM e nei momenti di transizione tra il sonno e la veglia, si manifestano forme precoci di sorriso esogeno: è il sorriso sociale precoce che compare in modo irregolare, ma già presente a tre giorni. Come ci si attendeva i neonati hanno risposto in modo coerente con lo stimolo somministrato, dimostrando di avere capacità comunicativa e soprattutto che i sorrisi sono anche il prodotto di un desiderio di comunicare o comunque di volontà di stabilire un contatto interattivo specialmente con un elemento nuovo, come il volto di una persona che non sia la madre.

Il neonato oltre a produrre sorrisi semplici produce anche il sorriso Duchenne e ciò mette in evidenza che questa espressione è parte del repertorio innato delle espressioni facciali ma non esplicita quali funzioni queste abbiano nei processi psicologici. D’altro canto, molti Autori hanno suggerito come la ampia variabilità nella tipologia di sorrisi prodotti durante il sonno (sorrisi endogeni) siano il prodotto dell’attivazione del sistema limbico, del complesso amigdalico e delle strutture subcorticali che potrebbero essere responsabili delle automatiche manifestazioni che sono comunemente presenti ed osservate durante il sonno REM. Una maggiore produzione di sorrisi Duchenne, quindi, non indicherebbe necessariamente una esperienza di gioia. I dati di questa ricerca, invece, dimostrano non soltanto che il neonato produce almeno due variabili di sorriso, ma che questi sono prodotti anche in presenza di uno stimolo esterno. Egli viene al mondo cioè con un “cervello comunicativo”, quindi è già pronto ad accogliere tutti gli stimoli, le interazioni e le esperienze col mondo esterno che sono

formative per lo sviluppo socioemozionale del bambino e lasciano un segno profondo fin da subito.

I risultati hanno mostrato che il sorriso sociale ed il sorriso sentito si sviluppano in modo non lineare: poco presenti subito dopo la nascita subiscono un incremento significativo tra le 10 e le 12 settimane per poi scemare verso le 20 settimane di età. Dato questo che è indipendente dalla durata delle interazioni, che abbiamo visto essere variabili e dipendenti dall’età del soggetto. A questa età il sorriso prodotto è strettamente interconnesso dal contatto visivo con un volto. Le diverse tipologie di sorrisi permettono al bambino di sviluppare, all’interno dell’interazione con la madre, dei pattern comunicativi, che vengono attivati qualora lo schema comunicativo sia interrotto. Infatti, le informazioni ottenuto da questo lavoro, hanno messo in evidenza come i dati relativi ad entrambe le tipologie di sorriso siano prodotte in modo più ragguardevole con la persona estranea, ciò sia per quanto fa riferimento alla numerosità degli episodi, alla loro durata ed alla loro intensità.

Verso i cinque mesi di età, così come ci si attendeva, l’attenzione verso il volto umano cala vistosamente. Il viso è cosa ben conosciuta per il bambino e la capacità di ricostituire il segmento interattivo, collaudato con la madre e disturbato dal volto di un estraneo, è cosa già sperimentata.

In sintesi, rispetto agli obiettivi generali iniziali, possiamo affermare che questo lavoro ha contribuito a fornire informazioni sul neonato e sul lattante. E più precisamente che:

• Il neonato ha la capacità di riconoscere il volto di una persona estranea rispetto al volto della madre mantenendo il contatto visivo per un tempo più prolungato rispetto alla madre. A tre giorni dalla nascita il neonato ha sviluppata la capacità di discriminare il volto della madre da quello della persona estranea e lo dimostra attraverso una maggior tendenza al contatto visivo. Inoltre attua sorrisi esogeni, sia sociali che Duchenne, anche se questi sono indistinti per presenza, intensità e durata nella interazione con la madre rispetto alla persona estranea (i bambini che hanno sorriso con un adulto non lo hanno fatto con l’altro).

• A tre mesi di età il lattante è capace di discriminare a livello emozionale l’interazione con la madre rispetto ad una persona estranea. Indipendentemente dalle motivazioni che spingono il lattante ad una maggiore attivazione, tale capacità è esternata da una maggiore quantità, durata ed intensità di sorrisi, siano questi sociali o Duchenne, oltre ad una maggiore presenza e durata del contatto visivo con la persona estranea.