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Origine e sviluppo dell’intersoggettività

CAPITOLO 1. LO STUDIO DELLE EMOZIONI

1.8 L’intersoggettività

1.8.1 Origine e sviluppo dell’intersoggettività

Secondo Trevarthen43 gli esseri umani nascono con una capacità innata a entrare in contatto con le emozioni e gli interessi degli altri ed a condividerne l’esperienza. Ciò come una sorta di necessità che spinge il bambino alla ricerca di compagnia come elemento funzionale al suo sviluppo, questo sia dal punto di vista culturale che di preparazione alla cooperazione in una società organizzata in base ai significati condivisi (Treverthen, 2003, 2005). Colloca l’origine dell’intersoggettività nei primi giorni di vita. L’autore ne individua quattro fasi di sviluppo:

1. Da 0 a 2 mesi - Intersoggettività primaria: caratterizzata da un progressivo aumento di interesse, quasi esclusivo, per l’altro umano. È caratterizzata dalla “coordinazione tra sé e l’altro attraverso il rispecchiamento empatico”44

42 Bruner J. (1996), La cultura dell’educazione, Feltrinelli, Milano, pag. 176.

43 Trevarthen, C. (1998), The concept and foundations of infant intersubjectivity. In: Braten, S. (a cura di) Intersubjective Communication and Emotion in EarlyOntogeny. Cambri dge Uni versi ty Press, Cambridge.

2. Da 3 a 6 mesi : comparsa di un grande interesse per gli oggetti, sviluppo di giochi interpersonali sempre più complessi, basati sullo sviluppo di aspettative reciproche e alternanza tra interazione con oggetti e con persone.

3. Da 7 a 9 mesi: comparsa di comportamenti di esibizione di sé per attrarre e mantenere l’attenzione su di se. Aumento, in quantità e complessità dei giochi interpersonali: l’altra persona viene inclusa nel gioco.

4. Da 8 a 14 mesi – Intersoggettività secondaria: a nove mesi il bambino inizia a dirigere l’attenzione sull’oggetto di attenzione dell’altro. Si ha uno sviluppo di relazioni triadiche tra sé, altro e oggetti (passaggio che avviene tra i 9 e 10 mesi). Si sviluppa un’intersoggettività cooperativa che si manifesta attraverso lo scambio di gesti comunicativi e l’imitazione nell’utilizzo degli oggetti. Questo tipo di intersoggettività continua il suo sviluppo nel secondo anno di vita “quando la consapevolezza della condivisione di interazioni rispetto a particolari oggetti si arricchisce progressivamente della consapevolezza della condivisione dei significati, che è alla base dell’apprendimento culturale”45

Così come Trevarthen, anche Meltzoff (Meltzof, Decety, 2003; Meltzoff, Moore, 1997) ritiene che esista una predisposizione innata a percepire e a riprodurre le espressioni facciali. Il neonato ha la possibilità di attingere ad processo attivo e progressivo reso possibile da un dispositivo neurale che permette di riprodurre e quindi riconoscere in se lo stesso movimento facciale riconosciuto nell’interlocutore e quindi riprodotto, ovvero un “accoppiamento”: la vera l’intersoggettiva è nell’esperienza che il neonato vive nell’imitazione, non nell’imitazione in quanto tale.

Per Alan Fogel le persone esistono e si sviluppano solo in relazione agli altri ed al loro ambiente. Secondo l’Autore, esiste un adattamento continuo tra madre e bambino fatto di aggiustamenti posturali, di modulazione della direzione dello sguardo, nelle espressioni facciali e vocali. Egli parla di una sorta di co-regolazione delle emozioni attraverso le espressioni facciali ovvero di comportamenti che tendono a ripetersi stabilizzando i pattern di comunicazione all’interno della diade. Fogel colloca le origini dell’intersoggettività tra la fine del secondo mese e l’inizio del terzo, con la comparsa delle prime interazioni faccia a faccia tra lattante e adulto e il processo di co-regolazione tra i due. L’origine dell’intersoggettività è spostata in questa fase in quanto, secondo Fogel, prima di tale soglia al neonato mancherebbe un “senso di coerenza”, cioè senso integrato di se stessi come entità fisica dotata di coesione e

di confini, e un senso di continuità dell’esperienza che, per i neonati, resta piuttosto frammentata.

Per Stern (Stern, 2004)l’intersoggettività è una necessità primaria in cui la mente, “per sua natura è costantemente in cerca di altre persone con cui entrare in risonanza e condividere le esperienze”46 sposta ancora più in avanti la comparsa dell’intersoggettività, a nove mesi, ritiene che sia necessaria da parte del neonato la capacità di comprendere lo stato interno dell’altro dal suo comportamento manifesto, e di mostrare l’intenzione di condividerlo o modificarlo.

Nella relazione diadica, i neonati comunicano col contatto oculare, le espressioni facciali, le vocalizzazioni ed i gesti, mentre regolano il ritmo delle loro interazioni a quella della loro controparte, costruendo con essa dei dialoghi. Gli studiosi si sono interrogati sulla possibilità che i neonati comprendano le emozioni degli altri, arrivando a definizioni controverse. Alcuni teorici come Piaget propongono che i bambini fino a 9 o 18 mesi non sono consapevoli degli stati mentali degli altri, e di conseguenza durante tale periodo sono incapaci di comunicare. Altri come Bruner, Legerstee o Trevarthen, sostengono che i bambini nascono con una intersoggettività primaria che si sviluppa in seguito una forma comunicativa più complessa.

Il neonato sin dalle 6-10 settimane durante la comunicazione faccia a faccia mostra insiemi di espressioni facciali, vocali e gestuali, contingenti a quelle del partner. Inoltre dimostra di possedere la capacità di discriminare e comprendere la qualità affettiva e la contingenza delle espressioni del partner. Queste capacità sono una dotazione che da modo al lattante di coinvolgersi nell’esperienza intersoggettiva di compartecipazione degli affetti.

Per Edward Tronick il neonato ha la capacità di elaborare competenze comunicative e sperimenta l’intersoggettività e, con la comunicazione con la madre che avviene nel rapporto faccia-a-faccia, elabora le competenze comunicative di cui dispone. Per l’Autore, l‘intersoggettività si sviluppa dal terzo mese, ed è la mutua regolazione degli stati affettivi dei partner coinvolti nel processo di comunicazione, che può originare o fallire nella generazione degli “stati di coscienza” che espandono l’organizzazione degli stati mentali del lattante (Tronick, 1998, 2005)

Secondo Gergely e Watson47 (Gergely e Watson, 1999) l’intersoggettività è il risultato della percezione che hanno i bambini della vicinanza sociale. Alla nascita i bambini sono in grado di rilevare solo l’effetto che le loro proprie azioni hanno sul mondo. Questa capacità è

46 Stern D.N. (2004), Il momento presente: in psicoterapia nella vita quotidiana, Raffaello Cortina, Milano.

47 Gergely, G., Watson, J. (1999), Early social emotional development: Contingency perception and the social

biofeedback model, In Rochat, P. (a cura di), Early social Cognition: Understanding Others in the First Months fof Life, Lawrence Erlbaum, Hillsdale, NJ, pp. 101-137.

importane per lo sviluppo della consapevolezza dell’io, ma secondo gli Autori è solo dopo i tre mesi di età che i bambini iniziano ad essere sensibili al tipo di interazione e di vicinanza degli adulti e perciò non si orientano verso di loro, non stabilendo relazioni interpersonali nei primi mesi di vita.

Secondo i ricercatori e gli studiosi, per lo sviluppo di una prima forma di intersoggettività è di importanza fondamentale che il neonato sia in grado di distinguere gli oggetti dall’uomo e che possa comunicare, fin dai primi giorni di vita con le altre persone attraverso il contatto oculare, inoltre per comprendere come i bambini comunicano è importante chiarire quali sono le capacità visive dei neonati.