• Non ci sono risultati.

CAPITOLO 1. LO STUDIO DELLE EMOZIONI

1.6 L’emergere delle emozioni

Così come emerge dalle teorie suesposte, c’è mancanza di una sostanziale concordanza su cosa sia esattamente un’emozione, parimenti c’è discordanza su cosa sia un’emozione in età neonatale, su quali siano i presupposti di partenza. Maggiore concordanza, invece, si rileva dopo i due mesi di vita, passando da un livello apparentemente poco articolato a livelli sempre più sofisticati.

Esistono diversi approcci allo studio delle emozioni in età neonatale ed ogni diverso approccio ha dato vita a teorie che in alcuni casi sono in aperta contraddizione.

La sequenza evolutiva dello sviluppo delle emozioni trova sostanzialmente in accordo gli studiosi di due orientamenti. Nel primo orientamento, secondo la teoria differenzialele emozioni sono processi innati distinti. Nel secondo, la teoria della differenziazione, innestandosi nel filone costruttivista, enfatizza invece il ruolo dei fattori legati all’interazione con l’ambiente.

Un primo periodo di vita, dalla nascita al secondo mese, è caratterizzato da reazioni emotive innate, regolate da processi biologici codificati; il secondo periodo (dal secondo, terzo mese all’anno) le espressioni emotive presentano le prime forme di interazione sociale. Nel terzo momento compaiono le prime emozioni sociali che l’individuo apprende soprattutto grazie al contesto culturale d’appartenenza. La socializzazione delle emozioni poi, fa sì che il bambino apprenda come esprimere le emozioni, quando esprimerle in funzione al contesto e come definirle con un lessico appropriato. Il traguardo evolutivo verrebbe infine raggiunto nel momento in cui il bambino è competente anche dal punto di vista emozionale. La competenza emotiva implica la capacità di distinguere le proprie emozioni, ma anche quella di partecipare in maniera empatica alle emozioni altrui e di comprenderle anche qualora il comportamento emotivo altrui sia inatteso o contrasti con le norme culturali di riferimento.

1.6.1 Teoria della differenziazione emotiva

Le teorie psicologiche che hanno studiato le emozioni si sono concentrate soprattutto sullo studio di soggetti adulti. E’ solamente negli anni più recenti che l’interesse a comprendere come nascano e si sviluppino le emozioni nei bambini comincia ad affermarsi con maggiore precisione.

Una delle prime ricerche sulle emozioni nell’infanzia è stata condotta, negli anni ’30, da Bridges (Bridges, 1932), attraverso l’osservazione delle risposte fisiologiche di bambini di età compresa tra un mese e due anni, accolti in un orfanotrofio di Montreal e seguiti per un arco

di circa quattro mesi. La prospettiva teorica a cui tale studio, puramente descrittivo, ha dato vita e che, negli anni successivi, è stata ampliata e rielaborata da Sroufe (Sroufe, 1979; 1995), viene chiamata teoria della differenziazione emotiva. Nella rielaborazione teorica di Sroufe, il peso attribuito allo stato iniziale di eccitazione appare ridimensionato, mentre assume rilievo lo sviluppo cognitivo cui è assegnato il ruolo di organizzare le emozioni. L’apporto decisivo dell’attività cognitiva favorisce il tipo di interpretazione che il piccolo assegnerà ai segnali interni, inizialmente di tipo fisiologico. Viene a tracciarsi una sequenza evolutiva che, da un iniziale stato di indifferenziazione, vede progressivamente l’emergere delle diverse emozioni secondo tre percorsi: quello che caratterizza il sistema piacere-gioia, quello del sistema circospezione-paura e quello del sistema rabbia-collera. Da uno stato fisico di benessere generale, tipico del sistema piacere-gioia che caratterizza i primi due mesi di vita, emergono risposte piacevoli che, ad esempio, si esprimono attraverso il sorriso endogeno39, ma che non possono essere ancora definite emozioni chiaramente identificate e distinte. Nello stesso modo, le reazioni di trasalimento e le risposte di pianto oppure i segni di disagio di fronte alla fame, al sonno o alla limitazione nei movimenti sono altrettanti precursori tipici, le prime, del sistema circospezione- paura e, le seconde, del sistema frustrazione-rabbia.

Lo sviluppo del sistema piacere-gioia, relativamente rapido, vede affermarsi, nel piccolo di tre mesi, reazioni emotive puntuali, sostenute dal significato cognitivo che viene attribuito allo stimolo. In questa fase, il piccolo indirizza il suo sorriso (sorriso sociale) verso l’oggetto o la persona con cui entra in contatto. Tale risposta, indica un’emozione di piacere, svincolata dalla semplice attivazione fisiologica. Emozione che, nel corso del quarto mese di vita, si precisa meglio nella forma del sorriso attivo e della gioia. All’interno del sistema circospezione-paura, un percorso analogo seguono le reazioni di disagio che, intorno ai quattro mesi, si differenziano in disappunto e in sorpresa in connessione a stimoli specifici che possono intimorire o spaventare.

Altre forme di reazioni di disagio, tipiche del sistema frustrazione-rabbia, sono quelle di delusione e di insoddisfazione, evidenti al ridosso della fine del primo semestre di vita se, per esempio, al piccolo viene sottratto un oggetto che stringe nella mano o quando viene interrotta l’alimentazione. Tali emozioni nel secondo semestre di vita evolvono in risposte di rabbia e, in seguito, in reazioni emotive di collera. In questo processo di progressiva differenziazione, in cui assumono larga importanza le dimensioni sociali e cognitive, i precursori emotivi legati alle prime reazioni fisiologiche non si annullano del tutto, ma possono riemergere in

39 sorriso endogeno: senza valore sociale, sorriso non intenzionale,definizione tratta in Vianello R., Boc C.,

condizioni di forte stress o di fronte a particolari condizioni elicitanti. 1.6.2 La teoria differenziale delle emozioni

Diversamente dalla teoria della differenziazione di Sroufe, quelle elaborata da Izard (Izard, 1982) sostiene che il neonato possegga, fin dalla nascita, un certo numero di emozioni fondamentali e differenziate, basate su programmi innati e universali. In particolare Izard individua nove emozioni di base: interesse, gioia, tristezza, disgusto, sorpresa, collera, disprezzo, paura, vergogna, ciascuna delle quali ha un preciso valore adattivo. La denominazione “teoria differenziale” indica il carattere distintivo delle espressioni fenomenologiche e motivazionali delle emozioni che si manifestano attraverso configurazioni facciali e vocali specifiche. Le diverse emozioni, in altri termini, non nascono da uno stato indifferenziato iniziale, ma possiedono qualità peculiari che ne permettono una facile identificazione. In questa prospettiva, l’emozione non è semplicemente la risposta ad uno stimolo, ma rappresenta una forma di organizzazione innata che motiva il comportamento e gli affetti. Il carattere rigido e fortemente ancorato alla componente innata e alla specificità dei sistemi neuronali che caratterizza le emozioni nella fase iniziale di sviluppo, rapidamente evolve in forme più flessibili, grazie all’influenza delle relazioni e della socializzazione. Alcune emozioni sono, quindi, già presenti alla nascita, mentre altre, dovendo assolvere un compito adattivo, emergono nel corso dello sviluppo. Nel primo e nel secondo mese di vita, il neonato manifesta a livello di esperienza sensorio-affettiva, le emozioni negative e positive, quelle di interesse, disgusto e trasalimento, essenzialmente per comunicare i propri bisogni e, solo indirettamente, per stabilire un contatto con le figure di accudimento. In una seconda fase, che inizia intorno al terzo mese di vita ed è caratterizzata da più evidenti processi percettivo-affettivi, il bambino incomincia a manifestare un’attenzione specifica verso persone ed oggetti. Emergono, così, le emozioni che consentono di elaborare le informazioni derivanti da eventi inattesi (sorpresa), di reagire agli ostacoli (collera) o di evitarli (paura). Con lo sviluppo di un ulteriore livello, quello dei processi cognitivo-affettivi, il bambino, a partire da nove mesi, acquisisce una maggiore consapevolezza di sé come agente e comincia a sviluppare una certa memoria degli eventi e una coscienza maggiore degli ambienti che lo circondano. Grazie a emozioni come la vergogna, la timidezza e la paura, il bambino può ampliare lo spettro delle sue conoscenze e acquisire una maggiore padronanza sul mondo, attraverso il processo di differenziazione tra sé e gli altri.

La socializzazione e l’acquisizione delle prime regole che l’ambiente impone come modalità idonee per esibire le emozioni, fanno sì che queste perdano la loro connessione

iniziale con le espressioni fisiologiche e diventino sempre più socialmente determinate. Dal secondo anno, i bambini imparano a mostrare ciò che provano in accordo con le regole sociali e, quindi, diventano capaci di esagerare, minimizzare, neutralizzare, mascherare o simulare le espressioni emotive (Ekman, 1972).

Sia la teoria della differenziazione che il modello differenziale riconoscono un parallelismo tra lo sviluppo emotivo, lo sviluppo cognitivo e lo sviluppo sociale e ammettono l’intervento di fattori biologici, cognitivi e sociali nel determinare la risposta emotiva (Batacchi, 2004). Come emerso dalle teorie sopraccitate lo sviluppo emotivo deve essere studiato parallelamente con lo sviluppo cognitivo e sociale, poiché l’individuo pensa, agisce e sente come una totalità e nessuna parte può essere studiata in isolamento dal resto (Gottlieb, 1991; Magnusson, 1998; Werner, Kaplan, 1963). L’emozione e la cognizione si influenzano reciprocamente in modo continuo e praticamente tutto lo sviluppo cognitivo ed emozionale avviene in una matrice sociale. Come già aveva affermato Jean Piaget (Piaget, 1962) l’emozione e la cognizione non sono dissociabili, poiché la cognizione è al servizio dell’emozione e le esperienze emotive modificano le strutture cognitive. Non c’è priorità tra sviluppo emotivo e cognitivo: entrambi agiscono parallelamente come strutture inseparabili fin dalle primissime fasi dello sviluppo.