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LA CONFISCA SENZA CONDANNA PER GLI ENT

Nel documento La confisca in assenza di condanna (pagine 76-83)

Il D.lgs. n. 231 del 2001 ha introdotto la c.d. “responsabilità amministrativa da reato” dell’ente, ponendo fine alle discussioni sviluppatesi in dottrina attorno all’antico brocardo “societas delinquere non potest”.

Le maggiori questioni che hanno interessato il sistema delineato dal decreto concernono la natura giuridica da attribuire a tale responsabilità. Prima di affrontare il tema della confisca, o meglio delle confische, all’interno del “Decreto 231”, è di preliminare importanza chiarirne la natura penale, civile o, come spesso sostenuto non solo in dottrina, di tertium genus, a cavallo tra responsabilità penale e amministrativa160.

Orbene, l’espressione “responsabilità amministrativa” da reato aveva persuaso parte della dottrina a ritenerne la natura amministrativa. Ciò, anche sulla base della disciplina concernente le vicende modificative dell’ente, distante da quella penale. Ciononostante, non può accogliersi una tale prospettiva, al pari di quella di una responsabilità mista, la quale, invero, non risolve i problemi di disciplina, di matrice assolutamente pratica. La responsabilità degli enti è indubbiamente penale161,

159 Cfr. Cass. pen., Sez. III, 20 novembre 2017 (c.c. 13 luglio 2017), – FIALE, Presidente – DI NICOLA, Relatore – P.G., – Martino, ricorrente, nella quale distingue tra accertamento pieno di responsabilità e accertamento solo incidenter tantum.

160 Sulla vexata quaestio della natura giuridica della responsabilità amministrativa degli enti, cfr.: G.

AMARELLI, Profili pratici della questione sulla natura giuridica della responsabilità degli enti, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, p. 151 ss.; V. MAIELLO, La natura (formalmente amministrativa ma sostanzialmente penale) della responsabilità degli enti nel d.lgs. n. 231/2001: una «truffa delle etichette» davvero innocua?, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2001, p. 879 ss.; S. PIZZOTTI, La natura della responsabilità delle società, nel d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, in Resp. civ. prev., 2002, p. 898 ss.

161 Tra i tanti che ne sostengono la natura pena, cfr.: G. AMARELLI, Mito giuridico, p. 967 ss.;

ID., Profili, cit., p. 167 e 170 ss.; M. BARBUTO, Responsabilità amministrativa della società per reati commessi a suo vantaggio, in Impresa c.i., 2001, p. 932; A. CARMONA, Premesse a un corso di diritto penale dell’economia, Cedam, Padova, 2002, p. 208; L. CONTI, La responsabilità amministrativa delle persone giuridiche. Abbandonato il principio societas delinquere non potest?, in ID. (a cura di), Il diritto penale dell’impresa, Cedam, Padova, 2001, p. 866; T.E. EPIDENDIO, I principi costituzionali e internazionali e la disciplina punitiva degli enti, in A. BASSI/T.E. EPIDENDIO, Enti e responsabilità da reato, Giuffrè, Milano, 2006, p. 454 ss.; G. FIANDACA/E. MUSCO, Diritto penale, pt. gen., 6a ediz., Zanichelli, Bologna, 2009, p. 165; A. FIORELLA, Principi generali e criteri di imputazione all’ente della responsabilità amministrativa, in G. LANCELLOTTI (a cura di), La responsabilità della società per il reato dell’amministratore, Giappichelli, Torino, 2003, p. 85 s.; ID., Responsabilità da reato degli enti collettivi, in S. CASSESE (dir.), Dizionario di diritto pubblico, vol. V, Giuffrè, Milano,

nonostante la giurisprudenza maggioritaria sia di contrario avviso162 per evidenti ragioni sistematiche, e ciò è sostenibile sulla base di una molteplicità di evidenze.

In primis, il presupposto applicativo della disciplina è il reato o almeno un fatto tipico

e antigiuridico; in secondo luogo l’autorità competente a svolgere le indagini è il PM, così come è il giudice penale ad avere la cognizione dell’illecito commesso dall’ente163, in relazione al quale pronuncia sentenza di condanna o decreto penale di condanna. Il procedimento è quello penale, con le correlative garanzie cui il decreto fa, in quanto compatibili, espresso rinvio. Si noti, inoltre, come il giudice resti competente anche ove il reato si sia estinto per causa diversa dall’amnistia164. Ciò che maggiormente rileva, ai nostri fini, è l’afflittività165 dei meccanismi sanzionatori previsti nel decreto; condizione, questa, che contribuisce a delineare la natura sostanzialmente penale della responsabilità in esame.

Orbene, il D.lgs. in argomento, pone accanto alle sanzioni pecuniarie, alla pubblicazione della sentenza di condanna e alle sanzioni interdittive166, la confisca. In

2006, p. 5101 (responsabilità quantomeno “para-penale”); E. MUSCO, Le imprese a scuola di responsabilità tra pene pecuniarie e misure interdittive, in Dir. e giust., 2001, n. 23, p. 8 s.; ID., C.E. PALIERO, Il d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231: da ora in poi, societas delinquere (et puniri) potest, in Corr. giur., 2001, p. 845; C. PIERGALLINI, Societas delinquere et puniri non potest: la fine tardiva di un dogma, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2002a, p. 598; ID., Societas delinquere et puniri non potest. Riflessioni sul recente (contrastato) superamento di un dogma, in Quest. giust., 2002b, p. 1103; A. TRAVI, La responsabilità della persona giuridica nel d.lgs. n. 231/2000: prime considerazioni di ordine amministrativo, in Soc., 2001, p. 1305 s.

162 Diversamente da Cass. pen, sez. un., 27 marzo 2008 (2 luglio 2008), n. 26654, Fisia Italimpianti e

altri (in Riv. it. dir. proc. pen, 2008, p. 1746, con note di V. MONGILLO, La confisca del profitto nei confronti dell’ente in cerca d’identità: luci e ombre della recente pronuncia delle Sezioni Unite, ivi, p. 1758 ss. e di E. LORENZETTO, Sequestro preventivo contra societatem per un valore equivalente al profitto del reato, ivi, p. 1788, la quale non si è espressa sulla responsabilità degli enti, affermando soltanto che “il sistema sanzionatorio proposto dal d.lgs. 231 fuoriesce dagli schemi tradizionali del diritto penale – per così dire – “nucleare”, incentrati sulla distinzione tra pene e misure di sicurezza, tra pene principali e pene accessorie, ed è rapportato alle nuove costanti criminologiche delineate nel citato decreto”, Cass. S.U. n. 10561 del 2014, imp. Gubert, hanno evidenziato che nell’ordinamento giuridico vigente esiste solo una responsabilità amministrativa e non penale, sicchè l’ente non può essere né autore del reato, né tantomeno concorrente.

163 Art. 36 co. 1 D.lgs. 231 del 2001. 164 Art. 8 D.lgs. cit.

165 Sul punto, cfr.: G. AMARELLI, Profili pratici della questione sulla natura giuridica della

responsabilità degli enti, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, p. 151 ss.

166 Le sanzioni interdittive potrebbero essere lette come misure di sicurezza, dal momento che l’art. 13

co 1 lett a) del D.lgs. potrebbe sottendere ad una più accentuata pericolosità oggettiva dell’ente; al pari della lett.b) del medesimo decreto. Anche la possibilità di adozione di un modello di organizzazione e gestione ex post per scongiurare l’applicazione delle sanzioni interdittive potrebbe essere letto in tali termini. Ciò vale per le sanzioni interdittive ma non per la confisca, indice sintomatico del suo carattere marcatamente punitivo. Tuttavia, deve evidenziarsi che la funzione di tali sanzioni interdittive è generalpreventiva, nel segno della deterrenza, ne consegue una maggiore sussumibilità all’interno del genus della pena. Così, G. DE SIMONE, La responsabilità da reato degli enti: natura giuridica e criteri

verità, sono molteplici le tipologie di confisca, denominate generalmente sanzioni amministrative167 dal “Codice degli enti”, variamente previste agli artt. 6, 9, 15, 17, 19, 23 del D.lgs. 159/11.

L’art. 19168, rubricato “Confisca”, prevede un caso di confisca obbligatoria, anche per equivalente, applicata alla persona giuridica con la condanna formale. La dottrina, ne ha riconosciuto la natura di pena, e di conseguenza, tale disposizione non sembra porre particolari problemi in punto di garanzie penalistiche, che sembrano tutelate dalla necessità del pronunciamento di condanna.

Semmai, tale tipo di confisca pone i medesimi problemi che si sono visti nel caso della ‘confisca allargata’ nei termini del quantum da confiscare.

Più precisamente, la giurisprudenza si è da sempre interrogata sulla nozione di profitto confiscabile. Come già evidenziato, sussiste estrema difficoltà nell’accertamento del nesso di pertinenzialità del provento del reato e del risultato dell’attività lecita di grandi realtà societarie, solo contaminate da traffici delittuosi. Si tratta, invero, del problema circa la confiscabilità del profitto netto da reato, teoria superata dalla Corte di Cassazione, la quale ha fornito una nozione più lucida di profitto169, pur nella complessità dell’accertamento giudiziale.

oggettivi di imputazione, 28 ottobre 2012, disponibile

su https://www.penalecontemporaneo.it/upload/1351253564De%20Simone%20definitivo.pdf

167 Art. 9 D.lgs. cit.

168 Art. 19 del D.lgs. cit: “1. Nei confronti dell'ente è sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato, salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato. Sono fatti salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede.2. Quando non è possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato.”

169 Le S.U. 2 luglio 2008 definiscono il profitto come qualsiasi vantaggio economico immediatamente

derivante dal reato, ma “a tale espressione non va attribuito il significato di “utile netto” o di “reddito”, ma quello di “beneficio aggiunto di tipo patrimoniale”, a superamento quindi dell’ambiguità che il termine “vantaggio” può ingenerare”. La giurisprudenza successiva si è allineata alla posizione del Supremo Consesso, cfr.; Cass., 14.10.2009, n. 46215, secondo cui si deve “differenziare il vantaggio economico derivante direttamente dal reato (profitto confiscabile) e il corrispettivo incamerato per una prestazione lecita eseguita in favore della controparte, pur nell’ambito di un affare che trova la sua genesi nell’illecito (profitto non confiscabile)”; Cass. Pen., S.U., 25.6.2009, n. 38691, per la quale il “profitto del reato deve essere identificato col vantaggio economico ricavato in via immediata dal reato” e a tale vantaggio “non va attribuito il significato di utile netto o di reddito, bensì di beneficio aggiunto di tipo patrimoniale”; la sentenza sottolinea inoltre che “occorre ...una correlazione diretta del profitto con il reato ed una stretta affinità con l’oggetto di questo, escludendosi qualsiasi estensione indiscriminata o dilatazione indefinita ad ogni e qualsiasi vantaggio patrimoniale, che possa comunque scaturire, pur in difetto di un nesso diretto di causalità, dall’illecito”; Cass., 13.1.2009, n. 7718, secondo cui “per «profitto» deve intendersi il vantaggio economico direttamente ed effettivamente conseguito con l’illecito”, con la conseguenza che “l’imputazione a profitto di semplici crediti, anche se liquidi ed esigibili, non può essere condivisa poiché, in effetti, trattasi di utilità non ancora percepite, ma solo attese”; Trib. Palermo, Sez. Riesame, 14.10.2008, secondo la quale nelle ipotesi di “attività

In sostanza, la commistione tra “incomes” leciti ed illeciti risulta particolarmente complicata, di talchè, nella prassi giudiziaria, si finisce per confiscare anche il risultato economico favorevole derivante da un’attività lecita170.

Di conseguenza, può affermarsi che si celano profili di confisca senza condanna dietro la nozione di profitto171.

La questione del profitto netto è inscindibilmente legata alla natura dell’attività produttiva del profitto. Sebbene, sul punto sia stata risolutiva la Cassazione a Sezioni Unite intervenuta nel 2008172, sono di particolare interesse le riflessioni sviluppati dal Supremo Consesso nel 2014, nella specifica materia dei reati tributari173.

Si è, infatti, posto il problema relativo alla confiscabilità per equivalente dei proventi di reati non previsti nel catalogo dei reati presupposti alla 231, quali quelli tributari. La Corte ha concluso per la non confiscabilità dei proventi di reati tributari.

Invero, la materia dei reati tributari non pone particolari questioni, e, piuttosto, con l’introduzione dell’art. 12-bis nel D.lgs 74/2000174, merita condivisione. Con tale articolo, infatti, è stata prevista l’applicazione della misura della confisca subordinata alla condanna formale, la quale non viene applicata nel caso di pagamento ex post da parte del contribuente175. Ciò, disvela la natura punitiva di tale tipologia di confisca. Non così, il sistema delineato dal D.lgs. 231/01, il quale alle condotte riparatorie dell’ente fa seguire l’applicazione della misura ablatoria reale176, in assenza di

economica...che opera lecitamente e soltanto in via episodica deborda nella commissione di un delitto”, “l’individuazione del profitto deve essere adeguata alla concreta situazione che viene in considerazione e presuppone la distinzione di quelle parti di profitto lecito, rispetto a quelle che hanno una genesi illecita”.

170 M. ROMANO, Confisca, responsabilità degli enti, reati tributari, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015,

1675 ss..

171 Il profitto viene dalla giurisprudenza definito come vantaggio direttamente ed immediatamente

derivante dal reato, e in tale nozione vengono ricompresi i risparmi d’impresa.

172 Cass. pen, sez. un., 27 marzo 2008 (2 luglio 2008), n. 26654, Fisia Italimpianti e altri, approfondita da: T. EPIDENDIO, La confisca nel diritto penale e nel sistema delle responsabilità degli enti, op cit., p. 112-113.

173 M. ROMANO, Confisca, responsabilità degli enti, reati tributari, cit.; G. DELLA VOLPE La confisca nei reati tributari: ermeneutici correttivi e problemi irrisolto, in Giurisprudenza penale, disponibile su www.giurisprudenzapenale.com; L. D’AGOSTINO, L’operatività della confisca e le sorti del sequestro preventivo in presenza di impegno al pagamento del debito tributario: in dubio pro reo? in Rivista Trimestrale di diritto tributario, 2017, 2, 367 ss.;

174 La riforma dei reati tributari che ha portato all’introduzione dell’art. in argomento è stata portata a

compimento con il d.lgs. n. 158/15.

175 La previsione è quella del co. 2 dell’art. 12-bis.

condanna. Peraltro, la logica è quella dell’art. 162-ter c.p. e non merita accoglimento, per come già evidenziato.

Taluna parte della dottrina ritiene che la confisca introdotta dal decreto, nelle forme dell’art. 19, non sia pena ma sanzione, sull’assunto che solo la sanzione pecuniaria sia pena e che la confisca per equivalente assuma il medesimo quantum della confisca diretta.

Orbene, la presenza di una sanzione che sia pena, secondo la lettera del decreto, non impone si riconosca la medesima natura ad altra misura prevista. Inoltre, la proporzionalità della confisca in argomento va contestata, sulla base della considerazione che per la stessa non sono previsti limiti edittali dal D.lgs. 231 del 2001 e che il profitto sfugge al nesso pertinenziale con il reato cui si riferisce177.

Di conseguenza, è di fondamentale importanza il riconoscimento, per via legislativa178, di un limite ragionevole alla confisca: deve essere sottratto all’ente, attraverso una pronuncia di condanna, ciò che deriva dal reato o l’equivalente del valore, senza andare oltre.

Il “sistema 231” conosce ulteriori tipi di confisca, quale quella prevista nel caso di inosservanza delle sanzioni interdittive di cui all’art. 23, comma 2; la confisca ex art. 15 co 4, la quale consegue alla gestione commissariale disposta dal giudice, in sostituzione dell’applicazione di una misura interdittiva; nonché la confisca da condotte riparatorie e da fatto altrui di cui, rispettivamente, agli artt. 17 e 6 co 5.

177 Nella misura in cui la confisca deve essere limitata ai soli vantaggi dipendenti da reato, a meno di

non voler legittimare un’aperta discrezionalità quanto all’individuazione del profitto confiscabile, i chiarimenti svolti dalla Cassazione a Sezioni Unite in punto di ricavi lordi-ricavi netti, di distinzione tra reati contratto e reati in contratto necessitano di criteri normativi. Ciò, al precipuo fine di evitare che la confisca all’impresa esondi rispetto a quanto derivante dal reato. Le medesime considerazioni possono valere per i contratti di impresa: sul punto la Corte di Cassazione ha ribadito che possono intendersi solo come ricavo effettivo. Ebbene, pare quantomeno discutibile la rilevanza dei risparmi di spesa nel caso di violazioni colpose. Sul punto, vedi S.U. n. 38343/14 Tyssenkrup. In tale pronuncia, il profitto confiscabile è stato ritenuto il quantum non speso dall’ente per acquisto di impianto di rilevazione dell’incendio. L’argomento non pare accettabile. L’oggetto della confisca viene individuato nel vantaggio di quanto non speso e non, a ragione, nel costo della mancata di adozione del modello di organizzazione e gestione che avrebbe scongiurato il reato, diversamente stanziando la colpa di organizzazione dell’impresa. Ne risulta un’ampia discrezionalità giudiziaria e la confisca diventa pena imprevedibile, che si aggiunge alla sanzione pecuniaria. Sul punto, vedi più approfonditamente: M. ROMANO, Confisca, responsabilità degli enti, reati tributari, op.cit.

178 La necessità di un’espressa tutela e di una maggiore perimetrazione degli effetti punitivi è anche

confermata dalla Cass. civ. S.U. n. 16601/17sui danni punitivi, con la quale la Corte ha consentito il risarcimento punitivo solo ove previsto da una legge o disposizione di legge ad hoc.

Preme soffermarsi sulle confische in assenza di condanna previste dal Codice e, in particolare sulla confisca senza responsabilità e senza condanna prevista nell’art.6. Preliminarmente, è bene evidenziare che la misura prevista nell’art. 23, dato il rinvio all’art. 19 non pone particolari problemi in quanto presuppone una condanna.

Non così le altre misure: la prosecuzione dell’impresa da parte del commissario giudiziale ex art. 15 porta poi alla confisca del profitto derivante da attività lecita. Parimenti, l’articolo 17, prevedendo la confisca senza condanna, con espressa esclusione delle altre sanzioni per l’ente che abbia adottato condotte riparatorie conferma la natura afflittiva di questa misura e ne acuisce la problematicità.

Inoltre, l’art. 6 co. 5 il quale prevede l’applicazione della confisca per fatto altrui, vale a dire quello commesso dai soggetti in posizione apicale che operano all’interno dell’ente, sul presupposto dell’assenza di responsabilità dell’ente, non convince. La previsione di un tale tipo di confisca, senza condanna ma anche senza responsabilità, definitiva, eccezione alla regola generale della condanna, fa emergere una natura stricto sensu sanzionatoria che, sebbene prevista espressamente dalla legge, necessita di essere munita di garanzie apposite.

In definitiva la misura della confisca in tal caso si traduce in una pena senza responsabilità per l’ente. Pare qui emergere l’istituto dell’ingiustificato arricchimento di matrice civilistica che, però, non ha ragione d’essere all’interno del sistema penale. Né si comprende, come invece sostenuto dalla Cassazione179, perché la confisca-pena debba “ristabilire l’equilibrio economico alterato dal reato-presupposto”, in relazione ad “un profitto geneticamente illecito”180, quasi a voler implicare una pericolosità

179 L’orientamento giurisprudenziale è consolidato: ex plurimis Cass. n. 52179/14, la quale afferma che

la confisca del profitto che l’ente ha tratto dal reato ex art. 6 co 5 del D.lgs. in esame, rispecchia una prospettiva non di tipo sanzionatorio (non ricorrendo un’ipotesi di responsabilità amministrativa dell’ente) ma di ripristino dell’ordine economico turbato dal reato, che ha determinato un’illegittima locupletazione per l’ente, a vantaggio del quale il reato è stato commesso dai suoi rappresentanti. Tale Cass. recepisce l’orientamento delle già citate S.U. 2 luglio 2008, Fisia Italimpianti Srl, in CED n. 239925. Sulla diversa natura tra confisca ex artt. 9 e 19 rispetto a quella dell’art. 6 co 5, vedi Cass.VI sez. pen. n. 3635/14.

180 Le S.U. 2008, a proposito della natura giuridica dell’art. 6 co. 5 del D.lgs. 159/11, evidenziano quanto

segue: “L’art. 6/5° prevede, però, la confisca del profitto del reato, commesso da persone che rivestono funzioni apicali, anche nell’ipotesi particolare in cui l’ente vada esente da responsabilità, per avere validamente adottato e attuato i modelli organizzativi (compliance programs) previsti e disciplinati dalla stessa norma.

In questa ipotesi, riesce difficile cogliere la natura sanzionatoria della misura ablativa, che si differenzia strutturalmente da quella di cui all’art. 19, proprio perché difetta una responsabilità dell’ente. Una parte della dottrina ha ritenuto di ravvisare in tale tipo di confisca una finalità squisitamente preventiva, collegata alla pericolosità del profitto di provenienza criminale. Ritiene la Corte che, in questo specifico

soggettiva pro futuro dell’ente, stimolata dal profitto ingiustificato nella sua disponibilità. Il rischio della commissione di reati non sussiste in capo all’ente in quanto lo stesso ha adottato i M.O.G. e vigilato sulla liceità dell’attività posta in essere. L’art. 6 co. 5, in ultima analisi, si configura come misura preventiva, che arretra la soglia di rilevanza penale ancor più della confisca di prevenzione. Per questa, infatti, devono sussistere quanto meno gli indizi, per la confisca da responsabilità oggettiva dell’ente, invece, la condotta conforme e lecita dello stesso legittima la misura ablatoria reale.

Per ricondurre a legalità tale misura va recuperata, e non in via meramente interpretativa, una dimensione di responsabilità soggettiva dell’ente, quale, se non una colpa di organizzazione ex ante, peraltro in contraddizione con la lettera della legge, una responsabilità ex post, nei termini di un’utilizzazione consapevole da parte dell’ente, delle risorse illecite nella sua disponibilità, solo inizialmente ‘inconsapevole’.

caso, dovendosi -di norma- escludere un necessario profilo di intrinseca pericolosità della res oggetto di espropriazione, la confisca assume più semplicemente la fisionomia di uno strumento volto a ristabilire l’equilibrio economico alterato dal reato-presupposto, i cui effetti, appunto economici, sono comunque andati a vantaggio dell’ente collettivo, che finirebbe, in caso contrario, per conseguire (sia pure incolpevolmente) un profitto geneticamente illecito. Ciò è tanto vero che, in relazione alla confisca di cui all’art. 6/5°, non può disporsi il sequestro preventivo, considerato che a tale norma non fa riferimento l’art. 53 del decreto, che richiama esclusivamente l’art. 19”.

Nel documento La confisca in assenza di condanna (pagine 76-83)