La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in quanti giudice di rilevanza sovranazionale deputato alla tutela dei diritti fondamentali cristallizzati nella C.E.D.U.429 ha da sempre, nelle sue decisioni su ricorsi individuali, adottato un criterio “sostanzialistico”. Il diritto penale, in quanto tale necessitante di garanzie rafforzate, non dipende dal nomen iuris e, per i fini della presente ricerca, dalla etichetta formale di ‘pena’ che ad una misura venga assegnata ma da alcuni indici sintomatici, individuati dalla Corte nell’avvicendarsi delle proprie pronunce.
L’utilizzo di tali criteri ha determinato uno stravolgimento della giurisprudenza interna, nonché dell’inquadramento interno di taluni istituti nazionali, e non solo con riferimento al caso italiano.
La Corte Edu ha, infatti, prima con il giudizio Engel contro Paesi Bassi del 1976430 e poi con la pronuncia Welch contro Regno Unito del 1995431, individuato una serie di criteri che denotano l’afflittività di una misura che deve essere ritenuta penale, anche se applicata all’interno di un procedimento civile o amministrativo.
La Corte ha infatti chiarito che: “Al fine di verificare se un procedimento ha ad oggetto “accuse in materia penale” ai sensi della Convenzione stessa si devono considerare tre diversi fattori. Principalmente la qualificazione data dal sistema giuridico dello Stato convenuto all'illecito contestato. Tale indicazione tuttavia ha solo un valore formale e relativo poiché la Corte deve supervisionare sulla correttezza di tale qualificazione alla
429 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. 430 La cui massima è stata ripresa dal caso successivo Ozturk contro Turchia del 1984.
431 Welch v. the United Kingdom, 9 February 1995, Series A no. 307-A Welch v. the United Kingdom
luce degli altri fattori indicativi del carattere “penale” dell'accusa. Secondariamente infatti, va considerata la natura sostanziale dell'illecito commesso vale a dire se si è di fronte ad una condotta in violazione di una norma che protegge il funzionamento di una determinata formazione sociale o se è invece preposta alla tutela erga omnes di beni giuridici della collettività, anche alla luce del denominatore comune delle rispettive legislazioni dei diversi Stati contraenti. Va infine considerato il grado di severità della pena che rischia la persona interessata poichè in una società di diritto appartengono alla sfera "penale" le privazioni della libertà personale suscettibili di essere imposte quali punizioni, eccezione fatta per quelle la cui natura, durata o modalità di esecuzione non possano causare un apprezzabile danno”432.
Applicando tali criteri al sistema delle confische in assenza di condanna ne discende l’applicazione di disposizioni e principi da esse derivanti che recano significati profondamenti diversi.
Rilevano, quindi, congiuntamente il nomen iuris che lo Stato membro dà alla misura, il tipo di illecito per cui si procede e il grado di severità della pena, elemento quest’ultimo che acquista una rilevanza pregnante in relazione al principio di proporzionalità, corollario della legalità penale.
Tuttavia, è bene evidenziare che con la pronuncia Welch contro Regno Unito, successiva a quella in cui la Corte ha enunciato i criteri c.d. Engels, la sostanza penale delle misure previste nelle legislazioni degli Stati membri ha acquisito un significato più evoluto. In particolare, il carattere penale di una misura dipende dalla consequenzialità dell’adozione della misura rispetto alla condanna per un reato; dalla natura e dallo scopo della misura; dal nomen iuris; dalle procedure di applicazione ed esecuzione della misura nonché dal grado di afflittività della medesima.
Da una immediata lettura risulta che i criteri c.d Welch433 siano una più approfondita elencazione dei requisiti afflittivi di tipo sostanziale delle misure su cui la Corte si trova a decidere e, dunque, si farà riferimento a questi per indagare la natura del variegato sistema delle confische in assenza di condanna. Ciò, in quanto, proprio l’adozione di questi analitici criteri ha consentito alla Corte di ritenere il confiscation inglese applicato retroattivamente come sostanzialmente lesivo dell’articolo 7 della
432 Engel e altri c. Olanda (Grande Camera, 8.06.1976)
433 Il riferimento ai criteri Welch è stato operato da L. V. LO GIUDICE, Confisca senza condanna e
Carta convenzionale, in quanto penale nella sua applicazione concreta. Tuttavia, va precisato che la Corte faccia a tutt’oggi riferimento ai soli criteri Engels, in quanto versione sintetica di quelli esposti nel caso Welch sopracitato434.
L’applicazione di tali criteri, Engels e Welch, determina l’estensione di tutte le tutele cristalizzate negli articoli 6 e 7 della CEDU alle tipologie di confisca in assenza di condanna che siano sostanzialmente afflittive e quindi penali secondo le categorie adottate dalla Corte Edu.
Tali articoli, nel loro volet pénal, tutelano la presunzione di innocenza (art. 6 par. 2) e il principio di legalità (art. 7).
Nella interpretazione della Corte, in relazione al caso della confisca senza condanna, il principio di legalità richiede che la confisca, se ritenuta sostanzialmente penale a causa della finalità punitiva perseguita e della sua natura obbligatoria, debba essere applicata in un procedimento in cui la parte o le parti in causa abbiano concretamente avuto la possibilità di presenziare e difendersi.
Inoltre, la confisca non può essere applicata a chi non sia stato parte in causa del procedimento in cui viene disposta, a pena della violazione dell’art. 7 CEDU435.
434 I criteri Engels sono, infatti, quelli cui rimanda la Corte costituzionale italiana –pronuncia n. 49 del
2015- durante la nota vicenda della confisca da lottizzazione abusiva, nel riferirsi al criterio della sostanziale afflittività adottato dalla giurisprudenza della Corte Edu. " Come è noto, la Corte EDU, fin dalle sentenze 8 giugno 1976, Engel contro Paesi Bassi, e 21 febbraio 1984, Öztürk contro Germania, ha elaborato peculiari indici per qualificare una sanzione come una “pena” ai sensi dell’art. 7 della CEDU, proprio per scongiurare che i vasti processi di decriminalizzazione, avviati dagli Stati aderenti fin dagli anni 60 del secolo scorso, potessero avere l’effetto di sottrarre gli illeciti, così depenalizzati, alle garanzie sostanziali assicurate dagli artt. 6 e 7 della CEDU (sentenza 21 febbraio 1984, Öztürk contro Germania). Non è stata perciò posta in discussione la discrezionalità dei legislatori nazionali di arginare l’ipertrofia del diritto penale attraverso il ricorso a strumenti sanzionatori reputati più adeguati, e per la natura della sanzione comminata, e per i profili procedimentali semplificati connessi alla prima sede amministrativa di inflizione della sanzione. Piuttosto, si è inteso evitare che per tale via andasse disperso il fascio delle tutele che aveva storicamente accompagnato lo sviluppo del diritto penale, e alla cui difesa la CEDU è preposta. In questo doppio binario, ove da un lato scorrono senza opposizione le scelte di politica criminale dello Stato, ma dall’altro ne sono frenati gli effetti di detrimento delle garanzie individuali, si manifesta in modo vivido la natura della CEDU, quale strumento preposto, pur nel rispetto della discrezionalità legislativa degli Stati, a superare i profili di inquadramento formale di una fattispecie, per valorizzare piuttosto la sostanza dei diritti umani che vi sono coinvolti, e salvaguardarne l’effettività.
È infatti principio consolidato che la “pena” può essere applicata anche da un’autorità amministrativa, sia pure a condizione che vi sia facoltà di impugnare la decisione innanzi ad un tribunale che offra le garanzie dell’art. 6 della CEDU, ma che non esercita necessariamente la giurisdizione penale (da ultimo, sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri contro Italia, con riferimento ad una sanzione reputata grave). Si è aggiunto che la “pena” può conseguire alla definizione di un procedimento amministrativo, pur in assenza di una dichiarazione formale di colpevolezza da parte della giurisdizione penale (sentenza 11 gennaio 2007, Mamidakis contro Grecia)”.
435 Ciò vale anche per le persone giuridiche: vedi, da ultimo C. eur. dir. uomo, Grande Camera, sent. 28
Se intesa alla stregua di pena, soggiace al principio di irretroattività e al divieto di un secondo giudizio436.
Il requisito della condanna, inoltre, coniugato secondo il principio di legalità convenzionale adottato dalla Corte Edu, viene inteso non come precipitato di una sentenza formale di condanna in base all’ordinamento interno, ma come condanna in senso sostanziale, che guardi, principalmente, agli elementi a carico della persona in giudizio a disposizione dell’autorità giudicante, sia in termini di prove dell’elemento oggettivo di reato, che del correlativo ed eliminabile elemento soggettivo.
L’art. 6 par. 2 C.E.D.U., infatti, presuppone, a pena della violazione della presunzione di innocenza437, inscindibilmente legata al principio di colpevolezza convenzionale di cui all’art. 7 C.E.D.U.438, che vi sia un legame intellettivo tra fatto e soggetto di diritto che il medesimo fatto abbia posto in essere, dichiarato solo con accertamento legale definitivo. Diversamente, va presunta l’innocenza della persona accusata del reato439 e nessuna misura punitiva può essere irrogata, tantomeno la confisca se ritenuta in concreto afflittiva.
La violazione del principio che promana dall’art. 6 par. 2, inoltre, può provenire anche da autorità diverse dal giudice, quale quella di pubblica sicurezza440.
principio di colpevolezza, partecipazione dell’ente al processo: l’attesa sentenza della Corte Edu, Grande Camera, in materia urbanistica, in Dir. pen. Cont., 3 luglio 2018. Si legge, nel par. 274 della sentenza di cui sopra che: “Con riferimento al principio per il quale un soggetto non può essere punito per un atto relativo alla responsabilità penale di un altro [soggetto] una confisca disposta, come nel caso oggetto di giudizio, nei confronti di soggetti o enti che non siano stati parti nel procedimento [che la infligge] è incompatibile con l’art. 7 della Convenzione”.
436 La compatibilità di detto istituto con tali fondamentali principi sarà oggetto del IV capitolo del
presente lavoro.
437 Chiarisce il significato della presunzione di innocenza nella interpretazione della Corte Edu, F. DEL
VECCHIO, Circolazione delle sentenze irrevocabili e presunzione d’innocenza nell’interpretazione della Corte europea, in archivio penale, n. 2/14, nota di commento a Corte eur. dir. uomo, Sez. V, 27 febbraio 2014, Karaman c. Germania.
438 “L’articolo 7 non menziona espressamente un legame morale fra l’elemento materiale del reato
ed il presunto autore. Ciò nonostante, la logica della pena e della punizione così come la nozione di ‘guilty’ (nella versione inglese) e la nozione corrispondente di ‘personne coupable’ (nella versione francese) sono nel senso di una interpretazione dell’articolo 7 che esiga, per punire, un legame di natura intellettiva (coscienza e volontà) che permetta di riscontrare un elemento di responsabilità nella condotta dell’autore materiale del reato, elemento in assenza del quale l’inflizione di una pena sarebbe ingiustificata”. (cfr. § 116, Corte EDU, sez. II, sent. 10 maggio 2012, ric. n. 75909/01, Sud Fondi e altri c. Italia).
439 In tal senso, Corte eur. dir. uomo, Sez. III, 8 dicembre 2009, Previti c. Italia; Id., 19 dicembre 1989,
Kamasinski c. Austria.
440 Corte eu. Dir. uomo, 10 febbraio 1995 e ibid. Allenet de Ribemont c. Francia 8 ottobre 2013,
Quanto la declinazione dei criteri sostanzialistici tanto l’interpretazione degli articoli della Carta convenzionale nel senso di una maggiore tutela hanno determinato un rafforzamento delle garanzie per molte ipotesi di confische senza condanna e condotto alla tripartizione delle misure, a seconda della funzione perseguita, in riparatorie, punitive e preventive. Nell’ultima ipotesi, tuttavia, sarà imprescindibile operare un
distinguo tra misure che hanno finalità di mera neutralizzazione, e misure lato sensu
punitive, quindi scopi di deterrenza, tali per cui il rispetto della matière penale pare imprescindibile.
Ciò, tenendo anche conto che vi sono tipologie di confisca senza condanna che perseguono una pluralità di funzioni, di talchè la natura sostanzialmente afflittiva o meno va assegnata avuto riguardo allo scopo prevalente.
Il caso della confisca di prevenzione italiano sembrerebbe di pronta soluzione, dato il
nomen assegnatole441 e la finalità efficientista che la misura persegue442.
Del resto, come vedremo più approfonditamente, la giurisprudenza nazionale ha in prevalenza giustificato il sistema delle misure di prevenzione, in termini di compatibilità costituzionale.
Tuttavia, l’orientamento giurisprudenziale prevalente deve “fare i conti” con il criterio di sostanziale afflittività adottato dalla Corte Edu. E, infatti, non sono mancate, nell’ordinamento interno, pronunce “recettizie” dell’interpretazione della Corte
441 Del resto, la logica del codice penale è di tipo formalista: è penale ciò che il legislatore ha etichettato
come penale. Ciò, emerge in modo assolutamente chiaro dal disposto dell’art. 1 del codice penale.
442 Tuttavia, vi sono state pronunce in cui la giurisprudenza, e in special modo il Giudice delle leggi, ha
rilevato la finalità efficientista di cui alla confisca di prevenzione. In proposito, è pienamente condivisibile il rilievo argomentativo della Corte costituzionale, la quale evidenzia che la ratio della confisca di prevenzione “comprende ma eccede quella delle misure di prevenzione consistendo nel sottrarre definitivamente il bene al "circuito economico" di origine, per inserirlo in altro, esente dai condizionamenti criminali che caratterizzano il primo» e, dall'altro, “a differenza di quella delle misure di prevenzione in senso proprio, va al di là dell'esigenza di prevenzione nei confronti di soggetti pericolosi determinati e sorregge dunque la misura anche oltre la permanenza in vita del soggetto pericoloso” (Corte cost. sent. n. 21 del 2012, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in relazione agli artt. 24, secondo comma, e 111 Cost., dell'art. 2- ter, undicesimo comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575, nella parte in cui prevede che “la confisca può essere proposta, in caso di morte del soggetto nei confronti del quale potrebbe essere disposta, nei riguardi dei successori a titolo universale o particolare, entro il termine di cinque anni dal decesso”).
Edu443, la quale pare richiedere “l’interdiction d’infliger une peine sans constat de
responsabilitè”444.
Il sistema delle confische senza condanna ricomprende la confisca di prevenzione e le confische senza condanna applicate durante il procedimento o il processo penale, nel caso in cui si desideri esercitare la relativa azione.
Orbene, quanto all’ultima tipologia di confische, l’approccio della Corte Edu ha determinato una bonifica garantistica del sistema delle confische445.
Si pensi alla confisca di cui all’art. 240-bis c.p., i cui profili di confiscabilità in assenza di condanna sono stati indagati nel primo capitolo, o alla confisca per equivalente ritenuta pena446 per impulso della Corte Edu. Questa ha evidenziato come sia sostanzialmente una pena, in quanto non colpisce il prezzo, il prodotto o il profitto ma il tantundem447.
Lo stesso può dirsi per la confisca del veicolo448. Ripercorrere la vicenda giudiziale conclusasi con la pronuncia n. 196/2010 della Corte costituzionale consente di comprendere, come l’uso dei criteri fissati dalla Corte Edu, abbia, anche in tale caso, svolto un ruolo importante per il riconoscimento della relativa natura afflittiva della confisca del veicolo.
443 Il riferimento è alla nota sent. C. Cost. n.196/2010, con cui la Corte ha concluso per la natura punitiva
della confisca dell’autoveicolo, con nota di commento di V. MANES, La confisca punitiva tra Corte costituzionale e CEDU: sipario sulla “truffa delle etichette”, in Cass. pen. 2011, pp. 76 e ss; ancora, si guardi l’ord. N. 97 del 2009 nella quale la Corte ha confermato la natura punitiva della confisca per equivalente già rilevata dalla Corte sovranazionale.
444 Corte Edu, 29 ottobre 2013, Varvara c. Italia, par. 67.
445 V. MANES, The Last Imperative of Criminal Policy: Nullum Crimen Sine Confiscatione, «EUROPEAN CRIMINAL LAW REVIEW», 2016, 6, pp. 143 – 160.
446 Il cui carattere preminentemente sanzionatorio è stato efficacemente rimarcato da Cass. pen., Sez.
Un., 25 ottobre 2005, n. 41936, Muci, in Cass. pen., 2006, p. 1387.
447 Ciò, è stato rilevato anche dall’ordinanza della Corte cost. n. 301 del 2009, nella quale si chiarisce
che la funzione afflittiva di tale confisca discende dai principi costituzionali e non era, pertanto, necessario il ricorso all’art. 7 della C.E.D.U: “Infatti, la confisca per equivalente − in ragione della mancanza di pericolosità dei beni che ne costituiscono oggetto, unitamente all'assenza di un “rapporto di pertinenzialità” (inteso come nesso diretto, attuale e strumentale) tra il reato ed i beni − palesa una connotazione prevalentemente afflittiva ed ha, dunque, una natura «eminentemente sanzionatoria», tale da impedire l'applicabilità a tale misura patrimoniale del principio generale della retroattività delle misure di sicurezza, sancito dall'art. 200 cod. pen. Come ha osservato la Corte, «a tale conclusione si giunge sulla base della duplice considerazione che il secondo comma dell'art. 25 Cost. vieta l'applicazione retroattiva di una sanzione penale, come deve qualificarsi la confisca per equivalente, e che la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo ha ritenuto in contrasto con i principi sanciti dall'art. 7 della Convenzione l'applicazione retroattiva di una confisca di beni riconducibile proprio ad un'ipotesi di confisca per equivalente (Corte europea dei diritti dell'uomo, sentenza n. 307A/1995, Welch v. Regno Unito)»”.
In particolare, nel caso oggetto della decisione del giudice di legittimità, l’avvocato di parte aveva proposto per la confisca oggetto di esame l’applicazione del principio
tempus regit actum motivata dalla sua natura di misura di sicurezza.
Diversamente, il GIP aveva escluso la sua finalità di neutralizzazione del reato, assimilandola ad una vera e propria pena, da cui discendeva l’applicazione del principio di irretroattività. In questo caso, tuttavia, non poteva applicarsi la giurisprudenza della Corte Edu perché c’era la littera legis ed è vietata la manipolazione della lettera della legge. Il GIP aveva allora sollevato la questione di legittimità costituzionale. La Corte costituzionale nella pronuncia n. 196/2010 ha accolto la questione dichiarando illegittima la normativa in parte qua nella parte in cui richiamava la disciplina delle misure di sicurezza, richiamandosi all’art. 7 della C.E.D.U. con il quale tale tipo di confisca confliggeva principalmente a causa della sua finalità repressiva449.
La natura penale della confisca è stata inoltre disvelata dalla Corte Edu nel caso della confisca urbanistica ex art. 44 comma 2 d.P.R. n. 380/2001 in relazione alle lottizzazioni abusive, la cui vicenda verrà approfondita nel prosieguo della trattazione. Può, quindi, in generale affermarsi come i criteri adottati dalla Corte Edu e i principi da essi estratti hanno avuto un effetto diretto sulla giurisprudenza interna in materia di confisca senza condanna, disvelandone in taluni casi la natura afflittiva.
Ma, anche nel caso in cui la confisca senza condanna sia stata ritenuta una misura non punitiva, il criterio di cui all’articolo 6 par. 1 CEDU ha determinato un rafforzamento delle garanzie.
Il diritto ad un processo equo e quello di proprietà hanno portato a maggiori garanzie per la parte in giudizio che si veda applicata il provvedimento di confisca e all’affermazione del principio di proporzionalità, che la misura in argomento deve rispettare.
Il c.d. right to a fair hearing, come verrà precisato nel prosieguo della trattazione, ha svolto un ruolo fondamentale in materia di confisca di prevenzione450 e viene
449 Nella pronuncia in esame, il giudice di legittimità rileva come l’assenza di una finalità preventiva è
evidenziata dalla possibilità che si confischi anche un veicolo incidentato, quindi non più utilizzabile e per ciò solo non pericolo e che la confisca del veicolo non scongiura le ipotesi di recidiva a mezzo della guida di un ulteriore e diverso mezzo di trasporto.
450 Si intende fare riferimento alla Causa Bongiorno e altri c. Italia – Seconda Sezione – sentenza 5
interpretato dalla Corte come diritto alla celebrazione di un processo imparziale, pubblico che sia deciso in un tempo ragionevole.
Merita particolare approfondimento l’interpretazione che la Corte dà del diritto di proprietà di cui al Protocollo addizionale alla CEDU. Tale precisazione consente di comprendere il perché di alcune pronunce della Corte di condanna alle confische senza condanna previste nelle legislazioni degli Stati membri.
Orbene, la confisca in assenza di condanna, in quanto misura che deve almeno rispettare le garanzie di tipo civile e amministrativo previste dalla Carta convenzionale, deve rispettare il diritto di proprietà e può essere applicata non solo ove legislativamente prevista ma anche in modo proporzionato allo scopo che persegue.
Il diritto di proprietà – come da sempre rilevato dalla Corte451 – può senz’altro essere compresso ragioni di pubblica utilità, ma si deve trattare di un interesse concreto e