Capitolo 3. Le fiabe in psicoanalisi e nella psicologia analitica
3.2 La vita fantastica di primitivi, bambini e nevrotici a confronto
Lo psicoanalista Glauco Carloni (1926-2000), presidente della Società Psicoanalitica Italiana dal 1982 al 1986, ha cercato di mostrare che solo in apparenza e a torto il tema delle fiabe può essere considerato come un argomento
134
Ivi, pp 107-108, corsivo mio.
135
- 99 -
futile. Nel suo intervento introduttivo al convegno tenutosi ad Ancona nel 1985 dal titolo “Letteratura e psicoanalisi. Strumenti di conoscenza dell‟uomo” analizza l‟interesse psicoanalitico per le fiabe prendendo le mosse dal riconoscimento dell‟apporto freudiano, sul quale ci siamo soffermati nel precedente paragrafo. Carloni scrive, infatti: “L‟interesse della psicoanalisi per la fiaba, a lungo trattata come una sorta di sogno collettivo, s‟inizia con Freud stesso che, oltre a scrivere sulle fiabe come ricordi di copertura e a individuare nelle antiche leggende convincenti esempi di romanzo familiare, dedica un saggio a La scelta dei tre
scrigni e cita in diverse occasioni Cappuccetto rosso, Biancaneve, Il lupo e i sette
caprettini, Enrico il verde, I vestiti dell‟imperatore, La storia della mano mozza,
Tremotino, e poi, ripetutamente la fiaba dei Tre desideri e gli elementi fiabeschi
delle storie di diavoli e di cicogne”136.
Nel corso dell‟intervento, inoltre, Carloni si sofferma brevemente sul parallelismo fra primitivi, bambini e psico-nevrotici che viene messo in risalto dal contesto fiabesco in cui la loro immaginazione trova facilmente accoglienza: vivendo in situazioni di precarietà, reale o illusoria, queste categorie di persone si affidano a credenze magiche e trovano rassicurazione alle proprie paure nella dimensione fantastica. Egli scrive, a tal proposito:
Se è vero che si deve evitare il rischio di trattare come eguali bambini, primitivi e psicotici, nonostante le evidenti somiglianze riscontrabili in queste diverse condizioni umane, è altresì vero che essi sono tutti ospiti abituali del mondo della fiaba, il che non accade o non accade più in stati e tempi diversi della vita dell‟uomo. Ciò anche perché essi si trovano ad affrontare minacce e pericoli, reali o illusori, affini. Vivono tutti, o credono di vivere, in situazioni oltremodo precarie, in quanto dipendenti dalla madre o dalla madre-natura e nell‟impossibilità di padroneggiare le conseguenti angosce e paure, perché non ancora provvisti di quegli strumenti e di quelle istituzioni su cui si fonda la sia pur relativa sicurezza dell‟adulto sano del tempo nostro. Primitivi, bambini,
136
G. Carloni, “La fiaba nella psicoanalisi e la psicoanalisi nella fiaba” in E. Morpurgo, V. Egidi,
- 100 -
nevrotici e psicotici saranno allora costretti a ricorrere ai mezzi della magia: animismo ed esorcismo nei primitivi, fobie, ossessioni e allucinazioni nei malati, fantasticherie e interpretazioni consolatorie nel bambino, così come Ferenczi ben descrisse in Stati evolutivi del senso di realtà. Essi sentono peraltro più fortemente (realisticamente i primitivi, morbosamente i pazienti, favolosamente i bambini) la paura della separazione, della assenza, della non vita. Il narrare pare essere uno dei mezzi più semplici per esorcizzare la morte: la creatività che si esprime a parole e fantasie sembra aggiungere altra vita od offrire almeno l‟illusione di fronteggiare la morte; è così che i dieci novellatori del Boccaccio dimenticano il pericolo della peste; è così che Shahrazad rimanda di notte in notte per tre anni, fino ad evitarla, la sua esecuzione; è così che i piccoli ascoltatori di fiabe si preparano ad affrontare la morte del giorno e il sonno, fratello della morte.137
Il confronto fra la vita psichica e fantastica di primitivi, bambini e nevrotici è presente in psicoanalisi già nella prospettiva freudiana. Il primo testo di Freud da citare a questo proposito è Il romanzo familiare nei nevrotici, inserito inizialmente all‟interno di Der Mythus von der Geburt des Helden. Versuch einer
psychologischen Mythendeutung (Il mito della nascita dell‟eroe.
Un‟interpretazione psicologica del mito), opera del 1909 dell‟allievo Otto Rank
(1884-1939), per poi essere pubblicato come saggio autonomo nel 1931. Qui, Freud tratta delle fantasie infantili di estraniamento dalle figure genitoriali, che sorgono nel contesto dei primi tentativi di emancipazione dal nucleo familiare e traggono spunto dalla sensazione di essere messi in disparte e non adeguatamente corrisposti nell‟affetto dimostrato verso il padre e la madre: il bambino, spesso stimolato da qualche narrazione o lettura, giunge ad immaginare se stesso come un figlio illegittimo o adottivo. Tali fantasie vengono definite come romanzo
familiare e sono ritenute comuni, in quanto possono essere facilmente ricordate in
età adulta da molti individui, e considerate reazioni ad atteggiamenti ostili dei genitori; Freud, però, attribuisce il grado maggiore di questo estraniamento immaginario ai nevrotici, spiegando che essi si contraddistinguono per una
137
- 101 -
notevole attività fantastica, che si manifesta inizialmente nei giochi e dalla tarda fanciullezza si estende all‟ambito delle relazioni familiari. In ogni caso, che si trovi in una condizione di salute o di nevrosi, il bambino elabora fantasie nelle quali sostituisce i genitori – sottoposti a critica – con altri personaggi più nobili: solitamente ciò accade in concomitanza ad incontri casuali con persone le quali possiedono uno status sociale più elevato rispetto ai genitori e suscitano in lui una certa invidia, sentimento che trova sfogo proprio nelle manifestazioni fantastiche. Quando apprende le diverse funzioni sessuali svolte dal padre e dalla madre, il bambino si limita ad innalzare solamente l‟origine paterna e tende a non mettere più in discussione la propria provenienza dalla madre, costruendo semmai attorno a lei una serie di fantasie sulle sue possibili relazioni amorose segrete. Freud precisa:
In modo del tutto particolare, con tali invenzioni i figli minori spogliano dei loro privilegi quelli che sono nati prima (proprio come avviene negli intrighi storici), spesso persino non esitano ad attribuire alla madre tante relazioni amorose quanti sono i propri concorrenti. Un‟interessante variante di questo romanzo familiare, poi, si ha quando l‟eroe di tale fantasticheria ritorna alla legittimità per quanto lo riguarda, mentre toglie di mezzo in quel modo come illegittimi gli altri fratelli e sorelle. Infine qualsiasi altro interesse particolare può indirizzare le vicende del romanzo familiare, il quale, con la sua poliedricità e le sue molteplici possibilità di applicazione, accontenta ogni sorta di aspirazioni.138
Freud spiega che alla base di questo tipo di immaginazioni ostili verso il nucleo familiare, in realtà, non stanno cattive intenzioni: tali fantasie mantengono la primaria tenerezza infantile verso i genitori, pur dietro ad una differente apparenza. Analizzando le invenzioni romanzesche, infatti, è possibile scorgere che le nobili figure immaginate possiedono molti tratti degli effettivi e più umili
138
S. Freud, “Il romanzo familiare nei nevrotici”, in Opere 1905-1908, vol. V, Boringhieri, Torino, 1976, p 473.
- 102 -
genitori: Freud ritiene, infatti, che le fantasie del bambino non mirino a disfarsi propriamente dei genitori, ma tentino di innalzarli. “Anzi, tutti gli sforzi per sostituire il padre con un altro più illustre sono solo espressione della nostalgia del bambino per il felice tempo perduto, nel quale suo padre gli appariva come l‟uomo più nobile e più forte e sua madre come la più cara e più bella delle donne. Egli si allontana dal padre che conosce ora e si volge a quello in cui ha creduto negli anni precedenti dell‟infanzia, e la fantasia è propriamente solo l‟espressione del rimpianto che questo tempo felice sia svanito”139
, chiarisce Freud, per l‟appunto.
In Il mito della nascita dell‟eroe, Rank si serve dell‟elaborazione freudiana al fine di sottolineare la concordanza con il romanzo familiare dei miti di vari popoli, diffusi sin da tempi remoti; alla base della sua applicazione sta la convinzione che la fonte originaria della mitologia sia l‟attività fantastica non inibita nel suo sviluppo, ossia quella infantile. Ammettendo la difficoltà di condurre un‟osservazione empirica approfondita direttamente sui bambini, la principale via di accesso alla conoscenza della dimensione fantastica infantile è individuata da Rank nello studio psicoanalitico delle nevrosi, poiché le “fantasie dei nevrotici sono sotto tutti gli aspetti simili alle esagerate riproduzioni delle fantasie infantili”140
, mentre la normalità psichica consiste nel superamento delle fantasie dell‟infanzia. Rank giunge a riconoscere un‟analogia fra le fantasie del bambino e del nevrotico, così come descritte da Freud, e le storie dell‟eroe mitico: quest‟ultimo, solitamente, è figlio di nobili genitori e la sua nascita è accompagnata dalla profezia di costituire una minaccia per il padre, motivo per il quale il neonato viene da lui rifiutato ed abbandonato, per poi essere salvato da
139
Ivi, p 474.
140
- 103 -
umili individui o animali – i quali divengono sostituti genitoriali – e, una volta cresciuto, diventare famoso, spesso dopo essersi vendicato del padre. Rank sottolinea che il motivo del mito dell‟eroe è l‟emancipazione dai genitori e rispecchia quel desiderio infantile di indipendenza che si esprime attraverso la creazione del romanzo familiare: “l‟Io del bambino si comporta come l‟eroe della leggenda; in effetti l‟eroe si deve interpretare come un Io collettivo dotato delle più alte qualità e così, nella creazione individuale di un singolo poeta, l‟eroe rappresenta per lo più il poeta stesso o quanto meno un aspetto della sua personalità”.141 Rank evidenzia la corrispondenza delle due coppie parentali, quella nobile e quella umile, presenti nel mito con i genitori reali e ideali del romanzo familiare. Sulla scia di questa analogia, sostiene:
Un esame più attento rivela anche qui, proprio come nelle fantasie infantili e nevrotiche, l‟identità psicologica tra la coppia parentale umile e quella invece illustre. Analogamente alla sopravvalutazione dei genitori che si ha nella prima infanzia, il mito inizia con la coppia parentale nobile, proprio come avviene nella fantasia del romanzo (mentre nella realtà l‟adulto si concilia ben presto con la sua situazione reale). La fantasia del romanzo familiare viene quindi realizzata nel mito semplicemente tramite un ardito capovolgimento della situazione reale.142
L‟ostilità che il bambino e il nevrotico avvertono nei confronti del padre e riversano nella creazione del romanzo familiare trova giustificazione nel mito, in cui è la figura paterna a ordinare l‟esposizione del figlio alla morte: attraverso la finzione, i propri sentimenti ostili sono proiettati sul comportamento del padre. In questo modo, l‟esposizione nel mito giunge a corrispondere al diniego nella fantasia del romanzo, con la sola differenza che, mentre nel romanzo familiare del nevrotico è il bambino a eliminare il padre, nel mito invece è il padre che cerca di
141
Ivi, pp 82-83.
142
- 104 -
sbarazzarsi del figlio. Rank spiega questa inversione tramite il meccanismo psichico della proiezione, che è operante nella formazione stessa dei miti dell‟eroe: egli precisa, infatti, che tali narrazioni nascono dall‟elaborazione di singoli adulti che applicano all‟eroe la propria storia infantile, la quale è così simile in tutti gli uomini in quanto incentrata sulla rivolta contro il padre. Rank scrive:
Così il vero eroe del racconto è l‟Io e nell‟eroe riconosce se stesso, allorquando l‟Io regredisce a quel tempo in cui per aver compiuto il suo primo atto eroico, la rivolta contro il padre, era un eroe egli stesso. L‟Io ritrova il proprio eroismo solo nell‟infanzia e per questo motivo deve attribuire all‟eroe la sua stessa ribellione. Attua questo tramite motivi e materiale del suo romanzo infantile e lo applica all‟eroe. L‟adulto quindi crea i miti per mezzo del fantasticare retroattivo sull‟infanzia, attribuisce all‟eroe la sua stessa storia infantile.143
In questo modo, il mito offre a ciascun individuo la giustificazione della presenza nell‟infanzia di sentimenti ostili diretti al padre, mostrando i motivi per cui la figura paterna può attirarli su di sé, e si presenta come la possibilità per i popoli di fantasticare su un‟origine eroica, in linea con le fantasie infantili.
L‟opera freudiana nella quale il confronto fra la dimensione psichica di bambini, nevrotici e primitivi viene trattato in modo più ampio è Totem und Tabu (Totem e
tabù) del 1913, che raccoglie quattro saggi inizialmente pubblicati sulla rivista
“Imago” fra il 1912 e il 1913 ed intitolati L'orrore dell'incesto, Il tabù e
l'ambivalenza emotiva, Animismo, magia e onnipotenza dei pensieri, e Il ritorno
del totemismo nei bambini.
Nel primo saggio, prendendo in esame le usanze e i costumi degli aborigeni dell‟Australia – la cui organizzazione sociale e religiosa è fondata sul totemismo – quale esempio di popolo selvaggio vicino allo stile di vita dei primitivi, Freud
143
- 105 -
dichiara che “un‟analisi comparata della „psicologia dei popoli primitivi‟ così come l‟insegna l‟etnologia, e della psicologia del nevrotico come la conosciamo attraverso la psicoanalisi, dovrà indicare un certo numero di concordanze, e ci permetterà di scorgere in una nuova luce fenomeni già noti di entrambe le discipline”144. Freud sottolinea l‟ambivalenza nei confronti dell‟incesto, che suscita sia repulsione sia attrazione, per arrivare al primo confronto fra selvaggi, nevrotici e bambini. Egli fa notare che gli aborigeni istituiscono il tabù dell‟incesto proprio in reazione a tale ambivalenza: recependone l‟attuale pericolosità, si proteggono dal rischio dell‟incesto attraverso la sua proibizione e l‟adozione di misure preventive, come le usanze di evitare145
certe persone, che sono finalizzati ad impedire le relazioni non solo all‟interno della vasta famiglia totemica, ma anche fra parenti stretti (ad esempio fra la madre e il figlio o fra la suocera e il genero). Applicando ai dati della psicologia dei popoli il contributo psicoanalitico, Freud mette in relazione il tabù vigente nei selvaggi con l‟attrazione per l‟incesto che è propria della psiche infantile e del nevrotico (il quale rimane fissato o regredisce ad una tale condizione) e il cui superamento, tramite la rimozione, rientra nel sano sviluppo individuale:
La psicoanalisi ci ha insegnato che la prima scelta dell‟oggetto sessuale da parte del bambino è incestuosa, s‟indirizza su oggetti proibiti, la madre e la sorella; la stessa psicoanalisi ci ha consentito di individuare altresì per quali strade il ragazzo che si fa adulto si libera dall‟attrazione dell‟incesto. Il nevrotico invece rivela invariabilmente un tratto di infantilismo psichico: o non è in grado di liberarsi dalle situazioni psicosessuali infantili, oppure è ritornato ad esse (inibizione dello sviluppo nel primo caso, e regressione nel secondo). Nella sua vita psichica inconscia le fissazioni incestuose della libido continuano perciò ad avere – o tornano ad avere – un ruolo
144 S. Freud, “Totem e tabù” in Opere 1912-1914, vol. VII, cit., p 10. 145
“Dobbiamo aggiungere una serie di 'costumi' che proteggono i rapporti che l'individuo ha con i suoi parenti stretti - intendendo questo termine nel nostro senso - costumi che sono osservati con severità addirittura religiosa e il cui scopo non può davvero apparirci dubbio. Questi costumi o divieti tradizionali consistono nell' 'evitare' certe persone (in inglese: avoidances)” (Ivi, p 18)
- 106 -
determinante. Siamo giunti a ritenere che il rapporto con i genitori, caratterizzato fondamentalmente da pretese incestuose, costituisca il complesso nucleare della nevrosi. La scoperta di questo significato dell‟incesto per la nevrosi urta naturalmente contro la più generale incredulità degli individui adulti e normali. […] Per parte nostra siamo indotti a credere che tale rifiuto è soprattutto un prodotto della profonda ripugnanza che l‟uomo prova verso i propri desideri incestuosi di un tempo, sprofondati nel frattempo nella rimozione. Non è quindi senza importanza per noi dimostrare che i popoli selvaggi sentono ancora i desideri incestuosi dell‟uomo – destinati a cadere in seguito nella sfera dell‟inconscio – come una minaccia incombente da cui ritengono necessario difendersi con l‟adozione di regole difensive improntate al massimo rigore.146
Il secondo saggio è improntato a mostrare la presenza di un‟ambivalenza emotiva nei confronti del tabù nei primitivi – questa volta Freud fa riferimento a vari popoli selvaggi, non solamente australiani – così come nei nevrotici ossessivi, i cui sintomi consistono nella creazione di divieti che condividono con il tabù le caratteristiche della mancanza di una motivazione cosciente, del consolidamento per necessità interiore, della contagiosità degli oggetti proibiti e della formazione di pratiche cerimoniali dal valore espiativo e catartico. Freud ritiene che “fondamento del tabù è un‟azione proibita verso la quale esiste nell‟inconscio una forte inclinazione”147
, sottolineando che nel caso degli aborigeni le interdizioni sono imposte da un‟autorità esterna – da una regola sociale, dal gruppo o dal capo – e sono rivolte ai desideri più intensi dell‟uomo, verso i quali la tentazione della trasgressione permane a livello inconscio: viene sottolineato a questo proposito che i tabù più antichi sono le leggi basilari del totemismo, ossia il divieto di uccidere l‟animale-totem e di incorrere in rapporti sessuali con persone della stessa famiglia totemica, due elementi assimilabili a ciò che “gli psicoanalisti considerano il punto nodale dei desideri infantili e poi il nucleo della nevrosi”148
. Per dimostrare la presenza di tendenze ambivalenti nelle reazioni dei selvaggi alle 146 Ivi, p 26. 147 Ivi, p 40. 148 Ibidem.
- 107 -
prescrizioni del tabù, così come si trovano negli atti ossessivi studiati in psicoanalisi, Freud prende in considerazione il trattamento riservato dai popoli selvaggi ai nemici, ai capi e ai morti, traendo il materiale dagli studi dell‟antropologo scozzese James George Frazer (1854-1941)149
. In tale prospettiva, risulta particolarmente significativa l‟analisi del rapporto dei selvaggi verso i loro sovrani, il quale si tinge di sfumature emotive ambivalenti: il re è venerato e riconosciuto come possessore di un grande e legittimo potere, ma al contempo nei suoi riguardi è riservata una certa diffidenza che sfocia in una serie di pratiche cerimoniali mirate a contenere la sua potenza, affinché non venga utilizzata per fini personali. La contraddittorietà di tale condizione emotiva rispecchia quella della nevrosi, in cui una corrente ostile inconscia rimane adombrata da una predominante affettuosità e si manifesta attraverso la forma dell‟ossessività, che permette di mantenere attiva la rimozione: Freud ritiene che sia possibile interpretare anche l‟atteggiamento dei selvaggi verso i sovrani sulla base del riconoscimento di un‟ostilità inconscia150
. L‟esempio più lampante dell‟assimilazione fra l‟atteggiamento dei selvaggi e quello degli ossessivi è offerto dai riti primitivi che permettono di elevare il sovrano al di sopra di tutti gli
149 Frazer ha condotto i propri studi nel campo dell‟antropologia e della storia delle religioni. Freud in questo
caso fa riferimento all‟opera principale dell‟antropologo: The golden bough (Il ramo d‟oro), in particolare alla sezione intitolata “Taboo and the perils of the soul” (“I tabù e i pericoli dell‟anima”). In questa monumentale opera – pubblicata inizialmente nel 1890 e rivista sino al 1915 – Frazer si dedica allo studio delle culture primitive, focalizzandosi sulle pratiche magiche e religiose, i miti, i riti e le superstizioni di vari popoli.
Fra le sue opere, Freud in Totem e Tabù richiama anche Totemism and exogamy (Totemismo ed esogamia) del 1910. In tale testo, partendo dall‟osservazione delle popolazioni indigene dell‟Australia e della Melanesia, l‟antropologo elabora la propria teoria sulla nascita del totemismo: alla base delle culture totemistiche vi è la credenza che il concepimento umano sia una conseguenza dell‟entrata nel grembo femminile di spiriti animali e vegetali.
150
Per convalidare questa tesi, Freud fa un esempio di cerimoniale in cui è individuabile la presenza di un‟inconscia ostilità verso il re, ricavandolo da Frazer: “ „I selvaggi Timme della Sierra Leone‟, a quanto dice Frazer, „che eleggono il loro re, si riservano il diritto di bastonarlo alla vigilia dell‟incoronazione, e approfittano di questo privilegio costituzionale con tanta buona volontà che talvolta l‟infelice monarca non sopravvive a lungo all‟elevazione al trono. Così, quando i capi hanno della ruggine contro qualcuno e se ne vogliono liberare, lo eleggono re‟. Anche in casi appariscenti come questo, tuttavia, l‟ostilità non sarà riconosciuta come tale, ma si ammanterà sotto le forme di un cerimoniale.” (Ivi, p 57).
- 108 -
altri uomini, ma finiscono anche per rendere la sua esistenza una forma di insopportabile segregazione e isolamento: così come l‟azione ossessiva è apparentemente una protezione contro ciò che è proibito, ma inconsciamente consiste proprio nella ripetizione dell‟agire vietato, altrettanto vale per la pratica cerimoniale. Freud riconosce, appunto, che “il cerimoniale tabù dei re è
apparentemente il massimo degli onori e la massima protezione loro accordata,
propriamente invece è la punizione per tale elevazione, la vendetta che i sudditi si
prendono su di loro”151
.
Lo psicoanalista nota un‟ulteriore caratteristica dell‟analogia fra il comportamento