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Conflitti tra i singoli e le università, i baroni, le istituzioni regie

TENTATIVI DI AUTONOMIA AMMINISTRATIVA: I CAPITOLI DI AGNONE E CAMPOBASSO

5.5. Il sistema della Dogana della Mena delle pecore.

5.7.3. Conflitti tra i singoli e le università, i baroni, le istituzioni regie

Al di là delle difficoltà nel vedersi riconoscere esenzioni o particolari trattamenti fiscali dagli ufficiali del re, le lettere dei Partium testimoniano anche dei conflitti che opponevano i singoli ai diversi attori politici e sociali che operavano sul territorio: università, baroni, rappresentanti della corona. Si tratta di liti che riguardavano per lo più le attività economiche dei querelanti.

Per il primo gruppo di liti, si consideri il caso di Giacomuccio Falzetta di Agnone, querelante in Sommaria per via del sequestro di otto pezzi di rame lavorato per una causa pendente da due anni riguardante il pagamento di alcuni diritti per aver condotto ad Aversa dei pezzi di rame, diritti che lui diceva di avere regolarmente pagato.

La Sommaria intimava al capitano della città di convocare e ascoltare le parti, dopo di che avrebbe dovuto

Ministrari[ti] ad epse parte summarie simpliciter et de plano iusticia expedita, nessuna de epse contra quella gravando. Et quello serrà per vui determinato sopra tale causa, lo debiate de continente fare mandare ad debita exequcione. Et se trovarite lo dicto messere Gabriele indebitamente havere tolta dicta rame ad ipso exponente, li farriti pagare tucte le spese quale legitimamente ve consterà ipso exponente havere facte sopra tale causa, Et non fate che per tale causa habiamo ad havere più querela in questa camera che multo ne rencrescerà554

Fra le cause riguardanti i conflitti di singoli con i baroni troviamo il caso di Renzo di Frosolone, il quale aveva condotto in Puglia centoquarantatre mucche «intro le quale se partitava Cola de la Castagna, barone de Sexano in bache cinquanta sey»555. Dato che gli officiali della dogana le avevano numerate a lui, era stato costretto a pagare e il barone non voleva versare la sua parte. La Sommaria aveva verificato dal conto presentato dal Doganiere per la nona indizione556 che Renzo aveva detto la verità, per cui scrisse al destinatario Francesco Mandocio:

553 Doc. 369. 554 Doc. 201. 555 Doc. 153.

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maxime che dicto Renzo dice che ad maiore declaratione de questo supra tale facto tenite lictere o vero comandamento del dicto dohanero, debiate constringere dicto Cola ad pagare la sua porcione predicta de le dicte bache ad rasone de ducati XV lo centenaro de carlini, como in lo dicto cunto stanno taxate.

Oddo de Renzo de Oddo di Pettorano sul Gizio si era a sua volta lamentato in Sommaria del fatto che non gli era stato corrisposto nulla per le trecentoquaranta pecore e un somaro che aveva insieme alle millecinquecentodieci pecore di un tale Bernardo Tartaglia di Rocca Vallescura – l’odierna Rocca Pia (AQ) − in un terreno di Boiano al tempo della calata dei Francesi, pecore che erano state «fidate», cioè pecore che avevano pagato la fida per lo svernamento in Dogana delle pecore, al padre del conte di Venafro.

Al ritorno del sovrano nel regno, il conte si era preso le pecore e il somaro e mentre Bernardo si era poi accordato, a lui non era stato riconosciuto nulla. Pertanto la Sommaria ordinò al conte di restituire le pecore e il somaro o pagarne il valore, dandogli dieci giorni di tempo per far presente in Sommaria le sue eventuali ragioni557 e contestualmente scrisse al capitano di Pettorano sul Gizio, ingiungendogli di costringere Bernardo a restituire gli animali a Oddo oppure a rimborsargliene il valore558.

Come abbiamo visto nei confronti di collettività o di gruppi familiari, la Sommaria difendeva i sudditi anche contro quella che oggi chiameremmo la pubblica amministrazione.

Nel 1469 Giacomo di Civitella, il notaio Marino, Cola Horrico e Cola Giovanni di Termoli avevano venduto in città del grano a 9,5 ducati veneziani a carro559 quando si pagava una tassa di 3 ducati a carro. Il cattivo tempo aveva ritardato la partenza del cereale e nel frattempo era giunta una lettera del portolano di Puglia che aveva alzato il dazio da 3 a 4 ducati veneziani a carro, per cui loro chiesero di poter pagare la vecchia tariffa. Vennero accontentati e la Sommaria disse al portolano di Termoli di scomputare l’eventuale surplus daziario dai pagamenti futuri560.

Alcuni mercanti di Termoli investirono nel 1474 la Sommaria di una contesa con Bartolomeo Ricciardello portolano di Termoli in merito al pagamento delle tratte sulle merci esportate. Sebbene inizialmente re Ferrante avesse innalzato la tassa a 6 ducati per carro, il 10 settembre 1474 con una lettera aveva scritto al portolano di esigere solo 4 ducati per carro, come avveniva in precedenza. Tale lettera venne inserita nella missiva della Sommaria al portolano. I mercanti termolesi raccontarono

557 Doc. 380. 558 Doc. 381.

559 Il carro era pari a 36 tomoli, come detto supra al punto 4.3.3, il tomolo era una misura di capacità pari a 20 litri a Napoli e 22 in puglia. Pertanto un carro era pari a 720 o 792 litri, a seconda del tipo di tomolo che si sceglieva come unità di misura (GROHMANN, Le fiere, p. 44).

156 infatti che, avendo appreso la notizia, avevano venduto il grano successivamente a tale data facendo riferimento a quella tassazione di 4 ducati a carro, e nonostante ciò, di fronte alla richiesta del portolano di pagare 6 ducati per carro, non si erano rifiutati, ma li avevano versati con l’impegno da parte di quest’ultimo a restituire l’eventuale differenza di due ducati per carro qualora fosse stata giusta la tariffa presupposta dai mercanti. Bartolomeo, però, si era rifiutato adempiere all’impegno preso, per cui essi si erano rivolti alla Sommaria che ordinò immediatamente al portolano di restituire la differenza di due ducati a carro.561

Non erano solo gli ufficiali periferici a vedersi sconfitti in Sommaria e i loro uffici a veder ridotti propri incassi. Anche la potentissima e importantissima Dogana della Mena delle Pecore di Puglia fu sovente vittima del rigore con cui i funzionari della Sommaria applicavano la legge e i regolamenti senza alcun riguardo, come dimostrano i casi seguenti.

Giovanni Guadagno di Termoli nel 1480 si era lamentato in Sommaria del fatto che gli era stata chiesta la fida per le trecento pecore che aveva avuto per eredità di Diodato di Larino e che pascolavano nel territorio di Termoli, nonostante non si fosse mai pagato per tale cosa, visto che il territorio termolese non era compreso in quello della Dogana delle Pecore562. La Sommaria, dopo una

breve inchiesta, gli diede ragione.

Antonio de Pistillis, insieme ad alcuni soci campobassani, faceva svernare delle mucche a Monterotaro, non inclusa nel territorio della Dogana delle pecore: per gli erbaggi pagava il signore della terra. Nonostante questo, i cavallari della dogana gli avevano chiesto il pagamento della fida e il mastro credenziere della dogana era arrivato anche a dei provvedimenti esecutivi nei suoi confronti. Lui era ricorso al doganiere che, avendo verificato l’assenza di una qualche annotazione relativa alle sue vacche nei registri doganali anche del passato, aveva sospeso tali provvedimenti dicendogli, però, che entro breve tempo avrebbe dovuto ottenere un pronunciamento della Sommaria sulla questione. La Camera gli diede ragione563.

561 Doc. 96. Nella lettera i mercanti vengono elencati uno per uno con la data di vendita del grano successiva al 10 settembre e la quantità venduta.

562 Doc. 202. 563 Doc. 267.

157 5.8. Corona, baroni e comunità nei registri Litterarum Partium della Regia Camera della Sommaria: uno sguardo conclusivo

I documenti di cui abbiamo parlato tratti dai registri Litterarum Partium della Regia Camera della Sommaria mostrano chiaramente come l’azione dei funzionari della Camera facesse sì che il potere e l’autorità della Corona, che per mezzo di essi si esplicavano, riuscissero a pervadere la società in profondità, svolgendo un ruolo da protagonisti nelle reciproche dinamiche di potere. Tale ruolo si giocava sulla base di una finissima calibrazione del peso e degli interessi di tutti quanti erano coinvolti e del contesto: abbiamo visto come in momenti di crisi o di forza della corona i funzionari della Sommaria si comportassero in modi diversi, come anche lo stesso sovrano, e come tali attitudini nei confronti dei diversi soggetti innescassero reazioni diverse in tempi diversi. Un secondo aspetto significativo dell’analisi a tappeto di queste fonti è la diffusione e l’analiticità delle scritture di governo utilizzate dalla Sommaria, dai funzionari territoriali e dai soggetti della Corona: pressocché in ogni occasione in cui la Sommaria veniva chiamata a intervenire, l’inchiesta amministrativa che partiva per risolvere il conflitto locale faceva ricorso a – o richiedeva la produzione di – scritture amministrative diverse, dalla ricognizione fiscale ai privilegi, lettere e provvedimenti dell’autorità. Il doppio e complementare elemento dell’inchiesta e delle scritture costituiva dunque il cuore amministrativo di questo complesso meccanismo politico.

Alla fine di questa analisi dei documenti contenuti nei registri Litterarum Partium, ci sembra di poter dire dunque che la Regia Camera della Sommaria e i suoi funzionari furono la longa manus della Corona, che penetrava in profondità nelle articolazioni e nelle relazioni interne della società. Una manus che poteva, metaforicamente, afferrare il danaro per esigere i tributi o impugnare la spada per punire i colpevoli o essere sostegno e porgere una carezza a quanti fossero o si sentissero vittime di soprusi. Dalle Litterae Partium la Sommaria emerge come l’espressione di un potere regio che si mostrava e si voleva forte, equo e giusto, che era al fianco di tutti, contava sulla collaborazione di tutti e su cui tutti potevano contare.

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6.CONCLUSIONI

La struttura e il complesso funzionamento del Regno aragonese nel secondo Quattrocento, attraverso un punto d’osservazione particolare, sono l’oggetto del presente lavoro. Rispetto ad altre ricerche recenti sul Regno tardomedievale, come quelle di Terenzi e di Senatore sull’Aquila e Capua, o di Morelli, Somaini, Airò, Alaggio e altri sul principato di Taranto, l’osservatorio scelto non è una città o un dominio feudale, ma una regione. Per quanto di difficile definizione medievale, il Molise contemporaneo offre infatti allo studioso una significativa, circoscrivibile ma al tempo stesso esaustiva combinazione di soggetti politici, sociali, economici e demici, permettendo di analizzare nel dettaglio la varietà delle complesse dinamiche territoriali regnicole, la natura e gli esiti del progetto monarchico dei sovrani aragonesi e le aspettative delle diverse componenti del Regno attraverso il secondo Quattrocento e la crisi sistemica delle guerre d’Italia.

Nell’affrontare il tema considerato, si è adottato un metodo empirico-induttivo, partendo dallo studio e dall’analisi degli elementi raccolti per giungere ad un modello interpretativo del fenomeno storico analizzato che si regga su salde fondamenta documentarie. In tale impostazione, la varietà e, soprattutto, la validità delle fonti utilizzate è stata considerata – possiamo dire a ragione – una condizione necessaria della ricerca.

In questa direzione, si è dunque compiuto uno spoglio ampio di fonti diverse: la documentazione su cui si basa questa ricerca è infatti, oltre che in gran parte inedita, tipologicamente varia e conservata in archivi e biblioteche napoletani, molisani, italiani e stranieri. Le fonti analizzate comprendono le corrispondenze diplomatiche, che ci hanno consegnato, oltre a un’ampia messe di informazioni preziose, un racconto in presa diretta degli eventi ricco di analisi interpretative anche delle motivazioni che spingevano i protagonisti degli eventi; gli atti ufficiali del potere regio, come i privilegi e i capitoli, i quali mostrano la dialettica tra concedente e concessionario, vale a dire le forme del rapporto fra sovrano e sudditi; infine, la documentazione conservata nei registri Litterarum Partium della Regia Camera della Sommaria, che ci ha mostrato la viva, quotidiana realtà dell’area territoriale dell’attuale Molise in tutte le sue parti, dalle minuscole realtà locali come Provvidenti fino a quelle più popolose come Venafro, dal borgo montano di Pescopennataro alla città diocesana marina di Termoli, dai grandi baroni ai piccoli signori locali, dalle figure centrali della società politica napoletana come Consalvo de Cordoba alle singole persone. Non solo varietà, ma anche accuratezza: pensiamo al dettaglio con cui gli inviati sforzeschi descrivono al duca di Milano gli eventi narrati nel capitolo 3 o alla profondità di informazione cui giungono le lettere dei registri Litterarum Partium analizzate nel capitolo 5. Tale varietà e ricchezza di informazione documentaria hanno permesso di

159 elaborare un’interpretazione del tema in oggetto che, per quanto sicuramente suscettibile di critiche e miglioramenti, ci sembra ben motivata e sostenuta dalla documentazione.

La conquista aragonese del Regno da parte di Alfonso il Magnanimo, di cui il territorio dell’attuale Molise fu teatro importante e decisivo visto che la battaglia finale che risolse definitivamente le sorti della guerra si combatté tra Carpinone e Sessano del Molise, determinò sin da subito profondi mutamenti. Tali mutamenti riguardarono in primo luogo gli equilibri di potere tra Corona, baroni e comunità locali: si pensi, tra le altre cose, alla distruzione del sistema di potere caldoresco, all’immissione di nuova feudalità fedele alla Corona e alla demanializzazione di università di importanza economica e strategica fondamentali come Agnone e Guglionesi, come abbiamo visto nei capitoli 3 e 4. In secondo luogo, tali trasformazioni incisero sulla vita stessa delle persone e delle comunità: la regolamentazione della transumanza e la creazione del sistema della Dogana della Mena delle Pecore, oltre a tutte le conseguenze sul piano delle relazioni reciproche tra i poteri di cui sopra, determinarono infatti un radicale mutamento delle modalità di allevamento degli animali (con la comparsa, come abbiamo visto, della nuova razza ovina Gentile di Puglia) e obbligarono anche i pastori che prima non lo facevano a lasciare le proprie case e trasferirsi in Puglia per tutto il periodo dello svernamento degli animali.

Ferdinando I si pose in continuità col lucido e razionale programma di affermazione dell’autorità monarchica iniziato e portato avanti dal padre: la politica di Alfonso e poi di Ferrante ci appare infatti frutto tanto di una sempre più profonda conoscenza del Regno, delle sue risorse reali e potenziali da sfruttare e dei suoi gangli vitali da controllare, quanto di una radicale costruzione ideologica fondata sull’umanesimo monarchico aragonese recentemente studiato da Fulvio Delle Donne, Guido Cappelli, Francesco Storti. La vittoria nella guerra di successione (1458-1464) consentì a Ferrante di portare avanti con forza e decisione il disegno paterno, da lui condiviso e implementato, e di introdurre riforme e innovazioni profonde e in qualche modo eccezionali se messe in contesto nell’epoca in cui avvennero e se commisurate al ridotto arco temporale del regno dei sovrani aragonesi nel Mezzogiorno.

Il quadro dei rapporti tra Corona, baroni e comunità nell’età aragonese che emerge dalla nostra ricerca rivela una monarchia che governa in un’ottica che potremmo definire di “discontinuità nella continuità”: non escludeva infatti, ma riconosceva, gli altri due poli del baronaggio e delle comunità e li chiamava ad una gestione partecipata della società politica del Regno, seppure a nuove condizioni. Emblematico di questa innovativa fisionomia del governo regio è il caso del rapporto tra re e baroni: la cornice giuridica formale del vincolo feudale venne lasciata intatta, ma ne vennero mutati

160 i contenuti sostanziali. I baroni divennero così le principali vittime dell’azione della Corona, dato che vennero colpiti nelle risorse economiche, nel potere di comando sugli uomini, nella possibilità di avere proprie milizie e di porle liberamente a servizio di poteri diversi dal re (quest’ultimo elemento, un vero e proprio colpo al cuore per i baroni). Allo stesso modo, le università non si videro negare le prerogative sancite dalla consuetudine o i privilegi ottenuti dai sovrani, ma videro i loro diritti riformulati secondo una diversa modalità di gestione, come appare evidente, nel caso molisano, allorché si consideri le vicende di Agnone, cui venne confermato il diritto di rifornirsi di ferro ovunque volessero, ma subordinandolo innanzitutto alla disponibilità di un fondaco particolare (quello di Vasto).

Possiamo quindi dire che, in generale, la cornice formale dei rapporti reciproci tra Corona, baroni e comunità restò inalterata, ma la sostanza di essi venne profondamente mutata perché mutarono profondamente gli equilibri di potere tra i tre poli a favore della monarchia. Tale mutamento vide infatti la monarchia porsi con forza come il principale punto di riferimento della società e insieme come un potere profondamente pervasivo, che poteva essere tanto protettivo quanto punitivo.

La possibilità per qualsiasi suddito di poter ricorrere alla Regia Camera della Sommaria per vedersi riconosciuti quei diritti che riteneva lesi – relativamente alle vastissime competenze della Camera − faceva il paio con la possibilità di rivolgersi al supremo Tribunale d’Appello del Sacro Regio Consiglio per ottenere giustizia direttamente dal re e riuscire a far valere i propri diritti. Un caso esemplare è quello della vedova pugliese – che come i poveri, gli ammalati e gli orfani godeva del patrocinio gratuito – che vinse una causa che la vedeva contrapposta al viceré di Capitanata Baordo Carafa.

In tal modo, la monarchia, già detentrice del monopolio delle armi e quindi della forza e della sicurezza grazie alla sottrazione delle milizie ai baroni, in virtù delle riforme introdotte e dell’azione combinata degli interventi diretti del re e della penetrante azione di controllo operata dalla rete dei funzionari pubblici sotto il controllo e la guida della Regia Camera della Sommaria, divenne una presenza forte e costante nella società e il potere principale e dominante, seppure evidentemente non unico e assoluto: un potere che si poneva al fianco di tutti − baroni, comunità, enti ecclesiastici e singole persone − a volte per aiutarli, altre per punirli, ma in generale per guidarli ed esser certa che facessero la loro parte nel perseguimento della pace, della giustizia e del bonum rei publice.

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7.APPENDICI

APPENDICE 1

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