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La repressione dei soprusi e la punizione dei funzionari indegn

TENTATIVI DI AUTONOMIA AMMINISTRATIVA: I CAPITOLI DI AGNONE E CAMPOBASSO

5.1. Il controllo amministrativo e finanziario del Regno: la Regia Camera della Sommaria Nel Regno di Napoli la Regia Camera della Sommaria, nata con la dominazione angioina, già

5.2.3. La repressione dei soprusi e la punizione dei funzionari indegn

L’azione dei funzionari della Regia Camera della Sommaria che operavano, come abbiamo detto, nell’ottica della tutela della giustizia e dell’equità, non poteva non esser volta anche a punire qualsiasi sopruso dei funzionari pubblici.

335 Doc.241: è probabile che il Giovanni Russo di cui il Pou aveva sentito parlare male sia la stessa persona protagonista della vicenda riguardante Santa Croce di Magliano.

336Doc. 158. 337 Doc. 424.

96 Tale azione si svolge senza riguardi di sorta tanto nei riguardi dei capitani, che dei commissari338 e dei più alti officiali. Per esempio, la Sommaria redarguì il capitano di Campobasso che non voleva applicare la prammatica regia riguardante il pagamento delle spese e dei diritti processuali, cercando di guadagnare il più possibile, nonostante – come gli ricordano i funzionari − avesse una provvigione di cento ducati annui, intimandogli che «de cetero non debiate simili cose temptare (…) maxime essendo vui et lo mastro d’acti ut asserit docti et ala declaratione de tali dubii sufficienti».339 L’ottica della Sommaria è nella maggior parte dei casi quella di tutelare i diritti dei sudditi, anche, se non soprattutto, delle piccole comunità e delle singole persone.

È il caso dell’università dell’attuale Santa Croce di Magliano i cui abitanti nel 1483 si lamentarono in Sommaria del fatto che avevano consegnato danaro per il pagamento delle tasse a Giovanni Russo esecutore del commissario, ma che questi lo avesse tenuto per sé.

La Sommaria, pertanto, ordinò al commissario fiscale di Capitanata di

audire et fare boni ad ipsa università senza altra contradicione tucta quella quantità de dinari quale per soye

antrabiche ve monstreranno havereli pagati et non fate che de tale facenda habiamo ad avere più querela (…)

dicta università nce ha facto anche intendere che dicto Johanne Russo have havuti in alia mano da dicta università circa XV ducati con dareli ad intendere che farria sgravare de certi fochi de li quali dicta università dice essere gravata, del che non è sequita cosa alcuna.

I funzionari, indignati, ordinarono di restituire il danaro e di punire il Russo, essendo inaccettabile «che habiate ad tenere homini de tale natura per exequituri che fanno simile

338 In una lettera diretta al capitano di Guglionesi del 12 maggio 1488, i funzionari della Sommaria gli ordinarono di comunicare i nomi dei commissari che si erano recati a Guglionesi e che avevano preteso e ottenuto di essere spesati, nonostante il re avesse espressamente vietato tale pratica, ribadendo che non bisognasse spesare i commissari (doc. 297)

339 Doc. 45 f. 49v. Non è un caso isolato: da una serie di lettere apprendiamo la vicenda riguardante il capuano Cola di

Arpaia, capitano di Venafro nel 1472 con una provvigione annua stabilita in dodici once più la metà dei proventi della sua corte di giustizia (l’altra metà andava all’università). Al termine del mandato, Cola aveva presentato un conteggio secondo cui i proventi erano pari solo a otto once, per cui l’università si rivolse alla Sommaria che ordinò al nuovo capitano di indagare (doc. 69). Essendoci una forte discrepanza tra i conti presentati da Cola e quelli venuti fuori dall’indagine condotta, si rese necessario un confronto tra le parti che poteva avvenire o a Venafro oppure presso la Sommaria − ma costringendo tutti ad andare là − pertanto i funzionari della medesima disposero che Cola si recasse «a la ditta cità per lo mese de octubro proxime futuro [1474] con cunto et raione de quello che per lui serà stato exacto in lo tempo che lui fo capitano in ditta cità et facta raione et carculo devante delo vicario delo episcopo de quissa cità et de messere Ioanne de Sabonis vostro citatino, se habia stare et havere rato et fermo tucto quello che per li predicti vicario et messer Ioanne serrà determinato audite le parte et viste ditti cunti et inquisicioni, ab sunto per scriptor notaio Iacobino seu alio in eius absentia eligendo per dittos conmissarios» (doc. 72). Alla fine il processo si tenne in Sommaria e Cola fu condannato a restituire nove ducati all’università. Dato che doveva ancora avere del danaro da persone abitanti a Venafro e nei suoi casali, Cola chiese che tali somme fossero riscosse e che l’eccedenza rispetto ai nove ducati venisse consegnata a un suo procuratore (doc. 76).

97 arrobarie»340. Nel poscritto aggiunsero che, se la cosa fosse verificata, lo si sarebbe dovuto mettere sotto custodia.

I cittadini di Torella del Sannio vennero invece aiutati dalla Sommaria in una questione giudiziaria: i funzionari scrissero in una lettera del 13 maggio 1485 che il Giustiziere del Contado di Molise aveva «presentata certa obbliganza contra certi homini de Torella de ducati XX che pretende devere consequire da li predicti per causa de certo insulto facto contra alcuni homini de Molisi».341 Avendo egli portato avanti la sua iniziativa, gli uomini di Torella fecero ricorso in Sommaria affermando che «actento che la differentia era stata et è territorio feudale», il Giustiziere non aveva proceduto in maniera corretta contro di loro, investendone la Camera, la quale

volendo provedere a la indempnità de dicti homini de Torella, foro emanate provisiuni contra de dicto Iustizeri che in tale causa non se devesse impazare. Ymmo li acti et processu inde facto mandare ad dicta Camera342.

A questo punto, il Giustiziere consegnò tutto, ma la causa ancora non venne discussa: pertanto gli uomini di Torella chiesero che nel frattempo non si intraprendesse alcuna azione contro di loro. La Sommaria ordinò di non fare nulla né contro di loro, né contro il giustiziere e di revocare qualsiasi atto che fosse stato istruito riguardo la questione.

Come detto poc’anzi, i funzionari della Sommaria sono accanto anche alle singole persone tutelando e facendo valere i loro diritti tramite un intervento diretto sui singoli officiali: quando Meo di Lollo di Termoli ritenne di veder lesi i propri diritti in merito all’esazione dello ius exiturum343, i

funzionari della Sommaria ordinarono al doganiere di Abruzzo di recarsi personalmente a Vasto e verificare quanto affermato dal querelante344, così come obbligarono il doganiere di Termoli a consegnare a Bernardo di Salvatore i restanti ventitrè tomoli345 di sale mancanti dai duecento che aveva comprato da Guglielmo Tolosa346, arrendatore delle saline di Puglia347.

340 Doc. 231.

341 Molise (CB).

342 Doc. 260 f. 124v.

343 Era la gabella da pagare per esportare le merci dal regno. 344 Doc. 27

345 Un tomolo era una misura di capacità pari a 22 litri per il tomolo di Napoli e 20 litri per il tomolo di Puglia (GROHMANN,

Le fiere, p. 44). Nel 1480 re Ferrante emanò un editto con cui ordinò di uniformare tutti i pesi e le misure del Regno a quelle in uso a Napoli. (DEL TREPPO, Il regno, p. 163)

346 Doc. 120. 347 Doc. 117.

98 5.3. I feudatari e i loro rapporti con la Corona e con le comunità a loro soggette

Entriamo ora più nel cuore della nostra ricerca, analizzando i rapporti tra i feudatari, le comunità loro soggette e la Corona.

La cornice giuridico-formale che racchiudeva i rapporti feudali nel Regno di Napoli ribadiva, potremmo dire, il principio genetico dei rapporti vassallatico-beneficiari che li vedeva come un rapporto di fedeltà personale in cui la concessione del beneficio al vassallo serviva a quest’ultimo per poter avere modo di espletare i propri doveri nel riguardo del signore.

Allo stesso modo, la concessione feudale in capite a rege era la cornice giuridico formale di un rapporto personale tra re e feudatario nel quale quest’ultimo era visto come un «Capitano regio a vita»348 nel feudo. Egli quindi doveva tanto rispettare i diritti personali e reali di quanti abitavano nelle terre a lui soggette, quanto essere responsabile di fronte al sovrano dell’adesione alle disposizioni regie e della riscossione dei tributi nei territori soggetti alla sua autorità, sempre e comunque limitata da quella regia. Tale limite appare con chiarezza dalla formula del giuramento di fedeltà dei suffeudatari, detta assecuracio vassallorum, nella quale essi gli giuravano fedeltà «salva semper debita fidelitate Domino Regi»349.

Tutti coloro che erano soggetti all’autorità del feudatario dovevano partecipare all’espletamento degli obblighi nei riguardi del sovrano, come è ben rappresentato dal pagamento dell’adoha − l’imposta sostitutiva del servizio militare − che doveva essere pagata per metà dalle università delle terre e delle città facenti parte del feudo, mentre i suffeudatari dovevano partecipare al pagamento della quota spettante al feudatario.

La natura personale del rapporto feudale consentiva ai sovrani di concedere prerogative diverse a feudatari diversi – pensiamo alla concessione della possibilità di amministrare la giustizia di secondo grado fatta dai sovrani aragonesi ai baroni a loro più fedeli, concessione che non inficiava la suprema autorità del re che aveva sempre a disposizione il terzo grado di giudizio rappresentato dal Sacro Regio Consiglio – o elargire loro prebende o esentarli dal pagamento di particolari tributi.

Il rapporto feudale era quindi la cornice giuridico-formale di un rapporto che si sostanziava in base agli equilibri di potere – di forza, potremmo dire − del momento.350

348 G.C

ASSANDRO, Lineamenti del diritto pubblico del Regno di Sicilia Citra Farum sotto gli aragonesi, Bari, 1934, estratto da «Annali del seminario giuridico economico della R. Università di Bari», VI, fasc. 2, pp. 44- 197, qui p. 100.

349 Ivi, p. 105.

350 La questione del ruolo della ‘feudalità’ è cruciale nell’Italia tardomedievale, e non soltanto nel regno di Napoli: le ricerche più recenti hanno rivisitato il tema – emerso a suo tempo dai saggi di Philip JONES, in particolare il provocatorio Economia e società nell’Italia medievale: la leggenda della borghesia, in Storia

d’Italia, Annali I, Dal feudalesimo al capitalismo, Torino 1979, pp. 187-372 – del ruolo dell’aristocrazia

feudale e signorile anche nell’Italia centro-settentrionale e nelle società politiche comunali. Basti qui fare riferimento al classico G. CHITTOLINI, La formazione dello stato regionale e le istituzioni del contado, Torino

99 La documentazione oggetto della ricerca afferisce a un periodo in cui gli equilibri erano a vantaggio della monarchia: la vittoria nella guerra di successione con la conseguente morte del principe di Taranto, la distruzione del sistema di potere caldoresco, l’arresto di Marino Marzano e l’uccisione di Giacomo Piccinino, avevano posto Ferdinando I in una posizione di assoluta preminenza di potere, forte di un demanio regio tanto esteso da renderlo incomparabilmente più potente di qualsiasi altro feudatario regnicolo e detentore di una forza politica − ed anche economica – che gli consentì di attuare la riforma militare di cui abbiamo parlato nel capitolo 2.

Già fortemente sperequati al proprio interno dalla diversificazione delle prerogative concesse e colpiti negli interessi economici e nel prestigio dalla creazione del sistema della dogana della Mena delle Pecore – di cui abbiamo parlato nel capitolo 2 e su cui torneremo più avanti analizzando i documenti riguardanti i rapporti tra feudatari, corona e comunità in merito al suddetto sistema doganale – i feudatari dovettero subire anche il gravissimo colpo della riforma militare che sottrasse loro, indubbiamente, risorse economiche, potere e prestigio.

Calati nella realtà territoriale del Regno, Corona, baroni e comunità ad essi soggette operano localmente, di volta in volta alleati e rivali tra loro, in un groviglio di relazioni ben delineate nella loro molteplicità dalla documentazione rinvenuta nei registri Litterarum Partium della Regia Camera della Sommaria. Una volta di più, va precisato che divideremo i numerosi documenti di cui parleremo in varie sezioni per comodità espositiva, in modo che la pluralità e le caratteristiche di dette relazioni appaiano più chiaramente.

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