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I capitoli concessi a Campobasso da Ferdinando I d’Aragona.

TENTATIVI DI AUTONOMIA AMMINISTRATIVA: I CAPITOLI DI AGNONE E CAMPOBASSO

4.4. I capitoli concessi a Campobasso da Ferdinando I d’Aragona.

I diciotto capitoli erano contenuti in un privilegio il cui originale è andato distrutto nell’incendio del municipio di Campobasso nell’ottobre 1943. Esso era stato editato nel 1902 da Gino Scaramella286 e ne esiste una copia conservata presso l’Archivio di Stato di Napoli nel Libro del mastrogiurato Donato Palombo del 1751287.

284 XII [B].

285 Qualche anno dopo la situazione era però leggermente diversa, poiché nell’aprile del 1468 i sindaci di Agnone inviano una lettera di protesta ai funzionari della Regia Camera della Sommaria per lamentarsi della mancanza di ferro e acciaio nel fondaco di Vasto, chiedendo di potersi rifornire in un qualsiasi altro fondaco del Regno. I funzionari non rigettano la loro richiesta, ma la subordinano al rifornimento del fondaco entro venti giorni, passati i quali loro avrebbero potuto rifornirsi dove avrebbero voluto. (Doc. 4.; cfr. infra punto 5.4.4)

286 L’edizione del privilegio fu curata con l’ausilio di una copia redatta a Napoli nel 1468, anch’essa distrutta a causa del bombardamento (cfr. G. SCARAMELLA Un privilegio aragonese a favore di Campobasso,

Maddaloni 1902, p. IV).

287 ASNa Regia Camera della Sommaria, Diversi della Sommaria, Prima numerazione, busta 242, ff. 16r-30v [d’ora in poi Capitoli Campobasso].

79 I capitoli segnano il passaggio al regime demaniale del centro principale del dominio feudale di Cola di Monforte288, che, come detto, aveva parteggiato per gli angioini durante la guerra di successione, e presentano interessantissimi spunti di riflessione in un confronto comparativo con Agnone, perché i campobassani si pongono nei confronti della monarchia in un rapporto diverso, molto più autonomo e paritario, come traspare dalle loro richieste.

Le questioni trattate sono molte: il nuovo regime cui è assoggettata la città, le conseguenze della guerra, le ambizioni territoriali dei campobassani, che tentano di approfittare della situazione, gli assetti fiscali, la fisionomia degli ufficiali regi. Esaminiamoli con ordine.

Abbiamo capitoli contenenti richieste relative al nuovo regime di dominazione: la conferma dei privilegi concessi da Alfonso I d’Aragona; la remissione dei debiti nei confronti del fisco regio; la conferma delle fiere di Santa Maria di settembre, dei SS. Pietro e Paolo di giugno e dei SS. Nereo, Achilleo e Pancrazio (12 maggio) da tenersi libere e franche da ogni esazione, con la facoltà per l’università di nominare il «mastro del mercato», funzionario deputato al controllo delle fiere e in particolare all’amministrazione della giustizia per i casi inerenti le fiere stesse; la richiesta che le fosse rimessa la tassa di dieci ducati che si pagava alla corte comitale per la franchigia della sola fiera di S. Maria in settembre e quella di un mercato del giovedì. I campobassani chiedono anche la conferma dei «territori donati, venduti o cambiati a li predicti citatini de Campobasso siti in territorio et pertinenciis ipsius terre et in Monacilioni per lo dicto conte Cola e suoi precessori».

In merito alla guerra appena terminata, la città chiede: l’indulto generale per tutti i reati civili e penali di cui i campobassani si erano macchiati nella guerra contro il re; la ricomposizione dei danni rifacendosi sui beni del conte Cola di Monforte. Chiedono inoltre che l’università non dovesse essere chiamata a rispondere della mancata restituzione dei beni mobili e immobili dei nemici del conte Cola presenti in «terra et territorio Campibaxi», lasciati in custodia o tenuti per qualsiasi motivo, e dal conte confiscati; che gli atti notarili stipulati in pubblica forma a Campobasso o dai notai campobassani durante la guerra con il nome di Renato d’Angiò nell’intitulatio potessero comunque mantenere la loro validità giuridica, che il re concesse affermando che da qual momento in poi gli atti dovevano portare il suo nome.

La città esprime anche una serie di aspirazioni di natura territoriale: chiedono e ottengono di poter sfruttare il territorio del castello di Vairano – l’attuale Monte Vairano −, posto ai confini con la

288 Cola di Monforte, condottiero e conte di Campobasso (†1478: DBI 75, Roma 2011, pp. 651-657). Il ramo della famiglia Monforte cui egli apparteneva era titolare della contea dal 1326 (cfr. SCARAMELLA, Un

80 terra di Busso, allora sotto la dominazione di Onorato Caetani, conte di Fondi, Logoteta e Protonotario del Regno e la «corporalem et validam possessionem» e la facoltà di disporre a proprio arbitrio del bosco di Selva Piana appartenente alla diocesi.

C’è poi una serie di capitoli eterogenei, da cui emerge un rapporto dialettico con il monarca e la sua corte

Nell’ottavo capitolo, i campobassani accusano velatamente il sovrano e la sua corte di essersi sostituiti al Monforte nell’appropriazione indebita dei proventi della gabella del vino e della carne concessi all’università da Alfonso I289. Evidentemente l’accusa aveva qualche fondamento, perché il re rispose che «placet Regie Maiestati quod servetur ipsi Universitati privilegium Regie Maiestatis Regis Alfonsi ipsius patris».

I campobassani cercano anche consapevolmente, ma invano, di conservare la propria posizione di privilegio tra le città demaniali : «licet le altre terre demaniale de sua Maiestà pagassero et satisfacessero ad votum de sua Maiestà in predictis vel aliquo in predictorum in totum vel in partem290 » chiedendo di corrispondere al fisco regio solo le collette annuali che Alfonso aveva ridotto

a venti ducati per colletta291, Il re rispose che intendeva trattare Campobasso come le altre città

demaniali («Regia Maiestas intendit tractare dictam universitatem quemadmodum alias demaniales ipsius Maiestatis»).292

Non paghi, arrivano a chiedere che l’università potesse riscuotere la fida dovuta dai proprietari di bestiame che si recavano in Puglia per la transumanza, anche qui incorrendo in un diniego regio.

Già solo questi tre capitoli pongono Campobasso quasi agli antipodi rispetto ad Agnone riguardo proprio l’atteggiamento verso il sovrano, che qui viene quasi sfidato con delle richieste inaccettabili come quelle sul sistema di tassazione e sulla riscossione della fida.

Ma ve ne sono altri, che contengono le richieste relative agli assetti amministrativo- istituzionali, che evidenziano una netta differenza con Agnone.

Vediamo innanzitutto le richieste relative al capitano:

• egli deve essere nominato dal re annualmente,

289 Capitoli Campobasso, f. 23r. Tale gabella era pari a mezzo tornese per rotolo di carne e mezo tornese per «ambolea di vino». (cfr. infra punto 5.3.1 del presente lavoro).

290 ivi, f. 19r.

291 Tale concessione avrebbe voluto dire cancellare la riforma tributaria introdotta dal Magnanimo ristabilendo, di fatto il sistema angioino (cfr. supra punto 2.4.1 del presente lavoro).

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• deve risiedere in città «retinendo ordinarie bancum iuris ius unicuique ministrando (…) et [essere] forense»293, termine che fa pensare ad una necessaria competenza giuridica dell’ufficiale

• «debea continue residere ministrando officium per se ipsum et non per substitutum»294;

• e avrebbe percepito per questo una provvisione annua di cento ducati, con la clausola che il danaro eccedente questa somma fosse attribuito all’università.

• Al termine del mandato doveva tenersi a disposizione dell’università per venti giorni al fine di essere sottoposto a sindacato da tre cittadini designati dall’università.

Un capitolo importante è il terzo, nel quale da un lato si concede a Campobasso un amplissimo privilegio di foro riguardante le cause criminali di primo grado e quelle civili di qualsiasi grado: «qualsisia causa civile cuiusvis quantitatis et qualitatis existeret (…) criminale cuiusvis qualitatis foret in primis causis»295, con l’esplicita affermazione che la curia capitaneale fosse l’unica corte

dinanzi alla quale i campobassani potessero essere tratti, e dall’altro si afferma espressamente che il capitano venga attribuito il mero e misto imperio, la facoltà di imporre la pena capitale e l’uso delle quattro lettere arbitrarie296.

Ma è nei due capitoli relativi all’elezione del giudice annuale e del mastrogiurato, e della facoltà per l’università di darsi propri statuti che notiamo una forte differenza di toni e di pervicacia nella richiesta, differenza non attribuibile a una mancata conoscenza delle prerogative delle università demaniali.

Nel quindicesimo capitolo, nel chiedere, come gli agnonesi, che nell’espletamento del compito il giudice e il mastrogiurato fossero esenti da qualsiasi commissione regia o di qualsiasi ufficiale regio essi chiedono che elezione si facesse «per essa università ordine sibi melius viso»297; i designati dovevano giurare nelle mani del capitano – e non recarsi dal re entro un mese come previsto per gli agnonesi −, e «quod presens capitulum habeatur pro plena eorum commissione, non obstantibus consitutionibus et capitulis, ritibus et quibusvis observantiis regni contrariantibus»298.

293 Ivi, f.17v. 294 Ivi, f. 18r. 295 Ivi, f. 18v.

296 Esse consistevano in quattro capitoli promulgati da Roberto d’Angiò e destinati ai Giustizieri, con i quali il sovrano impartiva loro speciali norme per la rapida repressione dei reati più gravi e frequenti concedendo loro anche alcune facoltà volte a rendere più veloci i processi (cfr. supra punto 3.5 del presente lavoro).

297Capitoli Campobasso f. 26r.

82 Il re acconsentì, ma «de solutione iudicum et magistrorum iuratorum»299 bisognava seguire la consuetudine delle altre terre demaniali.

Per quanto riguarda gli statuti, i campobassani chiesero di redigere statuti che non si limitassero al diritto civile – come avevano chiesto gli agnonesi − ma nei quali fosse loro possibile «in ipsi o alcuno de ipsi imponere pena pecuniaria aut penam carceris vel mistam iuxta eorum arbitrium pro ipsorum observancia tam in causibus civilibus quam criminalibus». Il re rispose che venissero mandati «ad regiam maiestatem capitula et statuta predicta et Regia Maiestats confirmabit que confirmanda erunt»300.

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