• Non ci sono risultati.

7 “Il congegno del discorso pedagogico”.

Come si è visto sia la scienza empirica dell’educazione sia la filosofia dell’educazione spesso sconfinano dal loro campo specifico di indagine e vanno a confluire in un tipo di teorizzazione di secondo livello che fa della teoria stessa l’oggetto delle sue critiche e analisi. Questo ambito teoretico si presenta da un lato come epistemologia dall’altro come una metateoria. Effettivamente non esistono degli steccati precisi tra i diversi tipi di teoresi pedagogica e le sovrapposizioni, contaminazioni, integrazioni, intersezioni sono piuttosto frequenti nell’ambito della pedagogia contemporanea. Tuttavia attribuire alla metateoria lo statuto di paradigma significa fare di questa analisi di secondo livello non qualcosa di occasionale, ma il fulcro stesso del discorso pedagogico sia per ciò che concerne l’aspetto più squisitamente teorico- epistemologico sia pratico, nel senso di fungere da guida per la progettazione e realizzazione didattico-educativa.

Come evidenzia la denominazione duale “epistemologico/metateorico”, sono due le modalità mediante le quali si può declinare questo paradigma, ossia i modi specifici in cui si può sottoporre a indagine il discorso pedagogico prendendo in esame le forme teoriche che lo costituiscono, la sua struttura logico-argomentativa, il suo modo specifico di fare/essere scienza, il suo senso, ecc. L’indagine epistemologica è rivolta a determinare la validità della teorizzazione pedagogica e a giudicare circa il suo assetto scientifico, i suoi fondamenti gnoseologici, metodologici e procedurali che ne costituiscono l’unità come sapere specifico; analizza e valuta la portata del suo congegno logico-argomentativo, le sue specifiche modalità inferenziali e dimostrative che si connettono alla possibilità/impossibilità di operare generalizzazioni fondate a partire dal riconoscimento del nesso causale “fatti”/teorie, ipotesi/verifica, descrizione/spiegazione.

L’epistemologia pedagogica può presentarsi in diverse forme: in un primo caso, già preso in esame nelle pagine precedenti, può semplicemente assumere i canoni di scientificità di altre discipline (quantitativo-nomologici tipici delle scienze naturali o più deboli, ideografici e connotati in senso ermeneutico, tipici delle scienze umane). In questo caso la pedagogia perde il suo assetto disciplinare specifico e risulta largamente dipendente dai paradigmi di scientificità che gli vengono imposti dall’esterno. Questa dipendenza epistemologica può tradursi per la pedagogia nel rischio di venire

“assorbita” completamente in altri ambiti e discipline scientifiche; sul piano dei risultati teorici e pratici, però, l’eventualità di questa perdita di identità può conciliarsi anche con un certo successo in alcuni ambiti ristretti e con un considerevole incremento di conoscenza. L’affermarsi del paradigma scientifico di stampo positivista, come si è visto, ha effettivamente reso l’epistemologia pedagogica parassitaria nei suoi confronti e si è presentato il rischio concreto della dispersione del discorso pedagogico sia nel senso di assorbimento in altri campi (sociologia, psicologia, biologia, ecc.) sia dello “spezzettamento” in tante scienze dell’educazione. Su un altro versante l’epistemologia pedagogica si è andata definendo come ricerca rivolta alla determinazione di principi metodologici, logico-formali, argomentativo-linguistici, ecc. specifici e idiosincratici caratterizzanti il discorso pedagogico e tali da individuare, senza ambiguità o riduzionismi, il suo modo particolare di fare e essere scienza. In questo processo hanno avuto un ruolo cruciale, a partire degli anni Sessanta, da un lato la “liberalizzazione” dell’epistemologia ad opera di Popper, Kuhn, Feyerabend, Lakatos e dall’altro l’affermarsi delle teorie dei giochi linguistici e del significato come uso del secondo Wittgenstein e l’influsso della filosofia analitica e post-analitica.

L’epistemologia pedagogica, quindi, ancora parzialmente legata alla logica neo- positivista e alla filosofia analitica si è andata strutturando come un’analisi linguistica di tipo formale del discorso pedagogico, capace di farne emergere la specificità e le “mancanze”, rilevabili dal confronto con il paradigma nomologico delle scienze dure, caratterizzato dal senso della pluralità e dalla commistione di linguaggio tecnico e linguaggio comune, dal permanere di residui retorici, dall’uso di slogan e metafore di scarso valore “scientifico” ma di profondi effetti pratici, prescrittivi e progettuali. Attivi in questo senso, con una serie di studi specifici, sono stati ad esempio i lavori di George Kneller (1908), Richard Stanley Peters (1919), Israel Scheffler (1923) e Carmela Metelli di Lallo (1912-1977).

Lo scopo era quello di mettere ordine nel logos pedagogico/educativo e di ricondurlo a regole più stabili e quindi più “controllabili”, meglio definite, più suscettibili di revisione critica e correzioni nel senso della scientificità. L’epistemologia formale, quindi, si configura come strumento di controllo, ma anche come indagine metateorica volta all’analisi delle strutture, formali e linguistiche del discorso pedagogico, del suo congegno logico e argomentativo.

In una fase immediatamente successiva, tra gli anni Settanta e Novanta, l’epistemologia pedagogica, recependo in pieno gli apporti degli studi epistemologici post-popperiani e post-analitici, oltre che le istanze provenienti dallo strutturalismo, dalla fenomenologia, dalla filosofia critica di impianto marxista e dall’ermeneutica, si è andata sempre più svincolando da questo tipo di analisi formale per connotarsi come indagine fenomenologica e dialettico-critica; si è sempre più rivolta ad un tipo di rigore storico, ermeneutico, comprendente e non più, o meglio non solo, analitico-linguistico e scientifico. La rivolta studentesca e la critica radicale della società, della cultura e dei valori nel ’68 hanno influito in questo senso, soprattutto rilevando gli aspetti ideologici insiti all’interno di ogni attività umana, compresa l’attività scientifica. Soprattutto da parte dei francofortesi viene denunciata la falsa “oggettività” e “neutralità” della scienza, della quale viene sottolineata la componente deformante, il mascheramento ideologico tendente a mantenere inalterato il dominio dell’uomo sull’uomo e sostanzialmente stabile il sistema di potere nell’ambito socio-politico. All’esito alienante del progresso tecnologico che relega le persone a una sola dimensione, impoverendone le potenzialità e le prerogative, si contrappongono l’immaginazione, la creatività e l’utopia quale progetto socio-politico possibile, per quanto difficile da realizzarsi, e per il quale occorre impegnarsi nell’attualità sulla base di precise istanze rinnovatrici, fondate su quello stesso progetto che, stabilendo il canone normativo, diviene il fondamento e la giustificazione della critica all’esistente. La fenomenologia, sottolineando la “crisi” della scienza e della tecnica e la necessità di una fondazione trascendentale di questo tipo di sapere, ha rivalutato il ruolo della filosofia, intesa come attività rigorosa di regionalizzazione e analisi fenomenologica e eidetico-trascendentale, e ha fatto dell’intenzionalità la categoria principale del discorso filosofico.

La koinè ermeneutica ha condotto a superare lo scientismo e l’ideale dell’oggettività assoluta attraverso il riconoscimento della storicità, relatività e parzialità di ogni conoscenza. Le conclusioni teoriche e storiche dell’epistemologia popperiana e post- popperiana, coincidendo in parte con gli esiti dell’impostazione ermeneutica hanno concorso a questo cambiamento di prospettiva. In definitiva l’epistemologia in generale e quella pedagogica in particolare hanno assunto i connotati di una ricerca metateorica sempre più caratterizzata, nel senso, dalla complessità e dall’integrazione tra considerazioni di ordine logico-formale, linguistico e empirico-scientifico, da un lato, e

filosofico-critico, storico-ermeneutico, fenomenologico, dall’altro. La dialettica, una dialettica aperta, senza sintesi né chiusure, tratta dalla filosofia marxista, viene emendata dai caratteri metafisici e si fa strumento di comprensione per mediare attraverso le diverse istanze del pedagogico, quelle scientifiche e quelle ermeneutiche, per non incorrere nel pericolo del riduzionismo, in qualunque senso lo si intenda. La dialettica diviene uno strumento di indagine non solo logico ma interpretativo, capace di rapportarsi e di cogliere la fluidità dell’esperienza, nei suoi legami complessi, dando ragione della dinamica dei processi in divenire. Tutti questi elementi, metodi, strumenti concettuali entrano come patrimonio nel discorso pedagogico che si connota sempre più in senso informale, non meramente epistemologico e logico-formale, e decretano il passaggio alla metateoria di stampo critico-dialettico e ermeneutico-storico e, per certi versi, trascendentale, ossia una metateoria nel senso pieno in cui la intende Cambi.

Il riferimento al trascendentale va interpretato non come il riconoscimento dell’esistenza di elementi e/o categorie strutturali e a-priori, assolute, universali e a- storiche (il che comporterebbe il ricadere in una forma di dogmatismo e di pedagogia essenzialmente speculativo-metafisica), ma in senso fenomenologico e, soprattutto, ermeneutico. Le categorie, gli elementi strutturali e portanti del discorso pedagogico, perciò, vengono assunti e riconosciuti attraverso un’analisi e un’indagine genealogica e fenomenologica, se ne riconosce l’origine storica e culturale e, contemporaneamente, la funzione trascendentale eidetico-fenomenologica e quasi-invariante, capace di orientare il discorso pedagogico e di attribuire senso all’impresa educativa. Senso che non è dato una volta per tutte, ma è suscettibile di molteplici interpretazioni a seconda del peso e del significato che queste strutture assumono in un certo contesto storico-culturale e dei cambiamenti e innovazioni che possono subire.

Ricerche metateoriche di questo tipo, connotate però ancora in senso più epistemologico che critico-dialettico-ermeneutico, sono, ad esempio, quelle di Metelli di Lallo, Wolfang Brezinka (1928), Visalberghi, De Giacinto, Laporta e molti altri. Tuttavia l’indagine epistemologica, che comunque è una forma di metateoria, risulta troppo vincolata al discorso scientifico ed anzi si presenta come endoscientifica, tappa della sua crescita/controllo, cui sfugge la problematica del senso unitario della pedagogia e il confronto con i fini valori. L’epistemologia, poi, tende a ridurre l’apporto

della filosofia per indagare il congegno interno della pedagogia, mentre la metateoria rilancia il ruolo cruciale dell’elemento critico-filosofico.

La metateoria, in ogni caso, si è andata affermando come uno dei paradigmi portanti della modernità sia in Italia sia sul piano internazionale e si giova degli studi di molti protagonisti contemporanei come, solo per citarne alcuni nel contesto italiano, Giovanni Maria Bertin, Riccardo Massa, Alberto Granese o lo stesso Cambi. In generale oggi la metateoria è svolta dai diversi studiosi che si richiamano al modello critico di pedagogia, ma anche a quello fenomenologico, ermeneutico, problematicista, alla clinica della formazione, ecc36. Tuttavia secondo Cambi le indagini di tipo epistemologico/metateorico sono andate declinando dagli anni Novanta ad oggi. In parte ciò è dovuto al sorgere di una serie di emergenze educative che caratterizzano la contemporaneità e che hanno messo in secondo piano le problematiche più squisitamente teoriche e metateoriche: il presentarsi prepotente del problema interculturale, causato dall’incremento dei fenomeni migratori; l’imporsi della tecnologia come dimensione chiave per interpretare la contemporaneità e il prevalere, sul piano istituzionale-politico, di modelli pedagogico-sociologici fuzionalistici che insistono più su categorie connesse alla produzione, all’economia, al lavoro, all’efficienza, alla socializzazione piuttosto che alla formazione della persona, all’emancipazione e al cambiamento sociale e individuale attraverso la critica dell’esistente.

Secondo questi modelli la scuola diviene luogo di riproduzione e di miglioramento/perfezionamento nel senso dello sviluppo economico-produttivo, dell’incremento e della maggiore circolazione delle conoscenze e del know how, dell’efficienza e della funzionalità dell’istruzione ai bisogni dello Stato/Nazione. Ciò riduce gli spazi e le possibilità, sul piano degli studi accademici e di influenza nella prassi educativa, della riflessione critica e di quel paradigma metateorico (con i modelli pedagogici che ad esso si ispirano) che esplicitamente fa della critica (teorica, epistemologica, metateorica, sociale, politica, ecc.), della riflessività, dell’istanza emancipatrice, della formazione e dell’autoformazione in senso poli-dimensionale e del soggetto-persona le categorie principe del discorso pedagogico. Scrive Cambi nel 2006:

36Cfr. in: Cambi, Metateoria pedagogica. Struttura, funzione, modelli, Clueb, 2006; Manuale di filosofia

“Nel corso degli ultimi quindici anni (poco più, poco meno) tale modello di ricerca è risultato, via via, declinante. Non è più al centro del dibattito. Gli studi d'impegno, su questo fronte, si sono fatti più rari. La frontiera epistemologica si è fatta, in pedagogia, meno vincolante, più debole, via via è stata spostata ai margini. Perché? Sono state le ‘nuove emergenze’ educative a polarizzare il campo. Dall'intercultura all' ‘educazione di genere’, dalle nuove tecnologie alla scuola rinnovata per la società-del-sapere, etc. Nuove emergenze anche teoriche, come l'imporsi della Tecnologia, da un lato, quale fattore-chiave del nostro tempo, e l'avvento di un Neocapitalismo produttivistico e funzionalistico, che ‘chiude’ di fatto lo slancio verso il futuro e guarda a un futuro non troppo diverso dal presente. Tutto ciò ha posto la metateoria (epistemologica e non solo) sub judice, l'ha di fatto rimossa come inessenziale, in un tempo sì postmoderno, ma che quella fluidità tende poi – nelle scelte politiche, sociali, anche culturali – a chiudere, a bloccare, a rimuovere. Si pensi solo al ruolo dominante e ‘autoritario’ assunto dalla Tecnica, che è – insieme – la speranza, il rischio e il Moloch del nostro presente”. [F. Cambi, Metateoria pedagogica, Clueb, 2006, pag. 106].

Del resto la pedagogia contemporanea risulta caratterizzata (e in qualche modo si lega e si definisce nella sua attualità) da tre “rotture” storiche che si sono succedute: quella scientifica degli anni Sessanta; quella critico-radicale degli anni Settanta e quella tecnologica degli anni Ottanta. Alle prime due si è già accennato. La prima si connette all’avvento delle scienze dell’educazione e al rischio per gli anni seguenti dell’assorbimento/spezzettamento della pedagogia e, quindi, alla perdita di identità, e alla possibilità di sparire come sapere unitario. Il secondo si lega al movimento studentesco del ’68 e alla critica radicale dei valori e dei modi di vita tradizionali tipici di quegli anni, che ha sottoposto anche il sapere pedagogico ad una rilettura critico- radicale tendente a far emergere gli assetti ideologici e le dipendenze socio-politiche della pedagogia. La terza, negli anni Ottanta-Novanta, si connette al prevalere dell’operatività tecnica nella pedagogica: il riferimento è alla “pedagogia della programmazione”, allineata a un modello di razionalità funzionale e organizzativa, che si lega anche alle riflessioni teorico-psicologiche del cognitivismo e delle scienze cognitive. Questo approccio si è concentrato sui risvolti didattici e, con l’introduzione dei computer e delle possibilità informatiche (internet, wikipedia, educazione a distanza, sviluppo del Web 2.0, costruzione di ipertesti, ecc.), sugli elementi tecnologici volti al miglioramento e al potenziamento dell’insegnamento/apprendimento. Ciò però ha ridotto la globalità e complessità del sapere pedagogico, soprattutto perché ne ha eliminato la componente critica e i caratteri del progetto (esistenziale e socio-politico). La metateoria, viceversa, riaffermando il carattere riflessivo e iper-complesso del discorso pedagogico, assume la critica, la dialettica e l’ermeneutica come metodo e

come stile del pedagogico, traendone gli strumenti concettuali principali per la ricerca del senso e per il superamento di ogni riduzionismo in vista di una precisa scelta di valori e di un progetto che si configura come realizzazione possibile e/o utopica.

Il metodo metateorico, essenzialmente filosofico, segue una filosofia non dogmatica, fa emergere le strutture eidetico-categoriali storicamente determinatesi e le fissa come il perimetro teorico del discorso pedagogico. Lo scopo è quello di dotare la pedagogia di uno strumento di controllo che agisca retroattivamente sulla stessa teorizzazione, nelle sue diverse modalità e manifestazioni, dotandola di un volano di senso il quale sappia ispirare e guidare la stessa progettazione didattica e coordinare la stessa pratica educativa. Lo studio metateorico si impegna, attraverso la critica e l’impiego di metodologie ora più analitiche, ora strutturaliste, ora dialettiche o fenomenologiche, a definire il disegno interno del discorso pedagogico con l’obiettivo di individuarne i “poli” tensionali e le “regole” intorno alle quali esso si organizza in modo da descriverne, ad un tempo, la mappa logica e fissarne la struttura “eidetica”.

La metateroria contribuisce, secondo Cambi, alla conoscenza e alla terapia della nevrosi attuale della pedagogia, permette in sostanza una sua riorganizzazione, una ridefinizione del suo senso complessivo, dei compiti specifici, dell’oggetto e dei fini che le sono propri per costituirsi come sapere autonomo, con precise categorie portanti, tra le quali quella di “formazione” è la principale. Tale definizione, ri-descrizione, ritrovata autonomia è l’esito dell’indagine metateorica che però, concordemente con i suoi presupposti plurali, storico-ermeneutici e complessi non si presenta mai come interamente compiuta; l’indagine metateorica è aperta e problematica, suscettibile di continue revisioni e riformulazioni. La pedagogia, infatti, come spesso è stata indicata nel corso di questo lavoro (senza darne per altro una spiegazione) si presenta come un “discorso”. Cambi, ad esempio, sottolinea che:

“Il problema da cui siamo partiti è quello della pedagogia come ‘discorso’. La pedagogia si delinea, in realtà, come un fascio assai articolato di discorsi, tra loro fortemente eterogenei. Essa raccoglie discorsi tecnici e pratici, scientifici e filosofici, normativi e descrittivi, presentando un volto, come è stato più volte sottolineato, di confusione endemica.” [F. Cambi, Il congegno del discorso pedagogico, Clueb, 1986, pag. 12]

L’argomentare pedagogico, perciò, anche nei suoi intenti “fondazionali” non si presenta mai come definitivo, ma ha un carattere saggistico (la più aperta e critica delle

forme di scrittura filosofica), storico-ermeneutico, dialettico e scientifico (se si intende l’apporto scientifico come un elemento imprescindibile, ma non l’unico né il principale). Del resto il paradigma post-moderno tende attualmente ad attribuire questo carattere di debolezza congenita, derivante dall’essere un “discorso” 37, ad ogni tipo di sapere (nomotetico o ideografico che sia), anche a quello scientifico; da ciò discende la possibilità di utilizzare e applicare a una molteplicità di discipline diverse alcuni risultati importanti della filosofia del linguaggio, come la teoria dei giochi linguistici e della pragmatica della comunicazione, della linguistica e dell’ermeneutica. Nella seconda parte di questo lavoro, basandomi su questo assunto della pedagogia come discorso, cercherò di presentare un modello di pedagogia come traduzione all’interno di un paradigma metateorico-ermeneutico e critico. In sostanza, comunque, l'analisi metateorica è un discorso pedagogico che ha come oggetto di indagine la teoria pedagogica stessa ed è volta a individuare e a mettere a nudo la struttura interna del “congegno del discorso pedagogico”.

La riflessione metateorica proposta da Cambi presenta un certo atteggiamento “trascendentale” (nel senso relativo, storico e fenomenologico già precisato) che permette di eleggere Kant e Antonio Banfi (1886-1957) (ma il neokantismo e la fenomenologia in genere) quali precursori della metateoria. In pratica Cambi rileva un influsso diretto della loro impostazione e del loro atteggiamento teorico più che dei contenuti specifici, sulle ricerche e l’elaborazione di teorie pedagogiche di vari autori e scuole contemporanee. Il riferimento alle “filosofie trascendentali” (neokantismo, fenomenologia, strutturalismo, ermeneutica, marxismo, esistenzialismo), intendendo questo termine come ricerca delle strutture profonde e a-priori di un qualche evento mentale e/o fenomeno esterno (culturale, sociale, storico, naturale), si connette all’impegno che la metateoria pedagogica mostra nel tentativo di dissotterrare il “congegno” plurale e tensionale del discorso pedagogico. Essa, infatti, guarda alle strutture che stanno “prima” del logos scientifico, che fungono da vere e proprie categorie trascendentali, per quanto storicamente determinatesi e soggette al gioco

37 “Il sapere scientifico è una specie di discorso”, in: J-F. Lyotard, La condizione postmoderna, Milano, Feltrinelli, 2008, pag. 9. Nelle pagine seguenti, 9-16, Lyotard spiega come il cambiamento avvenuto nell’epoca postmoderna abbia condotto a considerare la conoscenza non tanto come formazione (Bildung) dello spirito, ma come interscambio di informazione, sempre più dematerializzata e digitalizzata. Dal possesso e dalla gestione dell’informazione, che, ridotta a merce, deve circolare incessantemente attraverso processi di compravendita, dipende il potere, anche di tipo politico, per la supremazia globale. Il sapere, infatti, è la “principale forza produttiva” (pag. 13).

ermeneutico dell’interpretazione/comprensione, che agiscono come vettori profondi del discorso pedagogico.

Tali a-priori relativamente invarianti rispetto ai quali si dispiega il fare pedagogia sono essenzialmente tre: l'ideologia, la scienza e l'utopia. Del resto, come si è visto dall’esame dei paradigmi pedagogici, queste tre dimensioni sono sempre emerse come elementi imprescindibili su cui ognuno dei paradigmi considerati ha dovuto esprimere, più o meno consapevolmente, la sua posizione. Certo, come nel caso della scienza, alcune categorie si precisano e si evolvono nel corso del tempo, tuttavia bisogna ammettere che anche il paradigma metafisico-retorico, quindi prima dell’affermazione del sapere scientifico moderno in quanto tale, ha dovuto confrontarsi con un tipo di sapere “scientifico” e tecnico figlio della tradizione greco-romana e medioevale (dalla matematica alle teorie naturalistiche, si pensi solo alle opere biologiche e fisiche di Aristotele, alle conoscenze architettoniche, ingegneristiche, mediche e tecnico- produttive) per quanto minoritario e relegato al margine rispetto a quello metafisico- teologico. Lo stesso dicasi per la componente utopica che si presenta nella sua massima manifestazione nel paradigma socio-politico, pur essendo presente in tutti, compreso quello scientifico, dove prende la forma di una società tecnocratica e razionale o si