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DISCORSO PEDAGOGICO”

3. Il paradigma “socio-politico”.

Il secondo paradigma pedagogico, di tipo socio-politico, si afferma nel Seicento in coincidenza dei principali mutamenti storici, economici e culturali della modernità cui si è accennato. Tale paradigma, infatti, si inserisce pienamente e si sviluppa nell’epoca moderna e, per certi versi, l’accompagna nelle principali trasformazioni storiche: dalla riforma protestante, con i suoi esiti religiosi, culturali e socio-politici, alla formazione degli Stati Nazione, dall’affermarsi del sapere scientifico, con la conseguente laicizzazione della mentalità, alle trasformazioni economico-produttive, pre- capitalistiche e capitalistico-industriali, che hanno decretato l’ascesa della borghesia come classe sociale dominante. Il paradigma etico-politico è uno dei principali paradigmi pedagogici della modernità, oltre che il primo, in senso cronologico, ad essersi sviluppato, che, ancora oggi, ha un ruolo centrale in ogni teorizzazione pedagogica, anche se non si trova più in una posizione di esclusività e di egemonia. Il suo presupposto è la centralità per il discorso pedagogico delle sue finalità sociali e politiche pienamente inserite in una dimensione e in una riflessione di tipo storico, rivolta quindi alla dimensione antropologica e mondana, non meramente metafisica, religiosa o trascendente, anche nei casi e per quegli autori in cui questi aspetti non sono marginali. La pedagogia si fa impegno civile, spesso, ma non sempre, con un intento di emancipazione socio-politica.

Il paradigma socio-politico si struttura al suo interno secondo tre caratteri essenziali e dominanti che emergono soprattutto nei suoi rappresentanti più maturi – Karl Marx (1818-1883) e John Dewey (1859-1952) –. Il primo di questi congegni è la filosofia sociale dell’educazione che si impegna in una ricerca razionale volta alla determinazione e alla giustificazione dei fini (e dei mezzi) dell’educazione in una prospettiva sociale (essendo il singolo un socius e avendo la società il primato sull’individuo). Il discorso pedagogico si struttura così secondo una dimensione etico- politica, conservatrice o progressista, autoritaria o democratica, che funge da criterio ispiratore e da fondamento logico/valutativo sia per la costruzione del progetto (educativo, sociale e politico) che si connota come norma, sia per valutare le realizzazioni pratiche e la prassi corrente.

In questo senso questo paradigma, e ciò costituisce un suo secondo carattere distintivo, necessita dell’assunzione di un “punto di vista” etico, politico e sociale che

non viene assunto in maniera acritica e dogmatica ma giustificato storicamente, attraverso una logica argomentativa razionale, di tipo filosofico, critica e ermeneutica. Il rigore dell’argomentazione, cioè, non è di tipo speculativo (filosofico-metafisico), né scientifico, ma storico-critico-ermeneutico volto, mediante il confronto dialettico con altri punti di vista e la valutazione critica delle diverse possibilità, alla giustificazione e universalizzazione di una particolare Weltanschauung che trova il suo cardine nella scelta di alcuni valori di riferimento che sono razionalmente, storicamente e eticamente preferiti ad altri.

Il terzo carattere strutturale di questo paradigma pedagogico consiste nel nesso antinomico, dialettico e inquieto, sempre da ri-definire storicamente, tra pedagogia e società/politica. La pedagogia, infatti, da un lato acquisisce il suo senso solo in vista di una realizzazione politico-istituzionale, ossia come attualizzazione del suo progetto e dei suoi fini teorico-etici, viceversa dall’altro la politica impone al discorso pedagogico un forte condizionamento di tipo ideologico proprio nei riguardi di quegli stessi fini, i quali risultano, quindi, dipendenti dal contesto esterno, eteronomi, e, spesso, funzionali a interessi economici, sociali e di classe. La pedagogia oltrepassa la politica e tende a perfezionarla in senso etico-antropologico, ossia, da un certo punto di vista, ne costituisce una sua universalizzazione avulsa dai condizionamenti e dagli interessi parziali e la riconduce “agli obiettivi più genuini (e generali) della polis” [F. Cambi, op. cit., pag. 45]. Nello stesso tempo, però, la politica costituisce per ogni progetto socio- pedagogico il dato reale da cui partire e a cui pervenire; in questo senso la politica è “l’inveramento” della pedagogia e “si conferma come il suo destino effettivo, come infrastruttura che la ordina e la guida e come il complemento che le è immanente, che essa reclama per passare concretamente all’esistenza” [ibidem, pag. 45].

Anche in questo caso è possibile tracciare una linea evolutiva del paradigma socio- politico. Tra il XVI e XVII secolo il discorso pedagogico comincia ad avere una portata e un fine essenzialmente socio-politico. La riconosciuta dignità dell’uomo sposta l’attenzione dal mondo dell’aldilà alla contingenza mondana e alle esigenze socio politiche della città. Gli stessi studia humanitatis e le arti liberali, in questa prospettiva, non solo competono all’uomo libero ma hanno ora l’obiettivo di liberare l’uomo, nonostante il forte legame con la componente retorica del passato. L’attenzione e l’interesse per la “vita civile” si collega alla produzione letteraria riguardo la

progettazione di comunità ideali (le Utopie). La riforma protestante, soprattutto calvinista, sottolinea lo stretto legame tra formazione cristiana e spirito civile e comunitario. Nel Seicento Comenio (Jan Amos Komenski, 1592-1670), Francois Fénelon (1651-1715) e Locke sottolineano, ognuno secondo la propria ottica specifica, questo rinnovato legame tra società, politica e educazione. Nel Settecento, con l’Illuminismo, questo paradigma diviene dominante ed egemonico: la pedagogia si costituisce intorno al proprio destino sociale e la riforma della società si struttura ed è concepita come possibile solo a seguito di una riforma del pensiero e dell’educazione. Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) e Immanuel Kant (1724-1804) sono le punte più avanzate di questo paradigma. “Le loro ‘pedagogie’ guardano ad una rigenerazione- rifondazione della società, il loro thelos è eminentemente politico” [ibidem, pag. 41].

Tra Ottocento e Novecento vengono realizzati i modelli pedagogici più organici di questo paradigma ad opera di alcuni dei maggiori filosofi moderni come Georg Whilhelm Friedrich Hegel (1770-1831), Karl Marx, Auguste Comte (1798-1857) e John Dewey. Hegel influenza profondamente la riflessione pedagogica in Germania ma anche quella di altri Paesi, come l’Italia, dove si affermano forme di neoidealismo e di storicismo – Giovanni Gentile (1875-1944) e Benedetto Croce (1866-1952) – . Hegel evidenzia il legame tra la formazione (Bildung), la cultura e la società e ne fa il baricentro di tutto il discorso pedagogico; l’attenzione è rivolta all’apprendimento dei contenuti della cultura in termini di oggettività e universalità concettuale da compiersi attraverso il tramite delle istituzioni formative storicamente affermatesi (famiglia, scuola, società civile, Chiesa, Stato, ecc.). In Marx l’attenzione per la dimensione sociale dell’educazione si lega alle motivazioni politico-economiche che ne sono il presupposto. L’educazione, in questo senso, si presenta sempre come educazione di classe volta al mantenimento delle differenze socio-economiche, all’indottrinamento ideologico e al permanere di una classe sull’altra. La divisione del lavoro ha imposto, così, la divisione tra attività intellettuali e lavoro manuale, che risulta funzionale per il mantenimento dello status quo. Il reintegro delle due dimensioni sono il presupposto per una formazione “onnilaterale” e non alienata dell’individuo in una prospettiva sociale. La pedagogia, perciò, deve costantemente tenere presenti i legami con l’economia, l’ideologia e la politica e, allo stesso tempo, riconoscere la sua funzione altamente emancipativa tendente alla liberazione dell’uomo e delle sue potenzialità. Comte

assorbe completamente il discorso pedagogico nella sociologia. Ciò determina una totale dipendenza, non solo disciplinare e scientifica, ma anche nel senso dei fini dell’educazione che si risolvono interamente nella dimensione sociale (sociocrazia) e scientifico-positivistica. Dewey rappresenta una sintesi mirevole delle correnti filosofico-pedagogiche precedenti (Idealismo, materialismo storico e Positivismo) da cui trae l’assunto di base della sua teoria pedagogica, ossia lo stretto legame tra educazione/pedagogia e società. Tale principio, così, diviene esplicitamente il fondamento di una teoria pedagogica e filosofica estremamente coerente e elaborata, che ha avuto un profondo influsso su tutto il Novecento ben al di là dei confini degli USA.

“Tutta l’educazione (e quindi anche la pedagogia), per Dewey, è processo sociale, di condizionamento e di progressiva integrazione dell’esperienza, che, nell’età dell’industrialismo e della democrazia, deve rivolgersi ad incrementare i modelli, per altro tra loro isomorfi, del pensiero scientifico e della vita democratica. […]Il modello deweyano di filosofia sociale dell’educazione ha veramente dominato il Novecento, specialmente in alcune aree geografico-culturali ed in alcuni momenti, si è imposto a lungo come la “forma” più corretta del sapere pedagogico, che viene ad accentrarsi intorno ai contributi delle scienze umane fra le quali spicca e fa da guida la sociologia”

[ibidem, pag. 43]