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Progresso ed efficacia La formazione e il pericolo dell’iperspecializzazione.

Il riferimento a termini quali “conversione”, “fede”, “rivoluzione” e alle determinanti sociali della pratica scientifica sono valse a Kuhn l’accusa di irrazionalismo. In verità l’accusa si giustifica solamente a condizione di condividere

l’idea corrispondentista di verità e, allo stesso tempo, una concezione della conoscenza e della scienza come rispecchiamento. Solo se si assumono queste premesse, che sono tipiche, ad esempio, del falsificazionismo popperiano16, il quadro presentato da Kuhn risulta insostenibile. Se, viceversa, la ricerca scientifica e l’attività conoscitiva si interpretano come attività creative e costruttive, sottoposte a vincoli biologici e storico- sociali-culturali, e si assume un concetto di verità di ispirazione pragmatista (coerenza, appropriatezza, congruenza) o ermeneutica (extrametodica, storica, eventuale, linguistica), il discorso di Kuhn assume una valenza altamente probante e risulta estremamente convincente e condivisibile. L’incommensurabilità paradigmatica, inoltre, rilevando la difficoltà di comprensione reciproca tra i sostenitori di paradigmi diversi, accentua questo carattere di conversione che caratterizza psicologicamente chi lascia un vecchio paradigma per adottarne uno nuovo, in maniera simile, come si è detto, a ciò che avviene per le gestalt percettive reciprocamente incompatibili.

Legato a questi temi risulta essere il concetto di progresso. Le scienze naturali si distinguono dalle discipline artistiche, filosofiche, dalla teoria politica e, in parte, dalle stesse scienze umane (psicologia, sociologia, storia, economia, pedagogia, scienze dell’educazione, antropologia, ecc.) per la capacità di presentarsi come conoscenze fondate, che, mediante un progressivo cumulo di acquisizioni teoriche e sperimentali, acuendo la capacità di risolvere problemi e prevedere fenomeni, permettano una sempre migliore comprensione della realtà e progrediscano in maniera lineare verso una meta ultima, coincidente con la perfetta sovrapposizione e corrispondenza tra teoria e mondo. C’è una tendenza volta a considerare scientifico ogni campo in cui si verifichi un progresso notevole di questo genere, ragione per cui, in virtù di questo principio, spesso l’opinione comune è portata a identificare la tecnica e la tecnologia con il sapere scientifico. Tanto è vero che Kuhn, ad un certo punto, si chiede: “un campo fa progressi

16 Secondo Popper il concetto di verità ha un valore regolativo di cui non si può fare a meno. La nozione di falsità, infatti, e quella connessa di falsificazione implicano necessariamente la nozione di verità. L’unica nozione di verità che egli ritiene accettabile è quella di corrispondenza tra fatti (dati empirici ecc.) e teoria (proposizioni). Sono da scartare le concezioni di verità come utilità e coerenza. Tale concezione implica una visione realistica del mondo, che, a rigore, non è dimostrabile, né confutabile, tuttavia, secondo Popper, è l’unica ipotesi credibile, cui non è stata opposta alcuna congettura credibile. Si può parlare di corrispondenza fra fatti e teorie, ed è possibile parlarne, se si considera la semantica di Tarski: in questa prospettiva la corrispondenza del fatto con la proposizione descrittiva (linguaggio oggetto) può essere definita mediante l’utilizzo di un metalinguaggio. In accordo con il fallibilismo scientifico, però, non esiste e non può esistere un criterio per giudicare della verità assoluta, certa e oggettiva di una teoria. L’impresa conoscitiva, infatti, in senso proprio, non ha mai fine ed ogni teoria scientifica, per essere tale, deve possedere il carattere della falsificabilità.

perché è una scienza, oppure è una scienza perché fa progressi?” [Kuhn, op. cit. pag. 195]. L’annosa questione se la psicologia, la psicoanalisi (oggetto di aspre critiche da parte di Popper), la sociologia, la pedagogia, ecc., siano o no da considerarsi scienze a pieno titolo è, in ultima analisi, un problema che concerne il modo specifico di intendere il progresso per questi campi di studio e per la scienza in generale. L’incommensurabilità paradigmatica, il relativismo teorico e terminologico che essa comporta, l’inesistenza di standard razionali super-paradigmatici e di linguaggi neutri e universali, che consentano di giudicare la validità dei paradigmi e delle teorie al loro interno, dimostrano che non sono sostenibili né la concezione della verità come corrispondenza, né l’idea di progresso come acquisizione cumulativa di conoscenze tendenti ad una meta ultima, coincidente con la rappresentazione “vera” e fedele della realtà. Il progresso, piuttosto, è “a partire da qualcosa”, ossia da stadi più primitivi della ricerca e da paradigmi precedenti.

Kuhn si richiama esplicitamente allo schema tracciato in biologia dell’evoluzionismo darwiniano nel quale, senza alcun riferimento al finalismo, alla teologia e alla teleologia, è possibile comunque parlare di progresso in virtù della comparazione degli organismi successivi con quelli precedenti. Lo stesso accade per giudicare il progresso scientifico che, a partire da realizzazioni teorico-paradigmatiche e sperimentali più semplici, meno efficaci e complete, o più ingenue, attraverso successive rivoluzioni paradigmatiche, partizioni e specializzazioni disciplinari, si configura come ideazione-costruzione di strumenti teorici, tecnici e sperimentali, sempre più efficaci e sofisticati per risolvere problemi. In un certo senso anche l’impresa scientifica, intesa come ambito specifico di conoscenza in concorrenza con altre forme altrettanto vitali (mito, teologia, filosofia, letteratura, arte, ecc.), può essere considerata il prodotto più maturo di questa speciazione culturale17. Da questo punto di

17 È molto interessante osservare come da parte di filosofi della scienza e della mente, epistemologi, psicologi e scienziati cognitivi il riferimento alla teoria darwiniana dell’evoluzione sia un dato costante. Chiaramente non ci si riferisce alla mera accettazione della teoria dell’evoluzione, che ormai è patrimonio condiviso da tutta la comunità scientifica e dal vasto pubblico, salvo rigurgiti religiosi di stampo creazionista, ma al tentativo di presentare le proprie teorizzazioni gnoseologiche e epistemologiche come una naturale estensione dei presupposti darwiniani o come il tentativo di applicare ad altri campi della conoscenza il modello introdotto da Darwin per l’evoluzione naturale. Tra coloro che esplicitamente si richiamano a questo modello, per citarne solo alcuni, oltre a Kuhn per ciò che concerne il progresso scientifico, bisogna includere Popper, per la concezione della conoscenza come processo ipotetico- deduttivo e per prove ed errori che accomuna la logica della ricerca scientifica ai processi di problem

solving tipici di altre forme di vita, anche filogeneticamente distanti dall’uomo; gli psicologi Piaget, con la nozione di adattamento (per assimilazione e accomodamento) e di epigenesi, Vygotskij, che applica lo

vista, al di là dell’incommensurabilità paradigmatica, è sempre possibile rilevare delle “somiglianze di famiglia”, dei legami stretti tra una teoria e un’altra, tra un paradigma e un altro, come ad esempio fa lo storico della scienza, in modo analogo a ciò che comunemente avviene per determinare le linee evolutive filogenetiche in biologia.

L’idea che un paradigma non nasca nel vuoto ma che, sempre, si determini come rottura e innovazione rispetto ad un paradigma precedente, a un quadro teorico di riferimento, tradizione e/o Weltanschauung in cui il ricercatore si trova già sempre inserito, per la sua appartenenza culturale, formazione formale e informale pregressa, permette di avvicinare l’epistemologia kuhniana all’esistenzialismo, all’ermeneutica e al costruttivismo di ispirazione pragmatista. In particolare vale la pena sottolineare la contiguità di queste idee con alcune considerazioni del filosofo tedesco Martin Heidegger (1889-1976) circa il ruolo profondamente condizionante, sul piano esistenziale e su quello teorico-categoriale-paradigmatico, della “tradizione” e del “pregiudizio” per ogni individuo, scienziato o meno, che, trovandosi sempre in una condizione di “gettatezza” in un determinato contesto storico, culturale, linguistico, sociale, professionale, disciplinare, teorico, ecc., non può fare a meno di assumere valori, strutture categoriali e modalità di giudizio, griglie interpretative, paradigmi scientifici e teorici, pre-giudizi, ecc., tipici di quegli stessi contesti di appartenenza.

Il “decondizionamento” è un processo estremamente difficile da compiersi e, quando si verifica, ha sempre un esito parziale, ma ciò non di meno i pregiudizi, esito di questo condizionamento per lo più inconsapevole, fungono da presupposti necessari per lo sviluppo della conoscenza stessa attraverso lo svolgersi del circolo ermeneutico. La rilevazione dell’importanza del circolo ermeneutico da parte di Heidegger, e gli

schema evolutivo secondo le tre direttrici rispettivamente filogenetica, ontogenetica e storico-culturale, e il canadese Merlin Donald (1929), che traccia un quadro estremamente interessante dell’evoluzione della mente attraverso l’evoluzione dei suoi sistemi rappresentazionali e di memoria (episodico, mimico, mitico, simbolico, esterno); il filosofo della mente Daniel Dennett (1942), che introduce il concetto di “sistema intenzionale” applicabile ai diversi livelli di evoluzione filogenetica (dai virus agli organismi unicellulari, all’uomo) e funzionale (i robot e le macchine); il neuropsicologo Lurija, che riprende le idee di Vygotskij, il biologo, neuroscienziato e premio Nobel Gerald Edelman (1929) e il neuroscenziato Jean- Pierre Changeux (1936), che, per vie indipendenti, hanno introdotto i concetti di selezione neurale o “darwinismo neurale” e funzionale. Particolarmente interessante in ambito neuropsicologico è la ripresa delle teorie di Darwin in una prospettiva innatista, come le teorie di Chaungeuxe e Edelman, che tendono a svalutare il concetto di apprendimento, ritenendolo come fa Chomsky un concetto insostenibile, in favore di quello di selezione dei gruppi neurali. A questa corrente si oppone il costruttivismo istruzionista che insiste invece sulla plasticità del sistema nervoso e su un recupero del concetto di apprendimento in chiave neurale come formazione di nuovi legami sinaptici, Confronta in: Joseph LeDoux, Il Sé sinaptico.

Come il nostro cervello ci fa diventare ciò che siamo, Milano, Raffaello Cortina, 2002, soprattutto il cap. 4 e le pag. 120-125. Per gli altri riferimenti si rimanda alla bibliografia finale.

approfondimenti successivi di H. Gadamer, fondatore dell’ermeneutica filosofica, infatti, consistono nel decretare l’imprescindibilità del pregiudizio (culturale, teorico, concettuale, paradigmatico, scientifico, ecc.) per qualsiasi impresa interpretativo- conoscitiva.

Il costruttivismo radicale del filosofo americano N. Goodman18, infine, sottolinea il carattere sociale e costruttivo di ogni “mondo-versione” e asserto teorico, anche scientifico, e ne evidenzia contemporaneamente anche i limiti, per cui la costruzione simbolico-gnoseologica non è mai arbitraria e assoluta, ma si fonda e, in qualche misura, dipende dalle versioni precedenti ed è sottoposta a “restrizioni rigorose”, sia pure storicamente modificabili, che sono inerenti a canoni socialmente stabiliti per ogni regione del sapere o, anche, secondo regole rigide vigenti all’interno di un paradigma. In ultima analisi, però, le idee di Kuhn presentano un evidente carattere di vasta applicabilità in numerosi campi della conoscenza e della cultura. Lo sviluppo storico della scienza, fondandosi sull’alternanza tra scienza normale e scienza rivoluzionaria, e sulla “speciazione” da modelli precedenti, somiglia, per ammissione esplicita di Kuhn, a quello della storia della letteratura, dell’arte, dello sviluppo politico, ecc. È lo stesso Kuhn, del resto, a esprimere il suo debito verso questi altri campi della cultura per la costituzione delle sue idee:

“Molti di coloro che lo hanno letto con piacere, ne sono rimasti soddisfatti non tanto perché esso illumini la scienza, quanto perché essi possono interpretare le sue tesi come applicabili anche a molti altri campi. […] Nella misura in cui il libro delinea lo sviluppo scientifico come una successione di periodi dominati dalla tradizione, pun- teggiata da rotture non cumulative, le sue tesi sono indubbiamente di vasta applicabilità. Ma devono esserlo, giacché sono derivate da altri campi. Gli storici della letteratura, della musica, delle arti, dello sviluppo politico, e di molte altre attività umane sono soliti, da molto tempo, descrivere i loro oggetti di studio nello stesso modo. Periodizzazioni in termini di rotture rivoluzionarie nello stile, nel gusto, e nelle istituzioni sono fra i loro abituali strumenti di ricerca. Se sono stato originale riguardo a concetti come questi, ciò è dovuto principalmente al fatto di averli applicati alle scienze, un campo che era ritenuto da molti svilupparsi in maniera differente. Ed è facile immaginare come la nozione di paradigma, concepito come un risultato concreto, come un esemplare, rappresenti un secondo contributo originale. Sospetto, ad esempio, che alcune delle ben note difficoltà che circondano la nozione di stile nelle arti possono scomparire se le pitture possono essere viste come modellate le une sulle altre anziché prodotte in conformità con alcuni astratti canoni di stile”. [Kuhn, op. cit., pag. 249- 250]

Ciò non toglie che la scienza, come ogni branca del sapere, abbia anche dei caratteri specifici che la distinguono come campo separato e che le derivano dalle considerazioni fin qui svolte circa la sua peculiare struttura comunitaria e, soprattutto, dal modo in cui avviene la trasmissione di conoscenze da una generazione all’altra. Tale elemento specifico si connette, come si è accennato, alla formazione estremamente rigida, per certi versi dogmatica, nell’ambito del paradigma vigente, cui vengono sottoposti gli studenti e le nuove generazioni di ricercatori nei periodi di scienza normale. Tale rigidità nel contempo ne garantisce l’efficacia nel raggiungimento dei risultati. Sul piano storico, innanzi tutto, non bisogna dimenticare che la scienza è un’ acquisizione recente: prima della sua affermazione come branca separata del sapere, esistevano altri campi specialistici che presentavano un iter progressivo comparabile a quello della scienza odierna. La pittura, intesa come raffigurazione fedele del reale, ad esempio, fu per molto tempo considerata come la disciplina cumulativa per eccellenza. La distinzione tra arte, tecnica e scienza, del resto, per molto tempo, e soprattutto nel Rinascimento, non venne avvertita in maniera netta.

Solo quando la pittura, e l’arte in genere, smisero di essere intese come copia e riproduzione del reale, questa idea di progresso cumulativo smise di caratterizzarle (confronta in Kuhn, op, cit., pag. 194-197). Per certi versi le cose stanno così anche per la filosofia19 e la teologia. Nessuno può dubitare circa i progressi della filosofia all’interno delle diverse scuole: ci si può dichiarare neo-aristotelici, neo-kantiani, neo- hegeliani, neo-pragmatici, ecc., con la consapevolezza che il prefisso neo- stabilisca un

19 Adorno in “La terminologia filosofica, Einaudi, 2007, sostiene che la storia della filosofia è storia di “scuole” e che il significato dei termini filosofici, lungi dall’essere dato una volta per tutte, muta sia in senso diacronico, nel corso della storia, sia in senso sincronico, a seconda della scuola filosofica. Infatti in filosofia le definizioni sono alla fine della ricerca e non all’inizio come nelle scienze fisico-matematiche. I termini filosofici si caricano così di innumerevoli significati e sensi diversi tra cui è difficile districarsi, nello stesso tempo proprio questo assetto complesso e eterogeneo (i principali termini filosofici, soprattutto quelli della tradizione greca, hanno un’origine esterna alla disciplina) dei termini filosofici rappresenta il “progresso” della filosofia. Infatti essi non sono altro che “nomi” di problemi che l’uomo percepisce come essenziali e su cui continua ad interrogarsi nel corso della storia. Il carattere semanticamente “additivo” dei termini filosofici, che si presenta come rapporto dialettico tra conservazione e innovazione del significato, permette l’eliminazione delle ingenuità e degli errori precedenti e consente un approfondimento dei problemi secondo molteplici prospettive prima trascurate. Esiste quindi un rapporto di identità tra filosofia, ossia la disciplina, e terminologia filosofica che la costituisce. La filosofia, in senso pieno, è il suo linguaggio. In questo testo Adorno mette anche in evidenza una contraddizione interna alla filosofia: da un lato i termini filosofici costituiscono un bagaglio tecnico di conoscenze patrimonio dei soli esperti e risultano incomprensibili ai più, secondo un processo di specializzazione e divisone del lavoro tipica della modernità anche per il lavoro intellettuale, dall’altro, poiché si pretende che le soluzioni filosofiche abbiano valore e portata universale, si pretende che tutti gli uomini, in quanto esseri razionali, siano in grado di comprendere e accettare le verità filosofiche.

superamento e un miglioramento, in termini di efficacia, profondità, eliminazione di errori e ingenuità, delle versioni originali delle scuole filosofiche di riferimento. In questa prospettiva ogni scuola assume, come paradigmi, alcune linee guida dei fondatori e poi le sviluppa in maniera creativa per la risoluzione dei nuovi problemi, che emergono all’interno del sistema o che si impongono nella contingenza storica, e per la precisazione di quelli vecchi e in parte già risolti.

La Scolastica nel suo complesso, al di là delle anche notevoli differenziazioni interne sincroniche e diacroniche, intesa come quadro paradigmatico che ha caratterizzato la conoscenza e i fondamenti del sapere per buona parte del Medioevo, è un esempio evidente del perfezionamento terminologico e concettuale e della capacità di risolvere problemi particolari all’interno di un paradigma dato, cui sono giunte progressivamente, per cumulo di conoscenza, la filosofia e la teologia cristiana di ispirazione platonica e aristotelica. Che la Scolastica sia implosa per consunzione ed esaurimento interno è solo una parte dei motivi che ne hanno decretato la sconfitta nel XV secolo. Le ragioni, infatti, si trovano nel sorgere di nuovi paradigmi conoscitivi concorrenti, più dinamici, performanti e articolati, tra cui quello scientifico, che ne hanno minato la credibilità e l’accettabilità.

Ne risulta che, oltre alla scienza, molti altri campi presentano una dinamica di progresso cumulativo, a patto che tale progresso sia valutato all’interno delle singole scuole e dimensioni paradigmatiche. Certe discipline prettamente teoretiche come la filosofia, occupandosi di questioni ontologico-metafisiche, gnoseologiche, etico-sociali, logiche ed estetiche, molto generali e piuttosto eterogenee, non sono sottoponibili a prove sperimentali ed empiriche come per la ricerca scientifica, e, quindi, come rileva Popper, sono comunque da ritenersi meno complete e perciò meno probanti rispetto alla ricerca scientifica. Tuttavia queste considerazioni ci permettono di relativizzare il concetto di progresso nelle scienze e di avvicinare la scienza ad altri campi del sapere. Il progresso cumulativo, infatti, è tipico solo della scienza normale, in cui vige un unico paradigma dominante, non dei periodi rivoluzionari, in cui la presenza di paradigmi alternativi, rilevando la possibilità di presupposti, modelli e strutture teoriche di riferimento che reciprocamente si escludono, non consente di interpretare in maniera ingenuamente progressiva il procedere storico dell’impresa scientifica. La compresenza di diversi paradigmi di riferimento, di modelli alternativi di spiegazione e di scuole in

lotta tra loro per la supremazia nella definizione di un campo disciplinare e di studi, comporta la messa in discussione costante dei fondamenti, dei risultati e delle spiegazioni di ognuna di esse da parte degli esponenti delle varie comunità di ricercatori reciprocamente avverse. Questa fase corrisponde al periodo preparadigmatico di una scienza, che spesso inaugura il formarsi di una nuova disciplina, o a un periodo di scienza rivoluzionaria, in cui si assiste ad un cambio di paradigma. Questi periodi sono caratterizzati anche da un rinnovato interesse per le questioni epistemologiche e dei fondamenti disciplinari da parte dei ricercatori, nel tentativo di giustificare, a se stessi, alla comunità scientifica cui si appartiene e agli oppositori, lo statuto di scientificità, le pretese conoscitive, euristiche e i risultati del proprio paradigma. Questi approfondimenti teorici, a seguito dell’affermazione del paradigma, entrano a farne parte come sue componenti essenziali.

Unicamente all’interno di un paradigma che trova consenso tra tutti, o quasi, i ricercatori è pensabile interpretare il proprio campo di studi come un’ acquisizione progressiva di conoscenze che tendono in maniera lineare verso un fine ultimo. La presenza di un paradigma condiviso, infatti, semplifica il lavoro del ricercatore, gli permette di non sprecare energie e tempo per definire lo statuto epistemologico della sua disciplina, di non considerare quali problemi possono essere ragionevolmente risolti e di fare a meno di giustificare le sue linee di ricerca, gli assunti da cui parte, le metodologie utilizzate, ecc. In buona parte egli si trova già in possesso di tutti gli strumenti (teorici, concettuali, simbolici, sperimentali) necessari per iniziare la sua attività di ricerca e può, quindi, impegnare tutte le sue energie nella risoluzione di problemi specifici all’interno del paradigma (i rompicapo).

È piuttosto significativo che nelle scienze sociali questa unità paradigmatica, in parte per il loro assetto probabilistico, idiografico, complesso e multifattoriale che ne contraddistingue gli interessi disciplinari, e in parte per la relativa giovinezza, è lungi dall’essere realizzata. In pedagogia, come si è in parte già rilevato, i paradigmi e i modelli di riferimento sono estremamente numerosi, oltre che per i motivi già citati, soprattutto per il suo assetto multi e transdisciplinare, che ne amplifica a dismisura la dipendenza epistemologica e paradigmatica da altri settori del sapere dalle scienze nomo tetiche, alle scienze umane, dalla filosofia alla politica e all’economia. Il problema della scientificità della pedagogia e delle altre scienze umane, che tanto ha