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Teoria della mente e “psicologia popolare”: un panorama.

CONSIDERAZIONI PEDAGOGICHE SULLA TEORIA DELLA MENTE E DELLE RET

1. Teoria della mente e “psicologia popolare”: un panorama.

Attualmente, a partire dalla metà degli anni Ottanta, le ricerche sulla “teoria della mente” e la “psicologia del senso comune” (folk psychology) sono in una fase di grande sviluppo, tanto che si è parlato di nuova fase della psicologia cognitiva e, addirittura, di svolta paradigmatica in questa disciplina nel senso epistemologico di Kuhn71. La cosa è significativa se si pensa che la ricerca psicologica nelle sue connotazioni più marcatamente scientifiche (sia nel caso del comportamentismo e sia del cognitivismo) e le scienze umane in genere hanno sempre attribuito uno scarso valore alle teorie della “psicologia popolare” e che spesso, anzi, le spiegazioni nei termini della psicologia ingenua erano in contrasto con gli assunti scientifici della psicologia ufficiale. Analisi psicologiche profonde e puntuali nei termini di scopi e intenzioni sono state, invece, oggetto di studi specifici da parte della filosofia (in termini moderni almeno da Cartesio in poi) ma, soprattutto, del teatro e della letteratura.

Questo legame inter-disciplinare fa sì che molte ricerche in questo ambito presentino un proficuo atteggiamento trans-disciplinare che genera uno scambio e una contaminazione profonda tra le diverse discipline che comporta un arricchimento nei termini di profondità e vastità delle teorie stesse. La psicologia culturale e le ricerche sul pensiero narrativo, in questo senso, sono esemplari e presentano delle ricadute importanti anche per ciò che concerne l’educazione e la riflessione pedagogica. In ambito filosofico le varie correnti che si occupano della mente devono fare i conti con l’intenzionalità, nella formulazione classica di Brentano e, poi, di Husserl, ma anche con la “folk psychology”. Soprattutto in ambito analitico la questione viene affrontata secondo l’ottica del problema mente/corpo, per ciò che concerne i “qualia”, gli atteggiamenti proposizionali e l’”essere agente intenzionale”. Di volta in volta si propongono soluzioni “eliminativiste”, “riduzioniste”, “funzionaliste”, “esternaliste”, “strumentaliste”, ecc., che rendono il quadro estremamente complesso e articolato, impossibile, comunque, da riassumere in forma sintetica. Anche in ambito prettamente psicologico le ricerche sulla “teoria della mente” hanno avuto un grande successo perché ricompongono e gettano un ponte tra i diversi settori della psicologia (cognizione umana e animale, integrazione tra le teorie dello sviluppo, dell’educazione,

71 L. Camaioni, Il contributo della teoria della mente alla comprensione dello sviluppo umano, Giornale Italiano di Psicologia a. XXVIII n. 3, Settembre 2001, pag. 455.

della comunicazione e dell’emozione, psicologia individuale, sociale e psicopatologia). Un quadro così articolato rende impossibile fornire una sintesi e una panoramica generale dello stato attuale delle ricerche sulla “teoria della mente” nelle sue diverse declinazioni, cosa che del resto non è intenzione di questo lavoro svolgere. Il resoconto che darò nelle pagine seguenti riguardo la teoria della mente è perciò assolutamente parziale e incompleto.

Il mio obiettivo è quello di fissare alcuni concetti fondamentali, tratti dai vari ambiti di studio citati (filosofia, psicologia e scienze cognitive), per poi servirmene in ambito pedagogico e educativo. Tale operazione è funzionale, da un lato, al tentativo di ampliare e integrare il discorso svolto nei capitoli precedenti (e nella successiva seconda parte), fornendolo di un più alto grado di coerenza interna; dall’altro, di proporre nella parte finale di questo stesso capitolo un’utile integrazione con la teoria delle reti “piccolo mondo” che, indagando sul modo in cui si diffondono le idee (memi) nel mondo sociale, possono fornire alcuni spunti di riflessione interessanti sul ruolo degli insegnanti come “diffusori” di “memi”, sul cambiamento cognitivo attraverso l’uso di strumenti culturali e sulla guida di un esperto (“scaffolding”, “zona di sviluppo

prossimo”) in ambito educativo. In questa prospettiva mi servirò soprattutto delle considerazioni teoriche tratte dalla psicologia culturale di L. Vygotskij e di J. Bruner e delle considerazioni filosofiche di D. Dennett.

La “psicologia ingenua” (“popolare” o del “senso comune” da: “folk psychology”) è costituita da quella rete di “microteorie” che ciascuno di noi adotta nella realtà di tutti i giorni per spiegare la condotta propria e altrui. La folk psychology parte dalla constatazione che gli esseri umani, più o meno esplicitamente e in modo assolutamente “naturale”, tendono ad interpretare azioni, comportamenti, eventi e atteggiamenti degli agenti come delle condizioni e dei principi alla base della loro condotta sociale. In altre parole secondo la “psicologia popolare” la nostra capacità di intrattenere delle relazioni sociali e, in qualche modo, di prevedere il comportamento degli individui (e dei gruppi) dipende dalla possibilità di interpretare correttamente gli “atteggiamenti intenzionali” degli agenti sulla base dell’attribuzione, spesso implicita, di scopi, intenzioni, valutazioni, desideri e motivazioni che sovente vengono intesi alla stregua di “cause”72 del comportamento e dell’azione (”attribuzione causale”). In questa prospettiva il

72 Sulla possibilità da un punto di vista concettuale e filosofico-analitico di interpretare le “ragioni” per un’azione alla stregua di “cause” dell’azione stessa cfr in: D. Davidson, Azioni ed eventi, Il Mulino, 1992.

soggetto-persona è inteso come un “agente intenzionale” attivo che, essendo in grado di “rappresentare”, cognitivamente e emotivamente, gli stati interni intrapsichici, la realtà sociale e gli eventi esterni, agisce seguendo finalità e scopi più o meno razionali e espliciti. In ultima analisi attribuire a noi stessi e a coloro che ci circondano stati percettivi, desideri, credenze, significa attribuire agli agenti “una mente” quale principio guida del comportamento e dell’interazione sociale. Conformemente con quanto detto, con il termine “abilità sociali” si intende la capacità di interpretare opportunamente, attraverso operazioni meta-rappresentazionali e meta-cognitive, le intenzioni, gli scopi e i comportamenti di sé stessi e degli altri in un certo contesto storico-culturale, sociale e situazionale.

La nostra capacità di attribuzione di intenzionalità è indicata nella letteratura come

Teoria della mente (Theory of Mind in inglese, spesso abbreviata in ToM). L'ipotesi di fondo nella letteratura psicologica dedicata alla teoria della mente è che a un certo stadio dello sviluppo cognitivo emerge una competenza che permette di gestire un’informazione specifica riguardo le azioni intenzionali degli altri. Come sia strutturata questa capacità, se essa sia una capacità innata o acquisita in stadi successivi in un certo contesto culturale, se essa dipenda dal possesso di un repertorio concettuale contenente concetti mentali come “credenza” o “desiderio” o se dipenda, invece, dalla nostra capacità di simulare i processi di pensiero altrui a partire dall'esperienza della nostra mente, è oggi materia di dibattito. Alcuni studi recenti hanno dimostrato come questa capacità sociale intervenga piuttosto precocemente nel corso dello sviluppo ontogenetico e molte ricerche hanno cercato di rilevarne i “precursori”73. Questi studi

73 La comprensione della mente implica la possibilità di “disconnettere” la rappresentazione della realtà, ossia assumere la rappresentazione come uno stato cognitivo separato dal dato di realtà. I precursori della teoria infantile della mente, ossia acquisizioni cognitive che sembrano costituire passi evolutivi verso la comprensione della mente, sono: 1. 6 mesi circa, performativo dichiarativo: mostrare un oggetto con l’intenzione di condividere l’attenzione dell’altro su quell’oggetto. 2. 9 Mesi: capacità di condivisione dell’attenzione tramite lo sguardo. Il bambino segue lo sguardo della madre per individuare e osservare l’oggetto che ha catturato la sua attenzione. 3. 18 Mesi: comparsa del gioco simbolico e di finzione. 4. 24 mesi: manifestazione di pensiero narrativo. 5. “Imparare” a dire le bugie. In una conferenza dal titolo “From ‘theory of action’ to ‘theory of mind’: Infants’ reasoning about others’ intentions”, tenuta il 03/06/2008 nell’Università Roma Tre, presso la facoltà di Scienze della formazione, la professoressa Diane Poulin-Dubois dell’Universià di Montreal, esperta a livello internazionale nell’ambito delle ricerche sulla psicologia ingenua, ha esposto i risultati delle sue ricerche riguardo lo sviluppo nei bambini tra i 14 e i 18 mesi delle competenze sociali necessarie per attribuire false credenze ad altri individui. L’obiettivo delle sue ricerche è rivolto alla costruzione di una teoria sulla formazione delle “credenze epistemiche” nell’infanzia. Il presupposto, tratto dalla psicologia ingenua, è che le percezioni e le emozioni, ossia le credenze e i desideri, costituiscono in un determinato contesto sociale e ambientale le molle ad una determinata azione e/o reazione. È questo il processo dell’attribuzione causale delle azioni,

sono giunti alla conclusione che a partire già dall’inizio del secondo anno di vita e secondo alcuni anche già intorno ai 14-18 mesi, tali “precursori” sono ampiamente presenti, mentre tutte le ricerche concordano nel fissare alla fine del terzo anno di vita la presenza di una complessa “teoria della mente” e di un pensiero metarappresentazionale già ben strutturato74. Intorno ai 4 anni, infatti, il bambino è capace di comprendere che la mente umana è un sistema che costruisce e organizza rappresentazioni della realtà, di rappresentarsi l’evento mentale e di attribuire agli altri stati mentali anche diversi dai propri. Il bambino comprende che le persone agiscono in base alla rappresentazione che

ossia della “credenza epistemica”, che concerne le ragioni che, più o meno esplicitamente, attribuiamo a noi stessi e ad altri per spiegare i comportamenti individuali. Un aspetto particolarmente importante a tale proposito riguarda la capacità del bambino di comprendere il rapporto esistente tra comportamenti ed emozioni, ossia di interpretare correttamente la relazione che sussiste tra stato emotivo interiore e manifestazione comportamentale (propria e altrui) e/o di distinguerlo dalla simulazione. Le fasi sono le seguenti: 1. credenza primitiva che l’emozione traspaia nel comportamento; 2. possibilità di comprendere le emozioni dai comportamenti; 3. riconoscimento della corrispondenza fra espressione propria e altrui dell’emozione; 4. riferimento dell’emozione a stati interni. Attraverso la sua ricerca sperimentale sui bambini la psicologa Poulin-Dubois ha dimostrato che queste capacità e caratteristiche cognitive sonogià possedute in nuce dai bambini tra 14-18 mesi. Questi bambini, infatti, pur non riuscendo a verbalizzare o a dare ragione delle loro azioni/reazioni si comportano in maniera coerente con la presenza di una teoria della mente, sono capaci di svolgere “giochi di finzione”, attribuiscono opportunamente false credenze agli agenti e, contemporaneamente, ragioni e cause per i loro comportamenti. L’esperimento si svolge in questo modo: un adulto, lo sperimentatore, apre una scatola e manifesta sorpresa per il contenuto; passa, quindi, la scatola al bambino che, curioso di scoprire cosa contiene e “fidandosi” della reazione dell’adulto, a sua volta la apre scoprendo che la scatola è vuota. Se l’esperimento viene ripetuto la maggior parte dei bambini mostrano di non credere più nell’adulto “inaffidabile” non mostrando sorpresa, altri invece imitano la reazione di sorpresa dell’adulto ma non mostrano reale sorpresa. L’esperimento dimostrerebbe che già a questa età i bambini sono in grado di prevedere e interpretare correttamente le intenzioni degli altri, distinguere fra credenza e falsa credenza, tra adulto affidabile e non affidabile. La riprova sta nel fatto che se viene cambiato lo sperimentatore “inaffidabile” i bambini tendono nuovamente a credere nella buona fede del nuovo sperimentatore. In un secondo esperimento i bambini vengono messi dietro ad un ostacolo che non gli permette di vedere cosa c’è dietro. Lo sperimentatore, invece, che è posto di lato, può vedere cosa nasconde l’ostacolo. Lo sperimentatore mostra sorpresa ed il bambino incuriosito si sposta di lato per vedere cosa c’è al di là dell’ostacolo scoprendo che non c’è niente. Se l’esperimento viene ripetuto i bambini mostrano di non credere più nell’adulto inaffidabile e lo ignorano. Anche in questo caso il bambino mostra di essere in grado di distinguere e attribuire false credenze agli altri. Tuttavia il risultato potrebbe derivare semplicemente dalla ostilità verso l’adulto considerato inaffidabile. Se si cambia sperimentatore, però, il bambino mostra ancora di credere che dietro la barriera ci sarà qualcosa di interessante.

74 Tutta questa sezione si basa sullo studio di manuali, volumi specifici e articoli sull’argomento, nello specifico confronta in: L. Camaioni, La teoria della Mente. Origini sviluppo e patologia, Laterza, 2003; Il

contributo della teoria della mente alla comprensione dello sviluppo umano, Giornale Italiano di Psicologia a. XXVIII n.3, Settembre 2001, pag. 455-475. S. Baron-Coehn, L’autismo e la lettura della

mente, Astrolabio, 1997. M. H. Olineck; D. Poulin-Dubois, Imitation of intentional and internal state

language in infancy predict preschool theory of mind skills, European Journal of developmental psychology, 2007, 4, pag. 14-30. M. C. Levorato, Lo sviluppo psicologico. Dal neonato all’adolescente, Einaudi, 2005. D. Parisi, Perché la psicologia dell’apprendimento serve così poco alla scuola?, http://www.edscuola.it/archivio/antologia/scuolacitta/parisi.pdf. Per le ricadute pedagogiche di queste ricerche: F. Santoiani; M. Striano, Immagini e teorie della mente. Prospettive pedagogiche, Carocci, 2000; Modelli teorici e metodologici dell'apprendimento, Laterza, 2003. J. Bruner, La mente a più

dimensioni, Laterza, 2005; La ricerca del significato. Per una psicologia culturale, Bollati Boringhieri, 1997; La cultura dell’educazione. Nuovi orizzonti per la scuola, Feltrinelli, 2007.

hanno della realtà esterna, più che in funzione della “realtà oggettiva”. Inoltre i bambini a quest’età sono in grado di superare senza problemi il “test della falsa credenza” 75. Gli esperimenti degli “smarties" e di “Anna e Sally” 76, ad esempio, dimostrano, in caso di risposta corretta, il possesso di diverse e complesse abilità cognitive e metarappresentazionali che si connettono direttamente alla capacità di attribuire agli altri “una mente” e di interpretarne gli atti nei termini di ciò che sanno o ignorano, di intenzioni e di scopi. In maniera particolare il bambino già a 4 anni sembra in grado di: 1. differenziare la propria rappresentazione da quella degli altri; 2. comprendere che la rappresentazione della realtà può essere difforme dalla realtà stessa; 3. capire che le azioni umane sono regolate dalla rappresentazione e non dalla realtà in quanto tale.

I bambini di 4 anni (e di età superiore), però, pur capaci di metarappresentazione e di attribuzione di stati intenzionali che fanno capo a una teoria della mente, non riescono, fino ad una fase successiva che inizia tra i 6-7 anni e pur utilizzando correttamente molti termini linguistici “mentalistici” (volere, desiderare, sperare, pensare, ecc.)77, a fornire un resoconto linguistico consapevole delle loro teorie sulla

75 Manifestazioni tipiche sono: 1. la distinzione fra pensieri su oggetti e pensieri su eventi mentali; 2. pensiero e ragionamento sugli stati mentali; 3. la comprensione del fatto che gli stati mentali degli altri possono essere diversi dai nostri; 4. la valutazione dei rapporti di conversazione, collaborazione e competizione, indipendentemente dai loro risultati; 5. la distinzione fra apparenza e realtà; 6. la capacità di attribuire agli altri false credenze; 7. l’uso della bugia per generare negli altri delle false credenze; 8. la comprensione dei “verbi mentali”.

76 Le variazioni sperimentali sono molte, gli psicologi che per primi hanno introdotto questi tipi di “test” sono gli Heinz Wimmer e Joseph Perner all’inizio degli anni Ottanta. Tra i più famosi esperimenti di questo tipo ci sono quelli degli smarties e di “Anna e Sally”. Questi e altri test simili sulla conoscenza della mente altrui e l’attribuzione metacognitiva e metarappresentazionale di false credenze vengono di solito tranquillamente superati da bambini di quattro anni che sanno attribuire ad altri credenze che, per quanto li riguarda, ritengono false. Nell’esperimento degli smarties i bambini, aprendo una scatola di confetti smarties, rimangono sorpresi di trovarci dentro delle matite. A questo punto lo sperimentatore chiede loro che cosa si aspetterà di trovare nella scatola una persona che entri nella stanza, e i bambini, benché sappiano che la scatola contiene delle matite, tengono l’informazione per sé, si mettono nei panni del nuovo venuto e rispondono: “smarties”. I bambini di tre anni hanno più difficoltà a tenere quello che sanno fuori dal discorso; insistono che il nuovo venuto si aspetterà di trovare delle matite nella scatola di confetti. Ma è improbabile che manchi loro l’idea stessa di altre menti; quando la risposta errata è resa meno allettante o i bambini sono indotti a riflettere un po’ di più, anche loro attribuiscono convinzioni sbagliate agli altri. I risultati sono identici in tutti i paesi in cui i bambini sono stati sottoposti al test. Nell’esperimento di “Anna e Sally” (due bambole) Anna “assiste” allo spostamento di posizione di una pallina mentre Sally no, si chiede al bambino dove, secondo lui, Anna e Sally si aspettano di trovare la pallina. Ciò che si valuta è la capacità dei bambini non solo di distinguere tra credenza falsa e vera ma di attribuire una credenza falsa ad altri. Ciò implica uno sviluppo ulteriore della cognizione, che si completerà solo successivamente, verso i sei anni ed oltre, con il sorgere di teorie della mente di secondo e terzo livello.

77 L’acquisizione di un lessico mentalistico inizia già verso i due anni, si sviluppa e affina qualitativamente e quantitativamente nel corso dello sviluppo ontogenetico, soprattutto dopo i 4 anni, e continua a precisarsi e a incrementarsi in età scolare. Cfr. in: C. Levorato, Lo sviluppo psicologico, Einaudi, 2005, pag. .227-231.

mente. In questo senso la teoria della mente comprende una fase implicita ed una esplicita, una irriflessa ed una riflessa, indicando l’una l’agire e l’interpretare in modo opportuno gli atti altrui, senza però avere ancora acquisito la capacità di verbalizzare e “coscientizzare” motivazioni, scopi, ecc. (ciò che avviene nel bambino), e la seconda il possesso di queste capacità in modo esplicito, metacognitivo e metalinguistico.

Non tutti gli esseri umani, infatti, possiedono le stesse capacità interpretative, né tutte le fasi dello sviluppo sono contraddistinte dal possesso di un’identica facoltà metarappresentazionale. Uno dei temi centrali nel dibattito concernente la psicologia ingenua riguarda proprio il tentativo di mettere a punto una teoria generale della mente, in grado di comprendere le discrepanze osservabili tra i soggetti. Si ricorderà, a tale proposito, che secondo Vygotskij e Lurija questa consapevolezza o “coscienza” di sé e dell’altro si produce e dipende dal contesto relazionale, sociale e storico-culturale ed è direttamente influenzato dai processi educativi che ristrutturano i sistemi funzionali mentali, per cui anche in età adulta, in mancanza di opportuni sostegni culturali e educativi, le persone possono presentare una scarsa consapevolezza di sé e degli altri. Lo psicologo H. Gardner, del resto, include come tipi particolari e distinti di intelligenza sia quella personale (capacità introspettiva) sia quella sociale (empatica) che, in quanto tali, non sono possedute da tutti allo stesso modo, ma dipendono sia da fattori biologici innati sia dal contesto storico-culturale e educativo. Se, quindi, da un lato, è stato accertato che la capacità umana di avere un’implicita cognizione della mente altrui si manifesta precocemente e “naturalmente” in un contesto sociale, dall’altro, resta da chiarire i caratteri e l’origine (filogenetica, ontogenetica e storico-culturale) di questa stessa capacità.

In un certo senso la ricerca scientifica propria delle scienze umane (la psicologia in modo particolare) e delle scienze cognitive (tra cui anche la filosofia78) può essere interpretata come il tentativo di rendere più “esplicita”, fondata e razionalmente sostenibile la pretesa, che guida anche il processo educativo, di “avere una mente” (e riguardo l’”esistenza delle altre menti”) indagandone lo sviluppo e le caratteristiche su un piano teorico, sperimentale e valutandone gli effetti pratici (soprattutto per ciò che concerne la capacità di dare significato ad un contesto socio-culturale e il ruolo causale delle credenze e degli atteggiamenti nelle azioni, anche nel caso si voglia ridurre il

78 Cfr. in: H. Gardner, Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza, Feltrinelli, 1996; La nuova

mentale a processi fisiologici e neurologici). Attualmente gli studi sulla teoria della mente e la psicologia ingenua presentano vari indirizzi di ricerca che possono essere raggruppati secondo quattro direttrici fondamentali che, a loro volta, possono essere raccolte in due coppie in opposizione dialettica. Ciò nonostante sono sempre possibili quadri teorici più complessi, articolati e integrati che, attraversando trasversalmente questa suddivisione un po’ artificiosa, non ne rispettano le delimitazioni. Queste quattro macro-aree e prospettive di ricerca, raccolte in coppie di opposti, sono: 1. Una prospettiva innatista che si contrappone ad una anti-innatista e costruttivista. 2. Una teoria “dominio-specifica”, che predilige spiegazioni prettamente cognitive e riconducibili a uno specifico ambito evolutivo e non ad altri (per esempio lo sviluppo del concetto di causa nel corso dello sviluppo ontogenetico per gli enti fisici sarebbe sostanzialmente diverso da quello psicologico relativo a ToM), contrapposta a una prospettiva più integrata, dominio-generale, che, sottolineando la dipendenza dal contesto relazionale, sociale e culturale dello sviluppo di una teoria della mente, finisce per considerare ToM un fenomeno non prettamente cognitivo e individuale ma dipendente da differenti linee evolutive che si intersecano.

In particolare sono due le principali correnti che si affrontano in questo contesto, la così detta teoria della teoria del mentale (Theory Theory = TT) e la teoria della

simulazione (Simulation Theory = ST). L’approccio Theory-Theory rappresenta un paradigma di riferimento forte nell’ambito degli studi nel settore e propone un concetto di teoria della mente come costruzione epistemologica. In questo ambito di studi il