• Non ci sono risultati.

DISCORSO PEDAGOGICO”

5. Il paradigma “scientifico”.

Il quarto paradigma, il terzo della pedagogia moderna, è quello scientifico. Questo paradigma ha mutato profondamente l’assetto teorico/pratico della pedagogia e ne ha ridefinito completamente i metodi, gli ambiti, la struttura logico-epistemologica e argomentativa. Nello stesso tempo occorre sottolineare come l’accostamento della pedagogia al paradigma scientifico sia stato caratterizzato da un itinerario complesso, non omogeneo e non lineare che, da un lato, si è tradotto in un’assunzione acritica dei parametri di scientificità di tipo matematico-sperimentali e, dall’altro, in un rifiuto netto

di questi stessi canoni di scientificità e nella ricerca di una specificità epistemologica disciplinare più consona al discorso pedagogico e alle sue caratteristiche intrinseche (implicazioni axiologiche, oscillazione tra teoria e prassi, legame forte con la politica e la contingenza storico-sociale). In entrambi i casi, e nelle possibili posizioni intermedie, il paradigma scientifico ha consentito alla pedagogia di mettersi al passo coi tempi e di sfuggire alle pastoie della metafisica e della predica religiosa e retorica e, nello stesso tempo, ne ha reso controllabili intersoggettivamente gli assunti, ampliandone la credibilità e inserendola a pieno titolo tra le scienze sociali e umane. La pedagogia, infatti, ha faticato nel corso della storia a distinguersi come disciplina autonoma e per secoli è stata totalmente assorbita ed inclusa nella riflessione filosofica, di cui costituiva un’ancella secondaria. Un rapido sguardo ai paradigmi fin qui analizzati evidenzia questo forte legame con la riflessione filosofica, anche se è sempre opportuno distinguere tra teorie filosofiche di impianto critico-ermeneutico e storico, da quelle metafisico-religiose e dogmatiche.

La filosofia costituisce una componente fondamentale del discorso pedagogico ancora oggi e, anzi, ha avuto un ruolo fondamentale nel riconoscimento della specificità del discorso pedagogico nei confronti del paradigma scientifico. Infatti la pedagogia, attraverso il rapporto dialettico che intrattiene con, e tra, la filosofia e la scienza, ha potuto emergere nei suoi caratteri peculiari (epistemologici, axiologici e storico- ermeneutici) e scampare al rischio di essere smembrata nelle varie scienze dell’educazione o assorbita nelle altre scienze sociali. Il che sarebbe stato un paradosso dato che è stata la scienza ad averne determinato l’autonomia disciplinare dalla filosofia. Il rapporto complesso tra scienza e filosofia all’interno del discorso pedagogico è evidente fin dall’affermarsi della scienza come branca separata del sapere. Nel Seicento, infatti, mentre la scienza si andava definendo secondo il modello galileiano e, verso la fine del secolo, newtoniano (i Principia sono pubblicati nel 1687), e, poi, ancora nel corso del Settecento, il paradigma scientifico è filtrato nel discorso pedagogico, in prima istanza in modo timido e parziale, essenzialmente attraverso i filosofi e la riflessione filosofica in ambito gnoseologico e epistemologico. Cartesio e Locke, da opposti fronti come si è detto, si richiamano al discorso scientifico, l’uno evidenziandone la razionalità deduttiva di tipo logico-matematico e l’invarianza del metodo, l’altro la validità euristica, non priva di limiti, e la componente induttiva e

empirica. Soprattutto Locke con il richiamo all’osservazione, al sensismo e all’empirismo, che costituiscono il fondamento del suo modello mentale, introduce anche in pedagogia una componente fondamentale: l’osservazione e la “verifica” delle teorie. Ciò si traduce in una rinnovata attenzione per le capacità psico-fisiche dell’educando e per le sue specificità cognitive, ma anche nel riconoscimento del ruolo fondamentale dell’esperienza diretta del fanciullo per la sua formazione e per l’apprendimento.

Nel Settecento, con l’Illuminismo, il paradigma scientifico si impone con più decisione. Con Etienne Bonnot de Condillac (1715-1780), Rousseau e Julien Offroy de La Mettrie (1709-1751) si impone una concezione costruttiva della mente che, pur essendo astratta e formale, essenzialmente filosofica, anche se di matrice naturalistica, materialista, sensista ed empirista, si fonda sui “dati” della sensazione. In questo contesto si afferma lo status dichiaratamente “scientifico” della pedagogia, o sarebbe meglio dire, si impone un’immagine di scientificità, filtrata attraverso la riflessione epistemologica dei filosofi, che funge da paradigma anche per il sapere pedagogico. Il medico e scienziato Jean-Marc Gaspard Itard (1774-1838), imbevuto di filosofia sensistica e fervente ammiratore di Locke e Condillac, proietta più decisamente il discorso pedagogico in un ambito scientifico e “osservativo-sperimentale”. Egli, infatti, iniziatore della pedagogia speciale e dell’otorinolaringologia, spende molti anni e energie nel tentativo di far recuperare a Victor, il fanciullo selvaggio dell’Aveyron33, le sue capacità cognitive e emotive compromesse da un lungo periodo di isolamento in una fase critica dello sviluppo ontogenetico. Il paradigma scientifico, quindi, si afferma in pedagogia:

“Rousseau [ne individua] ‘l’oggetto formale’ (il bambino e la sua evoluzione attraverso

età differenziate e interconnesse) e lo statuto di scienza antropologico-sociale, connessa ad un’analisi della società e allo studio della ‘morale’ dell’uomo; Condillac-Itard pongono in luce alcuni meccanismi della mente, i processi di apprendimento e il loro andamento dal semplice al complesso, dal sensibile all’astratto” [ibidem, pag. 56].

Nell’Ottocento, con l’affermarsi del Positivismo e dopo la breve interruzione del Romanticismo, la pedagogia si trova sempre avvinta al paradigma scientifico, tanto che si comincerà a parlare della “pedagogia come scienza”. Johann Friedrich Herbart (1776-

33 Jean-Marc Gaspard Itard, Il fanciullo selvaggio dell’Aveyron … cresciuto nei boschi come un animale

1841), pur evidenziando la dipendenza della pedagogia nei confronti della psicologia, sviluppa una serie di principi e di ricerche volte a emendare la pedagogia dai suoi retaggi filosofici, indirizzandola verso un tipo di ricerca empiricamente fondata. Nel periodo immediatamente successivo inizia la speciazione della pedagogia come campo di ricerca autonomo, processo che, sviluppatosi nell’Ottocento, si definirà meglio nel corso del Novecento, soprattutto grazie all’opera di molti pedagogisti di formazione medico-biologica o con una preparazione scientifica. Costoro spesso sostengono a vario titolo l’attivismo pedagogico e le loro ricerche e teorie concorrono all’affermarsi anche in pedagogia di un atteggiamento di ricerca fondato sulla verifica empirica degli assunti teorici e sulla “sperimentazione”. In questa prospettiva è possibile tracciare un filo rosso che da Itard, passando per il suo allievo Edouard Seguin (1812-1880), giunge in pieno Novecento alla “pedagogia scientifica” di Maria Montessori (1870-1952), la quale non solo riconosce il suo debito teorico nei loro confronti, ma li annovera tra i fondatori della pedagogia sperimentale34. Herbert Spencer (1820-1903), Roberto Ardigò (1828- 1920) e la stessa Montessori guardano ad una “pedagogia scientifica” che affondi le sue radici nella fisiologia, nella teoria dell’evoluzione e nella sociologia e che si richiami ad un’analisi sperimentale dei processi educativi. Tale sperimentazione verrà definita meglio in anni appena successivi da Alfred Binet (1857-1911), Ovide Decroly (1871- 1932) e Edouard Claparède (1873-1940).

Questo processo, però, ha comportato un irrigidimento del discorso pedagogico: la pedagogia scientifica del Positivismo ha finito per impantanarsi nello scientismo e ha determinato una sostanziale perdita di autonomia, così faticosamente ottenute dalla filosofia, e una subalternità del discorso pedagogico nei confronti delle “scienze maggiori” e/o un assorbimento nelle scienze biologiche (fisiologia, medicina, neurologia) e sociali (psicologia, sociologia). Queste discipline, nel tentativo di fondare la pedagogia su più solide basi scientifiche e emanciparla dai suoi retaggi filosofici e metafisico-dogmatici, soprattutto nella seconda metà del Novecento e in particolare negli anni Sessanta, hanno operato una vera e propria espropriazione nei suoi confronti e hanno rischiato di dissolvere il problema educativo nella sua globalità e unicità, destrutturandolo e parcellizzandolo in una miriade di scienze dell'educazione. La pedagogia, in questo modo, ha rischiato di ridursi a mero processo tecnico-didattico di

34 Confronta L’introduzione di P. Massimi in J. Itard, Il fanciullo selvaggio dell’Aveyron … cresciuto nei

miglioramento dell’istruzione e delle pratiche di insegnamento-apprendimento, senza interrogarsi in maniera critica ed esplicita sui contenuti, le esperienze e i valori che si vogliono trasmettere e a quale fine. La ricerca di una maggiore scientificità ha reso il discorso pedagogico più povero e meno capace di incidere sul piano dei valori. Tuttavia questo tentativo riduzionista era volto a fare della pedagogia una disciplina pienamente autonoma, con un riconosciuto statuto epistemologico. Si è creduto, infatti, che se si fosse riuscito a rendere gli enunciati, le teorie e i risultati della ricerca pedagogica meno aleatori, più autonomi dalla filosofia di stampo dogmatico, dalla predica religiosa e moralistica e dagli interessi economico-politici, ciò avrebbe consentito una sua maggiore incidenza sull’organizzazione effettiva dell’educazione e una maggiore controllabilità, misura e correzione del processo educativo stesso. Insomma spogliando la pedagogia della dimensione filosofico-retorica, etico-utopica e ideologica si sarebbe, per converso, aumentato il suo contributo per il miglioramento della stessa realtà sociale, culturale e storica. Da un certo punto di vista, infatti, la ricerca scientifica e l’assunzione di un paradigma scientifico di tipo neopositivista ha permesso alla pedagogia di liberarsi dei lati più arcaici (dogmatico-religiosi, tradizionalistici, retorico- paternalistici) che la caratterizzavano, ancorandola ai principi della “verifica empirica” e del metodo scientifico (osservazione-ipotesi-verifica). Essa ha consentito alla pedagogia, per alcuni ambiti particolari, di costruire procedure valide per una corretta “misurazione” e valutazione dei “dati” e dei risultati scolastico-educativi sul piano quantitativo e su quello qualitativo. Ciò ha reso la pedagogia un sapere meno aleatorio, meno dipendente da giudizi di valore di stampo ideologico, religioso, metafisico, retorico e più capace di presentarsi come sapere per la pratica sia nel senso di prova “empirica” delle ipotesi e delle metodologie didattiche, sia sul piano della realizzazione concreta di progetti innovativi che hanno confermato la loro validità.

Il ricorso a strumenti intersoggettivi di controllabilità e lo sviluppo di tecnologie efficaci hanno ampliato le possibilità di successo della prassi educativa concorrendo, ad esempio, a una più corretta definizione del curricolo e degli obiettivi didattici, a una più organica programmazione, con particolare riguardo a una precisa determinazione delle fasi temporali, e a migliorare le pratiche comunicative, quelle didattiche e quelle concernenti la valutazione. Il risultato negativo di questa epurazione, però, è stato quello di aprire un vulnus teorico e nella praxis educativa. Infatti al contrario di ciò che ci si

aspettava tale vuoto, spesso, è stato riempito dell’ideologismo più marcato e acritico; ha consentito alle esigenze politiche, sociali e, soprattutto, economiche di dettare le regole, i fini e gli obiettivi dell’educazione, generando e favorendo un sostanziale asservimento della scuola e dell’educazione ai poteri forti e privando gli individui degli elementi indispensabili per difendersi dai “persuasori occulti”.

Lo sviluppo delle capacità critiche, di un pensiero razionale e dialettico, aperto al dialogo democratico e al confronto, è un obiettivo altrettanto importante, e forse più importante, dell’aumento dell’efficienza e dell’efficacia delle tecniche didattiche, inclusi i corrispettivi miglioramenti tecnologici o il miglioramento nei risultati raggiunti nel livello di conoscenze dagli studenti. Tali obiettivi però vengono necessariamente messi da parte da una ricerca pedagogica che si concentra solo sui risultati misurabili e rilevabili con metodi scientifici e docimologicamente “oggettivi”, oppure che ritiene di sua competenza il solo miglioramento delle tecniche di insegnamento-apprendimento. Da qui il recupero da parte della pedagogia del suo originario assetto filosofico senza però ricadere nel dogmatismo, ma accentuando il suo carattere critico, pluralista e ermeneutico, che fa della multidisciplinarità, interdisciplinarità e trasdisciplinarità un elemento di forza, indispensabile per interpretare la complessità del fatto educativo nelle sue molteplici dimensioni (cognitiva, sociale, relazionale, valoriale, teleologica, etica, economica, politica, storica, ecc). Questo recupero di temi e suggestioni filosofiche ha comportato anche la ricerca di una nuova e diversa scientificità, che in linea con le tendenze epistemologiche attuali, popperiane e post-popperiane, riconosce la validità delle ricerche in campo sociale ed educativo sulla base dei principi “morbidi” di “verità” e “oggettività” e contemporaneamente ha favorito l’utilizzo e la riscoperta di metodologie e categorie filosofiche tratte dalla fenomenologia, dall’ermeneutica, dall’indirizzo critico di ispirazione marxista, dall’esistenzialismo e dalla filosofia analitica e post-analitica.