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Differenza modello/paradigma, specificità e caratteristiche dei paradigmi pedagogici.

DISCORSO PEDAGOGICO”

1. Differenza modello/paradigma, specificità e caratteristiche dei paradigmi pedagogici.

La questione su cosa debba intendersi per modello e paradigma in generale è stata già affrontata in precedenza (cfr. cap. 1, paragrafo 1). Varrà la pena, tuttavia, precisare ulteriormente la differenza che sussiste tra paradigma e modello. Molti autori, infatti, tendono a utilizzare i due termini come quasi-sinonimi. Ciò è vero anche per la pedagogia. Franco Cambi, ad esempio, nel già citato “Il congegno del discorso

pedagogico. Metateoria ermeneutica e modernità”, Clueb, 1986, tende a sovrapporre i due termini, pur essendo perfettamente consapevole della loro differenza semantica. La sua scelta deriva da un ragionamento di questo tipo: dato che sia i paradigmi sia i modelli hanno una funzione regolativa e di controllo dell’attività di ricerca, ossia si presentano come strutture concettuali che organizzano eventi, fatti e conoscenze, allora dal punto di vista cognitivo e allo scopo della ricostruzione storico-pedagogica le differenze possono essere trascurate con qualche cautela e precisazione nei casi dubbi. Precisa infatti Cambi:

“Prendiamo l'occasione anche per fare un chiarimento terminologico fondamentale. Le

nozioni di "paradigma" e di "modello" vengono usate, spesso, nel presente testo come quasi-simmetriche, anche se in una accezione rigorosa non lo sono affatto. Il paradigma contiene, elabora modelli, e non viceversa. Il paradigma è storico-teorico, il modello prevalentemente teorico-formale. Il modello ha talvolta radici biologiche (come, ad esempio, nel linguaggio), il paradigma soltanto culturali. Tuttavia, se le due nozioni vengono usate in senso strettamente cognitivo, si delinea tra loro una certa vicinanza. Paradigma e modello indicano delle strutture concettuali capaci di "regolare" il corso di un determinato campo di conoscenze, di coordinarlo e orientarlo, e di permanere in esso abbastanza a lungo come "regolatori". Per questo è possibile mantenerli, pur con le dovute cautele, in una ricostruzione di tipo storico (e non logico- analitico), come quasi-sinonimi.” [F. Cambi, Il congegno del discorso pedagogico, Clueb, 1986, pag. 24-25, nota 4]

Viceversa in questo lavoro cercherò di precisare semanticamente e mantenere ben distinti i due termini, al fine di evitare il rischio di ingenerare confusione tra i vari piani del discorso. Mente, società, cultura, pedagogia, riflessione epistemologica e ricostruzione storico-teorica sono solo alcuni dei piani di applicabilità dei concetti di paradigma e modello che necessitano ogni volta di una certa precisione terminologica. Se, come nel lavoro di Cambi, per alcune ricerche e scopi particolari, trascurare le differenze tra i due concetti aumenta la comprensibilità ed è assolutamente funzionale,

in altri contesti di ricerca ciò può comportare molti più problemi di quanti ne risolva. Superfluo aggiungere che in questo lavoro ci si trova nella seconda situazione descritta.

Nella logica formale un modello è l’interpretazione pertinente ρ per un certo linguaggio L che attribuisce un significato (valore di verità) alle espressioni linguistiche in un certo dominio, per cui si stabilisce una corrispondenza biunivoca tra l’espressione linguistica da un lato (simboli dell’alfabeto, costanti, variabili, funzioni, predicati, connettivi, quantificatori, ecc.) e la specifica interpretazione dall’altro (significato attribuito, valore di verità), tale da individuare “un mondo possibile”.30 Nelle scienze naturali e sociali, invece, si parla di “modello di un fenomeno o un insieme di fenomeni” per intendere una costruzione più o meno astratta che condivide alcune caratteristiche strutturali del dominio modellato. Le variazioni di significato del termine in questo secondo uso derivano dal grado di astrazione attribuito al modello: per cui se si tiene in considerazione la rappresentazione astratta delle strutture formali esibite dal domino modellato si avrà un modello matematico (ad esempio in economia), oppure nel caso di una considerazione analogico-strutturale di alcuni caratteri solamente del dominio preso in esame, si avranno modelli concreti (ad esempio il modello del cervello come centralina). In questa prospettiva il termine “modello pedagogico” è usato sostanzialmente nella seconda accezione ricordata, anche se, in riferimento al primo senso, un modello è già, sempre, una rappresentazione di “un mondo possibile” che implica una interpretazione, un significato e un senso; ovviamente ciò è da intendersi in

30 “Una prima importante differenza nel modo in cui la questione della semantica si pone per i linguaggi

formalizzati rispetto al nostro linguaggio ordinario, è che nel caso dell'italiano abbiamo a che fare con un linguaggio già interpretato, le cui espressioni, cioè, ci si presentano come originariamente provviste di significato. Le formule dei linguaggi formali vengono spesso intese dai logici, invece, come pure sequenze di simboli, costruite in base alle regole sintattiche di formazione. Siamo allora interessati a stabilire le condizioni di verità delle formule dei linguaggi formali come L, allorché alle espressioni di L venga attribuito un significato in universi del discorso, cioè in strutture ontologiche […]. Si tratta di far sì che il nostro linguaggio formale L parli di un certo mondo o universo strutturato di enti; e poi di stabilire sotto quali condizioni una certa formula di L è vera in quell'universo di discorso. […] Con- sideriamo infatti una struttura ontologica che ha per dominio un insieme non vuoto (sia ancora U) di individui. Diremo che un modello M per il nostro linguaggio formale L è una coppia ordinata M = <U, i>, dove U è appunto il nostro insieme, e i è una funzione di interpretazione. Una funzione di interpretazione è una funzione che assegna significati a espressioni del nostro linguaggio formale. Per inciso, si badi che la terminologia logica non è del tutto uniforme: a volte si parla di strutture anziché di modelli, e si afferma che una struttura è modello di un enunciato (di una teoria), se e solo se essa rende vero l'enunciato (o gli enunciati che costituiscono la teoria). Noi useremo qui «struttura» e «modello» sostanzialmente come sinonimi. Ora, una interpretazione del nostro linguaggio L è appunto una attribuzione di significato a ogni simbolo descrittivo costante di L mediante la funzione i.” In Francesco Berto, Logica da zero a Godel, Laterza, pag. 161-162. Confronta anche in: Vito Michele Abrusci, Logica

matematica. Corso introduttivo, Laterza, pag. 73-101; Piergiorgio Odifreddi, Il diavolo in cattedra. La

modo affatto diverso dal formalismo disgiuntivo della logica che separa significato e significante, ma non di meno la scelta di un modello è vincolante rispetto al paradigma di riferimento sia teorico, sia etico e valoriale.

Un Modello di pedagogia va inteso, quindi, come una struttura ordinata di enunciati, teorici, pragmatici, normativi e etici che strettamente interrelati tra loro costituiranno una rete semantica e uno schema concettuale capace di organizzare, ordinare e orientare la ricerca teorica, quella empirica e la concreta pratica educativa e didattica. Tale struttura, però, essendo inclusa in un paradigma di più ampia portata, è specifica, definita e normalmente oggetto di una esplicita analisi e valutazione da parte del ricercatore che ne fa uso. Un modello, infatti, si connota per il suo carattere analogico, di tipo formale o concreto, con qualche altro fenomeno, evento, artefatto, disciplina o branca del sapere. Un paradigma, invece, per il suo carattere omnicomprensivo e multifattoriale (si pensi ai vari elementi che compongono una matrice disciplinare) si presenta come difficilmente definibile ed esplicitabile. Sono i caratteri di specificità, esplicitazione consapevole e, soprattutto, il carattere analogico dei modelli che rendono opportuna la distinzione semantica dal concetto di paradigma. Lo stesso Kuhn, del resto, introducendo il concetto di matrice disciplinare, si era reso conto della necessità di distinguere meglio tra i due termini, nonostante la forte connivenza e il gioco di rimandi tra l’uno e l’altro. Per la pedagogia questa esigenza di distinzione netta tra i due concetti si fa sentire in maniera più prepotente.

Un esempio chiarirà la questione: secondo Cambi il filosofo inglese John Locke (1632-1704) è uno degli iniziatori e dei massimi esponenti del paradigma pedagogico socio-politico che si sviluppa nel Seicento. Questo paradigma si caratterizza per il ruolo essenzialmente sociale e politico che i vari interpreti attribuiscono al discorso pedagogico. La pedagogia, cioè, si organizza intorno alle sue finalità sociali e politiche e, a volte, si sviluppa anche in chiave utopica o di rifondazione sociale31 sia critico dialettica (Marx, scuola di Francoforte) sia tecnocratica (Comte). Certo Locke si occupa dell’educazione del gentleman, ossia degli esponenti delle classi dominanti, ma proprio le classi dominanti sono quelle che possono agire sul più generale riassetto della società. Locke, però, è incluso da Cambi anche tra coloro che più di tutti hanno concorso all’affermarsi del paradigma scientifico, soprattutto per l’atteggiamento empirico e

antidogmatico del suo pensiero e l’attenzione al nuovo sapere scientifico che si andava affermando. Le analisi di Cambi sono senza dubbio molto pertinenti e assolutamente condivisibili, la distinzione tra paradigma e modello permetterebbe però di precisare meglio questa doppia appartenenza: Locke ha concorso all’affermazione in pedagogia del paradigma socio-politico per le sue idee politiche e liberali e ha concorso all’affermarsi di quello scientifico attraverso la costruzione di un modello molto preciso della mente e della cognizione, che fa sentire ancora oggi la sua influenza in ambito filosofico, scientifico e pedagogico. La mente come “tabula rasa” e l’idea associazionistica sono i due principi base di questo modello decisamente longevo. Il francese René Descartes (1596-1650) al contrario di Locke era un innatista, anche il suo modello di mente ha avuto notevoli ripercussioni sul piano pedagogico (si pensi a Chomsky). Cambi inserisce anche Cartesio tra coloro che hanno preparato il terreno al successivo affermarsi del paradigma scientifico. L’attenzione razionalistica di Cartesio per il metodo e la matematica rende ragione di questa inclusione. Anche in questo caso la distinzione tra modello e paradigma permette di valutare meglio le diverse motivazioni e attribuzioni di appartenenza. La sostanziale dipendenza della pedagogia dalla filosofia, infatti, almeno fino all’Ottocento non permette allo storico di ricostruire con esattezza il succedersi e affiancarsi dei paradigmi pedagogici.

Ogni ricostruzione storica in tal senso è aleatoria e manca di un elemento essenziale, ossia la consapevolezza da parte della “comunità scientifica” di esperti della condivisione di un paradigma. In ogni caso è sempre possibile ricostruire e desumere da altri elementi, come fa Cambi con una certa precisione e attendibilità, un quadro storico di riferimento volto all’individuazione dei paradigmi affermatisi nel corso del tempo in pedagogia. La condivisione di un modello, come si è visto, non è un elemento vincolante in tal senso, perché un paradigma comprende molti altri fattori e solo una valutazione complessiva di questi elementi ne permette la ricostruzione storico-teorica. La questione diverrà più chiara quando si saranno presi in esame i diversi paradigmi individuati da Cambi nell’evoluzione storica della pedagogia (metafisico-retorico; socio-politico; scientifico; antropologico-filosofico; epistemologico-metateorico).

In via preliminare, però, sarà opportuno concentrarsi sugli elementi di specificità dei paradigmi pedagogici rispetto a quelli scientifici. In parte si tratta di considerazioni già svolte nel capitolo precedente che ora bisogna esplicitare e precisare. Per esempio è

facile constatare come i paradigmi in pedagogia presentino un carattere di globalità e non-settorialità di gran lunga maggiore rispetto ai paradigmi scientifici che, al contrario, sono molto più specifici e settoriali (esoterici?). La teorizzazione in pedagogia si svolge in maniera complessa ed è un processo che necessita di un confronto costante con la dimensione storica, più ancora che nelle scienze, per trovare il suo senso e la sua struttura specifica.

“L’indagine storica […] guardava con insistenza al traguardo della teoria. Detto altrimenti: l’indagine intorno alla fenomenologia storica del ‘sapere’ pedagogico si orientava anche, e non secondariamente, al dissotterramento del suo ‘senso’ e della sua ‘struttura’, entrambi storici, ma enunciabili attraverso un discorso esclusivamente sincronico e concettuale, oltre che dotato di relativa autonomia e di funzione specifica. La ricerca storica sul discorso pedagogico, nei suoi aspetti ideologico-politici, filosofici, scientifici, rinviava quindi ad una messa a punto di tale discorso – considerato all’interno della sua ‘tradizione’ moderna – nei suoi caratteri formali. […] Anzi, credevamo – e crediamo – che soltanto attraverso la ricognizione del percorso storico fosse possibile salire alla formazione di una teoria culturalmente e concettualmente adeguata”. [F. Cambi, op. cit. pag. 11]

In questa prospettiva l’adozione del concetto di paradigma per il discorso pedagogico diviene uno strumento estremamente valido dal punto di vista euristico che evidenzia e rende ragione di questo stretto legame tra teoria e storia. Tuttavia la debolezza costitutiva della pedagogia e la sua difficoltà ad affermarsi come disciplina autonoma rendono sempre difficile questa operazione di chiarificazione interna che, per converso, diviene ancora più indispensabile. Tuttavia i paradigmi in pedagogia, come nelle altre scienze, si sviluppano storicamente e in successione, e a differenza di ciò che avviene nelle scienze, l’avvento di un nuovo paradigma non comporta mai l’abbandono, la falsificazione o il “superamento” di quello precedente. I paradigmi in pedagogia si collocano uno di fianco all’altro, sovente si verificano delle ibridazioni; più spesso ancora i diversi paradigmi si definiscono secondo una struttura gerarchica con un paradigma egemonico che si pone al centro della teorizzazione pedagogica e degli interessi dei ricercatori, mentre quelli minori rimangono alla periferia, pur facendo sovente sentire il loro influsso critico nei confronti del paradigma dominante, sottolineandone le debolezze, i pericoli e le ingenuità.

Una situazione di questo tipo stimola la ricerca di soluzioni e l’approfondimento teorico, epistemologico e metateorico della disciplina; da un lato, così, la pedagogia manifesta un aspetto di “crisi perenne” e il rischio costante di perdita di identità,

dall’altro mostra una forte e proteiforme vitalità interna e un costitutivo assetto antidogmatico. Un simile stato di cose si traduce in un continuo “aggiornamento” dei vecchi e dei nuovi paradigmi, ossia in un loro approfondimento teorico, al fine di renderli ancora capaci di affrontare adeguatamente le sfide del presente e del futuro senza anacronismi e ingenuità. In altre parole una volta che un paradigma fa la sua comparsa esso, come sostenuto da Kuhn, entra in competizione con gli altri, ma in pedagogia, contrariamente a ciò che avviene nelle scienze della natura, non si verifica mai una elisione totale dei paradigmi precedenti, ma una loro trasformazione, una ri- edizione che li rende ancora capaci di guidare la teoria e la prassi educativa nella contemporaneità, nonostante la marginalità cui vengono sottoposti dall’imposizione del paradigma dominante. Si crea quindi un rapporto dialettico e conflittuale tra i vari paradigmi pedagogici che rende il quadro teorico/pratico della disciplina sempre più complesso e intricato, comportando, spesso, anche dei fenomeni di rifiuto e di incommensurabilità paradigmatica.

In maniera maggiore che in altri campi del sapere i paradigmi in pedagogia hanno un’origine esterna alla disciplina e, spesso, sono la conseguenza diretta di mutamenti storici, culturali, sociali, ideologici, ecc. Del resto si è già più volte evidenziata la dipendenza, non solo teorico-epistemologica ma anche etica e ideologica, del discorso pedagogico da altre discipline (filosofia, scienza, scienze sociali), istituzioni (Stato, Chiesa) e da fattori storico-culturali (rivoluzioni scientifiche e sessuali, cambiamenti nei costumi, diffusione delle tecnologie, cambiamenti economico-produttivi, ecc.).