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Il paradigma “epistemologico-metateorico”.

DISCORSO PEDAGOGICO”

6. Il paradigma “epistemologico-metateorico”.

Questo riaffacciarsi nel discorso pedagogico della filosofia, non-dogmatica né metafisica ma critica e storico-ermeneutica, ha comportato per la pedagogia, a partire almeno dalla fine degli anni Sessanta, un’analisi di tipo epistemologico e metateorico

volta alla ridefinizione e alla determinazione consapevole della specificità disciplinare della pedagogia e a evitare qualsiasi tipo di sudditanza epistemologica o teorica nei confronti delle altre scienze o della stessa filosofia. Il quinto paradigma della pedagogia (quarto dell’epoca moderna) individuato da Cambi consiste proprio in questa ricerca di tipo “meta” volta alla determinazione della struttura profonda del discorso pedagogico e alla determinazione del suo congegno argomentativo, scientifico, logico- epistemologico, filosofico e storico critico.

Lo stesso Cambi si fa promotore di un modello di pedagogia che si inserisce all’interno del paradigma metateorico connotato in senso ermeneutico che si caratterizza per una forte tensione radicale e per una decisa valenza utopica. Si tratta di un approccio volto a indagare tanto gli aspetti logico-formali quanto gli aspetti trascendentali, strutturali e regolativi della pedagogia. L'obiettivo è quello di comprendere il complesso “congegno” del discorso pedagogico, ossia l'insieme delle sue dimensioni costitutive/invarianti, che – vale la pena anticiparlo – sono individuate nelle tre dimensioni dell’Ideologia, della Scienza e dell’Utopia. Si delinea quindi l’esienza di un’analisi del discorso e del sapere pedagogico che sappia disarticolare e far emergere i suoi stessi presupposti, attraverso l’uso rigoroso di una pluralità di modelli d’indagine, logico-formali ma anche dialettici, ermeneutici, ecc. Sul piano teoretico ne risulta un’indagine che tende a utilizzare lo strumento della dialettica (intesa non in senso metafisico, ma critico-ermeneutico e metodologico) per sfuggire ai riduzionismi e allo scopo di coniugare, senza ricercare sintesi impossibili da realizzarsi, gli aspetti più teoretici e formali con quelli legati all’antropologia, alla storia, alle ideologie e agli stessi processi di costituzione dei saperi:

“Una metateoria ermeneutica [...] si rivolge alle strutture costitutive e regolative di una disciplina, ma dentro il suo tracciato storico, dentro il suo divenire interagente con la totalità della cultura (in senso disciplinare e in senso antropologico). Le strutture a cui guarda sono strutture di senso, capaci di caratterizzare il sapere (quel sapere) in una data epoca storica e che ne costituiscono gli elementi di unità sostanziale, di organicità e di regolatività più profonda, in quanto inerenti al suo significato culturale piuttosto che a quello strettamente logico.” [bidem, pag. 105].

In effetti questo esito metateorico si sviluppa in considerazione della difficoltà per la pedagogia di riconoscersi univocamente all’interno degli stretti confini di un unico quadro paradigmatico. L’iper-complessità del discorso pedagogico, per usare

un’espressione di Alberto Granese, uno dei protagonisti di questa svolta epistemologico-metateorica, insieme al suo carattere interdisciplinare e alle molte opposizioni e antinomie che lo caratterizzano (teoria/prassi, filosofia/scienza, critica- utopia/socializzazione-mantenimento dello status quo, axiologia/tecnica, ecc.) sono conseguenti alla compresenza dei diversi paradigmi di riferimento e dei molti modelli pedagogici che in essi si inseriscono. Come si è visto, infatti, è piuttosto usuale in pedagogia che uno stesso autore inserisca le sue teorie e argomentazioni in quadri teorici diversi, ossia si richiami a più paradigmi contemporaneamente, anche se di solito è solo uno ad avere una posizione egemonica.

Pensare la pedagogica come un’operazione meta-riflessiva e metateorica comporta, preliminarmente, un’indagine sullo statuto e sulle forme che la teorizzazione assume nell’ambito del discorso pedagogico. La teorizzazione, conformemente a quanto sostenuto dall’epistemologia contemporanea, è il centro di ogni discorso scientifico, un elemento cruciale della sua costruzione. L’epistemologia post-popperiana, come si è visto, ha evidenziato la difficoltà, persino per le scienze naturali e fisiche, di definirsi interamente su parametri denotativi, logico-metodologici e sperimentali che non tengano conto dei presupposti, insiemi di regole e paradigmi alla base di ogni disciplina scientifica, che si determinano anche secondo modalità storico-sociali. L’indebolimento dei concetti di verità e oggettività scientifica è il punto di arrivo di questo processo di approfondimento teorico in ambito scientifico. Le scienze umane, per il loro oggetto specifico di indagine, si caratterizzano per una teorizzazione che, per quanto intensa, risulta molto più aleatoria, debole, fortemente ipotetica e spesso troppo generale rispetto alle scienze naturali che hanno una maggiore capacità di “controllo”, di “verifica” delle teorie e di “ripetibilità” degli esperimenti.

Tra le scienze umane la pedagogia ha uno statuto epistemologico ancora più problematico: la sua teorizzazione, infatti, lo si è visto dall’analisi dei paradigmi, risulta endemicamente complessa, caratterizzata dall’immanenza della prassi, dalla filosoficità e dall’interdisciplinarità. Ragioni per le quali la pedagogia non può assumere acriticamente le altre scienze (naturali o umane) come modello, ossia non può desumere da esse il suo statuto epistemologico ma deve cercare di costruirsi su nuove basi. Tale operazione di ricostruzione si presenta come “teoria della teoria”, ossia ha i connotati dell’indagine epistemologico-metateorica volta a determinare la specificità del discorso

pedagogico mediante l’assunzione consapevole delle sue idiosincrasie disciplinari, ossia di quegli elementi di debolezza che, lungi dall’essere occasionali e eliminabili, ne sono costitutivi. Il pluralismo è connaturato all’essenza del discorso pedagogico anche per ciò che concerne i modi diversi in cui la teorizzazione pedagogica si può strutturare. Cambi riconosce tre modalità principali in cui la teoresi si svolge nell’ambito pedagogico: essa di volta in volta si configura come “scienza empirica dell’educazione”, come “filosofia dell’educazione” e, in senso proprio, come “epistemologia/metateoria”. Queste tre tipologie sono intrinsecamente connesse alla storia della disciplina e ai vari paradigmi pedagogici che la caratterizzano.

“Infatti alle ‘forme’ della teoria (agli aspetti che essa deve assumere in campo teorico- pedagogico) corrispondono, in generale, i ‘paradigmi’ del sapere pedagogico tracciati dalla evoluzione della modernità. Scienza, filosofia (metafisica, politico-sociale, antropologica) ed epistemologia/metateoria sono, ad un tempo, i caratteri dominanti a livello storico come a livello teorico. E ciò non avviene a caso, poiché i due percorsi sono strettamente interconnessi o, meglio, sono due modi di guardare allo stesso fenomeno: della crescita-trasformazione-complicazione di un sapere [la pedagogia]

nell’ambito della modernità, della quale oggi dobbiamo raccogliere i frutti e il senso, proprio nel momento in cui sta, forse, per essere oltrepassata e quindi per essere radicalmente rinnovata”. [Ibidem, pag.73]

La scienza empirica dell’educazione si connette al paradigma scientifico e traduce il discorso pedagogico in chiave empirica e/o sperimentale; è volto, nei limiti della complessità e della specificità della disciplina, a fissare una dimensione nomologica che renda possibile una spiegazione e una “previsione” dei vari fenomeni educativi.

“ ‘Scienza empirica dell’educazione’ (come è stata definita da Brezinka o Laporta) che guarda alla elaborazione di ‘teorie dell’educazione’ (da non confondere con le ‘teorie pedagogiche’ che fanno capo alla filosofia dell’educazione), settoriali e parziali, definite, costruite a livello sperimentale (per quanto possibile) e sottoposte al regime della logica della ricerca scientifica”. [Ibidem pag. 71]

Del resto alla fine degli anni Sessanta, quando la pedagogia sembra essersi parcellizzata in tante scienze dell’educazione, il problema non è più quello di sostenere la scientificità della pedagogia, bensì quello di individuare, ordinare e classificare le varie scienze dell’educazione. Aldo Visalberghi (1919-2007) in Pedagogia e scienza

dell'educazione (scritto in collaborazione con Benedetto Vertecchi e Roberto Maragliano) pubblicato nel 1978, in linea con questa prospettiva propone una “enciclopedia” del sapere pedagogico che, pur riconoscendo l’unità della pedagogia per

indicare l’approccio più generale e progettualmente impegnato ai problemi educativi, di fatto riconosce questa suddivisione e si propone di ordinare i quattro settori intorno ai quali si sono sviluppate le scienze dell’educazione: il settore psicologico, che riguarda la conoscenza dell’allievo e i processi di apprendimento (psicologia dell’educazione, evolutiva, sociale, etc.); il settore sociologico, che riguarda lo studio del rapporto scuola-società (sociologia generale, dell’educazione, della conoscenza, etc.); il settore metodologico-didattico, che riguarda lo studio dei mezzi, metodi e strumenti dell’educazione (tecnologie educative, teorie sulla programmazione e sulla valutazione scolastica, etc); il settore dei contenuti, che riguarda invece l’analisi delle discipline di insegnamento e della conoscenza in generale (storia della materia specifica, epistemologia generale e genetica). L’approccio di Visalberghi non è tuttavia ingenuo: accanto alla componente scientifica egli riconosce quella filosofica, che deve confrontarsi con i fini ultimi dell’educazione e con i fini-mezzo del processo educativo. In questo modo, sulle orme di Dewey, l’analisi epistemologica del discorso pedagogico se da un lato assume i connotati di una ricerca rivolta a determinare l’assetto scientifico della pedagogia, dall’altro non elide i legami con la filosofia e tende a ristrutturarsi e ridefinirsi su nuove basi teoriche volte a determinare lo specifico della pedagogia, ossia assume i connotati di una metateoria epistemologica.

Altri protagonisti di questa trascrizione in senso empirico-scientifico della pedagogia sono, solo per citarne alcuni, J. Piaget, Francesco De Bartolomeis (1918), Raffaele Laporta (1916-2000), Gaston Mialaret (1918), Wolfgang Brezinka (1928), ecc. In un certo senso la teoresi pedagogica intesa come scienza empirica dell’educazione ha superato l’unidimensionalità scientista del paradigma scientifico e si è confrontata in maniera riflessiva con le problematiche epistemologiche e filosofiche del discorso pedagogico. Da un lato quindi gli autori citati, e i molti altri non citati, si inseriscono su un piano di teorizzazione che comprende anche l’epistemologia/metateoria e la filosofia dell’educazione, dall’altro, però, concerne un ambito che rimane ristretto, volto alla determinazione di ciò che è verificabile; anche l’attenzione rivolta ai fini educativi si incentra sui fini-mezzi (per esempio la motivazione all’apprendimento) più che sui fini- valori che hanno uno statuto socio-culturale e filosofico e che, comunque, entrano sempre nel progetto e nell’azione educativa e non sono riducibili alla dimensione empirica, scientifica, metodologica o epistemologica-formale. I valori-fini riguardano il

senso ultimo dell’uomo, della società, della cultura; sono dimensioni intrinsecamente filosofiche, non suscettibili di “verifica” ma, se mai, di “critica” razionale ermeneutico- filosofica, e devono confrontarsi con l’esistente, il già dato, l’istituzionalizzato e mirare ad una realizzazione, ad un possibile compimento futuro, che è anche norma per il presente. In questa prospettiva, osserva Cambi, in linea con quanto sostenuto da Brenzinka, la scienza empirica dell’educazione incentrata sui principi guida della sperimentazione, della interdisciplinarità e del controllo metodologico/approfondimento e rivisitazione critico-epistemologica, se vuole essere efficace deve limitarsi ad un ambito relativamente ristretto di oggetti, ossia a quei problemi che possono essere trattati con metodi empirico-razionali. Ciò comporta l’impossibilità per la scienza empirica dell’educazione di trattare, coerentemente con il suo status teorico/empirico, quei problemi più generali che riguardano l’uomo e la sua formazione, perché non può dimostrare la validità di norme e valori. Una simile indagine, infatti, anche nell’ottica pedagogica, si connota come ricerca filosofico-critica, dialettica, fenomenologica e ermeneutica. In tal senso la scienza empirica dell’educazione se si occupa dei fini- valori, e non solo dei fini mezzi, si tramuta in ideologia perché si carica

“di significati meta-empirici che sono la trascrizione idealizzata del suo status di scienza/tecnica che è si razionale, ma anche dipendente dal sistema sociale e dal potere che lo governa. Inoltre […] ‘una scienza empirica dell’educazione’ che tendesse a

fissare i fini-valori che devono ispirare la pedagogia […] verrebbe a farlo

incorporando quella dimensione empirica che è propria della scienza (e che è funzionale al suo progetto cognitivo di descrivere/spiegare ‘ciò che è’), ma che, a livello dei valori, non si presenta altro che come ideologia: la legittimazione dell’uomo, della società, della cultura come sono (o come sono stati) e l’interdizione a guardare oltre l’esistente (e, soprattutto, contro di esso)”. [Ibidem, pag.81]

Tra coloro che hanno cercato di superare questa contraddizione, o meglio limitazione, insita nel discorso pedagogico, inteso come scienza empirica dell’educazione, spicca l’opera teorica di Raffaele Laporta che si è impegnato a coniugare l’esigenza della scientificità e dell’empiria con la dimensione axiologica della pedagogia. Laporta35, infatti, ha esposto con grande forza le ragioni di una scienza

empirica dell’educazione e il postulato axiologico della pedagogia che dal suo punto di vista, per noi occidentali, deve valere come un assoluto pedagogico, ossia la libertà

dell’educando. Le direttrici del pensiero laportiano riconoscono da un lato la fedeltà all’empirismo, in un’ottica non solo di analisi linguistica e logico-formale del discorso pedagogico ma di una epistemologia di impianto genetico-evolutivo e naturalistico- biologico, dall’altro l’opposizione all’ideologia (metafisica, religiosa, politica, culturale, ecc.), da realizzarsi proprio grazie al ricorso all’indagine scientifico-empirica, interdisciplinare, complessa e a una ricerca epistemologica capace di autocorreggersi di continuo e, quindi, non dogmatica.

La scienza empirica dell’educazione per Laporta si presenta come paideia, o meglio come una paidetica. “La paidetica si offre quale scienza finalizzata a legare

apprendimento e conoscenza alle loro radici biologiche, oltre che storiche e antropologiche “ [Frabboni; Pinto Minerva, Manuale di pedagogia generale, Laterza, 2001, pag. 96]. Centrale quindi anche per il discorso pedagogico appaiono le discipline biologiche, le neuroscienze, l’etologia, la cibernetica, oltre che la psicologia e le scienze sociali per strutturare su basi empiriche e adattive, in senso darwiniano, il processo educativo che deve assumere come categoria principe non quella dell’educazione ma quelle più definibili e circoscritte dell’istruzione e dell’apprendimento.

Gli stessi fini educativi, secondo Laporta, pur connessi con la dimensione filosofica dei valori, si devono ricavare dal confronto diretto con la pratica e la loro normatività deriva dall’analisi empirica stessa. Laporta, infatti, è convinto che la pedagogia sia intrinsecamente rivolta alla dimensione teleologica dei fini, ossia che oltre che scienza empirica essa sia anche paidetica. L’assetto etico, valoriale e l’attenzione alla dimensione futura e progettuale ne costituiscono sempre i presupposti e gli esiti.

In pedagogia qualsiasi pretesa di operare ricerche sperimentali neutre, ossia avulse da qualsiasi commistione con la problematica etico-valoriale dei fini, è fondamentalmente falsa. Tuttavia la pedagogia deve sfuggire alle pastoie metafisiche e ai pericoli di una ideologizzazione politica, storica, culturale, ecc., per strutturarsi come scienza empirica che abbia nella pratica scolastica la sua validazione, ma che nel contempo si interroghi in modo critico e problematico sui fini dell’educazione stessa. Tale operazione va compiuta contemporaneamente su due fronti: l’elaborazione teorica e la realizzazione pratica, seguendo una processualità critico-riflessiva, per cui la teoria guida la pratica e la pratica corregge la teoria, in un’ ottica che abbia nei fini e nei valori esplicitamente definiti una guida normativa e rivedibile. In sostanza anche i valori-fini,

secondo Laporta, si ricavano dalla ricerca empirica. In questo modo, però, come si è accennato, i fini che si ricavano sono solo strumentali, ossia sono fini-mezzo. La filosofia dell’educazione è un momento di riflessione globale sul discorso pedagogico che prende in esame sia gli aspetti axiologico-normativi sia quelli fondativi epistemologici. I paradigmi alla base di questo tipo di teoresi pedagogica sono essenzialmente quello socio-politico e quello antropologico-filosofico, tuttavia la filosofia dell’educazione per la sua generalità di interessi è di difficile catalogazione e attraversa, quindi, in maniera trasversale tutto l’asse dei cinque paradigmi pedagogici. Nell’epoca contemporanea si configura da un lato come filosofia dei valori e dall’altro come discorso metateorico/epistemologico. La scienza empirica dell’educazione, infatti, ha sottratto al suo campo di indagine tutti gli aspetti “tecnici”, didattici, ma anche quelli concernenti i fini-mezzi, ossia circoscrivibili ad uno specifico contesto storico culturale (formare il cittadino in una data società) o disciplinare (aiutare l’apprendimento di alcune discipline, formare “il gusto estetico”, ecc.) o cognitivo (favorire il sorgere di capacità critico-riflessive, metacognitive, ecc.). La filosofia dell’educazione, perciò, si occupa dei fini-valori, quelli che non possono essere ridefiniti in modo empirico e fattuale-operativo, che hanno una valenza intrinsecamente filosofica, che si dispiegano a partire da una Weltanschauung, cioè da una scelta axiologica, che va giustificata e “universalizzata” criticamente attraverso un processo di analisi dialettica dei punti di vista (storica e argomentativa), seguendo una razionalità ermeneutica, comprendente, volta alla definizione del senso ultimo di ciò che è l’uomo, la società e la cultura.

La ridefinizione, in senso epistemologico e metateorico, della pedagogia come sapere e come discorso è l’altra dimensione, ugualmente determinante, di cui si occupa la filosofia dell’educazione. Anche in questo caso l’analisi si svolge su basi razionali e critiche che privilegiano lo strumento filosofico più che quello scientifico e empirico. Secondo Cambi a questo punto il problema diventa vedere quale tipo di filosofia deve affrontare questi aspetti axiologici e autoriflessivi della pedagogia. Il rifiuto della filosofia di impianto dogmatico, metafisico-speculativo e spiritualista, come si già detto, è conseguenza diretta della complessità e problematicità del sapere pedagogico che necessita di una filosofia critica, che sfugga all’unidimensionalità, che sia capace di problematizzare prima ancora di trovare soluzioni e che sia rivolta a sondare la fenomenologia dell’impresa educativa piuttosto che ad assegnare aprioristicamente un

senso. L’accento è rivolto alla critica, da compiersi in senso storico, logico, fenomenologico, ideologico; al rigore dell’argomentazione razionale che si fondi non solo su un impianto formale-logico-linguistico ma anche su analisi storiche, comprendenti, ermeneutiche; sui fini-valori che devono valere quale norma regolativa, fulcro della progettazione educativa, rivolti al “dover essere” ma dialetticamente connessi in maniera articolata con i valori della cultura e della tradizione di appartenenza in un certo contesto storico di cui bisogna tener conto, sempre, per non incorrere nell’ideologizzazione e nelle chiusure paradigmatiche. Valori che, come si è accennato in precedenza, si articolano in sistemi gerarchici, entrano in competizione dialettica, sincronica e storica, si connettono all’esistente, alla tradizione e, nel contempo, si rivolgono al possibile, al trascendente, all’Utopia.

La negazione della normatività del valore e dei fini-ultimi, cui la pedagogia come la politica e l’etica è necessariamente connessa, è un’operazione per certi versi impossibile e per altri pericolosa perché, lungi dall’eliminare l’ideologizzazione del valore e il conflitto che ne deriva, comporta un’assunzione surrettizia, acritica, quindi ideologica, dei valori stessi. Dal lato opposto la scelta dei valori guida, sempre condizionata storicamente, culturalmente e dalla tradizione, sono un atto di decisione, di responsabilità e di fedeltà che deve essere consapevole dei condizionamenti e, nello stesso tempo, trovare delle giustificazioni razionali, oltre che storico-culturali, per la loro sostenibilità. Ciò comporta anche la capacità di mettere tra parentesi il già dato, l’esistente, per proiettarsi in una dimensione futura che prefigura la piena realizzazione del valore, il suo strutturarsi come progetto compiuto per l’umanità e la società, ossia su un piano che si presenta come realizzazione dell’Utopia.

Ogni valore, quindi, ha sia una valenza “assoluta” e utopica, sia una valenza storica, connessa alla particolare situazione socio-culturale, economica, di classe, biografica, ecc., di chi lo assume come guida. Il riconoscimento del modo in cui sul piano fenomenologico avviene la scelta dei valori è già un’indicazione su quali valori sono da preferire nell’attuale situazione storica. Cambi, infatti, sottolinea come la relatività del valore comporti una riduzione del polemos a vantaggio di un atteggiamento irenico e tollerante. La lotta senza quartiere tra i valori, e di conseguenza tra le persone che ne sono sostenitrici, può relativizzarsi, cedere il passo a un atteggiamento comprendente. La fedeltà alle proprie scelte valoriali si può coniugare con il rispetto delle altrui vedute

e confrontarsi criticamente con la diversità. Valori antropologici (libertà, responsabilità, costruzione esistenziale) e quelli irenico-utopici (pace, tolleranza, collaborazione) diventano quindi i valori guida della pedagogia contemporanea anche nell’attuale epoca di crisi, caratterizzata dalla morte/inasprimento delle ideologie, dal mito dell’ego, dall’etica dei consumi, dalla stessa crisi del soggetto impelagato nella sua perdita/ricerca di identità e da un sempre crescente disordine esistenziale. Nietzsche, Heidegger, alcuni aspetti del marxismo, la scuola di Francoforte diventano gli autori e le teorie filosofiche di riferimento per un “cambiamento radicale” della civiltà, nel tentativo/speranza di ridefinirla e rifondarla su nuove gerarchie di valori. La pedagogia si organizza su queste nuove basi ad esempio nel problematicismo pedagogico di Giovanni Maria Bertin (1912-2002), con i richiami a “costruire l’esistenza” e a guardare a un futuro antropologicamente connotato, ma anche, su un fronte più connotato in senso