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IL PRIVADO NELLA STORIA E NELLA CULTURA DELLA SPAGNA DEL XVI SECOLO

I. 3 CONSEJEROS E PRIVADOS NELLA SPAGNA DI FILIPPO

Il regno di Filippo II segnò l’inizio di una situazione diversa rispetto a quella vissuta negli anni di Carlo V. Innanzitutto, una volta tornato dalle Fiandre, nel 1559, il nuovo re decise di fissare la propria sede a Madrid, da dove non si sarebbe più mosso, salvo che in brevi e rare occasioni, per il resto della sua vita. La corte si stabilì nella penisola iberica, contando con la costante presenza del sovrano e conoscendo un progressivo processo di “castiglianizzazione”, con la conseguente perdita di quella dimensione internazionale e poliglotta che aveva caratterizzato gli anni di Carlo V. Con il Rey Prudente, inoltre, si raggiunse quello che Escudero ha definito “apogeo burocratico” della Monarchia,38

rappresentato in particolare dall’azione dei segretari. Filippo II mantenne la divisione delle segreterie già stabilita dal padre, affidando gli affari esteri a Gonzalo Pérez,39 già valente servitore dell’imperatore, mentre a Juan Vázquez de Molina toccò la sezione inerente il governo interno della Spagna. Alla morte di Pérez, la sua segreteria venne a sua volta scissa in due parti, una che si occupava degli affari italiani e che venne affidata ad Antonio Pérez,40 figlio di Gonzalo, l’altra che gestiva le questioni riguardanti il Nord Europa e che venne assegnata a Gabriel de Zayas. Tale divisione conobbe una breve parentesi a seguito della caduta in disgrazia di Antonio Pérez, dal 1579 al 1585, quando le due segreterie vennero riunite nella persona di Juan de Idiáquez,41 salvo poi essere nuovamente divise e affidate a due parenti del predecessore, Martín e Francisco de Idiáquez. Durante il regno di Filippo II, queste figure di segretari di Stato ricoprirono una grande importanza, che tuttavia andò scemando nel corso degli anni.42 Spesso esponenti di vere e proprie dinastie di segretari,43 essi venivano fuori da un preciso cursus

honorum in cui il ruolo di segretario di Stato rappresentava il coronamento di una carriera al

servizio del sovrano. Seguendo l’esempio dei suoi predecessori, Filippo II escluse dai ruoli chiave del governo della Monarchia le famiglie della grande nobiltà, preferendo uomini della piccola e media nobiltà, hidalgos e letrados, scelti per le capacità e per la lealtà personale alla Corona mostrate nella loro carriera politico-diplomatica o militare. Tale discorso è ancor più valido per quei particolari segretari che affiancarono Filippo II nel disbrigo della voluminosa

38 J.A. Escudero, Los secretarios de Estado y del despacho (1474-1724), 4 voll., Madrid 1976 (prima ediz. Madrid

1969), vol. I, cap. III.

39 A. González Palencia, Gonzalo Pérez secretario de Felipe II, 2 voll., Madrid 1946. 40 G. Marañon, Antonio Pérez. El hombre, el drama, la época, Madrid 1947.

41

F. Pérez Mínguez, Don Juan de Idiáquez embajador y consejero de Felipe II, San Sebastián 1935.

42

Escudero, Los Secretarios, cit.; M. Martínez Robles, Los oficiales de las Secretarías de la Corte bajo los Austrias y

Borbones, Alcalá de Henares 1987.

43 Oltre ad Antonio Pérez, figlio del già menzionato Gonzalo, si possono ricordare i casi, negli anni di Filippo II, di Juan

Vázquez de Molina, nipote di Francisco de los Cobos; di Francisco de Eraso, figlio di un funzionario dei Re Cattolici e a sua volta padre del segretario Antonio; di Juan de Idiáquez, figlio del segretario Alonso e parente dei già citati Francisco e Martín de Idiáquez.

mole di papeles quotidiani, vale a dire i segretari personali: Francisco de Eraso44 e Martín de Gatzelu fino al 1573, e poi, per quasi un ventennio, Mateo Vázquez de Leca45. Questi ultimi protagonisti della vita di corte ebbero un ruolo importante nella progressiva riduzione dell’influenza dei segretari di Stato, peraltro già indebolita dalle varie suddivisioni delle segreterie: essi infatti godevano del privilegio del despacho a boca con il re, di un colloquio e di un rapporto che andava oltre le formalità di rito con il sovrano. Mateo Vázquez in particolare lavorò a stretto contatto con il sovrano, molte ore al giorno, tutti i giorni e per vent’anni, prendendo parte a tutte le più importanti juntas, commissioni e decisioni prese in quel lasso di tempo.

Data la loro importanza, i segretari svolsero inoltre un ruolo di primo piano nel gioco di fazioni che caratterizzò la corte del Rey Prudente. Nelle istruzioni che Carlo V rivolse al suo erede nel 1543, l’imperatore raccomandava al figlio, tra le altre cose, di non accordare il suo favore ed un potere eccessivo ad una singola persona, cercando altresì l’aiuto di più consiglieri, in modo da non dare l’impressione di essere governato, ma di governare egli stesso in prima persona.46 Benchè le opinioni degli storici al riguardo non siano unanimi, si può riconoscere a

Filippo II la volontà di attenersi al consiglio paterno per tutto il corso della sua vita. Negli anni cinquanta e sessanta del XVI secolo, la lotta cortigiana vide contrapposti, da un lato, i vecchi consiglieri di Carlo V, guidati da Antoine Perrenot, vescovo di Arras e futuro cardinale di Granvelle, e dal segretario Gonzalo Pérez, dall’altro il gruppo emergente che circondava il principe e poi re. All’interno di quest’ultimo schieramento nacque, a sua volta, la più famosa e studiata contrapposizione fazionale nella storia della Spagna d’età moderna: quella tra i due gruppi capeggiati da Fernando Álvarez de Toledo, duca d’Alba,47

e da Ruy Gómez de Silva, principe di Éboli.48 Caricata per lungo tempo di ideali e prese di posizione che non le furono proprie,49 questa lotta fazionale ebbe come principale punto del contendere la nascente crisi dei

44

C.J. de Carlos Morales, El poder de los secretarios reales: Francisco de Eraso, in J. Martínez Millán (a cura di), La

corte de Felipe II, Madrid 1994, pp. 107-148.

45

A.W. Lovett, Philip II and Mateo Vazquez de Leca: the government of Spain (1572-1592), Ginevra 1977.

46 Le istruzioni sono riprodotte in M. Fernández Álvarez, Corpus Documental de Carlos V, 4 voll., Salamanca 1973-

1979, vol. 2, pp. 108-109, e in F. de Laiglesia, Estudios históricos (1515-1555), Madrid 1918, I, p. 75. Di quest’ultimo autore si veda anche Instruciones y consejos del Emperador Carlos V a su hijo Felipe II al salir de España en 1543, Madrid 1908. Sull’istruzione ricevuta da Filippo II e sui consigli di governo impartitigli negli anni della formazione, cfr. G. Parker, Un solo re, un solo impero. Filippo II di Spagna, Bologna 1985 (ediz. originale Boston 1978), pp. 17-37, e anche J.M. March, Niñez y Juventud de Felipe II: documentos inéditos sobre su educación civil, literaria y religiosa y

su iniciación al govierno (1527-1547), 2 voll., Madrid 1942.

47 W. Maltby, Alba: a biography of Fernando Alvarez de Toledo, third duke of Alba, 1507-1582, Berkeley 1983. 48 J.M. Boyden, The Courtier and the King: Ruy Gomez de Silva, Philip II and the Court of Spain, Los Angeles-

London, 1995.

49

A partire da Leopold von Ranke, le cui osservazioni vennero riprese in seguito da autori quali Marañon, Elliott e Maltby, la lotta tra albistas e ebolistas è stata letta come specchio di contrapposizioni di lungo periodo della storia spagnola: “falchi” bellicisti contro “colombe” pacifiste, imperialismo castigliano contro confederativismo di stampo aragonese, spirito controriformistico contro valori rinascimentali. Su queste lotte fazionali, e in generale sulla corte di

Paesi Bassi, con la linea “moderata” di Éboli che si scontrava con quella ben più aggressiva voluta da Alba.50 Il potere dei due gruppi, però, si misurava soprattutto dalla rispettiva capacità di occupare i principali posti nei consigli e nelle segreterie della Monarchia, in modo tale da permettere ai rispettivi leaders di avere propri uomini di fiducia all’interno della struttura di governo, e garantendo alle varie hechuras la possibilità di guadagnare potere e ricchezza grazie ai loro patroni.51 Dinanzi a questa contrapposizione, Filippo II si mosse mantenendo sempre su di sé l’autorità e l’ultima parola su ogni decisione, garantendo il proprio appoggio a turno ai due contendenti e non affidandosi mai del tutto ad uno solo. La grande capacità lavorativa di Filippo II, la volontà di gestire personalmente ogni minimo dettaglio del governo e la predilezione per la comunicazione scritta rispetto a quella orale, usata a beneficio dei suoi segretari,52 furono causa di critiche al Rey Prudente, data l’inevitabile, conseguente lentezza nel despacho de los negocios, ma allo stesso tempo impedirono l’imporsi di un unico plenipotenziario favorito. Neanche l’inquisitore Diego de Espinosa,53

che si guadagnò il favore del sovrano dopo la morte di Ruy Gómez e il fallimento della strategia nelle Fiandre del duca d’Alba, potè mai aspirare ad una seppur parziale delega dei poteri da parte del re. E lo stesso discorso vale per altri grandi protagonisti della corte madrilena di quegl’anni, come il cardinal Granvelle o Juan de Zúñiga.54

Tale situazione mutò significativamente negli ultimi 15 anni di regno di Filippo II. In questo periodo, infatti, il sovrano, ormai anziano e debilitato da molteplici problemi di salute, fu progressivamente costretto ad abbandonare i suoi forsennati ritmi di lavoro e ad affidarsi in misura sempre maggiore all’aiuto di un numero ristretto di consiglieri. La necessità di sveltire la macchina burocratica, scavalcando di frequente il farraginoso sistema dei Consejos, spinse Filippo II, cfr. M.J. Rodríguez Salgado, The Court of Philip II of Spain, in R.G. Asch, A.M. Birke (a cura di), Princes,

Patronage and the Nobility: the Court at the beginning of the Modern Age, London-Oxford 1991.

50

Sull’argomento si veda D. Lagomarsino, Court Factions and the Formulations of Spanish Policy towards the

Netherlands (1559-1567), Cambridge University 1973.

51 Come esempio di questa lotta fazionale, all’interno del Consejo de Italia istituito proprio in quegli anni per volontà di

Ruy Gómez, si veda M. Rivero Rodríguez, Felipe II y el gobierno de Italia, Madrid 1998.

52

Su questi aspetti si vedano, oltre alla già citata biografia di Geoffrey Parker, anche quelle più recenti di Henry Kamen, Philip of Spain, New Haven 1997, e dello stesso Parker, Felipe II: la biografía definitiva, Barcelona 2010. Sulla fama di Filippo II in quanto Rey papelero, J.A. Escudero, Felipe II: el rey en el despacho, Madrid 2002.

53 J. Martínez Millán, En busca de la ortodoxia: el Inquisidor general Diego de Espinosa, in Id. (a cura di), La corte de

Felipe II, cit., pp. 189-228.

54

Al riguardo, si segnala un testo scritto dopo la morte di Filippo II, intitolato Apología de Felipe II, e conservato in RAH, 9-3978, ff. 107r-140v. Al foglio 138r si legge: Los Reyes tienen todos las manos largas, pocos haya que las

tengan dadibosas. A esta proporcion no dexo jamas ninguna accion honrrada de letras y de guerra sin recompensa, el hacia merzed no solo a los buenos porque fuesen mejores, pero tambien a los malos porque no fueren peores, mas no por esto lebanto a sus Privados y favorecidos. El engrandecia a Rui Gomez pero sin hacerle dueño de los negocios mas graves en la distincion de los grandes cargos y sobre todo en lo que habian de ser arvitrios de las leyes de los quales piende la salud o la ruina de un estado. Vio siempre de gran circunspecion, y aunque el conde de Chinchon por haberse criado con el desde su niñez pudiera esperar de el mas que otro alguno, con todo eso no lo ocupo en mas de lo que juzgo que se proporcionava con su calidad y partes. Solia decir que no todos los estomagos eran capaces de derigir las grandes fortunas.

inoltre il sovrano ad inaugurare un sistema di governo tramite juntas che sarebbe stato caratteristico dei regni successivi, dominato da quegli stessi uomini di fiducia che lavoravano quotidianamente al fianco del re e che i coevi non avevano difficoltà nell’indicare con il termine privados.55 Tali cambiamenti hanno portato molti storici a vedere in questi ultimi anni di regno di Filippo II la vera origine del valimiento quale si imporrà in seguito, o quantomeno un’innegabile continuità con ciò che accadrà durante il regno di Filippo III.56

Erano gli stessi anni in cui il sovrano costruiva la sua fama di re inaccessibile, che era impossibile vedere e incontrare per chi non era parte di una ristretta cerchia: anche questa costituì una novità importante che si stabilizzò nei decenni successivi.57

Nel 1585, Filippo II istituì la Junta Grande, inizialmente destinata a coordinare i lavori per l’allestimento dell’Armada che di lì a tre anni avrebbe tentato l’invasione dell’Inghilterra.58

In breve, le competenze di questa Junta si estesero ai più svariati ambiti, garantendo un valido aiuto nel governo della Monarchia al sovrano e al suo fedele segretario Mateo Vázquez. Oltre a quest’ultimo, erano parte di questa ristrettissima cerchia i personaggi che avrebbero goduto della stima e dell’appoggio di Filippo fino alla sua morte. Un ruolo di primo piano veniva recitato dal portoghese Cristóbal de Moura,59 figura decisiva nel complicato processo di annessione del Portogallo alla Monarchia asburgica e che negli anni successivi seppe conquistarsi, grazie soprattutto alla vicinanza quotidiana al sovrano datagli dal suo ufficio di

camarero mayor, la fama a corte di autentico favorito del Rey Prudente. Juan de Idiáquez,

55

A. Feros, El viejo Felipe y los nuevos favoritos: formas de gobierno en la década de 1590, in «Studia Histórica», 17 (1997), pp. 11-36.

56 Cfr. gli esempi di P. Fernández Albaladejo, Los Austrias Mayores, in Historia de España, V, El siglo de Oro (siglo

XVI), Barcelona 1988; A. Feros, Lerma y Olivares: la práctica del valimiento en la primiera mitad del seiscientos, in J.

H. Elliott, A. García Sanz (a cura di), La España del Conde Duque de Olivares, Valladolid 1990, pp. 195-224; F. Benigno, Immagini del valimiento nei testi politici dell'epoca di Calderón, in J.Alcalá Zamora, E. Belenguer (a cura di),

Calderón de la Barca y la España del Barroco, 2 voll., Madrid 2001, I, pp. 693-706. In quest’ultimo testo, si cita anche

l’opinione in merito di Diego Saavedra y Fajardo, che nella sua opera Idea de un príncipe político y christiano indicava in Filippo II, re amante della penna, il responsabile di quella moltiplicazione di carte e consultas che i re successivi non sarebbero stati in grado di gestire da soli.

57

Sull’inaccessibilità del sovrano come condizione tipica della regalità nella Monarchia spagnola da Filippo II in poi, e in contrasto con le altre coeve monarchie europee, si vedano le riflessioni di F.J. Bouza Álvarez, La majestad de Felipe

II. Construcción del mito real, in J. Martínez Millán (a cura di), La corte de Felipe II, cit., pp. 37-72; Id., Del escribano a la biblioteca. La civilización escrita europea en la alta edad moderna (siglos XV-XVII), Madrid 1992; J.H. Elliott, La corte asburgica di Spagna, in Id., La Spagna e il suo mondo 1500-1700, Torino 1996 (ediz. originale New Haven

1989), pp. 203-230; Rodríguez Salgado, The court of Philip II of Spain, cit.

58 J.F. Baltar Rodríguez, Las Juntas de Gobierno en la Monarquía Hispánica (siglos XVI-XVII), Madrid 1998, pp. 46-

48. Sulla Junta Grande, e in generale su tutte le juntas che si alternarono numerose al vertice della Monarchia asburgica nel Cinquecento e soprattutto nel Seicento, si vedano anche gli studi di C. Espejo de Hinojosa, Enumeración y

atribuciones de algunas juntas de la Administración española desde el siglo XVI hasta el año 1800, in «Revista de la

Biblioteca, Archivo y Museo del Ayuntamiento de Madrid», Año VIII, núm. 32 (1931), pp. 325-362; J.L. Bercuyo,

Notas sobre Juntas del Antiguo Régimen, in Actas del IV Symposium de Historia de la Administración, Alcalá de

Henares 1983, pp. 93-108; D. Sánchez González, El Deber de Consejo en el Estado Moderno. Las Juntas «ad hoc» en

España (1471-1665), Madrid 1993.

segretario con lunga esperienza a corte e già ambasciatore,60 fu l’altro personaggio al quale maggiormente si affidò Filippo II nei suoi ultimi anni. Chiudevano questa Junta Diego de Cabrera y Bobadilla, conte di Chinchón,61 e il conte di Barajas, presidente del Consejo de

Castilla vicino a Vázquez.

Tre anni dopo, nel 1588, questi stessi personaggi, ad eccezione del conte di Barajas, diedero vita alla celebre Junta de Noche, la junta che doveva il proprio nome al momento della giornata in cui soleva riunirsi e che di fatto resse le sorti della Monarchia negli ultimi dieci anni di regno di Filippo II. Il precedente di questa junta è da identificarsi nel ristretto consiglio formato in occasione del viaggio del re a Monzón nel 1585 e che avrebbe dovuto svolgere il ruolo di consiglio di reggenza durante l’assenza del sovrano o, in caso di eventuale scomparsa di quest’ultimo, per conto dell’erede al trono.62

Con la morte di Mateo Vázquez nel 1591, la

Junta passò ad essere conosciuta anche con il nome di Junta de Tres, in cui i tre erano Moura,

Idiáquez e Chinchón. Essa agì come una sorta di consiglio privato del monarca, rimanendo attiva fino al settembre 1598 e indipendentemente rispetto alla Junta de Gobierno, nata nel 1593 al posto della vecchia Junta Grande e composta dai tre di cui sopra, con l’aggiunta del marchese di Velada,63 nuovo ayo del principe al posto del defunto Juan de Zúñiga, e dell’arciduca Alberto.64

Agendo contemporaneamente in queste e in altre juntas minori, i pochi e fidati consiglieri del sovrano finirono con il monopolizzare il governo della Monarchia, rimanendo gli unici ad avere il privilegio del contatto quotidiano e del colloquio orale con il sovrano. I vari Consejos, di cui pure tali personaggi erano illustri membri,65 persero di fatto influenza, mantenendo un potere formale che rimaneva ben lontano dalle stanze in cui si prendevano le decisioni. Anche se Filippo II si riservò sino alla fine l’ultima parola su ogni deliberazione, non lasciando mai dubbi su chi fosse il vero detentore dell’autorità regia,66

la

60

Idiáquez fu ambasciatore del Re Cattolico a Venezia e a Genova. Cfr Pérez Mínguez, Don Juan de Idiáquez, cit.

61

S. Fernández Conti, La Nobleza Cortesana: Don Diego de Cabrera y Bobadilla, Tercer Conde de Chincón, in J. Martínez Millán (a cura di), La corte de Felipe II, cit., pp. 229-270.

62 Baltar Rodríguez, Las Juntas de Gobierno, cit., p. 50. Erano parte di questo consiglio, oltre a Moura, Idiáquez,

Vázquez e Chinchón, anche Juan de Zúñiga, che in quegli anni ricoprì l’incarico di ayo, ovvero di precettore del principe Filippo. Morì dopo solo un anno, nel 1586. Sempre Baltar Rodríguez cita un brano tratto dalle Relaciones del cronista di corte Cabrera de Córdoba, in cui si racconta della proposta avanzata nel 1591 dalla junta, e in particolare da Moura, di affiancare al re un ministro de superior autoridad que asistiese al Príncipe con amor y fidelidad. La persona in grado di assumersi tale compito venne identificata nell’arciduca Alberto, nipote di Filippo II. Il sovrano, tuttavia, rispose mostrando dubbi circa la capacità di un solo uomo di affrontare una tale responsabilità, e rinnovando contemporaneamente la propria fiducia a Moura. Las Juntas de Gobierno, cit., pp. 50-51.

63 S. Martínez Hernández, El Marqués de Velada y la corte en los reinados de Felipe II y Felipe III: nobleza cortesana

y cultura política en la España del Siglo de Oro, Valladolid 2004.

64

Alberto rimmarrà a Madrid fino al 1595, quando verrà inviato da Filippo II nelle Fiandre come nuovo governatore. Al riguardo, si veda J. Roco de Campofrío, España en Flandes: trece años de gobierno del Archiduque Alberto (1595-

1608), Madrid 1973. Sempre nel 1595 entrò nella junta il marchese di Velada.

65

Cristóbal de Moura, ad esempio, era anche Presidente del neonato Consejo de Portugal. Egli inoltre, così come Idiáquez e Chinchón, era anche membro del Consejo de Estado.

situazione che vedeva il tradizionale sistema consiliare scavalcato e un sovrano che si lasciava vedere e parlare solo da un assai limitato gruppo di uomini di sua fiducia, non tardò a destare lamentele e recriminazioni. Sebbene larga parte di tali dimostrazioni di insoddisfazione si videro solo con la morte del Rey Prudente, se ne può trovare traccia anche prima del settembre 1598.

La produzione satirica, arma di lotta politica fondamentale nel XVII secolo,67 fece la sua