L’APOGEO DEL VALIMIENTO DI LERMA II.1 – IL PRIMO DEI VALIDOS
II. 6 – LE CRITICHE AL VALIDO
Nel periodo che va dal 1598 al 1606, il potere di Lerma apparve totale e inattaccabile. Il controllo esercitato su tutti i settori e i posti chiave della Monarchia da familiari e alleati permetteva al valido di governare con estrema autorità, forte di una generalizzata delega di poteri che il giovane Filippo III aveva concesso sin dall’inizio del suo regno al duca. La fiducia incondizionata e l’affetto che il sovrano nutriva nei confronti del suo favorito resero quest’ultimo l’uomo più potente della Monarchia, il quale, seppure non immune da critiche e attacchi, aveva tuttavia la forza sufficiente per far passare sotto silenzio tali critiche e attacchi, per rispondere ad essi e, in alcuni casi, per perseguirne gli autori.
Un primissimo caso in tal senso fu legato all’ex segretario personale di Lerma, Íñigo Ibáñez de Santa Cruz, autore del già citato libello contro l’ignorante y confuso gobierno di Filippo II e dei suoi privados. Al pesante e in molti tratti assai offensivo atto d’accusa di Ibáñez, rispose ben presto lo scritto di un non meglio specificato Doctor Navarrete, in cui la difesa del passato governo va di pari passo con le critiche al governo appena impiantato e dominato da Lerma.179 Reinviando al mittente le accuse di “confuso” e “ignorante” mosse al governo del Rey Prudente, l’autore spinge Filippo III a sentirsi offeso per il padre come se l’oggetto di quell’attacco fosse stato lui stesso. Invitando il sovrano a perseguirne i responsabili e controbattendo a tutte le accuse avanzate per screditare Filippo II e adulare l’erede, l’autore invita il giovane re a riflettere sulle conseguenze di un’eventuale mancata punizione per colui che ha offeso la dignità e il ricordo del defunto monarca, una mancanza che farebbe sentire autorizzati in futuro altri uomini a fare lo stesso, magari con lo stesso Filippo III. Denigrare il padre non vuol dire automaticamente esaltare il figlio, e rivolgendosi direttamente al re il doctor Navarrete si chiede: Que hombre hay en el mundo que si le digeran hijo de un hombre
afeminado ignorante menudo prodigo no tomara la venganza por sus proprios manos si pudiera?.180 La difesa di Filippo II181 procede di pari passo con quella dei suoi privados, delle
179
Di questo testo esistono svariate copie manoscritte. Per la presente ricerca è stata consultata la copia conservata in BNE, Mss. 11040, in cui al Memorial di Ibáñez (ff. 3r-30r) segue la Refutación al discurso precedente, ff. 33r-56v. L’attribuzione dello scritto al Doctor Navarrete è invece in BNE, Mss 11044, Respuesta en alabanza del gobierno del
rey don Felipe II, ff. 120r-149v.
180 BNE, Mss 11040, f. 37v. 181
I meriti e i successi raggiunti da Filippo II vengono brevemente ripercorsi dall’autore, mentre gli inevitabili errori vengono mitigati dalla considerazione che tutti i grandi re e condottieri della storia, nonostante il loro valore, abbiano subito alcune sconfitte. Particolarmente sentita è inoltre la difesa della politica condotta da Filippo II nei confronti della rivolta nelle Fiandre, sprezzantemente definite da Ibañez come un pantano in cui il figlio di Carlo V gettò un enorme quantità di tempo e denaro: cosa avrebbe dovuto fare il re se non difendere i territori appartenenti al patrimonio del padre? La perdita di reputación non sarebbe stata ben maggiore di quella economica? C’erano inoltre interessi geopolitici da tutelare, oltre che la religione cattolica da difendere contro gli eretici (ff. 44v-45v). Critiche, inoltre, anche alla versione presentata da Ibañez di un Carlo V ritiratosi a Yuste pur sapendo di avere un erede non all’altezza: al contrario, fu proprio la consapevolezza di avere un figlio pronto a prenderne il posto che spinse l’imperatore a lasciare la vita pubblica (ff. 46r-47r).
cui cattive intenzioni e della cui mancanza di fiducia nei confronti dell’allora principe non può essere sicuro nemmeno il diretto interessato, che altrimenti avrebbe sicuramento tolto loro la vita e tutte le ricchezze. L’essere stato affidato ad un junta non indicava una mancanza di fiducia verso le qualità del futuro re, ma unicamente il desiderio di fornire una guida ad un sovrano che difettava di esperienza. Il potere concesso da Filippo II ai suoi uomini negli ultimi anni di vita era conseguenza dell’età e dei malanni fisici del sovrano, che non aveva più la forza di lavorare come in passato, mentre i suoi precedenti privados, come il duca d’Alba o il principe di Éboli, non furono allontanati da un re che mal sopportava di avere cortigiani più saggi e preparati di lui, ma bensì furono riempiti di onori e trattati con affetto dal monarca.182 La messa in ridicolo delle teorie astrologiche legate al Rey Prudente, che pretendevano di spiegarne il carattere con l’influenza del pianeta Venere, serve anche per sconfessare che la scelta dei suoi ultimi ministri e consiglieri fosse dettata dal desiderio di non avere accanto uomini capaci di lasciarlo nell’ombra, ma bensì dall’apprezzamento delle loro qualità e competenze. La capacità di scegliere consiglieri saggi e di non farsi dominare dai propri favoriti, intenti solo ad arricchire se stessi e le proprie famiglie, difficili da incontrare ma facili da corrompere, è ciò che rende grande un sovrano.183 Senza il bisogno di citare gli esempi di Juan II e Enrique IV, argomenta l’autore, i privados dovrebbero sapere, come lo sapevano quelli di Filippo II, che il loro potere è destinato a finire. La speranza che il nuovo sovrano sappia incutere lo stesso timore nei suoi favoriti, impedendo l’ergersi di privados troppo potenti e d’altra parte inutili, se ci sono bravi ministri e uomini retti nei Consejos della Monarchia, è tanto grande quanto quella di vedere punito l’autore del famigerato libello.184
Anche se Lerma non viene mai nominato, risulta evidente come sia proprio il duca il personaggio cui il Doctor Navarrete, o chi per lui, si riferisce nelle ultime facciate del suo memoriale. Le richieste di vedere punito Ibáñez per il suo scritto non andarono disattese a lungo: Filippo III, evidentemente infastidito dalle gravi e in molti casi infondate e gratuite accuse mosse alla memoria del padre, ordinò l’arresto dell’ex segretario di Lerma, eseguito nell’agosto 1600.185
Liberato dal carcere nel 1602, Ibáñez non riuscì tuttavia a recuperare il precedente favore del duca di Lerma, cui pure doveva sicuramente la rapida liberazione dopo nemmeno due anni di prigionia. Nel 1603, Ibáñez venne arrestato nuovamente, stavolta per essere andato contro il valido:
El mismo día se quedó el duque de Lerma aquí para visitar al embajador de Francia, y aquella noche hizo prender al secretario Íñigo Ibáñez, que acababan de perdonarle la culpa del
182 Discorso diverso invece per Antonio Pérez, che secondo l’autore meritò il castigo che gli fu inflitto (ff. 47v-48r). 183
Ivi, ff. 54r-55r.
184 Ivi, ff. 55r-56v.
papel que hizo contra el Rey difunto; y dicen que agora había hecho otro que lo había dado al Confesor de S.M., advirtiendo que convenía quitar de los negocios al secretario Franqueza y a don Rodrigo Calderón, porque si no se remediaba esto iba perdido el gobierno, según vendían los oficios y se dejaban cohechar; y un alcalde le tiene en su casa con grillos y guardas, sin que nadie le comunique, en lo cual ha dado a entender su locura, como en haber escrito del Rey pasado tantas disparates.186
Le accuse mosse ai principali collaboratori di Lerma, indicati come personaggi abili solo nel perseguire l’arricchimento personale, erano già cominciate in quegli anni, rivolte soprattutto, come nel caso di Ibáñez, a Pedro Franqueza e Rodrigo Calderón. Ancora un volta, il destino dell’ex segretario del valido non fu così terribile come poteva sembrare in un primo momento,187 ma le voci, le pasquinate e i vari scritti satirici contro i lermistas cominciarono a riecheggiare negli ambienti di corte e con sempre maggiore insistenza. I primi testi di questo genere erano in realtà apparsi già dai primissimi anni di regno di Filippo III, scagliandosi, ad esempio, sulla fastosa entrata a Madrid della regina Margherita nel 1599,188 ma fu proprio a partire dal 1603, l’anno del memoriale di Ibáñez contro Franqueza e Calderón, che si registrò un innalzamento della produzione satirica, in particolare contro il valido e i suoi uomini. In quell’anno apparvero due pasquinate, una a Valladolid e l’altra a Madrid, che in breve furono rese note a tutto l’ambiente di corte. Quella di Valladolid, secondo la sintesi fornita da Jerónimo de Sepúlveda, si presentava come una parodia delle virtù morali richieste al sovrano e ai suoi più diretti servitori:
llegó a pedir posada la Justicia en Palacio; y llamó, y la respondió el Rey que allí no posaba sino la inocencia e ignorancia, y que donde hay ignorancia no es menester Justicia. La Avaricia en casa del Duque de Lerma la aposentaron, la Alegría en casa del Obispo, la paciencia en casa el Marqués de Velada la dieron posada; la soberbia en casa de la Duquesa de Lerma, y ansí fueron aposentando a los demás […]189
Mentre quella madrilena, più breve, attaccava senza giri di parole re, favorito e confessore reale:
Un Rey insipiente y un Duque insolente y un confesor absolviente traen perdida toda la gente.190
Il governo dei validos divenne ben presto l’oggetto di critica per eccellenza dei testi satirici, testi spesso anonimi ma comunque parte integrante della lotta politica cortigiana ed in
186
Cabrera de Córdoba, Relaciones, cit., p. 175.
187
Ibáñez fu nuovamente liberato nel 1605: dícese que le han perdonado, y que le ocuparán en servicio de S.M., porque
el duque de Lerma, cuyo secretario ha sido, le tiene afición (ivi, p. 243).
188 Cfr. Bouza Álvarez, Servidumbres de la soberana grandeza, cit., pp. 141-142. Il trasferimento della corte a
Valladolid fu un altro motivo di critiche e ironie.
189 Sepúlveda, Historia de varios sucesos, cit., p. 317. 190 Ibidem.
cui la forma e lo stile passavano in secondo piano di fronte ad un contenuto da esprimere anche in modo violento e offensivo.191 Vero anno di fuoco da questo punto di vista fu il 1605, con sonetti e pasquinate di nuovo all’attacco della corte pomposa e barocca inaugurata dal duca di Lerma ed espressasi ai massimi livelli in occasione del battesimo del principe Filippo e dei festeggiamenti legati alla permanenza a Valladolid dell’ambasciatore inglese. Nell’occasione, non mancarono anche brevi componimenti su due questioni che facevano discutere nella Castiglia dell’epoca, come la guerra nelle Fiandre e il dominio dei banchieri genovesi:
[…] decía el pasquín que armas y letras enriquecían y ennoblecían los reinos; y las armas de Flandes, y las letras de cambio de Génova tiene destruída la monarquía de España; y considerando bien los millones que vienen al Rey de las Indias todos los años, y que tiene de renta en sus reinos 34 millones cada año (que no le llega con mucho el Gran Turco), dicen que pudiera tener empedrados los caminos de media Castilla, si no hubiera estas dos sangrías y bocas del infierno.192
Tuttavia, gli attacchi più pericolosi per Lerma furono quelli che prendevano di mira il suo potere, i suoi favoriti,193 e le pratiche di governo che più facevano discutere: gli abusi nella distribuzione delle mercedes, l’arricchimento illecito e la corruzione della giustizia.194 Tali attacchi non arrivarono solo dalla produzione satirica, ma anche da varie personalità che mostrarono, in modo più o meno manifesto, la loro contrarietà al governo del valido. Un posto di rilievo in questo gruppo è occupato dai predicatori, figure molti influenti nella cattolica corte spagnola, che dal pulpito lanciavano spesso appelli al sovrano e agli uomini a lui più vicini per spronarli non solo in materia di fede o di rapporti con il potere ecclesiastico, ma anche in merito al governo della Monarchia.195 Tra i casi più famosi nei primi anni di Filippo III ci fu senz’altro quello del gesuita Jerónimo de Florencia, predicatore molto vicino alla regina e all’imperatrice Maria, di cui pronunciò il sermone funerario nel 1603,196
che non si mostrò mai
191 Cfr. Egido, Sátiras políticas, cit.; J.M. Pelorson, La politisation de la satire sous Philippe III et Philippe IV, in La
contestation de la societè dans la Litterature espagnole du Siècle d’Or, Toulouse 1981, pp. 95-107; M. Etreros Mena, La sátira política en el siglo XVII, Madrid 1983. La mancanza di un ruolo istituzionale codificato e la totale dipendenza
dal favore del re rendeva ancora più vulnerabile la posizione del favorito, che nel caso specifico di Lerma doveva anche affrontare una soluzione interna assai delicata: La difícil herencia recibida y medidas entre acertadas y absurdas, su
política exterior “pacifista”, la incidencia de bancarrotas forzadas imposibles de frenar ni por los irregulares envíos de Indias, la peste, el cambio de timoneles en el gobierno interior con la amenaza de dar al traste con sistemas viejos polisinodales, fueron elementos capaces de suscitar la oposición de un fuerte Partido Aristocrático, bien secundado por la incomodidad común […] (Egido, p. 24).
192 Pinheiro da Veiga, Fastiginia, cit., p. 44. 193
M. Herrero García, La poesía satírica contra los políticos del reinado de Felipe III, in «Hispania», 23 (1946), pp. 267-297. Per Herrero García, fu proprio l’incapacità di Lerma di scegliere collaboratori onesti e all’altezza del compito la principale debolezza della sua privanza e la principale fonte di critiche.
194
B.J. García García, La sátira política a la privanza del duque de Lerma, in F.J. Guillamón Álvarez, J.J. Ruiz Ibáñez (a cura di), Lo conflictivo y lo consensual en Castilla (1521-1715). Homenaje a Francisco Tomás y Valiente, Murcia 2001, pp. 261-293, p. 270.
195 Sul ruolo del predicatore a corte, sulla sua attività e sull’incidenza dei suoi sermoni nell’ambiente cortigiano, si veda
H.D. Smith, Preaching in the Spanish Golden Age: a Study of Some Preachers of the Reign of Philip III, Oxford 1978.
196 G. de Florencia, Sermón que predicó el Padre Gerónimo de Florencia, religioso de la Compañía de Jesús, a las
troppo tenero con Lerma. Ma soprattutto, a far discutere fu l’espulsione da corte di fray Francisco de Castroverde, colpevole di aver detto, in un sermone pronunciato sul finire del 1605, che i sovrani deben ser cabezas y sustancias de las comunidades, aunque en estos
tiempos son meras sombras de un hombre privado que gobierna a todos y todo.197 La gravità di tali accuse rivolte direttamente al sovrano, ridotto a semplice ombra dell’uomo che in realtà governa, non mancò di fare scalpore, sollevando anche il problema del limite che i predicatori di corte avrebbero dovuto imporsi nel riprendere il re e i suoi sudditi più vicini. In un opuscolo dedicato all’argomento, l’agostiniano Juan Márquez riaffermò il ruolo del predicatore come smascheratore dei vizi e dei peccati del popolo, raccomandando allo stesso tempo una scrupolosa attenzione quando il protagonista dei suoi discorsi diventasse il monarca.198 La preferenza per un colloquio privato con il sovrano rispetto ad un sermone pubblico era così dettata dall’esigenza di rispettare l’autorità regale e di non sminuirla davanti ai sudditi, una scelta valida anche dinanzi a colpe notorie e senza possibilità di scusanti, come ad esempio
proveher los oficios publicos en personas incapazes, no administrar justicia á las partes favoreciendo á las unas y desfavoreciendo á las otras con manifiesta desigualdad y acepcion de personas, y otras cosas prohibidas aviertamente por la ley de Dios.199 Vi erano poi,
secondo Márquez, altri tipi di colpe sulle quali il predicatore avrebbe dovuto evitare qualsiasi parola:
Otras hay no tan claramente culpables, mas pueden tener algun color ó escusa verosimil y al parecer de algun probable, como son mercedes escesivas, imposiciones demasiadas, juegos, Cazas, Comedias, y otros divertimientos tomados sin moderacion y con detrimiento del bien publico. Y digo que estos no son malos notoriamente, porque en la sustancia no son prohibidos, y comienzanlo á ser cuando llegan á esceder cierto termino, y porque este no es uno mismo en los entendimientos de todos, viene á quedar muchas veces debajo de disputa, si el Principe carga, ó nó carga su conciencia en ellos; porque á un hombre prudente le parecerá que es prodigalidad en un Rey dar á un basallo cinquenta, y a otro le parecerá que aunque le diera ciento no renumeraba su servicio, y habrá quien tenga por disipacion jugar ocho, y á quien que jugando veinte no se escede los limites y terminos de la recreacion justa y razonable; y de esta manera en otros muchos casos.200
Dunque, per Márquez è da riprendere, anche se solo privatamente, il sovrano che dà incarichi pubblici a persone incapaci e che non si mostra equo nell’amministrare la giustizia,
Jesús de Madrid, a la Magestad Católica de la Emperatriz Doña María de Austria, fundadora del dicho colegio, que se celebraron a 21 de abril de 1603, Madrid 1603, ff. 21r-42v.
197 “Sir Charles Cornwallis to the Earl of Salisbury”, dicembre 1605, in R. Winwood, Memorials of Affairs of State in
the Reigns of Queen Elizabeth and James I, 3 voll., London 1725, vol. 2, p. 174. Citato in Feros, El Duque de Lerma,
cit., pp. 306-307. A Fray Castroverde fu in seguito permesso di tornare a corte, nel 1609, e lì morì l’anno seguente: Cabrera de Córdoba, Relaciones, cit., pp. 362, 408.
198 J. Márquez, Opúscolo del maestro Fray Juan Márquez: si los predicadores evangélicos pueden reprehender
públicamente a los Reyes y Prelados Eclesiásticos, in «La Ciudad de Dios», 46 (1898), pp. 172-187, 259-271.
199 Ivi, p. 174. 200 Ibidem.
mentre sta alla sua discrezionalità dare quali e quante mercedes ai suoi sudditi o dedicare una parte del suo tempo alla caccia o al teatro. Contro le scelte del sovrano, e soprattutto contro l’operato del suo valido, non vi furono però solo prese di posizioni teoriche, ma anche azioni di concreta opposizione politica. Già nel luglio 1600 si era diffusa la voce, poi smentita, di una congiura contro Lerma capeggiata dal marchese di Velada,201 mentre tre anni dopo, un’altra simile voce portò a conseguenze ben più gravi: l’allontanamento da corte e la successiva detenzione di Magdalena de Guzmán, marchesa del Valle e aya dell’infanta Ana.202 Autore di questo arresto e di quello successivo di Ana de Mendoza, nipote della marchesa e dama di compagnia della regina, fu l’alcalde de casa y corte Silva de Torres, altro uomo di fiducia di Lerma.203 Dopo tre mesi e mezzo di reclusione nella fortezza di Santorcaz e poi altri tredici a Simancas, la marchesa venne interrogata dai giudici appositamente nominati, Diego de Ayala e Juan Ocón, in merito ad alcune lettere rinvenute tra i suoi effetti personali.204 Tali lettere facevano tutte riferimento, in modo più o meno esplicito, all’insofferenza della regina Margherita verso Lerma e anche verso il comportamento del reale consorte, troppo accondiscendente con il suo valido. Di fronte ai riferimenti presenti nelle parole scritte dalla nipote Ana de Mendoza, dalla infanta Isabel, da doña Maria de Figueroa e dalla stessa sovrana, l’imputata rispose negando che avesse mai visto o sentito la regina lamentarsi del marito o del duca di Lerma, ma anzi ricordando la volontà di Margherita di avere buoni rapporti con lo stesso Lerma e il grande amore e la devozione che provava nei confronti di Filippo III.205 Più volte la marchesa invitò i giudici a chiedere conto di ciò allo stesso Lerma, che dalla marchesa era stato costantemente avvertito di tutto ciò che accadeva e si diceva nelle stanze della regina, anche di eventuali critiche.206 Tuttavia, un riferimento assai esplicito all’insoddifazione della
201
Cabrera de Córdoba, Relaciones, cit., pp. 76-77.
202
Sulla figura della marchesa del Valle, si veda L. Fernández Martín, La Marquesa del Valle: una vida dramática en la
corte de los Austrias, in «Hispania», 143 (1979), pp. 559-638; M. Olivari, La marquesa del Valle: un caso de protagonismo político femenino en la España de Felipe III, in «Historia Social» 57 (2007), pp. 99-126.
203
Cabrera de Córdoba, Relaciones, cit., pp. 201-202, 204. A pagina 195, Cabrera de Córdoba annota che la vicenda