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IV CAPITOLO IL LENTO DECLINO

IV.2- UN PERFECTO PRIVADO?

Il lento sfaldamento della fazione ministeriale, dovuto alla morte di alcuni suoi storici membri, ma anche e soprattutto agli attacchi dei nemici esterni e alle spaccature nate all’interno del gruppo di potere, traspare anche nelle riflessioni teoriche che in quegli stessi anni circolarono negli ambienti di corte. Gli arresti di Ramírez de Prado e Franqueza, a cavallo tra 1606 e 1607, avevano tolto i freni a tutti coloro che si trovavano in opposizione al governo del duca di Lerma, sottoposto come mai prima ad una serie di feroci attacchi. Non può dunque essere un caso se, nel pieno di questa stagione di critiche, comparve sulla scena il primo testo dichiaratamente scritto in difesa del valimiento e delle pratiche politiche da esso derivanti. L’autore, non a caso, era il confessore di Lerma, fray Pedro Maldonado: Discurso del perfecto

privado.50 La celebre definizione che Maldonado fornisce del privado pone l’autore, sin dalle prime righe, tra i sostenitori della tesi che vuole necessario, per il re, avere un amico fedele con cui condividere il fardello del governo:

Privado llamamos un hombre, con quien a solas, i particularmente se comunica, con quien no ay cosa secreta, escojido entre los demas para una cierta manera de igualdad, fundada en amor, i perfecta amistad. Que una particular persona tenga otra por Privado, i amigo particular no cae debajo de duda. El Espiritu Santo dice: Sean tus amigos muchos, i el consejero uno. I Santos, i sabios todos dan por consejo, que para descanso de los trabajos, para luz en las dudas, para noticia de las faltas propias, cada uno tenga su Privado fiel, i verdadero.51

48 Calderón ereditò tale capitanía dal padre Francisco, che aveva ricoperto l’incarico a partire dal 1608. 49

Il tentativo di cancellare le sue umili origini fu portato avanti da Calderón proprio durante la permanenza nelle Fiandre, quando mise in giro la voce, accolta non senza ironia a corte, di essere il figlio naturale di Fernando Álvarez de Toledo, il III duca d’Alba: Cabrera de Córdoba, Relaciones, cit., p. 497. Con l’assegnazione del titolo di marchese di Siete Iglesias, don Rodrigo potè inoltre far passare l’altro titolo nobiliare di cui era stato insignito, quello di conte de la Oliva, al figlio primogenito Francisco. La villa di Siete Iglesias era stata acquistata da Calderón già nel 1606: AHN,

sección Nobleza Toledo, Fernannúñez, c. 865, d. 27, Venta de la villa de Siete Iglesias realizado por Francisco de Andrada y Quiñones a favor de Rodrigo Calderón y Vargas.

50

Il testo, ultimato nel 1609 ma mai pubblicato, è conservato in versione manoscritta in BNE, Mss. 6778. La dedica iniziale è, naturalmente, per il duca di Lerma.

Partendo da questa definizione, Maldonado affronta, nel corso dei nove capitoli, altrettante questioni legate al governo del privado, elencando di volta in volta, per ognuna di esse, le motivazioni che spingono l’autore a difendere l’esistenza e l’operato del favorito del sovrano. Anche a Maldonado, come a tanti prima di lui, non sfuggono gli esempi storici di numerosi privados avidi e corrotti, su tutti il solito Álvaro de Luna, ma allo stesso tempo egli rivendica la possibilità che esista, come indica lo stesso titolo dell’opera, un privado perfecto, che segua le orme di esempi positivi quali Mardocheo o Giuseppe nella corte del faraone. Certamente, essere un privado perfecto non è facile, è un ruolo ingrato che comporta gli stessi doveri ma non gli stessi onori del sovrano, che attira su di sé le critiche, che impone sempre il rischio di venire sostituiti e l’impossibilità di essere coadiuvati da altri, poiché, a differenza del re, il privado non può e non deve delegare il suo potere a nessuno. D’altra parte, è maggiore garanzia per il regno avere un favorito perfecto, anche se al servizio di un pessimo re, che non un pessimo favorito al fianco di un grande re. Numerose devono dunque essere le virtù richieste al privado, tra cui spicca, considerando anche i problemi in cui stava incorrendo Lerma in quegli anni, la capacità di scegliere come ministri uomini virtuosi e limpios de

manos:

I si Dios le dio ventura de poder escojer en el Reyno ministros limpios de manos, amigos del trabajo, capazes de ingenio, zelosos de su honrra, i reputacion, aceptos a la Republica, de buena fama, de buena conciencia, i temerosos de Dios, i finalmente quales los pintaremos despues, no lo tenga por el menor de los beneficios, a que debe estar agradecido.52

Topos ricorrente nella letteratura sul valido, l’eccessiva ambizione e l’avidità sono vizi da

evitare ad ogni costo, soprattutto considerando che è compito del privado conservare e possibilmente aumentare la hazienda del re, non depauperarla con eccessive mercedes: debe

mirar por su hazienda, conservando la adquirida, i advirtiendo que no es suya sino del Reyno, el qual solo se la dio para bien del mismo Reyno.53 Il privado, inoltre, deve insegnare al suo signore a dissimulare le proprie emozioni, a non dare ascolto agli adulatori, a premiare e punire ognuno secondo i propri meriti e le proprie colpe, a prendere le decisioni giuste anche se impopolari, a scegliere ministri virtuosi e competenti: in pratica, tutte le accuse tradizionalmente rivolte alla figura del favorito vengono rovesciate da Maldonado per indicare le caratteristiche necessarie al perfecto privado. Questi non dovrà mai invadere l’autorità del

52

Ivi, ff. 7v-8r. Comunque, nella visione di Maldonado, la principale virtù e insieme il principale compito del privado resta quello di ringraziare Dio per l’ufficio e le ricchezze materiali ricevute e di guardare a Lui, prima che al re, come il vero signore di cui mantenere il favore.

53

Ivi, f. 11r. La teoria che voleva il sovrano come semplice custode e non come proprietario del patrimonio reale, già incontrata in precedenza in altri autori, sarà destinata a ritorcersi contro Lerma e ad essere utilizzata come una delle più efficaci argomentazioni dei suoi nemici.

re, dovrà abituarlo a reggere la responsabilità del suo incarico54 e, rispetto ai sudditi, dovrà mostrarsi amable, respetable i magnanimo.55

Maldonado affronta in più punti della sua opera l’argomento mercedes, il cui esorbitante numero a vantaggio di Lerma e dei suoi alleati costituiva una delle accuse più ricorrenti mosse alla privanza del duca. Il favorito del re dovrebbe distribuire premi e onori a tutti e in quantità maggiore rispetto a qualsiasi predecessore, ma non ha l’autorità per decidere la destinazione di qualsiasi tipo di merced:

I assi de 3 cosas, en que se divide toda la maquina del govierno, conviene a saber de pura justizia como las sentencias en los pleytos; de mixta justicia con gracia como en las elecciones assi en lo eclesiastico como en lo seglar; i de pura gracia como dar el habito, titulo, o oficio en Palacio. En la primera destas se ha de preciar de no tener ninguna mano, i que toda la tengan los juezes, de tal manera que aun en los pleytos propios les de una, i muchas vezes a entender que ni por ser la sentencia en su favor el les quedara obligado, ni por ser en su disfavor desobligado; tan libres ha de dexar los ministros i tan ageno ha de estar de poner la mano en las cosas de justizia. En la segunda puede tener una mano aunque no ambas, porque negocio, que entre algo de justicia no debe reservarlo a si solo, i basta que tenga un voto con los ministros ajustados para aquello. La tercera si en alguna puede tener toda la mano, assi porque es materia sin escrupulo como porque assi sera mas amado en el Reyno.56

Tale suddivisione teorica, ideata da Maldonado e riguardante i vari tipi di mercedes, non aveva trovato riscontro, fino a quel momento, nella realtà storica, con Lerma e i suoi uomini che non si erano fatti troppi scrupoli di monopolizzare la distribuzione di qualsiasi specie di pensione, onoreficenza, incarico o riconoscimento. L’intento di Maldonado parrebbe, dunque, quello di elencare gli errori commessi dal valido e dai suoi sodali in modo da evitarli in futuro e garantire lunga vita al governo dei Sandoval. I riferimenti all’attualità politica sono evidenti anche in altri punti, ad esempio nel settimo capitolo, quando si raccomanda al perfecto privado di avere molta cura nella scelta del proprio confessore e di non permettergli di sfruttare il proprio ruolo per accumulare troppo potere, per favorire amici e parenti e per intromettersi in faccende non di sua competenza. Al passo con i tempi anche la descrizione del cattivo ministro cui il privado non deve concedere il proprio favore, un ritratto che sembra fatto su misura per Pedro Franqueza: detentore di troppi incarichi, esageratamente ricco, insignito di troppe

mercedes, presuntuoso al punto da sentirsi indispensabile, offensivo non solo per il favorito che

lo protegge, ma anche per il meritevole che si vede da lui scavalcato e per la Republica che

54 A tal proposito, le parole di Maldonado sembrano scritte su misura per un sovrano come Filippo III: debe ponerle

animo para sufrir el peso que Dios puso sobre sus hombros, porque ay Principes, que o por su natural, o por su educacion, o por otras causas son de suyo pusilanimes: dele a entender que el que le hizo grande le dara anchura de corazon […] i conviene mucho animarle al trabajo, i si fuere menester ponerle la pluma en la mano, porque nunca trabaja tanto un Rey que no deba, i pueda trabajar mas (Ivi, f. 15r)

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Ivi, f. 16r. Direttamente collegato a queste tre doti, l’obbligo di essere accessibile nel dare udienza, di rispettare la parola data, di concedere il perdono, di custodire il segreto.

assiste ad una simile ingiustizia.57 Nei confronti di tali ministri, l’istituzione di una visita, come quella che effettivamente era in corso contro Franqueza mentre Maldonado scriveva la sua opera, costituisce un atto dovuto per ristabilire la giustizia e dare l’esempio a tutti i sudditi.58

La chiusura dell’opera, quasi obbligata, non può che essere un richiamo all’inevitabile destino di ogni privado: la caduta, tanto più improvvisa e rovinosa quanto il suo potere e il suo comportamento non rispettino i limiti e le indicazioni fornite dall’autore.59

L’importanza dell’opera di Pedro Maldonado è stata più volte sottolineata dagli storici. Essa rappresenta, come detto, il primo vero tentativo di difesa dell’istituzione della privanza, e rappresenterà un modello per tutti gli autori che, nei decenni successivi, si porranno il medesimo obiettivo.60 Tuttavia, un’opera per molti aspetti davvero simile a quella di Maldonado era già comparsa nel periodo compreso tra il 1606 e il 1608, dal titolo Discurso de

las privanzas. Essa era il frutto della penna di un autore che si sarebbe presto imposto come

autentico protagonista non solo nelle dispute teoriche della trattatistica politica, ma anche nelle concrete lotte politiche: Francisco de Quevedo.61 Esattamente come Maldonado, anche Quevedo inizia il suo trattato con una definizione di privanza che è anche una distinzione tra la buona e la cattiva privanza:

Por no ser largo en las divisiones y enfadoso en lo largo, digo que privanza, en sí, es un amor o afición entre muchos sujetos determinado a uno. Y como quiera que éste en cualquier hombre se pueda adquirir con medios y diligencias, hay dos géneros de privanzas: unas que obedecen a la inclinación natural, a la virtud o el vicio; otras que son granjeadas con caricias, regalos y lisonjas. Esta postrera nunca puede ser durable por estribar en principios varios. La primera sí en cuanto mira a la virtud, porque en la parte que se endereza al vicio, ya que por no ser violenta es durable, lo deja de ser por el arrepentimiento que tarde o temprano sigue las cosas malas.62

Partendo da questa definizione di buona privanza basata sulla virtù e lontana da lusinghe, regali e adulazioni, Quevedo sviluppa un discorso molto simile a quello di Maldonado. Il diritto del sovrano ad avere un amico fedele che lo aiuti nel suo lavoro si coniuga così con l’obbligo, per l’amico in questione, di mostrare qualità fondamentali, come l’equità e la

57 Ivi, ff. 21v-22r. 58 Ivi, f. 22v.

59 Se il privado non coltiva le virtù e non rifugge i vizi, torneranno alla ribalta le argomentazioni tradizionalmente usate

contro il suo potere. Una su tutte, ff. 25v-26r: Si con nacer, como nacemos, con natural amor, i respeto a nuestro Rey, i

señor natural, con todo no esta seguro de un Reyno sino es el que debe, que seguridad puede prometer el que ni nacio nuestro superior, ni nacimos con aquella natural inclinacion a amarle, i servirle?

60 Cfr. Tomás y Valiente, Los validos, cit., pp. 131-132; Feros, El Duque de Lerma, cit.; Benigno, Immagini del

valimiento, cit. Quest’ultimo intervento è ora disponibile, in versione leggermente modificata e con il titolo Figure del potere nella Spagna del Seicento, anche in Id., Favoriti e ribelli. Stili della politica barocca, Roma 2011, pp. 21-41.

61 Su Quevedo, una delle figure più affascinanti del barocco europeo, esiste una consistente bibliografia. La biografia

più recente sul personaggio è quella di P. Jauralde Pou, Francisco de Quevedo (1580-1645), Madrid 1998. Sulla composizione del Discurso de las privanzas, si vedano in particolare le pp. 175-179 dello studio di Jauralde Pou.

62 F. de Quevedo, Discurso de las privanzas, Estudio preliminar, edición y notas de Eva María Díaz Martínez,

giustizia nella distribuzione delle mercedes, la capacità di evitare i vizi dell’avidità e dell’ambizione e di fuggire dagli adulatori, la volontà di essere un punto d’incontro tra il re e i suoi sudditi, la forza di non cambiare il proprio comportamento in base al timore di perdere il favore del sovrano, l’abilità nello scegliere ministri onesti e competenti e il coraggio di controllarne sempre l’operato per punirli, quando necessario. Viceversa, la differenza principale con l’opera di Maldonado consiste nella quasi totale assenza di riferimenti diretti alla realtà politica coeva63 e anche nella volontà più lieve di difendere l’istituzione della

privanza. Oltre a ciò, vi sono comunque elementi e riflessioni che non vengono riprese

dall’autore del Discurso del perfecto privado. Innanzitutto, la riproposizione di una metafora, ripresa da Giusto Lipsio, destinata a grande notorietà, utile a fissare il concetto per cui re e favorito devono sì collaborare, ma mantenendo ognuno la propria identità e le proprie competenze:

No podría sustentar el peso de la república si no le partiese con otro, no como en señor ni compañero, sino como en ministro, porque dos señores en nada hallan paz. Un sol hay en el cielo, pero con la luna parte su cuidado y el mundo, dándole rayos y luz para que alumbre, y a las estrellas de la mesma suerte. Y aunque Dios puede obrar en todo por su mano, da su lugar a las causas segundas no para otra cosa que para enseñarnos esto y que nunca nos fiemos en nuestras fuerzas.64

L’attacco ai predicatori che si arrogano il diritto di criticare in pubblico il sovrano richiama le argomentazioni sul medesimo tema di Juan Márquez,65 mentre risulta un’interessante novità il discorso, sviluppato nel VII capitolo dell’opera, sul comportamento da tenere contro i nemici. Anche questi ultimi possono essere utili al privado, perchè ne mettono alla prova la virtù e lo spingono ad essere più forte ed inattaccabile. Nei loro confronti, siano essi nemici pubblici o segreti, non bisogna adottare un atteggiamento apertamente ostile:

Dos géneros hay de enemigos, públicos y secretos. Ni de unos ni de otros se ha de dar por entendido que lo sabe el privado o el príncipe. Lo primero, porque para nada no se recelen dél, y si se recelaren que sea menos, pues el uno y el otro, entendiendo que no les tienen por tales, se asegurarán más. Puede castigarlos el príncipe o el privado con esta disimulación más a su salvo, porque no se habiendo declarado el uno por enemigos dellos, lo que en ellos hiciere más lo tendrán por justo castigo que venganza, y quitarase escándalo al pueblo. Ha de castigar el príncipe u el privado sus enemigos muy lejos de que parezca la causa el serlo. Esto se puede hacer con los que son enemigos tan poco poderosos que se pueda disimular con ellos. No digo que los desprecie, que para enemigos mosquitos son malos (Egipto lo dirá muy bien al que lo dudare). Pero si acaso el enemigo fuere tan poderoso que no consienta remisión y que fuerce a que le tengan por tal, a ése el remedio es no desterrarle ni prenderle, que eso es cortar la mala

63 Uno dei pochissimi esempi in tal senso è nel III capitolo, quando Quevedo loda il comportamento del Duque che ha

voluto tanti grandi aristocratici impegnati nel servizio della Monarchia, come il conte di Miranda e il conte di Lemos (ivi, p. 208). Peraltro, proprio questo riferimento, assieme all’assenza di qualsiasi notizia su colui che sarà il grande protettore di Quevedo, il duca di Osuna, ha permesso agli studiosi di fissare la stesura dell’opera nel periodo compreso tra il 1606 e il 1608, data quest’ultima della morte di Miranda. Si vedano, a tal proposito, le riflessioni di Eva María Díaz Martínez nell’Estudio preliminar dell’edizione da lei curata del Discurso de las privanzas, pp. 56-58.

64 Ivi, p. 204.

hierba, que si no se arranca torna a nacer; hanle de asolar de suerte que no le queden fuerzas para acompañar la mala voluntad que tiene. No se fíe de rendidos que disculpan la traición con la fuerza que dizen que les hace un agravio; con humildades abre puerta a la traición.66

Come nel caso di Maldonado, il destinatario finale dell’opera non può che essere il duca di Lerma. Nel finale, l’appello ad un privado che sappia farsi amare e temere allo stesso tempo, si risolve in un aperto omaggio al favorito di Filippo III:

Dé V.M. gracias a Dios de que le ha dado un criado tal como el Duque, que no le ha dado lugar que tenga nombre lo que le ha dado más de merced que de paga y premio. Tanto y tan bien ha servido y sirve, que merece muy bien que sean semejantes suyos los que le ayudan a llevar la carga que sólo en sus hombros descansa.67

I testi di Maldonado e Quevedo rappresentano una novità nel quadro della trattatistica spagnola del periodo, poiché sono i primi che non trattano il tema della privanza incidentalmente, o assieme ad altre questioni, ma che anzi ad esso si dedicano interamente, facendone l’unico argomento di interesse. Sulla stessa scia si pone anche El Laberinto de

Corte, scritto dall’ecclesiastico Giulio Antonio Brancalasso e edito per la prima volta a Napoli

nel 1609. L’autore, che pur essendo nativo di Tursi scrive in castigliano, descrive la corte come un labirinto, pieno di trappole, di inganni, di nemici da cui guardarsi. Brancalasso aveva avuto una diretta conoscenza della corte madrilena, visto che l’aveva visitata una prima volta al seguito del nunzio Camillo Caetani, ed una seconda volta all’interno della delegazione che accompagnava Filippo Emanuele, Vittorio Amedeo ed Emanuele Filiberto di Savoia, figli del duca Carlo Emanuele e nipoti di Filippo III.68 In entrambi i soggiorni, Brancalasso aveva potuto osservare da vicino il potere del duca di Lerma, al punto da poter anch’egli fornire, come Quevedo e Maldonado, una propria definizione di privanza: Una singular, excelente y

ordenada afiçion que soberano Señor en su tanto tiene a alguna persona por proprios mereçimientos o por serviçios de antepassados.69 Di privanzas possono essercene di ben sette tipi, secondo Brancalasso, ma solo l’ultima, la que estriba en las virtudes del animo y meritos