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L’APOGEO DEL VALIMIENTO DI LERMA II.1 – IL PRIMO DEI VALIDOS

II. 2 – LA COSTRUZIONE DI UN SISTEMA DI POTERE

L’allontanamento del personale di governo che si era imposto nell’ultimo periodo di regno del Rey Prudente fu una mossa tanto attesa quanto obbligata da parte di Filippo III, guidato naturalmente da Lerma, per cambiare il volto della Monarchia e introdurre il nuovo sistema dominato dal suo favorito. Tra i primi a cadere, Pedro de Portocarrero, vescovo di Cuenca e Inquisidor general, sostituito per le critiche mosse e la scarsa simpatia mostrata verso il valido,28 e il vecchio maestro del re García de Loaysa, cui fu ordinato di lasciare la corte per governare in loco l’arcidiocesi di Toledo e morto durante il viaggio il 23 febbraio 1599.29 Un altro personaggio molto influente e stimato a corte, Rodrigo Vázquez de Arce, fu sollevato dal proprio incarico di Presidente de Castilla mentre la corte era in viaggio verso le nozze reali a Valencia. Al posto di Vázquez, cui fu intimato di ritirarsi presso le proprie terre vicine a Medina del Campo, fu subito nominato Juan de Zúñiga, conte di Miranda, stretto alleato di Lerma nonché suo consuocero a partire dal 1602.30

Più complesso, invece, il discorso per gli uomini che avevano monopolizzato il favore del vecchio sovrano e che in più occasioni avevano manifestato malumore verso l’ascesa del duca di Lerma. Cristóbal de Moura, in particolare, era sicuramente il più esposto, sia per il ruolo preminente da lui ricoperto con Filippo II, sia per i vari episodi che lo avevano visto contrapposto all’allora principe e al suo favorito. Verso un personaggio tanto importante e conosciuto, la strategia seguita dal nuovo governo fu quella di riempirlo, formalmente, di onori e ricompense, ottenendo allo stesso tempo l’obiettivo primario del suo allontanamento da corte. Il conferimento del titolo di marchese di Castel Rodrigo, accompagnato dalla grandeza, e della pur prestigiosa gran encomienda de la Orden de Calatrava, che si sommava alla encomienda

mayor de Alcántara confermata a vita anche per il figlio Manuel, non poterono infatti

bilanciare né la perdita dell’ufficio di camarero mayor del re né l’indubbia perdita di influenza nelle decisioni di governo. Nel gennaio 1600 ricevette l’ordine da Filippo III di ritirarsi nei suoi possedimenti castigliani, anche se solo tre mesi dopo fu nominato vicerè e capitán general del Portogallo.31

28 Come nuovo Inquisidor general fu designato il cardinale Fernando Niño de Guevara. Portocarrero morì nella sua

diocesi di Cuenca nel settembre 1600.

29 A corte venne individuata come causa principale della morte di Loaysa il dolore di vedersi allontanato da corte e il

rancore che gli mostrava il sovrano, il quale aveva anche rigettato la richiesta del suo vecchio maestro di una pensione da 10.000 ducati. Il motivo principale dell’allontanamente di Loaysa sembra essere stato, come racconta Cabrera de Córdoba, un memoriale che lo stesso Loaysa inviò a Filippo II in cui gli raccomandava di porre saggi consiglieri attorno al suo erede per impedire che questi facesse solo ciò che gli consigliava il marchese di Denia: Relaciones, cit., p. 10.

30 Una delle tre figlie di Lerma, Francisca, sposò il conte di Peñaranda, figlio ed erede di Miranda. La nomina del conte,

che negli anni precedenti aveva ricoperto gli incarichi di vicerè di Catalogna e di Napoli e di Presidente del Consejo de

Italia, è in AGS, E, leg. 184, f. 167. Rodrigo Vázquez morì nell’agosto 1599.

Il conte di Chinchón si scontrò anch’egli contro l’inimicizia del re e soprattutto del suo

valido, con il quale, d’altro canto, non mostrò la volontà di voler scendere a patti. Sottoposto a visita in merito alla sua gestione delle vicende aragonesi dei primi anni novanta del XVI

secolo,32 gli vennero imputati 16 cargos, capi d’imputazione che spaziavano dall’accusa di aver costantemente scavalcato il Consejo de Aragón attraverso specifiche juntas piene di suoi uomini di fiducia, a quelle di aver mal amministrato il patrimonio reale, di aver collocato suoi

criados nei principali arcivescovati aragonesi e soprattutto, l’accusa più grave, di essere stato

il mandante dell’omicidio del regente Campi dopo una vibrante discussione andata in scena durante le cortes di Tarazona. La sentenza, che arrivò nel 1602, lo vide condannato per tre imputazioni,33 per le quali dovette pagare una multa di 500 ducati, le spese del processo per 4.000 ducati e un’innegabile ferita nell’orgoglio. Chinchón, tornato a corte dopo un breve periodo di esilio nei suoi possedimenti, vi morì nel 1608, richiedendo invano la grandeza per la sua famiglia e preoccupandosi soprattutto per i suoi eredi. La partecipazione al Consejo de

Estado e al Consejo de Guerra, oltre che a varie juntas, non nascose il fatto che il vecchio

potere e la grande influenza di cui aveva goduto con Filippo II erano scomparsi con il nuovo sovrano.

Maggior fortuna, o secondo molti coevi maggior opportunismo, mostrarono altri due storici favoriti di Filippo II. Juan de Idiáquez perse il titolo di mayordomo mayor della regina al quale lo aveva designato il precedente sovrano, ma mantenne un ruolo chiave nel Consejo de

Estado e in generale nel governo della Monarchia, sfruttando la buona opinione che della sua

capacità ed esperienza avevano sia Filippo III che Lerma, con il quale i rapporti erano sempre stati cordiali.34 La presidenza del Consejo de Órdenes fu la conferma dell’abilità con cui Idiáquez seppe adattarsi ai cambiamenti in corso.35 Abilità che mostrò, a detta di molti a corte, anche il marchese di Velada, che mantenne fino alla morte, avvenuta nel 1616, l’ufficio di

mayordomo mayor del re e fu parte del suo Consejo de Estado. Le accuse di essere un

cortigiano senza scrupoli, pronto a tradire coloro che lo avevano favorito (su tutti Moura) e a passare dalla parte dei vincitori,36 vengono però smentite dalla lettura delle sue carte private, da

32 Cfr. Fernández Conti, La nobleza cortesana, cit., pp. 267-268. Per Fernández Conti, dietro questo processo

orchestrato da Lerma vi fu una doppia motivazione politica: da un lato mostrare al regno aragonese quanto fosse cambiato l’approccio e il comportamento del governo castigliano rispetto alla corruzione dell’epoca di Filippo II, dall’altro liberarsi di un personaggio scomodo che non voleva integrarsi nel nuovo regime.

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Le tre accuse per le quali fu condannato furono: aver favorito un suo criado per il ruolo di canonigo di una chiesa di Zaragoza, aver deciso con il re e senza il parere del Consejo de Aragón il vescovato di Teruel e aver volutamente ritardato la nomina del nuovo Bayle general de Valencia. Fernández Conti, La nobleza cortesana, cit., p. 268.

34 Cfr. Feros, El duque de Lerma, cit., p. 131. 35

Sul Consejo de Órdenes si veda E. Postigo Castellanos, Honor y Privilegio en la Corona de Castilla. El Consejo de

las Órdenes y los Caballeros de Hábito en el siglo XVII, Almazán 1987.

cui emerge il rapporto mai idilliaco tra lui e Lerma ma anche il favore e l’affetto che Filippo III nutrì sempre verso il suo vecchio ayo e al quale Lerma, a malincuore, dovette rassegnarsi.37

La sostituzione o il ridimensionamento del potere di tutti questi personaggi era una mossa attesa negli ambienti vicini alla corte. Lo dimostra, ad esempio, uno dei più famosi testi satirici in circolazione tra 1598 e 1599, che recitava:

La mora no tiñe La fuente no mana

La chince no pica La vela no arde Que no ay cosa Quel tiempo no acabe.38

Una volta liberatosi dei suoi avversari più pericolosi, o comunque dopo aver tolto loro gran parte del vecchio potere,39 Lerma potè costruire il suo sistema a fazione unica, in cui tutti i posti chiave e i settori più importanti della Monarchia erano occupati da uomini di sua fiducia, togliendo così qualsiasi opportunità di nascita ad eventuali fazioni contrapposte. Un posto d’eccezione toccò ai familiari del duca, sia quelli naturali che quelli acquisiti con l’accorta politica matrimoniale del valido. Oltre al già citato matrimonio organizzato per il figlio Diego con l’erede della duchessa del Infantado, il cui patrigno entrò da subito nel nuovo Consejo de

Estado, e a quello della figlia Francisca con il primogenito del nuovo Presidente de Castilla,

Lerma aveva già provveduto ad unire l’altro figlio maschio Cristóbal con Mariana de Padilla, figlia dell’Adelantado mayor de Castilla, già capitán de la Armada del mar Océano sotto Filippo II e poi influente membro del Consejo de Guerra con Filippo III.40 Le altre due figlie di Lerma, Juana e Catalina, andarono in spose, rispettivamente, al conte di Niebla, erede del duca di Medina Sidonia e capo della famiglia più ricca dell’aristocrazia spagnola,41

e al futuro VII conte di Lemos, Pedro Fernández de Castro.42 Il VI conte di Lemos, Fernando de Castro, che oltre ad essere consuocero di Lerma ne era anche cognato, in quanto marito di Catalina, sorella

37 Martínez Hernández, El marqués de Velada, cit., pp. 361-430. 38

Le sei righe, riportate da Bouza Álvarez, Servidumbres de la soberana grandeza, cit., pp. 174-177, fanno riferimento a tutti i più importanti privados di Filippo II: Moura (la mora), Chinchón (la chinche), Velada (la vela) e il conte di Fuensalida (la fuente). Quest’ultimo, che era stato mayordomo mayor di Filippo II, rimase in Consejo de Estado ma privo di qualsiasi capacità di influenza politica, morendo nell’agosto 1599.

39 Il lermista Novoa dà una visione assai differente dei fatti: mostrando tutta la sua signorilità e nobiltà d’animo, il

favorito del nuovo re volle dimenticare le offese ricevute in passato e spinse il re a concedere ai vecchi servitori del padre grandi onori, come il viceregno di Portogallo per Moura e l’arcivescovato di Toledo per Loaysa. Cfr. Memorias, cit., vol. 60, pp. 57-59.

40

A Martín de Padilla, Adelantado mayor de Castilla, fu anche affidata un’imponente flotta con il compito di prestare soccorso ai cattolici irlandesi in lotta contro Elisabetta d’Inghilterra. La morte, arrivata sul finire del maggio 1602, gli impedì però di portare a termine la missione. Cfr. B. J. García García, La Pax Hispanica. Política exterior del duque de

Lerma, Leuven 1996, pp. 39-43.

41

Il VII duca di Medina Sidonia, consuocero di Lerma, fu un altro dei nuovi ingressi nel Consejo de Estado.

42 Una riproduzione dell’albero genealogico di Lerma, sia ascendente che discendente, è nelle pagine introduttive di A.

del valido, ottenne il lucroso incarico di vicerè di Napoli, ricoperto fino alla prematura morte nel 1601 e occupato, nel ruolo di luogotenente, dal figlio secondogenito Francisco fino al 1603.43 Il nuovo conte di Lemos, di cui Lerma apprezzò sin da subito le qualità, fu insignito giovanissimo, ad appena 27 anni, del cargo di Presidente del Consejo de Indias,44 mentre sua madre, una volta rimasta vedova, fu chiamata a corte dal fratello per ricoprire l’incarico di

camarera mayor della regina al posto della duchessa di Lerma, morta di lì a poco il 2 giugno

1603.45 L’altra sorella del valido, Eleonor, contessa di Altamira, fu nominata nel 1603 aya dell’infanta Ana, primogenita di Filippo III e Margherita, mentre il conte suo marito aveva già sostituito Juan de Idiáquez nel ruolo di mayordomo mayor della regina.46 Tra i familiari di Lerma che usufruirono del suo potere per fare carriera dentro e fuori dalla corte si ricorda anche il fratello Juan, nominato marchese di Villamizar e primer caballerizo del re nel 1600 e poi vicerè di Valencia a partire dal 160347, e due zii del valido, entrambi pedine fondamentali dei giochi di potere a corte: Juan de Borja e Bernardo de Sandoval. Borja, fratello della madre di Lerma, che aveva già una lunga carriera diplomatica alle spalle e il titolo di conte di Mayalde concessogli da Filippo II, si distinse sotto il nuovo re nel ruolo di mayordomo mayor dell’imperatrice Maria e nelle vesti di consejero de Estado e di Presidente del Consejo de

Portugal. Il titolo di conte di Ficallo, arrivato nel 1605, un anno prima della morte, fu

un’ulteriore testimonianza di quanto fidato e prezioso consigliere fosse considerato dal nipote e

valido.48 Più duratura e decisiva fu invece la presenza dello zio paterno di Lerma, don Bernardo de Sandoval, già vescovo di Jaén e poi cardinale, arcivescovo di Toledo e Primate di Spagna dopo la morte di García de Loaysa nel 1599.49 Ancor prima della nomina ad Inquisidor

general nel 1608, don Bernardo manifestò il suo potere soprattutto con l’autorevolezza con la

quale poteva riprendere, forse unico nel regno, il potente valido di Filippo III. In una lettera

43 Cfr. G. Coniglio, I vicerè spagnoli di Napoli, Napoli 1967, pp. 157-162. Lemos aveva sostituito il conte di Olivares,

padre del futuro conte duca. Sulle esequie tributate da Napoli al vicerè defunto, si veda G. C. Capaccio, Apparato

funerale nell’essequie celebrate in morte dell’illustriss. et eccellentiss. Conte di Lemos, viceré nel regno di Napoli,

Napoli 1601.

44 Cfr. Schäfer, El Consejo Real y Supremo de las Indias, cit. Sul VII conte di Lemos, figura affascinante e nota

soprattutto come grande mecenate ed abile vicerè di Napoli, esistono molte biografie. La più recente è quella di I. Enciso Alonso-Muntaner, Nobleza, poder y mecenazgo en tiempos de Felipe III. Nápoles y el conde de Lemos, Madrid 2007.

45 Il legame tra Lerma e la sorella Catalina rimase sempre molto forte. La contessa di Lemos divenne, a partire dal suo

arrivo a corte, uno degli elementi più importanti ed influenti del gruppo lermista. Nota anche per il suo brutto carattere, ella sarà una delle poche persone a rimanere sempre al fianco del fratello.

46

Cfr. Feros, El duque de Lerma, cit., p. 184.

47 Cabrera de Córdoba, Relaciones, cit., p. 198. Villamizar morì di gotta nel 1606. 48 Ivi, p. 261.

49

Novoa, Memorias, cit., v. 60, p. 128. Novoa descrive così don Bernardo e Lerma, intenti ad accompagnare Filippo III nel suo ingresso a Madrid nell’ottobre 1599: parecidos ambos en la liberalidad y grandeza de corazón, con que se

inviata allo stesso Lerma,50 egli infatti avvertì il nipote dell’importanza di circondare il re di persone oneste e affidabili, che non causassero fastidi e critiche al loro patrono come invece, già dai primi anni di regno, stavano facendo alcuni dei più importanti criados di Lerma. Il loro comportamento, assieme alla decisione del trasferimento della corte da Madrid a Valladolid avvenuto nel 1601, costituivano fonti di discussioni e critiche che il valido avrebbe prontamente dovuto smentire con i fatti e dimostrando che dietro le sue scelte vi fossero motivazioni di interesse pubblico e non di carattere privato.51

Del trasferimento della corte a Valladolid si era cominciato a parlare sin dai primi mesi di regno di Filippo III. Al di là degli indubbi problemi che attanagliavano Madrid, a partire dal sovappopolamento e dal caos cittadino, Valladolid si mostrò ben presto una città non adatta ad ospitare la corte, sia per le dimensioni ridotte che per le condizioni igieniche non ottimali.52 Essa fu scelta, e preferita ad altri centri come Toledo, in seguito alle pressioni del duca di Lerma, che nei dintorni di Valladolid aveva i suoi possedimenti castigliani e poteva vantare nella stessa città del Pisuerga un’importante rete di contatti. Nella nuova capitale, il valido riuscì ancor di più ad isolare il sovrano dal resto della corte, controllando scupolosamente gli accessi a palazzo e conducendo personalmente il re nei parchi e nelle tenute di caccia del circondario. Negli anni di Valladolid Lerma potè anche dare vita alla sua fama di grande amante delle arti, in particolare dell’architettura.53

Grande collezionista54 e cultore delle lettere e del teatro,55 il valido portò ai massimi livelli a Valladolid il suo nuevo estilo de grandeza a

50

Di questa lettera esistono copie in BNE, Mss. 4013, ff. 101r-104v, e in RAH, 9-1782, ff. 408r-410v.

51 Su don Bernardo de Sandoval si veda anche BNE Mss. 6590, Proposiciones, apotegmas y sentencias del Cardenal de

Toledo, ff. 124v-129v. I detti riportati nel manoscritto e attribuiti a don Bernardo aiutano a comprendere meglio il clima

e le situazioni che si vivevano a corte.

52

Sul trasferimento della corte a Valladolid e sul suo ritorno a Madrid nel 1606 esistono varie opere e riflessioni, frutto anche dello scontro tra le élites delle due città, interessate agli enormi vantaggi economici derivanti dall’ospitare la corte. Si vedano, ad esempio: J. de Quintana, A la muy antigua, noble y coronada villa de Madrid. Historia de su

antiguedad, nobleza y grandeza, Madrid 1629; M. Sangrador, Historia de la muy noble y leal ciudad de Valladolid, 2

voll., Valladolid 1854; N. Alonso Cortés, La corte de Felipe III en Valladolid, Valladolid 1908; A. Alvar Ezquerra, El

nacimiento de una capital europea. Madrid entre 1561 y 1606, Madrid 1989; Id., Los traslados de corte de 1601 y 1606, Madrid 2006. Sull’argomento, una sintesi efficace è in Williams, The great favourite, cit., pp. 66-73, 95-99.

53

Sull’intensa attività di costruzione e restauro dei palazzi di proprietà di Lerma sia a Valladolid che a Madrid, si vedano gli studi di L. Cervera Vera: Bienes muebles en el Palacio Ducal de Lerma, Madrid 1967; El conjunto palacial

de la Villa de Lerma, Madrid 1967; La imprenta ducal de Lerma, in «Boletín de la Institución Fernán González

(Burgos)», XLVIII (1970), n. 174, pp. 76-96; Lerma: Síntesis Histórico-Monumental, Lerma 1982. Il duca si distinse anche per i sostanziosi finanziamenti per la costruzione e il restauro di edifici religiosi, primo fra tutti il Monastero di San Pablo: J.M. Palomares Ibáñez, El patronato del Duque de Lerma sobre el convento de San Pablo de Valladolid, Valladolid 1970; V. Ginarte González, El Duque de Lerma, protector de la reforma trinitaria (1599-1613), Madrid 1982; L. Banner, The religious patronage of the Duke of Lerma, 1598-1621, Farnham 2009.

54

S. Schroth, The Private Picture Collection of the Duke of Lerma, New York 1990. Lerma era un grande amante dell’arte di Tiziano e Bosch, e ammirava le collezioni messe insieme da Filippo II all’Escorial e all’Alcázar di Madrid: Williams, The great favourite, cit., pp. 88-89.

55 Tra i letterati che godettero della protezione di Lerma, spicca Lope de Vega: R. Wright, Pilgrimage to Patronage.

Lope de Vega and the Court of Philip III, 1598-1621, Lewisburg-London 2001. Sul rapporto tra Lerma e il teatro, si

veda lo studio di T. Ferrer Valls, La práctica escénica cortesana. De la época del emperador a la de Felipe III, London 1991.

corte, ben rappresentato anche dai suoi celebri ritratti, eseguiti dai più grandi artisti dell’epoca: il ritratto equestre dipinto da Peter Paul Rubens, e le raffigurazioni gemelle di Lerma e di Filippo III, rappresentati nella stessa posa ed entrambi con il bastone del comando, frutto dell’arte di Juan Pantoja de la Cruz.56

Le maggiori dimostrazioni della spettacolarità delle feste organizzate dal favorito e del potere che egli dimostrava e rafforzava in occasioni di cerimonie ufficiali e banchetti, andarono entrambe in scena nel 1605, in concomitanza con il battesimo del principe, il futuro Filippo IV,57 e con la visita in Spagna del rappresentante inglese Charles Howard, conte di Nottingham, giunto per ratificare il trattato di pace stipulato l’anno precedente. La spettacolarità dei festeggiamenti in entrambe le occasioni, e il ruolo di autentico protagonista in essi svolto da Lerma rappresentarono probabilmente l’apice della privanza del duca. Tra le tante descrizioni giunteci dei due eventi,58 quella fornita dal portoghese Tomé Pinheiro da Veiga risulta non solo la più efficace, ma anche la più utile perché cita alcuni episodi assai significativi del potere e della ricchezza di Lerma:

Estos días estuvo también el duque enfermo y sangrando como yo, aunque es mayor la riqueza y renta que por ello tiene; porque es costumbre, cuando se sangra, mandarle joyas, como entre las monjas, y aun de muchos potentados de Italia le vienen, muchas veces. Me aseguran que una dolencia que tuvo los días pasados le valió 200 mil cruzados; y esto no