IV CAPITOLO IL LENTO DECLINO
IV.1- LA FAZIONE CHE SI SGRETOLA
Gli arresti, i processi e le successive condanne di Alonso Ramírez de Prado e Pedro Franqueza costituirono un colpo durissimo al valimiento di Lerma. Non erano mancati episodi antecedenti di critica o di vero e proprio attacco contro il favorito di Filippo III, e l’ingloriosa fine dei due segretari a lui fedeli non fu un incidente di percorso, ma solo la più importante e la più fragorosa di una serie di sconfitte che, sul lungo periodo, portarono alla destituzione del duca.
L’uscita di scena di Ramírez e Franqueza contribuì, innanzitutto, ad indebolire la fazione che aveva monopolizzato la corte nei primi dieci anni di regno del Rey Piadoso. Dopo la morte di Juan de Borja, nel 1606, Lerma dovette fare i conti con le defezioni, negli anni seguenti, di molti altri membri chiave del suo gruppo di potere. Nel 1608, dopo una malattia che lo aveva costretto a lasciare anzitempo il suo incarico di Presidente del Consejo de Castilla, morì il conte di Miranda, un alleato che era stato fondamentale nei primi anni della privanza.1 Il suo sostituto, Juan Bautista de Acevedo, altro uomo legato a Lerma, morì anch’egli nel 1608, lasciando l’ufficio di Presidente de Castilla a Pedro Manso e il posto di Inquisidor general a don Bernardo de Sandoval. La scomparsa di Juan de Idiáquez, nel 1614, privò il favorito del re di un esperto uomo di Stato che aveva saputo integrarsi alla perfezione nel suo sistema di potere,2 mentre l’ingresso nella cerchia dei suoi più fidati consiglieri di uomini dalle scarse capacità, come il giovane cortigiano García de Pareja o il confessore gesuita Friedrich Helder, non portò alcun vantaggio a Lerma né potè colmare il vuoto lasciato dai suoi precedenti
criados.3 Il posto rimasto vacante nella segreteria del Consejo de Estado dopo l’arresto di Franqueza fu invece colmato con successo, prima con Andrés de Prada, già titolare della
secreteria del Norte, e poi, alla morte di quest’ultimo nel 1611, da Antonio de Aróztegui,
1 Sulla malattia di Miranda, cfr. Cabrera de Córdoba, Relaciones, cit., pp. 313 e seguenti. Miranda morì da Presidente
de Castilla, ma di fatto negli ultimi mesi di vita si era già ritirato a vita privata. Poco prima di morire, Filippo III lo
aveva insignito del titolo di duca di Peñaranda: A. de Herrera y Tordesillas, Elogio a don Juan de Zúñiga Bazán y
Abellaneda, primer duque de Peñaranda, Madrid 1608.
2 Un anno prima di Idiáquez, nel 1613, era morto Cristóbal de Moura, altro grande protagonista della corte di Filippo II.
Al marchese di Castel Rodrigo era stato concesso di rientrare a corte negli ultimi anni di vita. Sulla strategia familiare dei Moura e il loro ruolo di collegamento tra Castiglia e Portogallo, si veda il recente contributo di S. Martínez Hernández, Os marqueses de Castelo Rodrigo e a nobreza portuguesa na monarquia hispanica: estratégias de
legitimação, redes familiares e interesses políticos entre a agregação e a restauração (1581-1651), in «Ler história»,
57(2009), pp. 7-32.
3 Pareja e Helder, costanti fonti di critiche più che di aiuto, entrarono in scena negli ultimi anni del valimiento di Lerma,
anch’egli passato dagli affari concernenti il Nord Europa alla secreteria de Italia. Juan de Ciriza, proveniente dal Consejo de Guerra, costituì con Aróztegui la coppia di segretari di Stato che visse tutta la seconda fase del regno di Filippo III (1611-1621): con entrambi, Lerma mantenne sempre rapporti saldi, come d’altronde era stato con Prada.4
Oltre ad un ricambio generazionale sfavorevole, la fazione al potere dovette fare i conti con una spaccattura, nata principalmente dal confessionale del re, sempre più profonda. Il 25 novembre 1606 fu destituito, dietro l’apparente premio della nomina a vescovo di Córdoba, il confessore del sovrano Diego de Mardones, probabilmente come ritorsione per essere stato uno dei principali alleati della regina nella campagna di screditamento del valido e dei suoi uomini.5 Lo stesso giorno, Mardones venne sostituito nella cura della coscienza del re da Jerónimo Javierre, generale dell’Ordine dei Domenicani, docente di Teologia nell’università di Zaragoza e confessore personale del duca di Lerma.6 Al pari di coloro che lo avevano preceduto nel medesimo incarico, Javierre fu parte attiva nel governo della Monarchia, sia operando in varie juntas, sia agendo all’interno del Consejo de Estado, nel quale entrò il 12 gennaio 1608.7 L’enorme prestigio personale, costruito già prima di arrivare a corte e ulteriormente rafforzato dalla nomina a cardinale voluta da Filippo III nel dicembre 1607, permise a Javierre di introdurre nelle alte sfere due suoi protetti, due fratelli strappati anni prima, quando erano ancora bambini, a un futuro di stenti e povertà nella capitale aragonese. Luis e Isidoro de Aliaga avevano potuto abbandonare la tienda de paños in cui lavoravano assieme alla madre8 proprio grazie all’intervento di Javierre, che ne favorì gli studi e l’ingresso nell’Ordine di San Domenico. Luis, il maggiore dei due fratelli, si fece presto apprezzare per le sue doti personali, e Javierre, quando fu nominato confessore del re, indicò proprio lui come suo sostituto nel ruolo di confessore del duca di Lerma.9 La morte di Javierre il 2 settembre 1608, tanto improvvisa da destare non pochi sospetti,10 spalancò le porte del confessionale
4 Cfr. Escudero, Los secretarios, cit., pp. 223-241. Come riporta lo stesso Escudero, Ciriza sarà una della persone che
Lerma andrà ad abbracciare nel giorno del suo ritiro da corte, a testimonianza dell’affetto che li legava. Anche il fratello, Tristán de Ciriza, fu sempre un fedele lermista. Su Antonio de Aróztegui, si veda il breve ritratto che ne fa Martínez Robles, Los oficiales de las Secretarías, cit., VII capitolo.
5 Su questa ipotesi cfr. Martínez Peñas, El confesor del rey, cit., pp. 386-388.
6 Su Javierre, nato a Zaragoza nel 1546, si veda: T. Echarte, El cardenal fray Jerónimo Xavierre (1546-1608), in
«Cuadernos de Historia. Jerónimo Zurita», 39-40 (1981) pp. 151-176; L. Galmés Más, El Cardenal Xavierre (1546-
1608), Valencia 1993.
7 Cabrera de Córdoba, Relaciones, cit., p. 322.
8 Cfr. AHN, Inquisición, leg. 1306, exp.3, in cui si ripercorrono le origini della famiglia Aliaga. 9
Su Luis de Aliaga: J. Navarro Latorre, Aproximación a Fray Luis de Aliaga, confesor de Felipe III, Zaragoza 1981; B.J. García García, El confesor fray Luis Aliaga y la conciencia del Rey, in F. Rurale (a cura di), I religiosi a corte.
Teologia, politica e diplomazia in Antico Regime, Roma 1998, pp. 159-194.
10 Cfr. Martínez Peñas, El confesor del rey, cit., pp. 394-395. Galmés Más ipotizza che Javierre sia stato avvelenato per
estrometterlo dalla corsa a vicerè di Napoli o, più probabilmente, per liberare il posto di confessore reale. Nel caso di questa seconda ipotesi, è evidente che il sospettato numero uno sarebbe stato lo stesso Aliaga: Galmés Más, El
reale ad Aliaga, come confermò la nomina ufficiale arrivata il 6 dicembre 1608.11 Quarto ed ultimo confessore di Filippo III, Aliaga si sarebbe mostrato di lì a poco come il più pericoloso avversario di Lerma, un avversario che il valido non riuscì mai a scalzare dal suo posto né ad allontanare da corte. Come aveva fatto Lerma all’inizio della sua ascesa cortigiana, Aliaga seppe conquistarsi la fiducia e l’affetto del re. Così, potè resistere agli attacchi del favorito e contemporaneamente raggiungere vette importanti di potere in Consejo de Estado e in varie
juntas, favorendo i propri alleati e criados a partire dal fratello Isidoro, nominato arcivescovo
di Valencia nel 1612.12 Presto alleatosi con il figlio maggiore di Lerma, duca di Uceda a partire dal 1609, il confessore spinse il sovrano a limitare il potere del valido, aprendo la corsa agli incarichi di corte a personaggi non necessariamente voluti da Lerma e incitando Filippo III ad affidarsi anche ad altri pareri nelle importanti decisioni di politica estera e di politica economica. Alcuni tra i più importanti lermistas a corte si avvicinarono ad Aliaga e Uceda, come ad esempio Fernando Carrillo, il fiscal delle visitas a Franqueza e Ramírez de Prado, insignito, nel 1608, dell’incarico di Presidente del Consejo de Hacienda.13
Il suo predecessore nello stesso incarico, Juan de Acuña, si schierò ben presto anch’egli sulle posizioni del gruppo emergente, ottenendo nel 1610, dopo il ritiro a vita privata di Pedro Manso, l’ufficio di
Presidente del Consejo de Castilla.14
Tuttavia, fino al 1611 il rapporto tra Lerma e Aliaga rimase, formalmente, buono. Il confessore evitò nei primi anni di opporsi pubblicamente a Lerma, che da parte sua non sembrava temerlo più di tanto.15 L’elezione di Fernando Carrillo premiava un personaggio stimato a corte e alla cui promozione certamente il valido non si oppose; invece, la scelta di Acuña costituì un primo smacco per il favorito, che vide il candidato proposto da Aliaga e da Uceda, ovvero Acuña, sconfiggere il suo candidato, vale a dire il consejero de Inquisición Gabriel de Trejo y Paniagua.16 Nel 1611 si registrò un altro episodio significativo: Aliaga
11 AGP, caja 45, exp. 33. 12
Sul legame tra Luis e Isidoro de Aliaga, nato nel 1568 e già vescovo di Albarracín e di Tortosa prima di arrivare a Valencia, si vedano gli studi di M. Callado Estela, Iglesia, poder y sociedad en el siglo XVII. El arzobispo de Valencia
fray Isidoro Aliaga, Valencia 2001; Parentesco y lazos de poder. Las relaciones del arzobispo de Valencia fray Isidoro Aliaga con su hermano fray Luis de Aliaga, confesor regio e Inquisidor General (siglo XVII), in J. Bravo Lozano (a
cura di), Espacios de poder: cortes, ciudades y villas (s. XVI-XVIII), Madrid 2002, pp. 123-138.
13
AHN, E, leg. 6401-1.
14 Cabrera de Córdoba, Relaciones, cit., p. 422. La malattia e il conseguente ritiro di Pedro Manso provocò un effetto a
catena: Juan de Acuña, ex presidente del Consejo de Hacienda e titolare della presidenza del Consejo de Indias, ne prese il posto, mentre alla guida del Consejo de Indias fu scelto l’ultrasettantenne Luis de Velasco, vicerè del Perù e, in seguito, anche della Nueva España.
15 Per l’evoluzione del comportamento di Aliaga a corte, si veda García García, El confesor fray Luis Aliaga, cit., pp.
172-189.
16
Feros, El Duque de Lerma, cit., p. 398. Trejo y Paniagua, familiare e hechura di Rodrigo Calderón, aveva ricoperto anche l’incarico di fiscal del Consejo de Órdenes. Sulla carriera di Juan de Acuña: AHN, Consejos, lib. 1426, ff. 284- 285; González Palencia, La Junta de Reformación, cit., pp. 412-414.
rimase chiuso nelle sue stanze alcuni giorni per motivi di salute17 e Lerma propose a Filippo III di sostituire momentaneamente il suo confessore, ma il sovrano, a testimonianza dell’affetto e della stima che nutriva per Aliaga, rispose che non si sarebbe fatto confessare da nessun altro e che avrebbe atteso la sua guarigione.18 L’anno seguente, di fronte all’azione ormai manifesta di screditamento del valido da parte di Aliaga e l’invito da questi rivolto al re ad assumere un ruolo di maggior protagonismo nel governo della Monarchia, Lerma si decise a chiedere al
Presidente del Consejo de Castilla l’avvio di un’indagine contro il confessore reale. Il rifiuto di
Juan de Acuña di aprire un’inchiesta contro colui che era diventato il suo principale alleato19
segnò un vero e proprio attacco al potere di Lerma che sarebbe stato impensabile nei primi anni di regno di Filippo III. Di fronte a tutto ciò, il valido chiese e ottenne dal sovrano una cédula destinata a rimanere famosa, in cui si diede sistemazione formale ad una pratica che, nella sostanza, veniva applicata sin dal settembre 1598, ovvero l’ampia delega di poteri che il re concedeva al suo favorito, obbligando i vari Consejos della Monarchia ad eseguire i suoi ordini come se provenissero dal sovrano in persona. Che si trattasse solo della ratifica di una pratica messa in atto sin dall’inizio del regno di Filippo III e recentemente posta in dubbio da alcune vicende, lo si evince dal testo stesso della cédula inviata al Consejo de Estado il 23 ottobre 1612:
El Rey. Desde que conozco al duque de Lerma le he visto servir al rey mi señor y padre que haya gloria y a mi con tanta satisfaccion de entrambos que cada dia me hallo mas satisfecho de la buena quenta que me da de todo lo que le encomiendo y mejor servido del; y por esto y lo que me ayuda a llevar el peso de los negocios, os mando que cumplais todo lo que el duque os dixere y ordenare y que se haga lo mismo en ese Consejo y podrasele tambien dezir todo lo que quisiere saber del que aunque esto se ha entendido assi desde que yo subcedi en estos Reynos os lo he querido encargar y mandar agora.20
Al di là di estemporanee riappacificazioni di facciata, il rapporto tra Lerma e Aliaga rimase teso sino alla fine del valimiento del duca. La decisione maturata da quest’ultimo nel 1612 di non concedere più udienza pubblica a corte21 finì con il favorire ancor di più i suoi rivali. L’ambasciatore veneziano Pietro Gritti descrisse così Aliaga nella sua Relazione:
Il confessore è della religione di S.Domenico, della quale per speciale privilegio sono tutti i confessori dei re; si acquistò il favore del duca di Lerma, essendo in concetto di gran bontà e modestia, fu però portato da lui a quel grado, persuadendosi che fosse lontano da ogni ambizione e che poco o niente avesse da ingerirsi nelle cose del governo. Ammesso nel consiglio di stato, non alterò di niente nell’esteriore il suo ordinario costume, continuò ad abitare e vivere ristrettamente e poveramente, cominciò poi poco a poco ad avanzarsi, farsi dei
17
Sul malore di Aliaga si addensarono sin da subito i sospetti di un avvelenamento, ordito e realizzato, secondo le voci più insistenti a corte, da Rodrigo Calderón. L’episodio costituirà una delle accuse più gravi mosse, anni dopo, al protetto del duca di Lerma.
18 Cabrera de Córdoba, Relaciones, cit., p. 446. 19
Cfr. Feros, El Duque de Lerma, cit., p. 410.
20 BNE, Mss 18194, f.6. 21 AGS, E, leg. 247/s.l.
parziali, proteggere quei che gli aderivano, opponersi alli pensieri del duca di Lerma e bilanciare la sua autorità. Tentò Lerma, e fece ogni opera per allontanarlo dalla corte, propose di farlo eleggere cardinale e che gli fosse conferito un ricchissimo vescovato, ma si è egli mostrato risolutissimo di non voler scostarsi da S.M. Non ha molta esperienza dei negozi di stato, è però di gran capacità e di facile impressione, è molto sottile e rigoroso, quando si tratta di sostentare la riputazione del re.22
Se la posizione di Aliaga risulta dunque evidente soprattutto per la sua attività di opposizione politica a Lerma svolta all’interno del Consejo de Estado di cui era membro, più problematico è risultato per gli storici individuare il ruolo e la centralità del duca di Uceda in questo processo di disgregazione della fazione ministeriale.23 Il maggiore dei figli di Lerma era stato introdotto negli anni precedenti dal padre negli affari di Stato e nelle riunioni private con il sovrano. Tuttavia, Uceda non ricoprì mai un ruolo ufficiale a corte, salvo che nell’ultima fase del regno di Filippo III, né era parte del Consejo de Estado come Aliaga. Il suo potere, dunque, era frutto sia dell’essere erede del valido, sia del rapporto di amicizia che era riuscito a costruirsi con Filippo III, di cui peraltro era coetaneo.24 I testimoni dell’epoca lo dipingono spesso come un aristocratico poco interessato agli affari di governo e che godeva di scarsa stima a corte. Durissimo, ad esempio, il giudizio del veneziano Francesco Priuli:
[…] sicchè tutti vorrebbono che mancando questo soggetto [il duca di Lerma], il re non si gettasse più in braccio d’altri, e qualcheduno lo spera, prima per l’osservanza di molti della casa d’Austria, che per certo tempo hanno trascurato le cose loro, e poi sono diventati accuratissimi, come particolarmente lo fecero l’imperator Carlo V ed il re Filippo II, ma poi perché si persuadono che non potendo Sua Maestà trasmettere la medesima autorità nelli figliuoli del duca di Lerma, per l’incapacità loro, debba tardare nel scegliere altra persona, ed in questo mentre non mancherà chi le farà conoscer il danno patito per il passato, con che si potrebbe risolver di governar da per lui; pure l’esser avvezzo al non travagliare ed al godimento che mostra nell’ozio, può far dubitare che sia per affezionarsi a qualchedun altro, il quale sicuramente sarebbe il duca di Uceda, primogenito del duca di Lerma, perché mostra di portargli grand’amore, ma l’ottusità sua non lo renderà mai atto ad un tanto carico.25
22 P. Gritti, Relazione, in Barozzi, Berchet (a cura di), Relazioni degli stati europei, cit., Serie I: Spagna, vol. 1, pp. 493-
556, pp. 530-531. L’ascesa di Aliaga conobbe un nuovo avanzamento con la nomina a membro supernumerario del
Consejo de Inquisición riconosciutagli in quanto confessore del sovrano: cfr. BNE, Mss. 718, Decreto sobre nombramiento de consejero de Inquisición a fray Luis de Aliaga sobre perpetuar una plaza de consejero en religioso domínico y pareceres sobre su inconveniencia. 1614, ff. 183r-184v; J. Martínez Millán, Los miembros del consejo de Inquisición durante el siglo XVII, in «Hispania Sacra», 37 (1985), pp. 409-449; J.R. Rodríguez Besné, El Consejo de la Suprema Inquisición, Madrid 2002.
23 Per alcuni storici, come ad esempio F. Benigno, Uceda si impose come il leader dell’opposizione a Lerma: cfr.
L’ombra del re, cit., p. 36. Per altri, fu Aliaga il vero rivale di Lerma, con Uceda che seppe semplicemente approfittare
degli errori paterni: cfr., ad esempio, Pérez Bustamante, Felipe III, cit., p. 98. Singolare, infine, la posizione di Patrick Williams, il quale sostiene che Uceda non si contrappose mai, se non alla fine, a Lerma, e che era desiderio di quest’ultimo lasciare progressivamente il suo potere a corte al figlio ed erede: The great favourite, cit.
24
Filippo III era nato nel 1578, Uceda nel 1581. Del primogenito di Lerma non esiste al momento un’ampia biografia. Un contributo interessante è arrivato da R.M. Pérez Marcos, El Duque de Uceda, in Escudero (a cura di), Los validos, cit., pp. 177-241.
25 F. Priuli, Relazione, in Barozzi, Berchet (a cura di), Relazioni degli stati europei, cit., Serie I: Spagna, vol. 1, pp. 339-
La mancanza di capacità di governo e di ambizione personale figura spesso come difetto caratteristico di Uceda, cui pure Lerma delegava spesso incarichi e responsabilità nell’attività di governo. Il desiderio, nascosto dietro un atteggiamento di apparente timidezza e indecisione, di prendere il prima possibile il posto del padre costituisce senz’altro la causa più probabile del progressivo distacco che si creò con Lerma, senza dubbio favorito anche da una serie di singoli episodi. La morte della duchessa di Lerma, madre di Uceda, avvenuta nel 1603, aprì nel duca velleità di un secondo matrimonio con la contessa di Valencia de Don Juan, con il rischio di veder nascere nuovi eredi della fortuna familiare. Altro motivo di contrasto era inoltre il rapporto preferenziale che, a detta di molti testimoni, Lerma aveva instaurato con il nipote conte di Lemos, personaggio che non a caso venne impiegato da subito, e a differenza del cugino, per puntellare la fazione ministeriale. Scelto giovanissimo per l’incarico di Presidente
del Consejo de Indias, il figlio della sorella prediletta del valido fu nominato vicerè di Napoli
nel 1609, prendendo possesso dell’incarico l’anno successivo.26
Durante i sei anni di governo napoletano, Lemos rafforzò la fama legata alle sue doti personali che tanto inadeguato doveva far sentire Uceda: ottimo governatore, raffinato intellettuale, protettore di artisti, candidato ideale per raccogliere l’eredità di Lerma.27
I contrasti tra cugini non erano mancati fino alla partenza di Lemos, e i giudizi lusinghieri su quest’ultimo, accostati a quelli assai meno positivi su Uceda, di certo non favorirono una pacifica convivenza all’interno della famiglia e della fazione.28 Ideale contraltare di Lemos, nella seconda parte del regno di Filippo III si impose un altro personaggio che vide anch’egli culminare con il viceregno napoletano la sua carriera e