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I PRIMI PROCESSI AL VALIMIENTO

III. 1 «MAS QUIERO MI POBREZA QUE LA HACIENDA DE FRANQUEZA»

III.5- UN PROCESSO SENZA DIFESA

In maniera assai differente si sviluppò invece il processo a Pedro Franqueza. Come già annotato nei cargos, l’ex segretario di Stato simulò la follia nelle prime settimane di detenzione, con l’evidente obiettivo di evitare o quanto meno ritardare il giudizio, forse nella speranza di un intervento in extremis del duca di Lerma.169 Una volta scartata definitivamente l’ipotesi della follia, che anzi finì con l’ingrossare il già pingue elenco di accuse contro il detenuto, la difesa di Franqueza venne temporaneamente assunta, similmente a quanto accaduto a Alonso Ramírez de Prado, da uno dei suoi figli, il primogenito Martín Valerio. Citato anche lui nei cargos come occasionario complice del padre, ma comunque mai messo sotto processo, Martín Valerio non era tuttavia un talentuoso letrado come Lorenzo Ramírez de Prado, ed infatti il suo compito si limitò a lottare per garantire al padre condizioni di detenzione più accettabili, la possibilità di difendersi al meglio e il reperimento di avvocati all’altezza del compito, disposti a gettarsi in un’impresa che pareva già disperata. Martín Valerio Franqueza reclamò dunque davanti a Carrillo per l’estrema rigidità della prigionia cui era sottoposto l’ormai anziano padre e per l’impossibilità di fargli visionare gli atti del processo su cui era costruita l’accusa e di poter parlare con lui senza la costante e indiscreta presenza del carceriere Luis de Godoy, cui era stata affidata la custodia del conte di Villalonga sin dal suo trasferimento nella fortezza di Ocaña.170 Come accaduto anche nell’altro processo che si stava svolgendo contemporaneamente, le richieste della difesa vennero però puntualmente disattese dalla junta dei giudici, che invece riteneva di aver garantito all’imputato tutto ciò che la legge prescriveva per potersi discolpare.

169 Torras i Ribé, La “Visita” contra Pedro Franquesa, cit.; Gómez Rivero, El juicio al secretario de Estado Pedro

Franqueza, cit. Per giudicare se effettivamente Franqueza fosse impazzito, Carrillo lo fece visitare da diverse persone,

ottenendo pareri discordanti: secondo il medico, don Pedro non stava fingendo, mentre secondo fray Pedro Navarro, confessore del detenuto, poteva trattarsi di una sceneggiata, anche se, visto ciò che aveva dovuto subire Franqueza, non si poteva scartare l’ipotesi di una effettiva locura: cfr. AGS, CC, leg. 2796, XI pieza, ff. 362-363, 391-396.

170 Luis de Godoy venne accusato dai Franqueza di aver loro impedito la libera comunicazione e la visione di alcuni atti

processuali. Su questo, ed in generale sulla prigionia di Pedro Franqueza, cfr. AGS, CC, leg. 2796, XI pieza, Comisión

para visitar a don Pedro Franqueza, conde de Villalonga, y orden para prenderle y la sentencia de su condenación y otras cédulas reales y consultas y sus descargo y averiguación de locura, año 1609.

Nell’aprile 1608, mentre Lorenzo Ramírez de Prado presentava i descargos e l’interrogatorio per i testimoni della difesa, Martín Valerio Franqueza rese noti i nomi degli avvocati scelti per curare gli interessi di suo padre: si trattava dell’inquisitore Fadrique Cornet, amico di vecchia data dell’imputato nonché personaggio più volte citato nei cargos come confidente di don Pedro, e del letrado Jaime Mitjavila, anch’egli originario del regno d’Aragona nonché nipote di Franqueza.171

Il ricorso a due avvocati legati a lui da vincoli di parentela e di appartenenza territoriale (Cornet era originario di Igualada, lo stesso centro da cui proveniva la famiglia Franqueza), denota la scarsa fiducia che l’imputato nutriva ormai verso l’ambiente di corte, atteggiamento accresciuto dall’ostruzionismo con cui, nei mesi successivi, venne limitata l’azione dei due legali. Cornet e Mitjavila, giunti a Madrid con alcune settimane di ritardo dopo la loro nomina, fecero proprie le stesse proteste già avanzate da Martín Valerio Franqueza in merito alle condizioni di detenzione dell’imputato, all’impossibilità di accedere agli atti del processo e al comportamento del carceriere Godoy, accusato di comportarsi come un giudice aggiuntivo più che come una semplice guardia.172 Tuttavia, come già accaduto in precedenza, le richieste della difesa vennero respinte, e di fronte ai difficili ostacoli posti sul loro cammino, i due legali rassegnarono ben presto il loro incarico, nel dicembre 1608.173

Da quel momento fino alla fine del processo la difesa dell’imputato venne assunta da Gerónimo Funes Muñoz, cavaliere di Santiago, oficial real all’interno del Consejo de Italia, residente a Valencia e marito di Luisa Franqueza, una delle figlie di don Pedro.174 Il ricorso a questo ennesimo parente e compatriota, unito alla costante presenza di Martín Valerio, non portò tuttavia alcun miglioramento nella vicenda giudiziaria dell’imputato, che infine non presentò alcun descargo davanti ai giudici. L’attesa di un intervento di Lerma mai arrivato o l’inefficacia degli avvocati, assieme agli oggettivi impedimenti posti dal carceriere Godoy al lavoro dei difensori di Franqueza, costituiscono possibili spiegazioni di questa anomalia. L’invio di alcuni memoriali rivolti direttamente al duca di Lerma fu prontamente intercettato e

171 Ivi, f. 81. Mitjavila era doctor de la Real Audiencia de Barcelona.

172 Ivi, ff. 87-89. Godoy venne accusato di aver impedito agli avvocati di rivolgere specifiche domande al loro assistito e

di aver loro proibito sia di parlare a Franqueza tutti e due insieme ma solo uno per volta, sia di ricevere documenti fondamentali per la costruzione della difesa. Un memoriale consegnato dallo stesso Franqueza ai suoi legali venne alterato, secondo questi ultimi, da Godoy, che cancellò da esso alcuni nomi, seguendo in questo, verosimilmente, le indicazioni di Carrillo. Il carceriere non permetteva inoltre a Franqueza di sentire messa e di confessarsi, di essere assistito da qualche criado, di avere anche solo un momento di intimità, persino di tagliarsi la barba e i capelli. Non mancò la richiesta di trasferimento in un carcere meno rigido e più vicino allo svolgimento del processo, in modo da poter meglio preparare i descargos come era stato permesso a Ramírez de Prado con lo spostamento dalla villa di Uceda a Móstoles.

173 Ivi, f. 170. 174 Ivi, f. 100.

i giudici decisero di non tenerli in considerazione in vista della sentenza,175 che arrivò il 22 dicembre 1609. La junta, composta dal fiscal Fernando Carrillo, dai consejeros de Castilla Fernando de Alarcón, Diego de Alderete e Gil Ramírez de Arellano, dal consejero de Aragón Felipe Tallada, dall’alcalde de Casa y Corte Fernando Ramírez Fariña, dal nuovo confessore del re Luis de Aliaga e dai fiscales del Consejo de Castilla, Melchor de Molina, e del Consejo

de Hacienda, Gilimón de la Mota, aveva cominciato a riunirsi dal 20 giugno di quell’anno, per

continuare a farlo ininterrottamente sino al 3 ottobre.176 Come già accaduto per Ramírez de Prado, Franqueza venne giudicato colpevole per quasi tutti i cargos che gli erano stati imputati. Distinguendo tra culpa, culpa grave e culpa muy grave, le sentenze condannarono il conte di Villalonga, per i vari illeciti commessi, ad una somma complessivamente enorme di pene pecuniarie, per pagare le quali non sarebbe stato di certo sufficiente mettere all’asta tutto il suo cospicuo patrimonio.177 Dei 481 cargos per i quali fu giudicato,178 l’imputato venne assolto da 32, per lo più per mancanza di prove, e per altri due non venne emessa la sentenza perché ritenuti non di competenza della junta. L’accusa di tradimento al re, già rivolta a Ramírez de Prado, lo avrebbe probabilmente condotto alla pena di morte, se non si fosse tenuto conto dell’età ormai avanzata dell’imputato, ma il giudizio finale rimase comunque durissimo:

Pusosele culpa grave y por ella y por las que resultan de los demas cargos remitidos en todo o en parte a este final se condeno al dicho Don Pedro Franqueza: en Privaçion perpetua de los dichos ofiçios de secretario de Estado y de la ser.ma Reyna Doña Margarita mi muy clara y muy amada muger y de los demas oficios reales o publicos que en qualquier manera le ayan pertenecido o pertenzcan y a que aora y de aqui adelante ni en tiempo alguno perpetuamente no pueda tener usar ni exerçer ofiçio alguno Real ni Publico. Y en perdimento y privaçion de la dicha vara de alcalde de sacas del Reyno de Murçia a mi aplicada para que disponga della a mi voluntad y que buelba y restituya a mi Real hazienda los cinco mill ducados referidos en el cargo veynte y siete. Y en perdimiento de las demas mercedes que de por vida o vidas o en renta o situaçion o por una vez o mas en dinero o ofiçios o en cosa o cosas señaladas o en qualquier manera de qualquier calidad y cantidad y valor que sean que de mi hubiese reçivido para que todas buelban y las restituya a mi Real hazienda y camara. Y asi mismo en consideracion de las dichas culpas se condeno en otros çiento y cinquenta mill ducados aplicados a mi Real haçienda y en reclusion perpetua de su persona. La qual tenga y guarde en la parte y lugar y con la guarda o guardas recato y custodia conforme a la orden dada o que por

175 Come riferisce Torras i Ribé, l’ultimo memoriale che Franqueza tentò di far arrivare a Lerma era del gennaio 1609:

La “Visita” contra Pedro Franquesa, cit., p. 175. Lo stesso Torras i Ribé, come d’altronde aveva fatto Juderías prima

di lui, ipotizza che Godoy si preoccupasse di cancellare da tali memoriali e da altri documenti i nomi di potenti personaggi che avrebbero potuto essere coinvolti nell’indagine, su tutti il duca di Lerma: ivi, p. 171.

176

Gómez Rivero, El juicio al secretario de Estado Pedro Franqueza, cit., pp. 445-446. Il confessore Aliaga partecipò alle riunioni della junta compatibilmente con i suoi impegni, senza avere comunque diritto di voto. Anche Melchor de Molina e Gilimón de la Mota avevano diritto di parola ma non di voto.

177

Cabrera de Córdoba dà un’idea dell’ammontare del risarcimento chiesto a Franqueza per la Real Hacienda e per le vittime dei suoi illeciti, 1.400.000 ducati, ricordando anche come tali sentenze fossero il risultato di indagini condotte nell’ambito di tre Consejos della Monarchia, cioè Hacienda, Inquisición e Aragón: Relaciones, cit., p. 394.

178 Tre cargos vennero cancellati dall’elenco alla vigilia della sentenza. Per due di essi, il 294 e il 320, l’ordine arrivò

tramite un billete del duca di Lerma in persona: AGS, CC, leg. 2796, XI pieza, ff. 9-10. Nei due cargos in questione veniva citata una persona militar sulla cui fedeltà il re non aveva alcun dubbio e che dunque non doveva essere coinvolta.

mi se diere y mas se condeno en las costas y gastos de la dicha visita, dada en Madrid a beynte y dos dias del mes de diçiembre de mill y seiscientos y nueve años.179

La reclusione perpetua e la privazione di tutti gli incarichi e le mercedes ricevuti dal sovrano nel corso degli anni sancirono così la fine della carriera e dell’influenza di uno degli uomini più potenti della Monarchia di Filippo III. Il giorno dopo la cédula della junta, il 23 dicembre, la sentenza venne pubblicamente letta, come da ordine del re, nel Consejo de

Hacienda, e nei giorni successivi anche nel Consejo de Castilla e nel Consejo de Aragón.180

Nell’ambito di quest’ultimo, peraltro, era stata avviata, a partire dal maggio 1609, una nuova indagine su Franqueza, volta a determinare gli eccessi commessi da questi negli anni precedenti il suo arrivo a corte, quando risiedeva ancora in Aragona.181 Affidata, tra gli altri, a Felipe Tallada, già parte della junta nominata per il processo principale,182 tale indagine suscitò sorpresa a corte, dal momento che non si capiva come essa avrebbe potuto peggiorare la situazione di Franqueza. Inoltre, le accuse rivoltegli in questo secondo processo erano di gran lunga meno gravi delle precedenti e, anche se ritenuto colpevole di esse, non ci sarebbero stati ulteriori beni da sequestrare e da usare per eventuali pene pecuniarie.183 In realtà, fu ben presto chiaro come il fine di questo processo fosse quello di ordinare il sequestro dei beni che il conte di Villalonga possedeva nel regno di Valencia, operazione per la quale era necessaria l’autorizzazione proprio del Consejo de Aragón.184

Nell’aprile 1610, Franqueza venne trasferito dalla fortezza di Ocaña alle Torri di León, dove avrebbe trascorso la sua prigionia a vita. Passato dalla custodia di Luis de Godoy a quella del corregidor della città Manuel de Suazo,185 al detenuto vennero comunicate le sentenze a suo carico solo il 9 settembre 1610.186 Franqueza reagì ricordando le recriminazioni già avanzate in passato dal figlio Martín Valerio e dai suoi avvocati, in particolare riguardo alla possibilità negata di poter liberamente comunicare con questi ultimi, al comportamento di Luis de Godoy e, in definitiva, a tutte le manovre che gli avevano impedito di difendersi. L’ultimo

179

AGS, GJ, libro 352, ff. 53r-v. L’elenco delle sentenze ai singoli cargos è anche in AGS, CC, leg. 2796, XI pieza, ff. 13-46.

180 AGS, GJ, libro 352, f. 2v. 181 BNE, Mss 5570, ff. 5r-8r.

182 Il vicechanciller Diego Clavero e i regentes Martín Monter de la Cueva e Felipe Tallada furono incaricati

dell’indagine. Essi, assieme a Carrillo, Alarcón, Alderete, Ramírez de Arellano e al confessore Aliaga (anche in questo caso compatibilmente con i suoi impegni e comunque senza il diritto di voto) avrebbero dovuto elaborare la sentenza.

183 Cfr. Cabrera de Córdoba, Relaciones, cit., pp. 398, 400. 184

Ivi, p. 403. Sul Consejo de Aragón durante il regno di Filippo III, cfr. C. Riba y García, El Consejo Supremo de

Aragón en el reinado de Felipe III, Madrid 1914.

185 AHN, sección Nobleza Toledo, Torrelaguna, c. 410. L’ordine del trasferimento è del 6 marzo, la sua esecuzione del

10 aprile. Nello stesso documento sono comprese le dettagliate istruzioni che Lerma e Carrillo inviarono a Manuel de Suazo circa le condizioni di detenzione dell’illustre carcerato. Sullo stesso argomento, anche AGS, GJ, libro 352, ff. 55- 57r.

disperato appello al re e ai suoi ministri affinchè gli venisse dato tempo per presentare i suoi

descargos venne disatteso187 e don Pedro trascorse in carcere i suoi ultimi anni di vita, fino alla morte avvenuta il primo giorno di dicembre del 1614.188 Il corpo venne portato nel convento di San Claudio dell’Ordine di San Benito, nella città di León, dove sarebbe rimasto almeno per i 12 anni successivi.189

Priva ormai di ogni bene e dei titoli nobiliari, la famiglia Franqueza si rivolse al re per avere gli aiuti economici necessari per la propria sopravvivenza. Oltre alla magnanimità reale, che solitamente attendeva proprio certe occasioni per manifestarsi,190 i parenti ed eredi di don Pedro dovettero affidarsi, negli anni successivi, anche alle proprie capacità e ad una buona dose di combattività per riscattare almeno parzialmente il nome della famiglia e ottenere indietro una parte delle antiche ricchezze. Il figlio maggiore, il più volte citato Martín Valerio, intraprese in particolare una lunga battaglia legale con la Corona per vedersi restituiti i vecchi possedimenti valenciani espropriati in sede giudiziale e con essi il titolo nobiliare di conte di Villalonga, nel frattempo assegnato ai duchi di Gandía. Dopo una disputa durata un decennio, Martín Valerio ottenne solo una parte dei vecchi possedimenti paterni, vale a dire Villafranqueza, Navajas e Benimelich, ed il titolo di conte di Villafranqueza.191 Gli sforzi profusi nel corso di tutta la vita per cercare di pareggiare i conti con il destino familiare non riuscirono tuttavia a far tornare i fasti della passata ricchezza, dal momento che i Franqueza dovettero fare per sempre i conti con i debiti generati dalle vicende giudiziarie del vecchio capofamiglia.192

Tra i figli di quest’ultimo, oltre a Martín Valerio e a quattro femmine, vi era anche Josep, o José, un ecclesiastico che, a distanza di anni dalla morte del padre, inviò a Filippo IV un memoriale che costituisce l’unico documento, naturalmente privo di qualsiasi valore giuridico, che ci sia arrivato in difesa di Pedro Franqueza e contro le accuse che lo coinvolsero.193

187 Ibidem.

188 Non essendoci descargos né memoriali difensivi, l’attenzione degli storici che si sono dedicati a questo processo si è

soffermata soprattutto sulla detenzione di Franqueza e sulle sue recriminazioni. Sulla stessa scia, oltre ai testi più volte citati di Torras i Ribé e Gómez Rivero, anche le pagine dedicate al tema da Alvar Ezquerra, El Duque de Lerma, cit., pp. 259-278.

189 AHN, sección Nobleza Toledo, Torrelaguna, c. 410. Nel 1626, l’abate del convento scriverà al re Filippo IV,

chiedendo la restituzione del corpo di Franqueza ai suoi familiari e l’invio di una parte dei beni sequestrati all’ex segretario di Stato per pagare i dodici anni di deposito della salma: AHN, E, leg. 718/15.

190 Per alcuni esempi, si veda ancora AHN, sección Nobleza Toledo, Torrelaguna, c. 410.

191 AHN, sección Nobleza Toledo, Osuna, c. 793, d. 1-43. La data in cui Filippo IV ordinò la restituzione dei vecchi

possedimenti a Martín Valerio Franqueza è l’8 ottobre 1622.

192

Martín Valerio prese parte a numerose spedizioni militari e accompagnò anche Filippo IV nella jornada in Catalogna del 1642. Sposatosi già nel 1603, grazie al potere del padre, con Catalina de la Cerda y Mendoza, sorella del conte di Coruña, morì tuttavia senza eredi il 17 agosto 1659: cfr. Torras i Ribé, La “Visita” contra Pedro Franquesa, cit.

193

BNE, VE, 68-6, ff. 1-6. Josep Franqueza era anche membro del Colegio Mayor de Oviedo de la Universidad de

Salamanca. La data del memoriale non è specificata, ma esso fu scritto sicuramente dopo il 1622, dato che si fa

Tuttavia, esso non può essere neanche lontanamente paragonato ai testi prodotti dalla difesa di Ramírez de Prado poiché, a differenza che in questi ultimi, l’autore non tenta di giustificare l’operato dell’accusato alla luce della situazione economica della Monarchia o degli equilibri di corte, relazionandolo anche con il potere del valido e con l’influenza di questi su Filippo III, bensì si limita a riproporre le stesse proteste e recriminazioni avanzate durante il processo dal primogenito e dagli avvocati di Franqueza. Così, dopo aver ricordato i 45 anni di servizio ininterrotto prestato dal padre alla Corona, Josep si scaglia contro l’invadenza di Godoy, l’esagerato rigore di Carrillo,194

il rifiuto di consegnare alla difesa le carte necessarie al

descargo, il divieto di libera comunicazione con i propri avvocati e la durezza di una prigionia

non riservata mai prima ad altri, fatta di sequestro preventivo dei beni, perdita dell’onore, mancanza di qualsiasi notizia e di qualsiasi contatto con la propria famiglia, impossibilità persino di adempiere ai più semplici doveri di cristiano.195 Oltre a ciò, Josep Franqueza cerca di giustificare la ricchezza del padre con l’enorme numero di incarichi che accumulò196

e con la generosità delle mercedes di Filippo III e della regina, di cui il conte di Villalonga fu il segretario. Contro di lui si sollevarono, sempre secondo la ricostruzione del figlio, tutti i tribunali della Monarchia, minacciando con il carcere e la tortura tutti coloro che avessero potuto testimoniare nel processo,197 sottoponendolo al giudizio del Tribunale dell’Inquisizione pur non avendo commesso alcun reato che ne rientrasse nella sfera di competenza,198 negandogli il diritto di essere giudicato all’interno dell’Ordine di Montesa, di cui era cavaliere,199 e i privilegi garantiti dall’essere suddito della Corona d’Aragona. Molto

194 Carrillo viene anche accusato di aver ingannato l’imputato in occasione della confessione rilasciata nel febbraio

1607, quando lo convinse a raccontare determinati fatti affinchè il re potesse usare la sua acostumbrada y Christiana

clemencia, usando poi quella confessione come unica base su cui costruire gran parte dei cargos.

195 Tale prigionia, durata 7 anni e 11 mesi, viene definita una muerte dilatada, y vivir muriendo: ivi, f. 5r.

196 Ben 21 erano gli incarichi ricoperti da Pedro Franqueza, per cui era normale che egli fosse più ricco di altri ministri.

Anche se, ricorda Josep, fue mas el ruido que la verdad, nel senso che nella sua casa non si trovò quell’immenso patrimonio che si volle far credere. Sul mayorazgo fondato dai conti di Villalonga, allo stesso modo, non vi era alcun