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2 – CONSIGLI AL PRINCIPE E AI PRIVADOS NELLA SPAGNA DEL PRIMO CINQUECENTO

IL PRIVADO NELLA STORIA E NELLA CULTURA DELLA SPAGNA DEL XVI SECOLO

I. 2 – CONSIGLI AL PRINCIPE E AI PRIVADOS NELLA SPAGNA DEL PRIMO CINQUECENTO

Nella Spagna della prima metà del XVI secolo, la figura del privado compare raramente nella produzione letteraria e trattatistica. La ragione principale di questa assenza risiede nello stile di governo adottato dai sovrani che ressero le sorti della Monarchia di quegli anni. Tanto i Re Cattolici quanto il loro nipote, l’imperatore Carlo V, optarono infatti per un controllo diretto dell’amministrazione e del governo, negando così qualsiasi forma di protagonismo alla nobiltà e a potenziali aspiranti favoriti. Con Carlo V, in particolare, la Spagna assunse quella dimensione “imperiale” che ne contraddistinse la storia nei due secoli successivi e ne determinò la struttura polisinodale tipica del governo sotto la dinastia degli Asburgo. Fu a partire dagli anni Venti del Cinquecento, infatti, che la Monarchia spagnola vide formarsi il suo sistema di Consejos,12 dalla ristrutturazione del Consejo de Castilla, alla nascita di quelli di

Guerra (1517),13 Estado (1522),14 Hacienda (1523)15 e Indias (1524).16 La vastità dei dominii di Carlo V, unita alla presenza saltuaria e sempre per brevi periodi del sovrano sul suolo iberico, crearono la necessità di una struttura di governo complessa, inizialmente dominata dalla figura del gran Cancelliere Mercurino Gattinara.17 Dopo la morte di questi, la corte poliglotta e internazionale del primo degli Austrias mayores vide la scomparsa della figura borgognona del gran Cancelliere e l’istituzione di due distinte segreterie. Una, che si occupava

la fortuna e Mosén Diego de Valera, Tratado de Providencia contra Fortuna, oltre al già citato El laberinto de Fortuna

di Juan de Mena.

11

Oltre all’analisi di MacCurdy, interessante anche lo studio di D.Havener, Some Literary Treatments of Don Álvaro de

Luna, Louisiana State University 1942.

12 J.H. Elliott, La Spagna Imperiale, Bologna 1982 (ediz. originale London 1963), pp. 183-239. 13

J.C. Domínguez Nafría, El Real y Supremo Consejo de Guerra (siglos XVI-XVIII), Madrid 2001.

14

F. Barrios, El Consejo de Estado de la monarquía española, 1521-1812, Madrid 1984.

15 C.J. de Carlos Morales, El Consejo de Hacienda de Castilla, 1523-1602, Valladolid 1996.

16 E. Schäfer, El Consejo Real y Supremo de las Indias: su historia, organización y labor administrativa hasta la

terminación de la Casa de Austria, Madrid 2003.

17 J.M. Headley, The Emperor and his Chancellor. A Study of the Imperial Chancellery under Gattinara, Cambridge

di tutte le questioni inerenti la Castiglia, venne presieduta da Francisco de los Cobos,18 mentre l’altra, che gestiva la parte franco-borgognona dell’impero di Carlo V, fu affidata ai Perrenot, prima a Nicholas e poi al figlio Antoine, più famoso in seguito come cardinale di Granvelle.19

In tale situazione, contraddistinta dall’assenza di una corte stabile e da quella, assai frequente, dello stesso sovrano, la figura del privado non esiste. Pertanto, in campo teorico l’unica opera in merito risulta quella del frate francescano Antonio de Guevara, Aviso de

privados y doctrina de cortesanos. Guevara, uno degli autori più prolifici del Rinascimento

spagnolo, porta in questo trattato la sua esperienza personale di vita a corte, rivolgendosi in particolare proprio a coloro che aspirano a conquistarsi il favore del sovrano. Già nel Prologo, Guevara espone dieci consigli che ogni privado dovrebbe seguire per conquistare una posizione preminente e mantenerla. Colui che occupa il vertice del potere non può semplicemente scenderne, ma ne precipita: per evitare la caduta, egli deve circondarsi di persone di valore, pronte a dirgli la verità anziché ad adularlo. Egli, inoltre, deve cercare, per quanto possibile, di non far del male a nessuno, perché le lacrime e le lamentele dei danneggiati giungerebbero presto alle orecchie di Dio e del re; nella distribuzione di favori e uffici, non deve guardare solo a chi gli è amico, ma anche a chi è buon cristiano; deve tenere a mente che tutti coloro che adesso lo circondano, scompariranno nel momento del bisogno; deve ricordarsi sempre che el que mas privado es, mas mirado es, mas notado y aun es mas

accusado. Nel prosieguo del suo discorso, Guevara cita la propria esperienza personale a corte,

luogo di diffamazioni, invidie e accuse, per affrontare il quale serve più coraggio che per andare in guerra.20 Il cortigiano, e ancor di più il privado, non godono di libertà, perché ogni loro gesto viene osservato e giudicato, perché per vivere a corte sono costretti a spendere più di quanto non abbiano, perché si vedono travolti dalle richieste di parenti e amici affinchè li favoriscano in qualche loro pretesa, perché, in definitiva, per vivere a corte c’è la necessità di porsi al servizio di qualcuno.21 Rivolgendosi a chi vi entra per la prima volta, Guevara raccomanda di tentare di instaurare buoni rapporti con tutti e di evitare di farsi aperte inimicizie, tanto più tra personaggi influenti che godono della fiducia del re:

Entre los que uviere de conoscer sean principalmente los que al rey fueren mas acceptos: a los cuales le conviene seguir y aun servir: porque al fin no ay rey que no tenga lexos a otro rey que le contradiga: y cabe si a un privado que le mande. Plutarcho escriviendo a Trajano dize estas palabras: compassion tengo de ti Trajano en verte que de libre te tornaste siervo el dia que acceptaste el imperio romano: porque la libertad teneys los principes autoridad de darla, mas no de tomarla. Y dize mas que los principes son libres soys mas subjectos que todos: porque si mandays muchos en casas agenas: uno os manda en una casa propia. Que al principe manden

18 H. Keniston, Francisco de los Cobos, secretary of the Emperor Charles V, Pittsburgh 1959. 19

M. Van Durme, El Cardenal Granvela, Barcelona 1957 (ediz. originale Bruxelles 1953).

20 A. de Guevara, Aviso de privados y doctrina de cortesanos, Valladolid 1539, ff. 1-3v. 21 Ibidem.

muchos o el se aconsege con pocos, o que el quiera mas a uno que a otro o se dexe mandar de uno solo: no cure el buen cortesano de tomar la boz deste pleyto: porque podria le de alli succeder que luego en palacio lo començasse a sentir, y despues a su casa lo fuesse a acabar de llorar. Ya que uno no puede llegar a ser privado, no me parece mal consejo que el tal trabage de ser privado del privado. A las vezes tanto daña caer en desgracia del privado que priva como caer en la yra del principe que reyna. Las palabras que dezimos de los principes sino son escandalosas pocas vezes llegan a sus orejas: mas si ponemos la lengua en sus privados a la hora saben lo que dellos pensamos22.

Diventare privado del privado è dunque una strategia quasi obbligata per far carriera all’interno della corte, magari cercando di avvicinarsi prima agli uomini di fiducia del favorito, perché si el principe tiene un privado que le govierna, tambien tiene el privado un criado que

le manda.23 La posizione del favorito, tuttavia, non è affatto da invidiare secondo Guevara: egli infatti verrà incolpato di tutto, chi vedrà respinte le proprie richieste incolperà lui e non il sovrano, l’invidia porterà la gente ad accusarlo di qualsiasi cosa, persino i familiari potrebbero rivoltarglisi, spinti dalla brama di potere. L’impossibilità di accontentare tutti e l’invidia di coloro che vengono esclusi dal potere sono i principali nemici del privado.24 Tra i suoi obiettivi invece, il primario deve essere quello di sveltire il despacho de los negocios, dando risposte chiare e rapide all’enorme numero di persone che giungono a corte ogni giorno alla ricerca di onori e utili, consapevoli del fatto che por ninguna manera osen yr alla sin que lleven la bolsa

poblada de moneda y el coraçon afforrado de paciencia.25 Un punto significativo, sul quale

Guevara insiste, è la necessità, da parte del privado, di tenere sotto controllo i propri criados, che compiano il loro dovere e non esagerino nel chiedere. Anche perché, dei loro errori, si finirà con l’attribuire la colpa al loro patrono:

Quando el privado no es mas de uno y los negocios son muchos, nunca falta quien dize al principe que el no puede dar recaudo a todos y que los pueblos se pierden y los negociantes se quexan y el se enemista y la republica se altera […] deve alli mismo traer muy corregidos a los officiales que tiene puestos para expedir los negocios […] Los privados de los principes tales officiales y criados han de poner en sus escriptorios que sean en la condicion libres, en el tractamiento mansos, en las respuestas humildes, en los despachos solicitos, en las escripturas fieles, en la penula abiles, y en el dar y tomar limpios: por manera que tenga intento a cobrar para su amo amigos mas que no a ganarle dineros.26

Il fedele criado è fondamentale per il privado e per il mantenimento del suo potere. Se però egli tradisce le aspettattive, non si devono avere remore nel castigarlo:

22 Ivi, f. 9v. 23 Ivi, f. 10r. 24 Ivi, ff. 18v-20r. 25 Ivi, f. 20v. 26 Ivi, f. 22r.

A la hora que el privado del principe sintiere que su oficial es absoluto y dissoluto, le deve gravemente castigar, y de su casa despedir: porque en tal caso no murmuran los que lo saben del criado que tales cosas haze, sino del amo que tales dissoluciones consiente.27

L’avidità, l’eccessiva brama di accumulare mercedes, titoli, incarichi e beni non devono accecare, ovviamente, neanche il privado, poiché l’eccessiva ricchezza gli farà guadagnare ulteriori nemici. La prima motivazione che deve spingere la sua azione deve essere l’amore e il servizio verso il proprio re.28

L’opera di Antonio de Guevara rappresenta davvero un unicum nel quadro della letteratura politica spagnola del XVI secolo. A differenza di altri autori e di altri testi, la figura del privado è protagonista sin dal titolo, ed è oggetto di una specifica riflessione. Nei decenni successivi, il problema del favorito del re, sia esso unico o assieme ad altri, verrà affrontato, spesso solo incidentalmente, all’interno di opere pensate per altri scopi, come un manuale per l’educazione dell’erede al trono o un trattato sul consiglio del Principe. Di quest’ultimo tipo di testo, l’esempio più famoso e dal quale prenderanno spunto molte successive riflessioni sul medesimo argomento, è El Concejo y Consejeros del Príncipe di Fadrique Furió Ceriol. L’opera venne pubblicata nel 1559, ad un anno dalla morte di Carlo V, per il nuovo re Filippo II. Furió Ceriol, umanista valenciano già autore del Bononia, sive de libris sacris in vernaculas

linguas traducendis libri duo,29 cercò d’altra parte in più occasioni, nel corso della sua vita, di fornire concretamente i suoi consigli al Rey Prudente, soprattutto in merito alla crisi nelle Fiandre che sarebbe scoppiata una decina d’anni dopo la pubblicazione del Concejo.30

Esso tuttavia doveva essere solo una parte di una gigantesca opera di scienza politica, mai portata a termine e concepita come una sorta di biglietto da visita capace di garantire all’autore un posto di rilievo tra i consiglieri del giovane sovrano. L’opera pubblicata nel 1559 era, nella mente dell’autore, solamente il libro introduttivo all’ultimo dei cinque trattati di cui doveva essere composta la sua mastodontica sintesi, capace di spaziare dal problema dell’origine del potere, fino a quello dell’educazione del principe o del rapporto tra il sovrano e i suoi sudditi. L’incompletezza del progetto, comunque, non impedì al Concejo di avere fama europea, con numerose traduzioni e un’indubbia influenza su trattati successivi.31

Particolarmente

27

Ibidem.

28 Ivi, ff. 24v-27r.

29 L’opera, edita a Basilea nel 1556, si poneva nel mezzo dell’infuocato dibattito religioso di quegli anni. 30

Sul percorso personale di Furió Ceriol e sulla sua proposta tanto religiosa quanto politico-civile, si veda L. D’Ascia,

Fadrique Furió Ceriol fra Erasmo e Machiavelli, in «Studi storici», 1999, pp. 551-584; Id., Fadrique Furió Ceriol consigliere del principe nella Spagna di Filippo II, in «Studi storici», 1999, pp. 1037-1086.

31 Negli articoli citati nella precedente nota, D’Ascia sottolinea, in particolare, l’influenza del pensiero di Furió Ceriol

su due opere distanti nel tempo ma incentrate sul medesimo argomento e quasi con lo stesso titolo: Del consejo y

consejeros de los Príncipes, di Felippe Bartolomé (Coimbra 1584) e Consejo y consejeros de príncipes, di Lorenzo

interessante è l’argomentazione, sviluppata nel primo capitolo, riguardo alla struttura da dare alla Monarchia spagnola, contraddistinta, come è noto, dall’azione dei Consejos. Il re, testa del corpo mistico del regno, ha bisogno degli arti, ovvero dei suoi Consejos, per vivere e governare il resto del corpo.32 Tali Consejos, secondo Furió, dovrebbero essere sette, e fra di essi assume una particolare importanza il Consejo de mercedes, organismo incaricato di vigilare che vengano premiati i meritevoli e sia arginata la piaga della corruzione a corte:

Porque si para los malos hai castigo, para los buenos i virtuosos tambien es razon haia premio. Todas quantas mercedes hiciere el Principe, han de passar por manos de este Concejo, i sin su determinacion ninguna merced se haga. Por falta de un tal Concejo vemos en Corte de Principes no ser conoscida la virtud; todas las mercedes se hacen por favor, o por buena mercaduria de contado. El hombre virtuoso i habil no es conocido, o es desechado, o tarde i mal alcanza un testimonio de su virtud; i por el contrario, el inhabil, el hipocrita, el malo, el chocarrero, el alcahuete es el que vale; este es amado, este es privado; a este se hacen las mercedes, i se dan los mas altos premios de virtud. Que se sigue de esto? Los buenos se indiñan, la indiñacion busca venganza, la venganza trahe parcialidades, las parcialidades causan alborotos, muertes, i a veces la perdicion del Principe con todo su estado.33

Il privado viene dunque indicato come un personaggio assolutamente negativo, che grazie al favore di cui gode presso il sovrano riesce ad accaparrarsi tutte le mercedes a scapito dei meritevoli. Come per Guevara, anche per Furió il privado cui ci si riferisce non è l’unico favorito del re che governa grazie ad un’ampia delega di poteri, come avverrà alcuni decenni più tardi, ma un qualsiasi cortigiano che vanti vicinanza e un qualche ascendente sul sovrano. Tuttavia, le obiezioni che questi autori muovono a tale figura rimarranno costanti nel tempo e figureranno tra i capi d’accusa mossi ai potenti favoriti del XVII secolo. Furió, in particolare, sottolinea a più riprese la necessità che il re si avvalga della collaborazione di più consiglieri, prestando attenzione a che alcuni fra loro non acquisiscano maggior potere siedendo contemporaneamente in più Consejos e accumulando dunque più incarichi.34

L’autore prosegue elencando le virtù morali e fisiche del perfetto consigliere, soffermandosi infine sull’importanza della scelta che il sovrano compie ponendo al suo fianco persone dotate di specifiche caratteristiche e prive di pericolosi vizi. Tra le categorie di persone che il re deve evitare, anche l’autore del Concejo pone i lisonjeros, ovvero gli adulatori, che per guadagnare potere sono pronti a mentire al loro monarca.35 L’attenzione rivolta contro questo genere di personaggi che popolano la corte, posta all’interno di una più generale riflessione sull’importanza della scelta del personale che deve lavorare a supporto del sovrano, dà inoltre l’occasione di dimostrare quanto il pensiero di Machiavelli eserciti già una grande

32 Per la presente ricerca si è consultato una ristampa madrilena de El Concejo y Consejeros del Príncipe del 1779. In

essa, il primo capitolo occupa le pp. 244-274.

33

Ivi, pp. 268-269.

34 Ivi, pp. 269-273. 35 Ivi, pp. 379-410.

influenza sul valenciano Furió e sulla letteratura politica spagnola di quegli anni. Nel XXII capitolo del Principe, pubblicato per la prima volta in Italia nel 1532, il segretario fiorentino scrive:

Non è di poca importanza a uno principe la elezione de’ ministri: e quali sono buoni o no secondo la prudenzia del principe. E la prima coniettura che si fa del cervello di uno signore, è vedere li huomini che lui ha d’intorno; e quando e’ sono sufficienti e fedeli, si può sempre reputarlo savio, perché ha saputo conoscerli sufficienti e mantenerli fedeli; ma, quando sieno altrimenti, sempre si può fare non buono iudizio di lui: perché el primo errore che fa, lo fa in questa elezione […] Quando tu vedi el ministro pensare più a sè che a te e che in tutte le azioni vi ricerca drento l’utile suo, questo tale così fatto mai sia buono ministro, mai te ne potrai fidare: perché quello che ha lo stato d’uno in mano, non debbe pensare mai a sè, ma sempre al principe, e non li ricordare mai cosa che non appartenga a lui. E dall’altro canto, el principe, per mantenerlo buono, debba pensare al ministro, onorandolo, faccendolo ricco, obligandoselo, participandoli li onori ed i carichi, acciò che vegga che non può stare sanza lui, e che gli assai onori non li faccino desiderare più ricchezze, gli assai carichi li faccino temere le mutazioni. Quando dunque e ministri, e li principi circa e ministri, sono così fatti, possono confidare l’uno dell’altro, e quando altrimenti, sempre il fine sia dannoso o per l’uno o per l’altro.36

Nel capitolo seguente, Machiavelli raccomanda al Principe di fuggire dagli adulatori e di cercare il consiglio di uomini saggi e sempre pronti a dirgli la verità. Di fronte al quesito se sia meglio averne numerosi, o ne basti uno solo “prudentissimo”, la risposta è che, in fin de’ conti, l’unico fattore che fa la differenza è la saggezza dello stesso Principe:

E perché molti esistimano che alcuno principe, el quale dà di sé opinione di prudente, sia così tenuto non per sua natura, ma per li buoni consigli che lui ha d’intorno, sanza dubbio s’ingannano. Perché questa è una regola generale che non falla mai: che uno principe, il quale non sia savio per se stesso, non può essere consigliato bene, se già a sorte non si rimettessi in uno solo che al tutto lo governassi, che fussi uomo prudentissimo. In questo caso, potria bene essere, ma durerebbe poco, perché quello governatore in breve tempo li torrebbe lo stato; ma, consigliandosi con più d’uno, uno principe che non sia savio, non arà mai e consigli uniti, nè saprà per se stesso unirli; de’ consiglieri ciascuno penserà alla proprietà sua: lui non li saprà correggere né conoscere. E non si possono trovare altrimenti; perché li uomini sempre ti riusciranno tristi, se da una necessità non sono fatti buoni. Però si conclude, che li buoni consigli, da qualunque venghino, conviene naschino dalla prudenzia del principe, e non la prudenzia del principe da’ buoni consigli.37

Il concetto espresso da Machiavelli risulta dunque chiaro: il principe è il primo responsabile della buona o cattiva amministrazione del regno, anche laddove gli eventuali errori e manchevolezze siano compiuti dai ministri che agiscono per suo conto e che sono stati da lui stesso scelti.

36 N.Machiavelli, Il Principe, edizione a cura di Luigi Russo, Firenze 1965, pp. 180-181.

37 Ivi, p. 184. Nell’opera di Furió risulta evidente, oltre all’influenza del Principe, anche quella del Cortegiano di

Baldassarre Castiglione, tradotto per la prima volta in castigliano nel 1534. Al riguardo, si veda D’Ascia, Fadrique

Furió Ceriol consigliere del principe nella Spagna di Filippo II, cit.; P. Burke, The Fortunes of the Courtier: the European Reception of Castiglione’s Cortegiano, London 1990.