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5 – L’EDUCAZIONE DEL PRINCIPE E L’ASCESA DI UN NUOVO PRIVADO

LETTERATURA POLITICA DEL SECONDO CINQUECENTO

I. 5 – L’EDUCAZIONE DEL PRINCIPE E L’ASCESA DI UN NUOVO PRIVADO

La preoccupazione per l’erede al trono accompagnò Filippo II per tutto il corso della sua vita. Il Rey Prudente si sposò complessivamente quattro volte. Dall’unione con la prima moglie, la portoghese Maria Emanuela d’Aviz, nacque nel 1545 lo sfortunato don Carlos, morto, probabilmente suicida, nel 1568.136 Dopo l’infruttuoso matrimonio con l’inglese Maria Tudor, la terza sposa del sovrano, la francese Isabella di Valois, gli diede le due amatissime figlie Isabel e Catalina, ma nessun figlio maschio. Morta Isabel nello stesso anno di don Carlos, Filippo fu costretto a risposarsi con la nipote Anna d’Austria, figlia dell’imperatore Massimiliano II e della sorella del sovrano iberico, Maria d’Asburgo. In dieci anni di matrimonio (1570-1580), Anna diede alla luce quattro figli maschi, che tuttavia morirono quasi tutti dopo pochi anni.137 Il 21 novembre 1582, alla morte del principe Diego, l’unico erede di Filippo II rimasto in vita era il quarto figlio del suo quarto matrimonio, il cagionevole Felipe, nato il 3 aprile 1578. Il nuovo principe, che fu il primo nella storia a ricevere il giuramento di fedeltà da tutti i regni che componevano la penisola iberica,138 aveva avuto non poche difficoltà

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Ivi, pp. 128-140, e poi ancora pp. 140-155, quando l’attenzione si sposta sull’operato di Presidenti, vicerè e governatori.

135 Ivi, pp. 155-170. 136

Sulla morte di don Carlos e su tutte le dicerie, più o meno fondate, nate attorno ad essa e che attirarono la fantasia, nei secoli successivi, di scrittori e compositori, cfr. Parker, Un solo re, un solo impero, cit., pp. 109-118.

137 I primi tre figli di Filippo II e Anna morirono tutti bambini: Fernando (1571-1578), Carlos Lorenzo (1573-1575),

Diego Félix (1575-1582).

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A giurare fedeltà al principe furono: il regno di Portogallo nel 1583, il regno di Castiglia nel 1584, i regni di Catalogna, Aragona e Valencia nel 1585, il regno di Navarra nel 1586. Cfr. P. Williams, The great favourite: the Duke

a sopravvivere nei suoi primi anni di vita, a causa di molteplici problemi di salute.139 Sin dalla più tenera età, il giovane Filippo mostrò le doti che lo avrebbero caratterizzato per tutta la vita, vale a dire la bontà, la devozione religiosa, la fedele obbedienza agli ordini del padre e la passione per la caccia e l’equitazione. Molto abile nelle attività fisiche ma non altrettanto nello studio, il principe fu sottoposto ad una severa educazione per volere del padre, il quale cercò di trasmettere al suo erede le stesse raccomandazioni che egli aveva ricevuto da Carlo V.140 Nel ruolo di maestro del principe, incaricato della sua formazione religiosa e culturale, fu scelto l’arcivescovo di Toledo, García de Loaysa,141

mentre come ayo, vale a dire come tutore adibito all’educazione mondana del giovane, fu nominato in un primo momento l’ex vicerè di Napoli Juan de Zúñiga, già designato in precedenza per lo stesso incarico quando era ancora in vita il principe Diego.142 Alla morte di Zúñiga nel 1586, Filippo II avrebbe voluto al suo posto il fedelissimo Cristóbal de Moura, il quale però rifiutò, temendo che l’aristocrazia castigliana non avrebbe accettato un portoghese nel delicato ruolo di ayo e mayordomo mayor del principe. Lo stesso Moura, quindi, propose ed ottenne la nomina di Gómez Dávila y Toledo, marchese di Velada, che oltre alla vicinanza al potente ministro del re poteva vantare una precedente esperienza al servizio di don Carlos tra 1553 e 1568.143

Nel corso degli anni, Filippo II diede a Loaysa e a Velada una serie di dettagliate istruzioni su come doveva essere condotta l’educazione del principe,144 comunque basata sul raggiungimento di tre obiettivi principali: la difesa della fede cattolica, il buon governo del

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Tra i tanti testi che riferiscono di questa debolezza di salute del futuro principe, si veda J. Yáñez, Adicciones a la

historia del marqués Virgilio Malvezzi, in Id., Memorias para la historia de España de don Felipe III Rey de España,

Madrid 1723, pp. 132-168.

140 Sull’educazione impartita al principe Filippo, cfr. J. Juderías, Los comienzos de una privanza, in «La Lectura» 15

(settembre 1915), pp. 62-71, 405-414. Juderías, in particolare, sottolinea il ruolo negativo svolto da questa soffocante educazione cui fu sottoposto il principe sullo sviluppo della personalità di quest’ultimo. La mancanza di dialogo con il padre e il ferreo controllo esercitato su di lui spinsero il giovane Filippo ad una acritica obbedienza agli ordini del re, forgiando quella debolezza di carattere che, per Juderías come per molti altri autori tra XIX secolo e primi decenni del XX, permise il nascere del regime dei validos. Un ruolo decisivo su questa errata strategia lo avrebbe avuto il ricordo negativo della sorte di don Carlos. Si vedano in particolare le pagine 69-71.

141 Loaysa era anche membro del Consejo de Estado e del Consejo de Inquisición. 142

G. González Dávila, Historia de la vida y hechos del ínclito monarca, amado y santo Don Felipe Tercero, Madrid 1632, in P. Salazar de Mendoza, Monarquía de España, t. III, Madrid 1771, pp. 13-18.

143 Cfr. Martínez Hernández, El Marqués de Velada, cit., pp. 245-303; Id., Pedagogía en palacio: el Marqués de Velada

y la educación del Príncipe Felipe (III), 1587-1598, in «Reales Sitios», XXXVI/142 (1999), pp. 34-49 ; Id., La educación de Felipe III, in J. Martínez Millán, M.A. Visceglia (a cura di), La corte de Felipe III, 4 voll., Madrid 2008,

vol. III, pp. 83-146. Come Martínez Hernández mette in luce, Velada fu un educatore abbastanza accondiscendente, pronto ad assecondare i gusti del giovane principe, che in cambio gli mostrerà sempre il suo favore. Discorso diverso per Loaysa: la sua severità lo resero assai poco gradito al futuro Rey Piadoso.

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Per conoscere con maggior dettaglio l’educazione ricevuta dal futuro Filippo III, si veda, oltre ai testi già citati, anche L. Cortes Echanove, Nacimiento y crianza de las personas reales en la Corte de España, 1566-1886, Madrid 1958; Feros, El Duque de Lerma, cit., pp. 39-74. Feros cita molti pareri dei contemporanei sulle doti e il comportamento del principe, pareri che da un lato, come nel caso dell’ambasciatore veneziano Agostino Nani, ne esaltavano la lealtà e l’obbedienza ai dettami paterni, in contrasto con lo scandaloso comportamento del defunto fratello maggiore Carlos; dall’altro lato, però, ne denunciavano la mancanza di maturità e personalità, come nel caso di Juan de Silva, conte di Portalegre (Feros, El Duque de Lerma, p. 51).

regno e la retta amministrazione della giustizia.145 Dal canto loro, gli educatori, in particolar modo Loaysa, tennero costantemente informato il re dei progressi del principe, soprattutto in un celebre rapporto che il sovrano stesso aveva richiesto e che gli fu consegnato nell’ottobre del 1596.146 In esso, Loaysa celebrava nel futuro re le doti della religiosità, dell’onestà e dell’obbedienza agli ordini paterni, la buona intelligenza e la totale mancanza di vizi (a parte il dormire troppo). Accanto a questo, non dovevano essere dimenticate, tuttavia, le mancanze del principe, tra cui l’eccessiva riservatezza e inflessibilità, i modi altezzosi e la crescente inaccessibilità. Per porvi rimedio, Loaysa suggerì, da un lato, di spingere il principe ad aprirsi maggiormente, facendogli frequentare più cortigiani e invitandolo a presenziare qualche cerimonia pubblica, dall’altro, di farlo esercitare nell’attività politica, ordinandogli di assistere alle sedute dei Consejos e di inviare al padre dei resoconti su quanto vi si era discusso. Il permesso di conferire mercedes ai propri servitori avrebbe poi rafforzato la consapevolezza del proprio compito e dei rispettivi obblighi, mentre la compagnia di honrados y virtuosos

cavalleros avrebbe contribuito a tenere lontano dal principe le cattive compagnie.

In realtà, nel 1596 il futuro re aveva già cominciato a fare pratica politica, presiedendo al posto del padre la Junta de Gobierno. In una carta del 30 luglio 1595,147 Filippo II aveva espresso al figlio il desiderio di vederlo deciso ad assumersi le proprie responsabilità, prendendo parte alle riunioni della Junta e sostituendo suo padre in tutte le occasioni in cui i malanni e l’età avessero impedito al sovrano di essere presente. Il principe prese così il posto dell’arciduca Alberto, nel frattempo partito per le Fiandre, alla guida della Junta de Gobierno, cominciando contemporaneamente a firmare documenti ufficiali al posto del padre.148 Potendolo osservare all’opera nel corso di quegli anni, pare comunque che il Rey Prudente non si fosse fatto un giudizio molto positivo delle capacità di governo e di comando del suo erede al trono. La celebre frase «Dios que me ha dado tantos territorios no me ha dado un hijo capaz

de gobernarlos. Temo que me lo gobiernen», pronunciata da Filippo II149, potrebbe essere solo

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Ivi, pp. 56-58; Juderías, Los comienzos, cit., p. 68; González Dávila, Historia de la vida, cit., pp. 14-17. Nell’educazione del principe svolse un ruolo importante anche l’imperatrice Maria, tornata a Madrid nel 1582 dopo la morte di Massimiliano II. Sull’influenza esercitata da Maria, che visse gli ultimi vent’anni della sua vita nel monastero delle Descalzas Reales, verso Filippo III principe e poi giovane re, si veda M. Sánchez, The Empress, the Queen and the

Nun: Women and Power at the Court of Philip III of Spain, Baltimora 1998.

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Tale relazione è inclusa in González Dávila, Historia de la vida, cit., pp. 20-22; Id., Teatro de las Grandezas de la

villa de Madrid corte de los Reyes Católicos de España, Madrid 1623, pp. 43-46. Della relazione, comunque, esistono

anche molte copie manoscritte: ad esempio, BNE, Mss. 2341, ff. 97v-99r, o anche BPR, II/1947.

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IVDJ, E29, exp. 8.

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Negli ultimi anni di vita, e in particolare dal 1595, Filippo II visse periodi di intenso dolore fisico, che gli impedirono di adempiere ai suoi doveri istituzionali. L’ultimo documento ufficiale che porta la sua firma, su una consulta del

Consejo de Guerra, è datato 13 settembre 1597, esattamente un anno prima della morte. Cfr. Williams, Philip III and the restoration, cit., p. 755.

149 La frase è stata riportata da vari storici. In tempi recenti, ad esempio, da F. Díaz Plaja, La vida y la época de Felipe

una voce di corte, come ipotizzato da Antonio Feros,150 ma è senz’altro indicativa dei dubbi che assalivano in molti circa il reale valore del futuro sovrano.

Il timore che potesse essere governato, anziché governare in prima persona, faceva riferimento al rapporto preferenziale che già da tempo era riuscito a costruirsi con il principe un aristocratico proveniente dal regno di Valencia: Francisco Gómez de Sandoval, marchese di Denia. In verità, questi discendeva da una delle famiglie di più antico lignaggio della penisola iberica, originaria della Castiglia.151 L’episodio decisivo nella storia familiare si colloca nel XV secolo e vede coinvolto il più volte citato Álvaro de Luna. Divenuti sempre più ricchi e potenti al seguito della Reconquista, i Sandoval presero parte alle lotte dinastiche che videro contrapposti la fazione guidata dal re di Castiglia Juan II e dal suo favorito con la fazione capeggiata dai cosiddetti “infanti d’Aragona”, figli del re d’Aragona Fernando de Antequera. Schieratisi con questi ultimi e risultati alla fine sconfitti, la famiglia e il suo capo Diego Gómez de Sandoval, conte di Castro, subirono gravi perdite, oltre che nell’onore, anche sul piano patrimoniale: banditi dalla Castiglia, persero infatti tutti i loro territori compresi nel regno, tra cui la futura contea di Lerma, non rimanendogli altro che i possedimenti compresi nella corona d’Aragona, tra cui la città di Denia. Il recupero di questi territori e dei titoli ad essi annessi costituì, da quel momento, il principale obiettivo della famiglia per i due secoli successivi. Il primo tentativo di riscatto arrivò dopo la morte di Juan II, in occasione della lotta dinastica tra Enrico IV di Castiglia e i sostenitori di Fernando d’Aragona e Isabella di Castiglia. Benchè in questa occasione i Sandoval scelsero lo schieramento giusto nel quale porsi, ovvero quello vincente dei Re Cattolici, la promessa ricevuta di avere indietro terre e titoli venne disattesa: oltre al titolo di marchesi di Denia152 e all’incarico di mayordomo mayor di re Fernando per il nuovo capo del clan Bernardo de Sandoval, la famiglia ottenne la restituzione solo di una minima parte delle terre loro confiscate.153 Con Carlo V, arrivò il titolo di grandes di Spagna, che sanciva l’ingresso nella prima e più antica nobiltà della penisola, ricompensa data

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Feros, El Duque de Lerma, cit., p. 75. Feros ricorda a tal proposito che non esistono prove documentali di questi presunti timori di Filippo II riguardo al suo erede, e che traccia di essi si trovano solo in testi posteriori al 1621, cioè dopo la morte di Filippo III. Ne parla, ad esempio, Yáñez, Adicciones, cit., che scrive nel XVIII secolo: [Felipe II] llegò

a comprehender, que su Genio era mas inclinado a ser mandado, que a mandar, p. 136.

151 Sulla storia dei Sandoval e di Francisco, V marchese di Denia, si veda Feros, El Duque de Lerma, cit., pp. 76-107;

Williams, The great favourite, cit., pp. 15-31; A. Alvar Ezquerra, El Duque de Lerma. Corrupción y desmoralización en

la España del siglo XVII, Madrid 2010, pp. 45-116; B.J. García García, Los marqueses de Denia en la corte de Felipe II. Linaje, servicio y virtud, in J. Martínez Millán (a cura di), Europa dividida. La Monarquía Católica de Felipe II,

Madrid 1998, vol. II, pp. 305-331; Juderías, Los comienzos, cit., pp. 405-410.

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Cfr. L. Mas-Gil, El Condado Marquesado de Denia, Madrid 1964.

153 Sui motivi del mancato rispetto, da parte dei Re Cattolici, della promessa fatta ai Sandoval, gli storici sono concordi

nell’indicare una situazione assai complicata, in cui i territori che erano appartenuti ai nuovi marchesi di Denia erano nel frattempo passati ad altre famiglie che, parimenti, si erano distinte nella lotta al fianco di Fernando e Isabella. Inoltre, i Sandoval erano legati soprattutto a Fernando, che non disponeva dell’autorità politica sufficiente per potersi imporre in affari interni al regno governato dalla sua consorte.

dall’imperatore a coloro che lo avevano appoggiato nella rivolta dei comuneros. Se degli antichi territori non se ne vide ancora traccia, i Sandoval ottennero il titolo di conti di Lerma, assieme all’importante traguardo di entrare a corte grazie all’incarico di mayordomo mayor della regina Giovanna, madre di Carlo, attribuito sempre a don Bernardo.154 Quello che ben presto si trasformò nell’ingrato compito di far da carcerieri alla sovrana passata alla storia con l’appellativo “la pazza”, portò più di una generazione di Sandoval a nascere e vivere nella fortezza di Tordesillas.

Proprio a Tordesillas, nel 1553, nacque Francisco Gómez de Sandoval, figlio primogenito di Francisco, gentiluomo al servizio di don Carlos per molti anni e fino alla morte del principe, e della figlia di San Francisco de Borja, duca di Gandía. Alla morte del padre, nel 1575, il nuovo marchese di Denia si ritrovò alla guida di un clan che vantava titoli e antico lignaggio ma non altrettanto prospere finanze. L’obiettivo di don Francisco divenne così quello di risollevare le sorti economiche della famiglia, e allo stesso tempo di ottenere indietro quei territori che, dai tempi di Álvaro de Luna, i suoi antenati avevano rivendicato. Per raggiungere tali obiettivi, Denia sapeva bene di doversi calare nella lotta fazionale che animava la corte di Filippo II, seguendo in questo l’esempio di suo padre che, dopo la nomina a gentiluomo della

cámara del sovrano nel 1570, aveva deciso di schierarsi con la fazione capeggiata dal principe

di Éboli. Venuta meno tale fazione a seguito della morte di Ruy Gómez e della caduta in disgrazia di Antonio Pérez, don Francisco si ritrovò nella spiacevole situazione di non avere più protettori a corte. Sposatosi nel frattempo con Catalina de la Cerda, figlia del duca di Medinaceli, al marchese non rimase che appellarsi al segretario Mateo Vázquez, se non altro per risollevare la disastrosa situazione finanziaria di una famiglia che, vivendo a corte, spendeva al di sopra delle proprie possibilità. Debiti ereditati da padri e nonni, uniti alla mancanza di incarichi di prestigio e relativi stipendi, erano ciò che Denia cercava di rendere noto al potente segretario, pregandolo di intercere per suo conto presso il re.155 La nota riluttanza di Filippo II a concedere mercedes e titoli ai suoi sudditi non fece però eccezione con Denia, che pure aveva già avuto modo di farsi apprezzare dal sovrano in occasione del viaggio in Portogallo del 1580. Il marchese, infatti, era riuscito ad ottenere, grazie all’intermediazione dello zio Rodrigo de Castro, arcivescovo di Siviglia, l’ingresso nel seguito del re e la nomina a

gentilhombre de la cámara real. Tuttavia, il viaggio assieme al sovrano in Portogallo, e anche

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Sulla durezza della custodia che don Bernardo inflisse a Giovanna, quasi ai limiti della crudeltà, si veda Juderías, Los

comienzos, cit., pp. 407-408.

155 Denia inviò più di un memoriale a Vázquez. Uno, citato anche da Feros, è del 1585, AHN, Consejos, leg. 4410, exp.

180. Un altro memoriale, questa volta del 1584, è invece conservato in IVDJ, E42, C54, 56. In entrambi, Denia chiede aiuto economico, prospettando come unica alternativa il ritiro dalla corte e il ritorno nelle terre valenciane. Una prospettiva, quest’ultima, che non si sarebbe mai tramutata in realtà, anche perché allontanandosi dalla corte e dunque dalla fonte della grazia regia, le possibilità di risalita sociale ed economica diventavano praticamente nulle.

quello successivo nella corona d’Aragona nel 1585, non permisero a Denia di ottenere quei ricoscimenti che riteneva gli fossero dovuti anche solo per la storia e la gloria della sua famiglia.

In quanto grande di Spagna, egli però aveva libero accesso alle stanze private del principe, con il quale tentò di instaurare un rapporto cordiale sin da quando questi era ancora un bambino. D’accordo con i testimoni dell’epoca,156

il marchese seppe conquistarsi la fiducia e l’affetto del giovane Filippo seguendo la strategia che molta trattatistica, a partire da Antonio de Guevara, aveva indicato per raggiungere il favore del sovrano: assecondarne i gusti e condividerne passioni e passatempi.157 Denia, tuttavia, non si accontentò di accompagnare il

futuro sovrano nelle battute di caccia e nelle cerimonie religiose, o di giocare con lui a carte,158 ma arrivò a prestargli denaro, pratica che in breve fu scoperta e duramente criticata dallo stesso Filippo II.159 Quest’ultimo episodio convinse il sovrano ad allontanare l’ambizioso aristocratico dalle stanze dell’erede al trono, in accordo con i suoi uomini di fiducia, Cristóbal de Moura in testa, che non potevano certo vedere di buon’occhio l’ascesa di Denia e la sua crescente influenza sul principe. Di fronte alla prospettiva di essere inviato come vicerè in Perú o nella Nueva España, a don Francisco non dovette dispiacere molto quando venne designato, per lo stesso incarico, ma nel regno di Valencia, dove si trovavano la maggior parte dei suoi possedimenti. Durante i due anni da vicerè (1595-1597), egli compì il suo incarico con buoni risultati,160 rimanendo comunque sempre in contatto con il principe tramite i suoi uomini rimasti a corte: il fratello Juan, nominato caballerizo del principe, l’amico Alonso Muriel de Valdivieso, ayuda de cámara del giovane Filippo, il correo mayor Juan de Tassis, lo zio Bernardo, vescovo di Jaen, e l’hombre de negocios Juan Pascual, vero e proprio tesoriere dei Sandoval.161 L’esilio valenciano durò comunque poco, appena due anni162. Al ritorno a Madrid,

156 Si veda, ad esempio, M. de Novoa, Memorias, in Historia de Felipe III, rey de España, CODOIN, 60-61, Madrid

1875, v. 60, pp. 31 e seguenti.

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C. Pérez Bustamante, Felipe III. Semblanza de un monarca y perfiles de una privanza, Madrid 1950. A pagina 39, riferendosi a Denia, l’autore scrive: Hábil y astuto, «sabía seguirle muy bien el genio y las conversaciones», le

acompañaba en sus ejercisios y devociones y le atendía en sus necesidades de dinero que eran muy grandes por la tremenda estrechez a que le sometían su padre y don Cristóbal de Moura […].

158 Il gioco delle carte rimase sempre un vizio comune a Filippo e al suo favorito. Il sovrano, in particolare, arriverà in