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CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE Dott.ssa Francesca LA MALFA

Donna e lavoro in Europa

CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE Dott.ssa Francesca LA MALFA

Componente C.P.O.M.

Allargata a 27 Stati membri, l’Unione Europea festeggia il 50°

anniversario della politica sulle pari opportunità per gli uomini e le donne e proprio nel 2007 celebra l’anno europeo per le eguali opportunità di tutti, quale finalità presente nell’art.13 del Trattato istitutivo dell’Unione.

Noi ci occupiamo qui, in particolare, delle Pari Opportunità di genere e nel corso del 2006 la Pari Opportunità tra uomini e donne ha conosciuto nell’Unione Europea due importanti avvenimenti:

l’adozione di una Tabella di marcia per la parità tra uomini e donne, che è una tabella di marcia pluriennale per il periodo 2006 – 2010 e l’adozione da parte del Consiglio Europeo del Patto per la parità di genere.

Con la Tabella di marcia la Commissione ha definito le priorità ed il suo quadro di azione per la promozione delle parità tra donne e uomini e assicurare che tutte le sue politiche contribuiscano a tale obiettivo.

Con il Patto europeo per la parità di genere gli Stati membri hanno consacrato il deciso impegno per l’attuazione delle politiche che hanno lo scopo di promuovere l’occupazione delle donne e garantire un equilibrio migliore tra la vita professionale e la vita privata allo scopo di rispondere alle sfide demografiche.

Le priorità strategiche individuate sono: combattere i divari tra uomini e donne nel mercato dell’occupazione agendo sull’istruzione e sulla formazione, sulla flessibilità, sui bisogni specifici dei gruppi meno favoriti; favorire un miglior equilibrio tra donne e uomini nella suddivisione delle responsabilità private e familiari; garantire l’attuazione effettiva del quadro legislativo nelle normative nazionali degli Stati.

Il quadro legislativo delle parità tra donne e uomini è stato considerevolmente migliorato con l’adozione nel giugno 2006 della Direttiva 54 che ha modernizzato la legislazione comunitaria esistente sulla parità di trattamento.

È recentissima, del 7 febbraio 2007, la relazione annuale della Commissione Europea al Consiglio e al Parlamento Europeo sull’evoluzione del processo di Pari Opportunità; e questo rapporto denuncia, in realtà, un panorama molto contraddittorio che presenta, da un lato, un incremento dell’occupazione femminile e dall’altro lato, invece, un rallentamento nella risoluzione dei problemi legati alla conciliazione vita/lavoro e alla segregazione professionale.

La parità uomini – donne è riconosciuta dall’UE come fattore di sviluppo economico ed indubbiamente dalla detta relazione emerge che l’occupazione delle donne è notevolmente aumentata negli ultimi anni; sei degli otto milioni di posti di lavoro creati nell’UE sono stati occupati dalle donne. Ciò però non deve occultare la situazione chiaramente sfavorevole delle donne sul mercato dell’occupazione; i divari restano importanti e sono sempre a svantaggio delle donne, con persistenti disparità nelle modalità di lavoro (lavoro a tempo parziale, contratti temporanei) e con segregazione del mercato dell’occupazione, che si riflettono in una differenza di remunerazione sensibile e persistente.

Lo Stato italiano pone, tra i principi fondamentali della Carta Costituzionale, la pari dignità e l’uguaglianza dei diritti dei cittadini, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche e condizioni sociali e personali e ne promuove il pieno rispetto e l’attuazione con una serie di interventi di carattere normativo, orientati alla formazione ed alla promozione di strumenti di contrasto alle discriminazioni.

In materia di parità di genere, è di recente approvazione il d.lgs.

11 aprile 2006, n. 198 recante “Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell’articolo 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246” che opera come testo unico della normativa vigente in materia di parità fra uomo e donna. Il Codice è suscettibile di ulteriore revisione per adeguarlo alla direttiva comunitaria n. 56/2006.

Quanto agli organismi deputati ad occuparsi delle attività antidiscriminatorie è il Comitato Nazionale di parità presso il Ministero del Lavoro.

Nel settore specifico che mi riguarda, che è quello della Magistratura, anche qui registriamo lo stesso scenario esistente a livello europeo, c’è un aumento dell’occupazione femminile: da oltre dieci anni, dal 1996, si è ormai registrato il “sorpasso” delle donne tra i vincitori di un concorso che, prevedendo una selezione anonima, non consente alcuna discriminazione.

Oggettive disparità di genere esistono per contro nello svolgimento della carriera poiché la professionalità e la competenza delle donne non sono adeguatamente valorizzate in un sistema in cui il criterio di selezione per gli incarichi direttivi è l’anzianità, laddove le donne sono state ammesse nelle aule di giustizia soltanto nel 1965.

Oggi la giurisdizione, luogo tradizionalmente appannaggio degli uomini, si avvia ad essere occupato da una maggioranza assoluta di donne che però sono scarsamente presenti nelle posizioni decisionali.

Su 436 posti direttivi solo 19 sono occupati da donne e su 693 posti semidirettivi alle donne ne sono affidati solo 67.

Un ulteriore svantaggio deriva dai criteri di selezione che valorizzano, accanto ai titoli professionali, il possesso di altri titoli, scientifici o didattici, poiché le donne hanno meno tempo per collaborazioni o attività extra sia perché sono assorbite da impegni familiari sia perché privilegiano l’impegno nel ruolo giurisdizionale in un’ottica di servizio e non di carriera. Si può affermare, come dato diffuso e generalizzato, che le donne ritengono che l’impegno giurisdizionale sia una missione rispetto alla quale sacrificare altri impegni extra, che sono visti come estranei direttamente al loro impegno.

Non è questo un problema della sola magistratura poiché secondo il rapporto europeo lo squilibrio tra donne e uomini persiste in tutti i posti dirigenziali, sia politici che economici. In Europa meno di un terzo dei dirigenti sono donne e i consigli di amministrazione delle 50 maggiori aziende europee quotate contavano una donna ogni dieci uomini nel 2005. Nei parlamenti nazionali la proporzione media delle donne è del 24% e al Parlamento europeo del 33%.

A fronte di una tale obiettiva situazione, tra le priorità strategiche segnalate dalla Commissione Europea nel febbraio 2007 vi è quella di

“intensificare gli sforzi volti ad eliminare gli ostacoli che impediscono l’accesso delle donne ai posti decisionali e dirigenziali”.

In Italia sono ancora molto forti anche le barriere nell’accesso delle donne ai ruoli apicali sia nelle imprese private che nel settore pubblico, quanto ancora nelle sedi di rappresentanza politica, con una presenza femminile nel Parlamento nazionale e negli organismi di governo di regioni, province, comuni e società pubbliche ben sotto la media europea e comunque tale da giustificare, da parte dello stesso Ministro per i Diritti e le Pari Opportunità, la possibilità di proporre l’introduzione delle cosiddette “ quote rosa”, come misura provvisoria funzionale a rafforzare la presenza femminile nei luoghi di governo.

La presenza femminile in Parlamento, infatti, nonostante un aumento verificatosi nella presente legislatura è, tuttora, al di sotto del 20%.

Anche le posizioni apicali delle pubbliche amministrazioni registrano un gap uomo - donna: nell’amministrazione centrale a fronte di quasi il 48% della presenza femminile nel complesso dei dipendenti pubblici solo il 27% sono le donne dirigenti e solo il 15% le donne dirigenti generali.

Ulteriore obiettivo individuato è quello della elaborazione, attuazione e controllo delle politiche di un sistema di flessibilità che, nel linguaggio della Commissione Europea, è stato individuato come problema della “flessicurezza”; significa quasi far quadrare il cerchio, cioè da un lato assicurare la flessibilità nel mercato del lavoro e, però, rafforzare al tempo stesso la sicurezza della occupazione.

Purtroppo ad oggi il problema della vulnerabilità della condizione femminile è una criticità emergente nel Paese.

Lo squilibrio fra i generi si manifesta in modo ancora più netto in alcune zone del Sud d’Italia in cui è ancora forte una visione tradizionalista e discriminatori del ruolo della donna. Se ne ha riprova anche nel numero di denunce di discriminazioni che giungono dalle donne ai centri di competenza in misura nettamente inferiore alla realtà, a causa delle maggiori difficoltà di emersione e disvelamento legate alle condizioni della donna.

Permane ancora in modo rilevante il gap delle donne con riguardo alla partecipazione attiva alla vita sociale, economica e politica del paese in primo luogo con riguardo al mercato del lavoro dove la popolazione femminile è maggiormente soggetta alla inoccupazione e disoccupazione, a disparità retributive, ad una minore crescita professionale.

Le cifre a consuntivo del 2005 descrivono, in tal senso, una condizione strutturale del mercato del lavoro, con una divaricazione della forbice tra occupati uomini e donne che va da un minimo di 19,5 punti percentuali nel Centro ad un massimo di 28 punti percentuali al Sud.

Le criticità non riguardano solo i meccanismi di accesso, di permanenza e di stabilizzazione del lavoro precario ma anche il riconoscimento di professionalità, ruoli e livelli salariali: su quest’ultimo versante, ad esempio, si constatano pesanti forme di differenziali salariali tra uomini e donne.

L’art. 4 della decisione n. 771/2006 che istituisce l’Anno europeo

riconosce la trasversalità del principio della parità tra i generi nell’ambito di tutte le politiche antidiscriminazione. In questa prospettiva, la Ministra per i diritti e le pari opportunità, Barbara Pollastrini, anche in occasione del decennale dalla istituzione del Ministero per le pari opportunità (1996), ha confermato più volte in Parlamento l’impegno di tutto il Governo a consolidare il principio del mainstreaming a tutti i livelli dell’azione politica. Impegno che risulta, ancor di più oggi, confermato alla luce della ridefinizione della mission del Dipartimento per i diritti e le pari opportunità per la affermazione di una nuova stagione definita come New Deal delle donne e, di conseguenza, New Deal di tutto il Paese.

Il principio di parità di genere assume, quindi, una rilevanza trasversale a tutti i settori tenendo conto della necessità di un trattamento bilanciato di tutti i fattori della discriminazione.

Ad incidere sulla permanenza delle donne nel mercato del lavoro, sono anche le problematiche inerenti la conciliazione vita-lavoro.

Considerato che i congedi parentali, le modificazioni dell’orario di lavoro e il sostegno al lavoro di cura attraverso l’offerta di servizi o di sussidi finanziari per l’acquisto di tali servizi, sono i principali strumenti utilizzati nei paesi europei per facilitare la partecipazione e continuità occupazionale delle donne con carichi familiari, i dati che si registrano finora in Italia sono ancora non allineati agli obiettivi di Lisbona né a quelli di Barcellona che prevedono entro il 2010 la fornitura di servizi di custodia per il 33% dei bambini da 0 a 3 anni e il 90% dei bambini da 3 anni all’età dell’obbligo scolastico.

Per quanto riguarda il problema della conciliazione lavoro-famiglia, l’esistenza di barriere all’accesso al lavoro per le donne dovute ai carichi familiari è testimoniata dal variare dei tassi di occupazione femminile al modificarsi del ruolo in famiglia e del numero dei figli. Secondo uno studio pubblicato nel 2004, sul target 35-44 anni, le single presentano i tassi di occupazione femminile più alti (86,5%) seguite dalle donne che vivono in coppia senza figli (71,9%) e, infine, da quelle che vivono in coppia con figli (51,5%);

fra queste ultime, i tassi più elevati sono relativi a donne con un solo figlio (63,8%) e i più bassi sono relativi a donne che ne hanno 3 o più (35,5%).

Gli obiettivi generali dell’Anno Europeo delle eguali opportunità sono stati individuati in quattro punti: diritti, rappresentatività, riconoscimento e rispetto.

“Aumentare e qualificare le presenze femminili nel mondo del lavoro

e nei vertici aziendali e della politica. Promuovere condizioni di effettiva conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro. Azzerare i differenziali salariali. Tutelare le vittime ma anche scardinare i fattori strutturali scatenanti le discriminazioni. Favorire un cambiamento culturale profondo, che parta dalle nuove generazioni, dal sistema educativo italiano, dal mondo del lavoro e dalla società civile, per pervenire ad un nuovo sistema di valori capace di rispettare ogni forma di diversità, indipendentemente dalle differenze”.

I Comitati vigileranno sulle modalità con cui tali temi saranno declinati dalla politica e a nome delle donne che essi rappresentano continueranno a proporre ed a chiedere ciò che sembra impossibile per la piena attuazione dei loro diritti poiché la storia, scriveva Max Weber dimostra che “il possibile non verrebbe raggiunto se nel mondo non venisse tentato sempre l’impossibile”.

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