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LE POLITICHE DELLE PARI OPPORTUNITA’ NEL SISTEMA GIURIDICO ITALIANO ED EUROPEO

Interventi sulla donna nelle istituzioni

LE POLITICHE DELLE PARI OPPORTUNITA’ NEL SISTEMA GIURIDICO ITALIANO ED EUROPEO

Sen. Anna FINOCCHIARO

Componente Commissione Giustizia - Senato della Repubblica

Questo è un tavolo di competenti, come si suol dire, e per compe-tenza qui si indica una compecompe-tenza di genere. Credo che partendo da Stefania Prestigiacomo, passando attraverso tutte le altre, me com-presa, la risposta alla questione che è stata avanzata in ordine alle azioni positive sarà una risposta univoca. Le azioni positive sono da considerarsi strumenti effimeri o devono restare come elementi strut-turali? Questo è il punto. Nessuna di noi ha mai pensato che le azioni positive dovessero essere considerate elementi strutturali di un siste-ma, per la ragione semplice che ciascuno di noi ha coltivato e coltiva la speranza che di azioni positive non ci sia più bisogno. La stessa straordinaria innovazione recata dall’articolo 51 della Costituzione, il cui merito va, innanzitutto, ascritto a Stefania Prestigiacomo e poi a tutte le altre che l’hanno sostenuto e votato, non ha avuto poi concre-to riscontro quando si è trattaconcre-to di prevedere l’applicazione dell’arti-colo nella legge elettorale. E’ evidente che in questo caso si trattava dell’affermazione di un principio che andava nutrito di azioni positive che, per quanto riguarda la rappresentanza di genere, ovviamente, si scontra con un modello di potere maschile che è un modello di pote-re maschile assolutamente arroccato. Quelle di noi che non erano fa-vorevoli, me compresa, all’introduzione del sistema delle quote, tipica azione positiva, si sono dovute arrendere di fronte all’incapacità delle classi dirigenti politiche maschili di cogliere lo straordinario fattore di innovazione e di trasformazione della società italiana, che è dato dal protagonismo delle donne italiane e dal dilagare dell’intelligenza e competenza femminile, anche nella vita economica e sociale e di im-pegno civile del Paese. La soluzione della predisposizione di quote, così come la necessità di ribadire il principio della parità di accesso alle cariche elettive, nasce essenzialmente dal perdurare di questo for-tilizio dell’unica, ultima roccaforte, possiamo dire, del potere maschi-le, che è costituito, appunto, dalle classi dirigenti maschili che gover-nano i partiti e complessivamente si candidano al Governo del Paese, qualunque sia lo schieramento che l’esprima. Poi, ovviamente, ciascu-no di ciascu-noi potrà fare e vorrà fare le proprie distinzioni, ma ciascu-non c’è

dub-bio che ci scontriamo con un dato, che è un dato comune, altrimenti non spiegheremmo il risultato finale del numero delle elette in Parla-mento. Ora è chiaro che ciascuno di noi pensa che lo strumento delle quote nelle leggi elettorali sia uno strumento necessario, esattamente per il ragionamento che abbiamo dipanato fino a qui, ma esattamen-te è allo sesattamen-tesso modo che ciascuno di noi ritiene che nel paese ideale, quello che cioè fosse capace di vedere partiti politici e classi dirigenti politiche in grado di cogliere la necessità democratica della rappre-sentanza di genere, le quote non avrebbero più nessuna ragione di es-sere. Rispondo così a tutte le colleghe che negli anni, durante una que-relle, appunto, durata moltissimi anni, hanno rifiutato il principio delle quote ritenendolo una sorta di deminutio e io comprendo benis-simo (ho nutrito anch’io lo stesso sentimento per anni) che possa ap-parire come un elemento quasi “offensivo” per certi versi perché con-fido e credo nel valore dell’esperienza di genere. Ma mi sono resa conto che in alcuni casi occorre praticare con maggiore disinvoltura le strade del raggiungimento del risultato a prescindere dalle condizioni di contesto e quindi dico si alle quote. Mi auguro che siano il più ef-fimere possibile.

D’altra parte, ma credo che anche su questo la riflessione ormai sia sufficientemente assestata tra le classi dirigenti femminili nel no-stro Paese, se noi guardiamo al corpus normativo, come l’ha chiama-to Fabio Roia, comprendente norme a tutela delle lavoratrici o co-munque della presenza delle donne nella vita sociale ed economica del Paese, certo possiamo dire che abbiamo un corpus normativo ade-guato, ma poi la differenza non la fa solo la legge, la differenza la fa l’organizzazione sociale, la differenza la fa, ad esempio, il fatto che il lavoro di cura non è diviso egualmente. La discussione che si è svi-luppata sullo scarso numero di donne Magistrato, che fanno doman-da per i posti semidirettivi e direttivi, per fare un altro caso, ha una ragione essenziale, tra le altre, nel fatto che si arriva a quell’età, pro-babilmente liberate dal lavoro di cura dei figli, ma avendo molto spes-so un lavoro di cura degli anziani che ci grava sulle spalle. Purtroppo la divisione del lavoro di cura da una parte e dall’altra parte l’organiz-zazione del sistema sociale è ancora tale per cui gran parte di questo lavoro grava tradizionalmente, vogliamo dire, culturalmente, direi so-cialmente ed economicamente e con costi che non sono soltanto eco-nomici, sono anche costi di soddisfazione professionale, sulle spalle delle donne, siano professioniste, magistrati, medico o dirigenti d’a-zienda. Probabilmente, se andiamo a leggere con più attenzione il no-stro sistema, nonostante le innovazioni introdotte in questi anni,

co-munque, constatiamo che è vero che abbiamo moltissime leggi che ri-guardano, per esempio, la condizione della donna lavoratrice, ma sono, per lo più, norme di tutela, non sono norme in grado di liberare la capacità femminile. Sono quindi costruite secondo un modello tra-dizionale e incapace, secondo me, di assecondare, invece, quella che oggi è una delle più grandi risorse di un paese che, avrebbe un grande bisogno di una partecipazione piena delle donne alla vita lavorativa, alla vita sociale, alla vita economica, alla vita politica. Ci troviamo di fronte insomma ad una concezione statica della tutela non promotri-ce di libertà. Anche oggi nel momento in cui, così utilmente secondo me, si discute di misure a favore della famiglia, temo sempre (proba-bilmente è un riflesso condizionato e forse qualcuno potrebbe valu-tarlo come un pregiudizio) che nel ragionare intorno alle necessarie misure di supporto alle famiglie si adottino misure che poi, per esem-pio, rendano alla donna meno conveniente lavorare che stare a casa a badare ai figli, che è un’attività nobilissima ed utilissima, ma che ri-schia di privare non soltanto quella vita, non soltanto quella famiglia, ma anche il paese di un contributo straordinario.

PARTE III

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