Avvocatura al femminile
DIFFERENZIALE RETRIBUTIVO DI GENERE NELLA PROFES- PROFES-SIONE FORENSE
Avv. Sabina GIUNTA Componente CPO CNF
RELAZIONE
Da quasi esclusivo universo maschile nella professione di avvoca-to crescono a ritmo serraavvoca-to le donne; ma tale presenza massiccia non ha comportato, però, le stesse condizioni di esercizio nella professio-ne forense e, conseguentemente, l’ottenimento di pari risultati econo-mici tra i due sessi.
Per capire le ragioni dell’esistenza di differenziale retributivo di genere è utile partire dalla individuazione delle variabili che influen-zano il livello retributivo.
Le variabili in gioco sono tante. Ci soffermiamo a considerare solo due caratteristiche personali: l’età ed il sesso.
Dai risultati delle indagini statistiche emerge chiaramente che la pro-fessione di avvocato, tradizionalmente maschile, sta subendo una marca-ta femminilizzazione ed è destinamarca-ta ad accentuarsi nel prossimo futuro.
La femminilizzazione della professione forense si manifesta sul numero degli iscritti alla
Cassa di previdenza di categoria.
su un totale di 177.142 iscritti le donne sono 72.813 Le Donne hanno raggiunto una percentuale pari al 41% e sono de-stinate ad aumentare nei prossimi anni.
Se consideriamo l’evoluzione temporale delle Donne iscritte agli
albi forensi, salta agli occhi la repentina crescita delle stesse, se negli anni “80 superavano appena il 6%, dopo un decennio superano il 20%, per arrivare a superare il 40% nel 2005.
La rilevante entrata femminile all’interno dell’avvocatura ha por-tato ad un sorpasso della compagine maschile nella fascia di età 24-29 e 30-34 anni.
Le donne avvocato della classe di età 24-29 sono il 58% (i maschi stessa fascia di età sono il 42%); mentre quelle della fascia di età 30-34 anni sono il 56,2% (i maschi della stessa fascia di età sono il 43,8%)
Accorpando le prime tre classi di età, risulta che gli avvocati ita-liani con età inferiore a 40 anni sono in maggioranza costituiti da donne, pari a circa il 52% del totale (fig 3).
Nonostante nelle generazioni più giovani (26-34 anni) è evidente un numero superiore di avvocato-donna rispetto agli uomini, ciò non ha comportato l’ottenimento di pari risultati economici tra i due sessi.
Malgrado il gran numero di accessi alla professione, le donne in-contrano maggiori difficoltà a proseguire la professione rispetto ai col-leghi uomini.
Tali difficoltà sono evidenziate sia dalla maggiore propensione a cancellarsi dalla Cassa e dagli Albi, sia dai minori livelli retributivi di-chiarati dalle professioniste.
Sotto il profilo economico, i redditi dichiarati in media dai pro-fessionisti iscritti agli Albi e alla Cassa si differenziano notevolmente a seconda che si tratti di uomini o di donne
A qualsiasi età, le donne dichiarano in media molto meno dei col-leghi di sesso maschile
Questo squilibrio retributivo è presente in tutte le regioni d’Italia, ma in maniera più tangibile in Lombardia, in Liguria e nel Lazio.
Considerando le caratteristiche produttive di queste regioni, può portare a concludere che le donne avvocato sono largamente escluse dalla partecipazione alle attività legali legate non solo al patrocinio in giudizio, ma anche alla assistenza e alla consulenza legale.
In media, un avvocato iscritto alla Cassa percepisce – indipenden-temente dal genere – compensi per un reddito pari ad E 46.860.
Poiché le donne hanno dichiarato un reddito al 2004 di E 24.847 ci si rende conto della considerevole disparità nel trattamento econo-mico esistente all’interno della professione.
La disparità economica risulta ancora più marcata allorchè si vada a quantificare la presenza femminile tra i percettori di reddito che ricadono nelle fasce più elevate.
La presenza delle donne avvocato tra i percettori con reddito più elevato è effettivamente esigua.
La metà delle donne avvocato iscritte alla Cassa percepisce il red-dito minimo dichiarato (circa E 11.900), solo il 22,8% di esse ha di-chiarato di guadagnare tra E 39.200 e i 150.000, il 9,1% supera la so-glia di E 150.000.
Dai dati presentati risulta inequivocabile il gap retributivo tra gli avvocati donne e uomini.
Una donna avvocato percepisce circa il 58 % in meno rispetto ad un collega uomo: una sproporzione difficilmente giustificabile come determinata esclusivamente da scelte delle donne di carattere perso-nale.
Le logiche di sviluppo di carriera, nonostante i cambiamenti ap-pena sottolineati, privilegiano ancora modelli di carriera tradizionali che ‘tengono fuori’ le donne dai ruoli di vertice.
Modello che, oltre alla ovvia padronanza delle competenze pro-fessionali, richiede totale disponibilità, commitment ed un elevatissi-mo investimento temporale sia durante la giornata, sia nell’arco della vita lavorativa.
Le possibilità di avanzamento professionale poggiano quindi sulla disponibilità di face-time, vale a dire quel ‘tempo di facciata’, introdot-to da Irwing Goffman, per indicare le ore passate in ufficio non tanintrodot-to per far fronte a scadenze lavorative pressanti o impreviste, quanto per guadagnare maggiore visibilità agli occhi dei colleghi e dei clienti. Il face-time sembra essere un tratto caratteristico della cultura
riale italiana (Bombelli M.C., Soffitto di vetro e dintorni: il manage-ment al femminile; Etas: Milano, 2000), espressione di una cultura la-vorativa legata ad un agire organizzativo basato su pratiche e com-portamenti dei lavoratori uomini.
Questa richiesta di incondizionata disponibilità temporale, sia du-rante la giornata che nel ciclo di vita, e di continua presenza in studio è ritenuta uno dei maggiori impedimenti allo sviluppo di carriera delle donne.
In tale quadro di richiesta di disponibilità, la maternità è ancora oggi un evento della vita personale delle donne che condiziona forte-mente non solo le carriere ma anche la possibilità di portare avanti il proprio sviluppo professionale. Gli studi sulle donne in posizione di vertice mettono in luce che, mentre il matrimonio è sempre meno un ostacolo per la carriera femminile, la nascita di un figlio rappresenta un grosso vincolo che le condiziona molto quando scelgono di non ri-nunciare alla “carriera privata”.
Le scelte personali e familiari, secondo questo modello di carrie-ra, discriminano le donne avvocato rispetto ai colleghi uomini.
Recenti indagini mostrano inoltre quanto conti ancora la tenden-za degli uomini a scegliere altri uomini. (Bonora C., Carati M., Il per-corso di carriera delle donne nelle organizzazioni pubbliche e private:
esperienze a confronto, Bologna: Ipl, 2005).
Indubbia, quindi, l’esistenza concreta di una “discriminante” per le donne avvocato che altrimenti non si comprende se non nella dif-ferenza di genere.
Il differenziale retributivo di genere nella professione forense ha fortemente evidenziato il gap
retributivo fra uomini e donne; ma questa forte discriminazione deve preoccupare non solo le donne, ma anche gli uomini.
Così come ben analizzato dalla dott.ssa Giovanna Biancofiore, esperta in matematica attuariale della Cassa Forense, nella rivista Pre-videnza Forense n. 1/07: “a causa dell’esistenza di rilevanti differenze tra la capacità reddituale tra i due sessi, i contributi versati da queste nuove generazioni calcolati su redditi in media più bassi, potranno non essere sufficienti a coprire il finanziamento di pensioni più alte, perché calco-late su redditi dichiarati nel passato e riferiti in gran parte a uomini”.
“Il permanere, anche in futuro, delle forti differenze reddituali at-tualmente esistenti tra i due sessi potrebbe condurre, oltre che a una ri-duzione media del c.d. PIL dell’avvocatura, soprattutto a squilibri finan-ziari molto gravi per l’Ente di Previdenza”.
Concludo con una riflessione che può apparire ovvia, ma che è fondamentale e cioè che: l’uguaglianza delle opportunità non è solo una questione di rispetto dell’individuo, ma è una necessità per la va-lorizzazione delle risorse umane.
DONNA AVVOCATO: DISCRIMINAZIONE DI GENERE NEI