Contributi dai CPO delle professioni legali
DONNE ED ORGANISMI ISTITUZIONALI E/O AMMINISTRATI- AMMINISTRATI-VI: UN’ASSENZA RILEVANTE
Dott.ssa Bernadette NICOTRA Componente CPO del C.S.M.
L’idea di una riflessione comune nasce dalla consapevolezza del perdurare, ancora oggi, di una questione femminile che coinvolge in un idem sentire donne avvocato e donne magistrato legate dal mede-simo obiettivo: la ricerca di possibili soluzioni per superare gli ostacoli che impediscono il conseguimento di una piena egua-glianza di genere.
Non vi è dubbio che il più rilevante fattore di diversità per le donne è rappresentato dalla maternità e dagli obblighi che da essa de-rivano, del resto è un dato inconfutabile che storicamente il modello di lavoratore al quale ogni datore di lavoro guarda con maggiore inte-resse è quello di colui che non ha obblighi sociali di “cura”. Pertanto, di fronte a questa peculiarità esclusivamente femminile, è di primaria importanza, pensare ad un’organizzazione del lavoro modulata sull’e-sigenza della donna di conciliare vita professionale e vita familiare.
Tant’è che a partire dagli anni ’90, il tema della conciliazione è diven-tato un obiettivo fondamentale da essere inserito nell’agenda della po-litica comunitaria, come elemento di gender mainstreaming da perse-guire trasversalmente in tutti i settori di intervento del programma co-munitario e da recepire nei vari contesti nazionali.
Da qui l’importanza di avviare una riflessione per ripensare ad un’organizzazione del lavoro non più costruita su un modello tipica-mente “maschile”ma che tenga conto della presenza forte delle donne nel mondo del lavoro, occorre rimodulare gli equilibri tra tempo lavo-rativo e tempo per altro (costituito dal tempo per sé, per gli affetti, per la famiglia etc). E’ oggi prioritario attuare meccanismi che consenta-no tempi di lavoro adeguati e consenta-non totalizzanti, insomma un lavoro più a dimensione umana, con effetti sicuramente vantaggiosi, non solo per le donne, ma anche per gli uomini .
Premesso dunque, che esiste un problema, sia pure con sfumatu-re diverse, comune a tutte le donne lavoratrici, mi limiterò in questa sede, anche per il mio vissuto di donna magistrato impegnata nella vita associativa, ad affrontare la cd. questione femminile in Magistra-tura in uno dei suoi aspetti di maggiore criticità: l’inadeguatezza
della presenza delle donne magistrato negli organismi istituzio-nali ed associativi.
Perché anche le donne magistrato dovrebbero essere più numero-se nei luoghi in cui (associazione, autogoverno) si assumono decisio-ni politiche? Una più ampia presenza femmidecisio-nile potrebbe davvero de-terminare cambiamenti significativi? Sono domande ricorrenti alle quali si potrebbe semplicemente rispondere che una rappresentanza equilibrata di donne e uomini nei processi decisionali è un’ esigenza di giustizia evidente e che ogni altra giustificazione sarebbe del tutto pleonastica. Tuttavia il tema è sempre cruciale ed è quindi opportuno affrontarlo.
Spesso la questione della rappresentanza femminile in magistra-tura è stata da molti percepita come la rivendicazione di una parte, o meglio di un genere, che reagisce ad una discriminazione atavica e si propone di rimuoverla, mentre in realtà non è così, piuttosto si tratta di un problema ineludibile di effettività democratica. Infatti la demo-crazia, anche in magistratura, è prima di tutto ed essenzialmente, pos-sibilità di partecipare alla formazione delle scelte attraverso un dibat-tito aperto, che si arricchisca di tutte le esperienze, sensibilità e visio-ni del mondo.
Escludere le donne o confinarle in posizioni marginali significa accettare un modello di democrazia dimezzata che è interesse di tutti, anche degli uomini, concorrere a superare.
Questa ispirazione di fondo, mi pare debba guidare nella prospet-tazione di talune delle soluzioni che saranno indicate e che ben po-tranno adattarsi anche ad altre realtà professionali e in primo luogo alle donne avvocato e al loro deficit di rappresentanza in seno agli or-ganismi elettivi dell’avvocatura.
L’inserimento delle donne in magistratura, a partire dal 1963, si-curamente ha comportato un ampliamento nelle possibilità di accesso delle donne, oltre ad un arricchimento della professione stessa, ma come in molti settori presenta ancora ambivalenze e disuguaglianze più o meno evidenti.
Infatti, a fronte di una cospicua presenza femminile alla base della piramide, si riscontra uno scarso accesso ai ruoli più elevati e in par-ticolare una scarsa partecipazione delle donne magistrato agli impe-gni istituzionali ed associativi; una sottorappresentanza che, come di-mostrano ampiamente i dati statistici in materia, può connotarsi come una forma tipica di discriminazione indiretta e sulla quale biso-gna intervenire con strumenti idonei per ottenere un riequilibrio pari-tario.
Detto ciò, come sciogliere il nodo cruciale del deficit di rappre-sentanza?
Tra i rimedi possibili, il primo, và colto nell’acquisizione, da parte delle donne magistrato, di una maggiore e diffusa consapevolezza del ruolo che il magistrato donna può e deve assumere anche all’interno delle realtà di autogoverno ed associative, rifiutando ogni logica ten-dente ora, ad autoreferenziarsi, ora, ad autoescludersi, ma, afferman-do le proprie peculiarità e specificità come valore aggiunto e comple-mento necessario a garantire una maggiore efficienza ed organizza-zione degli uffici giudiziari.
Sul piano concreto, all’interrogativo come intervenire per supera-re il gap di rappsupera-resentanza, la soluzione possibile, generalmente adot-tata anche negli ordinamenti stranieri, è il ricorso alle azioni positive di genere solitamente applicate in politica che, con i dovuti adatta-menti, possono essere trasposte anche in magistratura. La loro legitti-mità, sul piano teorico-generale, non è in discussione: la stessa Corte Costituzionale ha da tempo precisato che i trattamenti preferenziali previsti per le singole categorie di persone socialmente svantaggiate o deboli hanno lo scopo di assicurare “uno statuto effettivo di pari op-portunità di inserimento sociale, economico, politico e lavorativo”.
Certamente si tratta di misure che devono essere costruite con at-tenzione per evitare problemi di compatibilità col principio costitu-zionale di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Infatti il rischio che si corre è quello che per garantire l’eguaglianza di un gruppo mi-noritario e/o svantaggiato si finisca per sacrificare la posizione di in-dividui che non lo sono. Ecco perché condivido le posizioni di quanti affermano che le azioni positive, per questa loro caratteristica intrin-seca, debbano essere, oltre che proporzionate allo scopo da raggiun-gere, anche contingenti e temporanee, si tratta, in sostanza, di misure che nascono proprio per essere superate.
Anche in magistratura come in politica si è ritenuto che le misure più efficaci, e anche più controverse, siano le cd.quote di genere, che assicurano alle donne l’accesso alle candidature, assumendo infatti, che, la possibilità di essere candidati è condizione pregiudiziale e ne-cessaria per poter essere eletti. Ecco perché, nell’ottobre del 2005, si è giunti, attraverso l’impegno trasversale di tutte o quasi le correnti del-l’ANM, all’introduzione delle cd.quote di chance in magistratura, nel senso di prevedere, previa apposita modifica statutaria, la presenza nelle singole liste del 40% di donne nelle elezioni per il rinnovo degli organi centrali e periferici dell’ANM e ciò a pena di inammissibilità delle liste.
Oggi, che le quote sono una realtà, i singoli gruppi associativi non potranno ignorarle, è pertanto auspicabile che all’imminente appun-tamento elettorale per il rinnovo del Comitato Direttivo Centrale del-l’ANM, ci sia la presenza nelle liste di almeno un terzo di colleghe can-didate per far sì che il risultato elettorale, rimesso alla sensibilità degli elettori e delle elettrici, non tradisca questa effettiva esigenza di rap-presentanza.
Grave, è ancora oggi, il deficit di rappresentanza della donna ma-gistrato nell’organo di autogoverno, le ragioni del fenomeno possono ricercarsi sia nell’autoesclusione della donna che rifiuta la gravosità dell’impegno istituzionale difficilmente conciliabile con la vita fami-liare, sia nella resistenza culturale verso una competizione tesa a con-seguire una posizione di potere ritenuta tradizionalmente appannag-gio maschile. Sicchè per affermare un’equilibrata rappresentanza delle donne anche in seno al CSM sarebbe opportuno, oltre a preve-dere il sistema delle quote, prevenire i fenomeni di autoesclusione at-traverso quelle azioni positive che partendo dal “basso” coinvolgano le colleghe donne negli incarichi “decentrati” dove maggiore è la possi-bilità di conciliare l’impegno familiare e lavorativo, dunque, consigli giudiziari, giunte sezionali e sottosezioni dell’ANM.
Sono dell’opinione che, vada sostenuta l’idea che le quote, così come altri incentivi analoghi, siano opportune, anche se assolutamen-te contingenti e limitaassolutamen-te al assolutamen-tempo necessario a raggiungere la fisiolo-gia del sistema, altrettanto opportuna, a mio modo di vedere, è però la necessità di non ingessare la questione femminile dentro i confini lo-cali e particolari, proiettandola invece in una dimensione europea.
Con ciò intendo dire che, oggi, il vero cambiamento culturale, non solo per le donne magistrato, ma per tutte le donne giuriste italiane, dovrebbe muovere da un progetto, certamente ambizioso e difficile, ma realizzabile, se lavoriamo insieme. La proposta che suggerirei con-siste nel creare, anche con l’apporto dei vari Comitati pari opportunità già operativi, una sorta di “rete di collegamento” con le donne giuriste europee che, sia pure operando in ordinamenti diversi dal nostro, af-frontano e risolvono problemi analoghi (conciliazione dei doppi ruoli, difficoltà di partecipare all’attività formativa non sempre decentrata, discriminazioni nell’accesso ai vertici della professione, esclusione dagli incarichi associativi e istituzionali, etc).Tra i modelli di aggrega-zione prospettabili si potrebbe pensare all’istituaggrega-zione di un Osservato-rio Europeo delle donne giuriste finalizzato ad assolvere a molteplici funzioni: monitoraggio delle problematiche e criticità comuni nonchè scambio via web delle strategie di intervento adottate, creazione di
una banca dati europea di analisi e raccolta del materiale –atti nor-mativi e legislativi, quesiti, pareri, direttive, regolamenti etc-ed altro ancora.
Sarebbe davvero auspicabile, per concludere con una nota di otti-mismo, che nell’Anno Europeo delle pari opportunità per tutti, possa decollare una nuova realtà di aggregazione culturale ed ideale tra le donne giuriste europee che sfondi definitivamente quel tetto di cri-stallo e garantisca una partecipazione equilibrata di donne e uomini alla vita lavorativa e ai processi decisionali.
UN’ESPERIENZA TRANSNAZIONALE