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DISCRIMINAZIONI E PARI OPPORTUNITA’: PRESENTE E FU- FU-TURO NEL CONTESTO EUROPEO

Donna e lavoro in Europa

DISCRIMINAZIONI E PARI OPPORTUNITA’: PRESENTE E FU- FU-TURO NEL CONTESTO EUROPEO

Dott.ssa Raffaella GALLINI

Vice Presidente del Comitato Nazionale di Parità, Ministero del Lavoro

Ogni giorno in tutti i paesi dell’Unione Europea a qualcuno viene impedito di avere parte attiva nel mercato del lavoro e nella società in generale a causa di pregiudizi, discriminazioni e stereotipi.

La legislazione Europea rende illegale la discriminazione (sui luo-ghi di lavoro e nella formazione) fondata sulla religione o credo, la sabilità, l’età, l’orientamento sessuale, il genere. Proibisce inoltre la di-scriminazione fondata sulla razza e l’origine etnica.

L’Unione Europea ha dichiarato il 2007 “Anno europeo delle Pari Opportunità per tutti”, per rendere i cittadini europei più consapevoli del loro diritto di godere di un equo trattamento e di una vita libera da discriminazioni.

Il 51% dei cittadini europei pensa, secondo la recente indagine proposta dell’Eurobarometro, che nei propri paesi non siano stati fatti abbastanza sforzi per combattere la discriminazione. Il cittadino eu-ropeo ha coscienza solo di leggi relative alla disabilità mentre solo il 30% sa che sono proibite le discriminazioni anche in base all’età ed al-l’orientamento sessuale, solo il 32% poi conosce i propri diritti nel caso sia vittima di molestie sessuali o discriminazioni. Ma la maggior parte dei cittadini europei pensa che essere disabili, Rom od avere più di 50 anni o diverse origini etniche sia un grosso svantaggio nella no-stra società.

Le politiche di parità o di Pari Opportunità (tra uomini e donne) hanno quindi al momento una rilevanza strategica sia dal punto di vista del raggiungimento di una democrazia paritaria, sia da quello economico: i costi che la nostra società paga a causa della disugua-glianza nei luoghi della rappresentanza e nel mercato del lavoro sono altissimi.

Le risorse femminili si pongono come fortemente innovative ri-spetto al mercato e si propongono come investimenti per le aziende.

La presenza delle donne nella politica e nel mercato del lavoro è indice dello sviluppo di un paese.

L’invecchiamento della popolazione, combinato con la riduzione

del tasso di natalità costituiscono grandi rischi per le società europee:

le politiche di parità tentano di scongiurare questi rischi da un lato spingendo le donne nel mondo del lavoro per compensare il calo della popolazione attiva e dall’altro tentando di creare condizioni tali che donne e uomini possano scegliere se fare figli e in quale numero.

Dal 2000 – quando fu lanciata la strategia europea per la competi-tività e l’occupazione – ad oggi, 6 degli 8 milioni di posti di lavoro crea-ti nell’Unione Europea sono stacrea-ti assuncrea-ti da donne. L’occupazione femminile – anche delle donne over 55 – cresce a un ritmo più elevato di quella maschile e, se continua di questo passo, l’obiettivo europeo del 60% di occupazione femminile entro il 2010 sarà raggiunto. Anche se tale incremento si produce prevalentemente nei settori in cui le donne sono già presenti.

Rimangono molto evidenti le difficoltà di conciliazione della vita professionale e privata e la ripartizione delle responsabilità familiari;

i posti decisionali sono sempre a prevalenza maschile.

L’Italia è il paese che presenta il tasso di occupazione femminile più ridotto dell’Unione Europea, se si eccettua la Grecia.

Proprio per combattere questa realtà, il primo marzo dello scorso anno la Commissione ha definito le sue priorità e il suo quadro d’a-zione per la promod’a-zione dell’uguaglianza di genere fino al 2010 in una tabella di marcia per l’uguaglianza di genere le cui priorità sono le se-guenti:

1) realizzare una pari indipendenza economica per le donne e gli uo-mini

2) favorire l’equilibrio fra attività professionale e vita famigliare 3) promuovere la pari partecipazione delle donne e degli uomini al

processo decisionale

4) eliminare la violenza basata sul genere e la tratta degli esseri umani

5) eliminare gli stereotipi di genere nella società

6) promuovere la parità tra donne e uomini all’esterno dell’Unione Europea

7) migliorare la governance sulla parità fra i generi.

Per ciascuna priorità, sono individuate delle azioni chiave da in-traprendere.

Il Consiglio europeo del marzo 2006 ha approvato un “Patto euro-peo per l’uguaglianza di genere”, con il quale i Paesi membri si sono impegnati a realizzare politiche a favore dell’occupazione femminile e a garantire un migliore equilibrio fra vita professionale e privata per rispondere alla sfida demografica. Un particolare rilievo è stato dato

allo sviluppo di servizi di custodia per l’infanzia. Il Consiglio ha altre-sì stabilito che la parità di genere sia uno dei principi portanti del pro-cesso di coordinamento aperto in materia di politiche di protezione sociale e di inclusione attualmente in corso.

L’Unione Europea esprime preoccupazione del fatto che le attuali strutture della vita pubblica e privata continuino ad essere caratteriz-zate da stereotipi discriminatori.

Ciò avviene nell’istruzione, nella formazione e nel mercato del la-voro, nella distribuzione delle opportunità di esercitare potere politi-co ed epoliti-conomipoliti-co, di influenzare la cultura, nei media ed anche nella distribuzione dei compiti e delle responsabilità tra donne e uomini in famiglia.

Come asserisce il Presidente del comitato canadese “where are the men?”contro la violenza alle donne “Men are part of the problem, but can be also part of the solution” .

L’equa partecipazione di donne e uomini sia al mercato del lavoro che ai compiti domestici, alla cura dei figli e delle altre persone a carico è in-dispensabile per lo sviluppo della società; politiche e strategie di ugua-glianza di genere possono avere successo solo se sia gli uomini che le donne si impegneranno verso una vera uguaglianza di opportunità.

Il previsto calo demografico e la conseguente carenza di mano d’o-pera che porterà l’Europa nel 2050 ad avere una forte riduzione della popolazione attiva pari a 48-60 milioni di lavoratori, ci porta inevita-bilmente a pensare politiche di nuova solidarietà ed inclusione socia-le e ad elaborare strategie a lungo termine che aumentino servizi e op-portunità per le famiglie anche attraverso politiche di conciliazione, che azzerino le discriminazioni, favoriscano la maggior partecipazio-ne al mercato del lavoro delle donpartecipazio-ne, degli immigrati e degli over 55 aumentando nel contempo la qualità e la sicurezza in una ottica di flexicurity.

Occorrono interventi integrati volti ad adottare nuovi modelli or-ganizzativi nelle aziende anche in un’ottica di genere, attraverso una redistribuzione dei ruoli e l’utilizzazione di modelli di flessibilità, si-curezza e non discriminazione come strumenti dinamici del mercato del lavoro. Occorre comprendere che l’attore principale, certamente non il solo, di queste strategie è il soggetto femminile per il quale, nel breve periodo, è necessario attivare politiche finalizzate all’aumento della partecipazione al mercato del lavoro delle diverse generazioni di donne (giovani, adulte, anziane). È necessaria una più approfondita riflessione che avvii lo sviluppo di nuovi ed integrati interventi di

po-litiche di incremento dell’occupazione, di processi di stabilizzazione di qualità del lavoro, di politiche attive per l’emersione di interventi con-tro la discriminazione salariale assieme a politiche di valorizzazione del lavoro femminile come elemento di vantaggio competitivo per le aziende; alla predisposizione di nuove politiche di conciliazione come politiche di sviluppo.

Sono necessarie altresì misure di sostegno alle imprese per per-mettere loro di attivare politiche per le donne e una diversa organiz-zazione del lavoro.

Gli strumenti che possono essere utilizzati sono i Piani Triennali di Azioni positive, la costituzione dei Comitati per le pari opportunità, il monitoraggio periodico della condizione delle donne sui luoghi di lavoro, il gender budgeting.

Il Parlamento Europeo ha dichiarato guerra alla discriminazione delle donne sul posto di lavoro, deplora l’attuale situazione sui salari e chiede agli Stati Membri di integrare o rafforzare i propri piani per l’integrazione sociale e l’occupazione inserendo misure per arrivare ad una “situazione di pari dignità e pari retribuzione” nonché per mette-re fine “alle discriminazioni cui sono soggette le donne che si sono de-dicate ai figli e hanno quindi una scarsa esperienza lavorativa”.

L’Unione Europea ha individuato poi altri strumenti per raggiunge-re uguale opportunità per tutti, tra questi nel dicembraggiunge-re 2006 è stato ap-provato il regolamento dell’Istituto Europeo per l’uguaglianza di genere, che inizierà i lavori nel 2007 e che avrà tra i suoi compiti quello di inco-raggiare e rafforzare le istituzioni comunitarie e gli Stati membri nel pro-muovere l’uguaglianza tra donne e uomini, ragazze e ragazzi in tutti gli ambiti della politica.

Un compito fondamentale dell’Istituto sarà raccogliere statistiche che possano rafforzare l’Unione Europea a rivedere periodicamente e migliorare le politiche per l’uguaglianza di genere sia europee che na-zionali.

Sarà poi interessante vedere se e come gli stati e le regioni realiz-zeranno le disposizioni in materia di parità di genere e non discrimi-nazioni nell’attuazione dei fondi strutturali 2007-2013.

Gli obiettivi fondamentali del 2007 anno Europeo delle Pari Op-portunità per tutti sono quattro:

i Diritti per accrescere la consapevolezza sui diritti di uguaglian-za e di non discriminazione, parità di trattamento senuguaglian-za discrimi-nazioni

la Rappresentanza per aumentare la partecipazione dei gruppi discriminati nella società ed a tutti i livelli

il Riconoscimento dei benefici della diversità

il Rispetto attraverso l’eliminazione di stereotipi pregiudizi e vio-lenza.

Per quanto dettato da esigenze di carattere economico, il Trattato di Roma di cui si celebra quest’anno il 50° anniversario, prevedeva un articolo espressamente dedicato alla parità di trattamento fra donne e uomini: in particolare sanciva il diritto alla parità di retribuzione fra lavoratori di sesso maschile e di sesso femminile che svolgono lo stes-so lavoro o un lavoro di pari valore.

La Corte di Giustizia, oltre a prevedere l’applicabilità diretta di questa disposizione negli Stati membri, ha affermato inoltre che l’eli-minazione delle discriminazioni fondate sul sesso è un diritto fonda-mentale che rientra fra i principi generali del diritto comunitario.

Nell’attuale formulazione dei Trattati, la promozione della parità è considerata un compito specifico della Comunità, da attuarsi attra-verso politiche comuni; la Comunità ha l’obbligo di eliminare le ine-guaglianze e di promuovere la parità in tutte le politiche comunitarie, senza limitarsi a progetti specifici.

Il Trattato sulla Comunità europea garantisce il diritto fondamen-tale alla parità di retribuzione, con rango di diritto fondamenfondamen-tale non solo ai fini del mercato interno ma anche per assicurare il progresso sociale, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei citta-dini.

Dal 1997 il Trattato contiene una disposizione che consente di combattere la discriminazione basata sul sesso, orientamento sessua-le, religione, razza, età e disabilità in tutte le politiche comunitarie.

Su questa base, sono state elaborate sette direttive, che regolano i diritti legati all’occupazione, diritti in materia di sicurezza sociale, di-ritti di chi esercita un’attività professionale e ha figli (direttiva sul con-gedo parentale; direttiva sull’inversione dell’onere della prova in caso di discriminazione) e diritti nell’accesso ai beni ed ai servizi. La re-cente direttiva 2006/54/CE razionalizza in un unico testo sei delle pre-cedenti direttive in materia di parità di trattamento.

Negli anni 80 sono stati lanciati i primi programmi d’azione sulla parità di trattamento fra donne e uomini.

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – e il Tratta-to costituzionale che l’aveva incorporata – vietano anch’essi qualsiasi discriminazione fondata sul sesso e sanciscono il diritto alla parità di

trattamento fra uomini e donne in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione.

Naturalmente le disposizioni dei Trattati e le direttive non sono sufficienti ad assicurare la parità di genere, se non si accompagnano a un’applicazione effettiva da parte degli Stati e dei tribunali.

“Il Comitato europeo per le pari opportunità tra uomini e donne”

ha prodotto quest’anno per la Commissione una serie di pareri sul

“gender pay gap” in cui, oltre a ricordare in quante e quali leggi e di-rettive nazionali ed europee si sia stabilito il principio dell’equal pay, fino ad oggi disatteso anche se con diverse varietà percentuali nei paesi d’Europa, ha identificato le cause della permanente diffusione dei differenziali retributivi nella segregazione occupazionale, in quel-la verticale, settoriale ed industriale, nelquel-la errata valutazione del valo-re dei lavori in base a stevalo-reotipi, nella struttura dello stipendio valo- relati-vo alle relati-voci discrezionali, nelle ore larelati-vorate, nella conciliazione vissu-ta solo al femminile, nel modello maschile predominante nel mondo del lavoro, nelle poche donne presenti in contrattazione, e così via.

Nel 2010 gli Stati europei sono chiamati a ridurre sostanzialmen-te i differenziali e molti paesi quali la Francia, la Spagna, la Norvegia si sono già impegnati con Leggi specifiche, mentre l’Italia sta cercan-do di sensibilizzare Aziende e sindacati attraverso vari progetti tra cui quello del Ministero del Lavoro approvato dalla UE in occasione del 2007 dal titolo “La difficile transizione verso la parità: Un “bollino rosa” per superare i differenziali salariali di genere e sviluppare per-corsi di stabilità occupazionale”.

Questo progetto intende rilanciare in una prospettiva di genere, i temi dell’organizzazione del lavoro, delle transizioni nel mercato del lavoro, dei percorsi di carriera, della negoziazione e contrattazione na-zionale e aziendale e, nello specifico, si propone di valorizzare la pre-senza delle donne nei contesti lavorativi attraverso la messa a punto di un sistema di certificazione di qualità aziendale in materia di parità di retribuzione e di stabilizzazione delle lavoratrici (bollino rosa).

Sistema già sperimentato attraverso specifiche check list e linee guida e proposto dalla Provincia di Genova per le sue aziende forni-trici, progetto che dovrebbe innescare un sistema virtuoso ed una buona prassi tra gli enti locali e la miriade di aziende che si muovono nella loro orbita.

Il Comitato europeo per le pari opportunità sta inoltre predispo-nendo un parere per la Commissione sulla prospettiva di genere in base alla quale rivedere eventualmente la strategia europea per la

cre-scita e l’occupazione ed ancora sta lavorando con l’Italia come capofi-la all’inclusione delle minoranze etniche attraverso riflessioni sulcapofi-la di-scriminazione multipla, sui differenziali retributivi come disincentivi per le donne immigrate a partecipare al mercato del lavoro, al micro-credito per promuovere l’imprenditoria femminile ed all’ingresso delle donne delle minoranze etniche nelle associazioni femminili.

Il Comitato europeo ha inoltre fornito un’opinione sul costituendo Network europeo di donne in posizioni verticale in economia e politica.

In apertura dell’Anno europeo a Berlino si è parlato di abbattere gli stereotipi attraverso una forte azione dei media, l’attenzione nell’u-so delle parole, linee guida per le produzioni, interventi nelle scuole, dall’asilo all’università tramite l’istituzione di apposite materie con crediti obbligatori, attraverso campagne mediatiche utilizzando pop e sport idols come testimonials, agendo all’interno delle famiglie con una formazione e linee guida specifiche.

A questo proposito è da segnalare la legge spagnola sull’ugua-glianza appena approvata che prevede che la TV pubblica dovrà rifiu-tare un linguaggio sessista, mostrare la presenza delle donne nei di-versi ambiti della vita sociale, adottare un codice di condotta per il principio della parità e garantire la presenza delle donne in posti di re-sponsabilità direttiva e professionale al suo interno. La legge, tra le più innovative d’Europa, introduce inoltre il principio di “presenza equili-brata” nelle nomine pubbliche e la prospettiva di genere nell’elabora-zione di studi e statistiche. La legge prevede anche l’istitunell’elabora-zione di un bollino per le aziende impegnate a favorire come nei paesi scandinavi una presenza equilibrata negli organismi direttivi.

Nonostante ciò è ancora forte il divario tra donne e uomini in Eu-ropa, la relazione annuale della Commissione europea sulla parità – pubblicata nel febbraio scorso – evidenzia ancora squilibri tra i gene-ri, disparità che è necessario eliminare per favorire la crescita econo-mica, la prosperità e la competitività.

Malgrado nel 2005 il tasso di occupazione femminile abbia rag-giunto in Europa il 53% permangono le difficoltà delle donne di con-ciliare vita professionale e privata: il tasso di occupazione delle donne tra i 20 e i 49 anni si abbassa di 15 punti quando hanno un bambino, mentre quello degli uomini cresce di 6 punti [in Italia 1 su 5 lascia il lavoro]. A ciò si aggiunga che le richieste di flessibilità lavorativa ri-guardano soprattutto le donne.

La maggioranza dell’occupazione femminile riguarda per lo più i settori e le professioni già “femminili”, le facoltà universitarie a mag-gioranza femminile vengono declassate a “deboli” quelle scientifiche attirano solo 1 donna su 10, quasi 4 lavoratrici su 10 sono occupate nella Pubblica Amministrazione [in Italia 53%] nell’istruzione o nel settore sanitario e sociale.

La segregazione nel lavoro si traduce in uno scarto retributivo, 15% in meno rispetto agli uomini.

Persiste inoltre lo squilibrio nei posti dirigenziali sia politici che economici. Meno di 1/3 dei dirigenti sono donne e i CDA delle 50 mag-giori aziende europee quotate in borsa nel 2005 avevano una donna ogni 10 uomini.

Nei parlamenti nazionali la quota media di donne è del 24%, a quello europeo del 33%. In Italia il 3,7% è ai vertici delle banche, il 4,9% ai vertici delle imprese, il 6,9% nelle associazioni imprendi-toriali, 2 rettori, 2 ambasciatrici, 1 segretario generale sindacato.

Nella pubblica amministrazione nonostante le donne siano il 54%

del totale (scuola 76%) le dirigenti sono il 25% e le dirigenti generali il 15% malgrado un elevato tasso di scolarizzazione e specializzazione:

la lavoratrici laureate sono il 66% del totale.

La nuova direttiva emanata dal Ministero della Funzione Pubbli-ca e dal Ministero dei Diritti e delle Pari Opportunità per le pubbliche amministrazioni sostiene come il valorizzare le differenze sia un fat-tore di qualità dell’azione amministrativa e come attuare la Pari Op-portunità significhi, quindi, innalzare il livello dei servizi, migliorare la qualità del lavoro, fornire nuove opportunità di sviluppo professio-nale e rimuovere tutti gli ostacoli che fanno delle donne delle lavora-trici spesso definite svantaggiate anziché DISCRIMINATE.

LA CONCILIAZIONE DEI TEMPI LAVORATIVI E FAMILIARI:

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