Avvocatura al femminile
DONNA AVVOCATO: IMPRENDITRICE DI SE STESSA Avv. Aurelia BARNA
Componente CPO CNF
La presenza femminile nella professione forense ha ormai una storia di lunga data: è passato quasi un secolo dalla prima donna av-vocato iscritta all’Albo degli Avvocati e Procuratori nel 1920 a seguito dell’approvazione della Legge n. 1126 del 1919 che ammetteva la donna, a pari titolo degli uomini, all’esercizio delle libere professioni e di tutte le cariche pubbliche.
Terreno tradizionalmente maschile, l’avvocatura ha subito una evidente femminilizzazione negli ultimi vent’anni.
Se fino agli anni “80 le avvocate erano presenti in numero molto ridotto ed in forma sporadica negli ordini di periferia, dall’anno 1981 la loro presenza ha subito un netto e progressivo aumento.
Dal 6,6% del 1981, infatti, le donne avvocato raggiungevano il 10% del totale degli iscritti nel 1989, per poi, ai primi anni novanta, fare il balzo significativo al 22,1% nel 1993, raggiungere nel 2000 il 33,4% e diventare nel 2006 il 41,1% dell’intera avvocatura (dati iscritti Cassa Forense) .
La rilevante componente femminile, introdottasi nella professione forense via via negli ultimi vent’anni, ha superato la compagine ma-schile nella fascia d’età dai 24 ai 34 anni: al 31.12.2006 dai dati Cassa Forense è rilevabile la presenza del 58% di avvocate nella fascia d’età 24-29 anni ed il 56,2% nella fascia d’età 30-34 anni.
Sopra i 35 anni la presenza femminile diminuisce progressiva-mente con l’aumentare dell’età: 48,4% nella fascia d’età 35-39 anni, 38,9% nella fascia 40-44 anni, 31,1% nella fascia 45-49 anni, 22,2%
nella fascia 50-54 anni, 13% nella fascia 55-59 anni, 8,9% nella fa-scia 60-64 anni, 6,7% nella fafa-scia 65-69 anni, 5% nella fafa-scia 70-74 anni e solo il 3,8% per la fascia superiore ai 74 anni.
E’ evidente che le avvocate hanno raggiunto la parità numerica, al-meno fra i più giovani, ma non hanno raggiunto certo l’uguaglianza nell’esercizio della professione forense rispetto ai colleghi uomini.
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Da una recente indagine Censis risulta che uomini e donne
sem-brerebbero incontrare le medesime difficoltà nei diversi momenti della carriera di avvocato. Le differenze più significative si osservano in relazione alla fase della maturazione professionale. Da questo punto di vista, il cammino delle donne avvocato appare più comples-so, segnatamente rispetto alla possibilità di farsi un nome (le donne ri-tengono che quel momento sia “molto difficile” all’87% contro il 74%
degli uomini), alla possibilità di avere dei clienti propri (80% a 70,1%), al momento in cui si vuole aprire uno studio proprio (77,5% a 62,1%).
Per le donne che intraprendono la professione forense lo sforzo da profondere appare diffusamente più gravoso di quanto non accada ai loro colleghi uomini, soprattutto relativamente a quegli stadi della sto-ria lavorativa che hanno una forte valenza di crescita professionale, sia in termini di autonomia, che di capacità di gestione del mercato in senso ampio.
Le donne avvocato hanno superato i colleghi uomini nella forma-zione e l’accesso alla professione: si laureano più numerose e nei tempi stabiliti ed, inoltre, ottengono ottimi risultati nelle prove di accesso alla professione. All’avvocata viene da tutti riconosciuta ottima preparazio-ne, reponsabile impegno nella professiopreparazio-ne, abnegazione nell’esercizio dell’attività, specificità caratteriali di genere migliorative.
Le donne in generale scelgono la professione forense principal-mente per passione oltre che per raggiungere l’indipendenza, l’auto-nomia e la realizzazione di sè.
Le donne avvocato, rispetto, agli uomini hanno una spiccata pro-pensione all’organizzazione ed alla standardizzazione dei processi, ten-dono a valorizzare la squadra ed il lavoro di gruppo e sono spinte da un desiderio di fare indipendentemente dal riconoscimento sociale.
Sono più precise, rispetto ai loro colleghi, sono metodiche e at-tente ai dettagli, sono capaci di fare più cose contemporaneamente (necessità: virtù), si aggiornano di pù attraverso lo studio e le letture, sono orientate più all’immediato e non alla strategia di lungo termine:
preferiscono curare i clienti che hanno piuttosto che puntare allo svi-luppo del mercato, ed hanno una minore capacità di affrontare gli im-previsti, rispetto ai colleghi uomini.
Nel rapporto con i clienti risultano essere più abili nell’ascolto, più dotate di capacità intuitive e disponenti di applicazioni psicologiche.
Sono più attente e accurate, quindi percepite come più professio-nali anche se talvolta possono diventare pignole, nervose, apprensive, inflessibili e poco accomodanti; hanno maggiore iniziativa e capacità di fidelizzare i clienti; assumono un atteggiamento più materno che mette a proprio agio i clienti.
Anche nei rapporti con i collaboratori le donne avvocato tengono un comportamento diverso rispetto a quello dei loro colleghi. Le av-vocate appaiono più materne, si dedicano di più alla crescita dei col-laboratori e ritengono più importante che le persone si sentano consi-derate e realizzino i loro sogni. Sono decisamente più autonome, pre-tendono maggiore precisione, ordine, attenzione ai dettagli. Sono più direttive, severe e meno accomodanti, anche se sono più controllate, esplodono emotivamente di meno e riescono a mantenere un maggio-re distacco.
Rispetto alla teconologia sono, generalmente, meno curiose, meno interessate, propense a delegare la teconologia agli uomini, con diffe-renziazioni secondo l’età e la sensibilità individuale (le giovani sono più aperte alla tecnologia).
Le avvocate appaiono più coinvolte nei problemi personali dei propri clienti, sono meno capaci di mascherare l’emotività, anche se sono più capaci di evitare esplosioni d’ira.
Dimostrano una preferenza per una gestione più “democratica”, agiscono più collegialmente degli uomini e si fanno molto più carico della dimensione umana dei problemi.
Gli uomini avvocato percepiscono diffusamente il lavoro delle donne come equivalente al loro (lo pensa il 72,3% degli uomini a fronte del 53,3% delle donne), mentre sono sempre le donne a segnalare maggior convizione nell’attribuirsi caratterizzazioni che le differenziano dagli uo-mini (in particolare relativamente alla loro capacità di stimolare i cam-biamenti).
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A dispetto della maggior preparazione, del maggior impegno profu-so dalle avvocate nell’esercizio della professione, delle loro peculiarità e specificità caratteriali di genere migliorative, la partecipazione dei due sessi nel mondo professionale forense si continua a ripartire in modo di-seguale con profonda penalizzazione per il genere femminile.
Prova ne è il fatto che il consistente numero di donne presenti nella professione forense non corrisponde ad altrettanto titolari di studio.
Soltanto il 60% delle donne avvocato iscritte agli Albi è titolare di uno studio proprio o partecipa in associazione con colleghi e/o colle-ghe. Il 40% svolge la propria attività in forma collaborativa presso studi di altri colleghi e/o colleghe.
L’organizzazione di uno Studio proprio richiede un impegno tota-le che molte donne, altota-le prese con il lavoro di cura della famiglia, la
maternità coincidente con l’inizio della vita professionale, preferisco-no preferisco-non affrontare direttamente.
La vita coniugale provoca un’accellerazione della carriera profes-sionale maschile ed un rallentamento di quella femminile, così pure la maternità e la responsabilità della crescita dei figli, che nel nostro con-testo sociale sono poste a esclusivo carico delle donne pur svolgendo un lavoro esterno, determinando questo un limite naturale ed impre-scindibile della progressione delle donne nella professione.
Con riflessi in negativo per le avvocate sia sulla capacità redditua-le che nella rappresentanza delredditua-le stesse nelredditua-le istituzioni e nelredditua-le asso-ciazioni di categoria.
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Dai dati rilevati, si può tranquillamente affermare che nella pro-fessione forense è presente un numero elevato, qualificato e qualifi-cante, di donne avvocato che hanno un ruolo ed ottengono risultati;
malgrado ciò, non altrettanto si verifica sotto il punto di vista della re-ferenzialità e dell’emergenza delle donne avvocato in ruoli di cd “po-tere” e di “comando”.
Come succede nel campo generale del lavoro anche nella Profes-sione Forense la donna sta fuori dalla stanza dei bottoni: anche quan-do ricoprono posizioni di responsabilità, dal punto di vista organizza-tivo e forma, in realtà non vengono consultate, nè tanto meno coin-volte, al momento di prendere decisioni che impattano in materia de-terminante sugli assetti organizzativi e di potere delle strutture alle quali appartengono.
Alle donne viene riconosciuta competenza, affidabilità ma in una logica di servizio: debbono essere quindi disponibili a fare ma non sono adatte a decidere.
Ed il risultato di questo atteggiamento, indubbiamente discrimi-natorio, è il fatto che le avvocate sono sottorappresentate nelle proprie istituzioni ed associazioni di categoria.
La massima istituzione, il Consiglio Nazionale Forense compo-sto da 26 Consiglieri, uno per ogni distretto per Corte d’Appello ed eletti direttamente dai Consigli degli Ordini degli Avvocati, nel rinno-vo attuale (in fase di insediamento) è composto unicamente da avrinno-vo- avvo-cati uomini. Ed in passato si sono registrate soltanto due presenze femminili nella storia del CNF.
Fra i Delegati della Cassa Forense si conta la presenza di cinque avvocate degli ottanta complessivi e nessuna con incarichi gestionali.
Dei 165 Ordini degli Avvocati soltanto 3 sono presiedute da una donna avvocato: L’ordine di Lecco, l’Ordine di Tortona e l’Ordine di Voghera.
Soltanto nelle cariche di Tesoriere e Segretario troviamo una presenza femminile significativa: rispettivamente 41 e 39 avvocati donna.
Forse perchè rappresenta l’organo politico dell’avvocatura e quin-di più aperto ad una visione democratica quin-di rappresentanza, l’OUA vanta il Presidente donna l’avv. Michelina Grillo, una dei tredici av-vocati donna sui complessivi 66 delegati.
E nelle Associazioni non troviamo un panorama migliore salvo sporadici casi!
Nell’ANF predomina la presenza femminile; nell’Unione Triveneta l’Ufficio di Presidenza è composto da soli uomini (dei sedici Ordini as-sociati nessun Presidente è donna pur trattandosi di un territorio aperto ai cambiamenti e sempre pronto nell’anticipare gli avvenimen-ti); Nella società Italiani Avvocati Amministrativi non vi è alcuna pre-senza femminile; Sporadiche sono le presenze femminili anche nella Giunta delle Unioni Camere Penali e nell’Organo direttivo delle Ca-mere Civili.
Nell’AIGA le cose vanno un pò meglio: abbiamo una presenza fem-minile significativa, dovuta forse al fatto che nella fascia dei giovani avvocati le donne hanno superato numericamente gli uomini.
La massiccia presenza delle donne avvocato la troviamo soltanto nelle Associazioni che riguardano la materia del Diritto di Famiglia, terreno storicamente ricoperto dalle presenze femminili vuoi per tra-dizione vuoi perchè mercato non appetibile ai colleghi uomini.
Innegabile il fatto che più aumenta il prestigio della posizione, sia nelle istituzioni che nelle associazioni, maggiormente diminuisce il numero delle donne avvocato destinate a ruoli di rappresentanza del-l’avvocatura.
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I meccanismi attraverso i quali si creano i gruppi di potere non sono espliciti. Spesso mutano i motivi e le aree intorno alle quali i gruppi si aggregano; le modalità di ingresso è quasi sempre la coopta-zione.
Gli uomini che nella professione forense continuano a detenere il potere, sono assai poco disposti a riconoscere alle donne le caratteri-stiche di “appartenenza” che consentono la cooptazione.
Anche quando produce un risultato identico a quello dell’uomo, il lavoro di una donna è spesso considerato inferiore, i successi delle donne vengono considerati in un’ottica che è coerente con aspettative di prestazioni negative basate su stereotipi, e il loro lavoro è sottova-lutato solo perchè sono donne.
A una donna si può dire che non è stata cooptata adducendo mo-tivazioni vaghe “ha bisogno di più esperienza”, “non è ancora pronta”
o “deve fare meglio il gioco di squadra”. La donna avrà il sospetto di essere stata giudicata ingiustamente, ma dal momento che i criteri di valutazione sono ambigui non può dimostrarlo.
Non è facile contestare questi atteggiamenti, poichè non vengono esplicitati i criteri di scelta e comunque si tende a negare, sul piano formale, l’esistenza di gruppi di potere che sono una costante in tutte le organizzazioni.
Escludere le donne dai processi decisionali più delicati che inci-dono sulle variabili della vita professionale forense significa impedire alle donne di raggiungere l’uguaglianza negando così il diritto alla realizzazione delle pari opportunità.
Perchè se le donne non riusciranno ad entrare nella stanza dei bottoni non potranno essere partecipi delle decisioni prese e nelle quali non si tiene conto di quelle peculiarità femminili che sono da considerarsi un valore aggiunto nell’esercizio della professione.
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Oggi alle donne viene riconosciuta, sulla carta, una parità formale, ma non ancora una parità sostanziale, spendibile fra le pieghe del quoti-diano e questo perchè, alla base, non sono ancora stati modificati gli schemi culturali per permettere l’attuazione della parità quale ugua-glianza delle opportunità.
La problematica di genere attiene ai meccanismi di potere operanti nell’intero corpo sociale e la divisione sessuale del lavoro è parte inte-grante della divisione sociale del lavoro. La promozione del lavoro fem-minile deve affrontare innanzitutto il fatto che la funzione affidata alla donna come madre e moglie nell’ambito domestico e il “lavoro degli affetti” addossato in maniera pressocchè esclusiva alla donna sono tra i motivi principali della distrubuzione diseguale delle donne e degli uomini nel lavoro.
E’ perciò importante elaborare nuovi modelli di ruolo ed istituti so-ciali che permettano di conciliare professione e famiglia e rispecchino esigenze e scelte specifiche delle donne. Tutto ciò per accrescere la
fi-ducia delle donne in se stesse e nel modo di svolgere il loro lavo-ro, per il superamento di stereotipi culturali e mentali fortemen-te radicati che spesso le donne perpetuano con l’educazione, tra-smettendo ruoli sessuali diversi ai figli maschi ed alle figlie fem-mine; i modelli formativi e le pratiche di orientamento debbono abbandonare la loro veste solo ingannevolmente “neutrale” per assumere una specifica attenzione alle differenze di genere.
Inoltre, come sottolineato dall’Unione Europea, la democrazia è un valore fondamentale la cui realizzazione richiede la piena parteci-pazione e la rappresentanza di tutti i cittadini, donne e uomini, ai pro-cessi decisionali e alla vita economica, sociale, civile e culturale di ogni paese. L’impegno comunitario in materia di pari opportunità non è solo una questione di rispetto dell’individuo, ma è una necessità per la valorizzazione delle risorse umane, per mettere a frutto le compe-tenze ed i talenti di tutti i cittadini, ivi compresi i gruppi discriminati.
E’ quindi necessario abbattere le barriere attitudinali che spesso im-pediscono alle donne di realizzare le loro potenzialità in modo da evi-tare così un enorme spreco di talenti.
Le donne avvocato, che stanno raggiungendo l’egual numero dei colleghi uomini, oltre al riconoscimento numerico hanno il di-ritto di pretendere il riconoscimento di un ruolo e una funzione de-terminante per l’avvocatura, abbandonando il ruolo subalterno e la posizione non dominante alle quali fino ad oggi sono state rele-gate: ciò sarà possibile solo se le donne avvocato diventeranno im-prenditrici di se stesse!
E per raggiungere questo obiettivo è indispensabile modificare la cultura delle pari opportunità.
E’ necessario puntare su una crescita culturale dell’intero mondo del-l’avvocatura con l’acquisizione della consapevolezza che la costituziona-lizzazione nell’art. 51 del principio di parità, lungi dall’essere il supera-mento di una “minorità” è al contrario il crisma di una parità effettiva.
Proprio la forza nuova delle donne, il loro sottrarsi alla domina-zione maschile e anche agli imperativi femminili della lamentadomina-zione e del vittimismo le inserisce in un’area comune a donne e uomini: l’area dell’autodeterminazione e della libertà della costruzione del sè.
Dove la realizzazione di sè nel lavoro professionale non è solo una condizione quotidiana della vita, ma uno dei pilastri fondamentali del-l’identità della donna avvocato, insieme e contemporaneamente alla realizzazione di sè nella vita affettiva, acquistando autonomia e rea-lizzazione personale di peso effettivo nei luoghi di potere rifiutando l’omologazione al maschile.
Per raggiungere l’obiettivo di una reale parità professionale tra la donna avvocato e l’uomo avvocato è sicuramente necessario percorrere ancora molta strada ed infrangere molti luoghi comuni e profondi pre-giudizi maschili perchè per gli avvocati uomini non si tratterà solo di la-sciare posti di potere, ma di cambiare l’idea profonda che hanno di se stessi, che è radicata in un’idea governata solo da loro al quale le donne possono avere accesso per cooptazione.
La classe forense si racconta anche attraverso i suoi luoghi simboli-ci e di potere.
Ad oggi la professione forense racconta solo di uomini e pochissime donne, e non racconta quindi la verità e se non racconta la verità non può funzionare bene.
Sta alle donne “per metà vittime, per metà complici, come tutti del resto” come diceva Sartre, ed agli alleati che sapranno trovare, perfezionare questo racconto.
DIFFERENZIALE RETRIBUTIVO DI GENERE NELLA