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Considerazioni a margine del diverso trattamento riscontrato nella disciplina della successione nel diritto controverso in Francia e in Germania

Nel documento La successione nel diritto controverso (pagine 114-121)

Sezione III: Actiones e res

litigiosae 28. Riepilogo e transizione

31. Considerazioni a margine del diverso trattamento riscontrato nella disciplina della successione nel diritto controverso in Francia e in Germania

Si impongono, a questo punto, alcune considerazioni in merito ai risultati che l’indagine storico-comparata ha permesso di raggiungere.

Nella Germania di diritto comune la possibilità di definire – peraltro in via prettamente teorica – un unitario regime della cessione delle actiones litigiosae era fatta dipendere dalla particolare configurazione dogmatica che i diritti reali avrebbero ricevuto nella pandettistica tedesca a partire dal XIX secolo: il diritto reale, una volta calato nel processo, si sarebbe disarticolato in un vero e proprio rapporto obbligatorio, e in quanto tale ne avrebbe seguito la disciplina, finanche in punto di trasferimento in corso di causa ad opera dell’attore433.

La disciplina della cessione dell’actio litigiosa avrebbe pertanto imposto il subentro del nuovo titolare nella medesima posizione processuale occupata dal dante

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Come si è visto tale stringente collegamento sarebbe stato instaurato da MEISTER, Die Veraeusserung, cit.,

16 ss., il quale offre una preziosa conferma della natura sostanziale delle problematiche relative alla individuazione della Streitbefangenheit der Sache allorché afferma: “Was die in Streit befangene Sache begrifflich bedeutet, muss demnach aus dem Prozessrecht entnommen werden. Wann aber, d.h. bei welchen im Prozess streitigen Rechten und Anspruechen eine Sache streitbefangen wird im Gegensatz zu den auch im Prozess geforderten, aber nicht litigioesen, das idt eine Frage, die lediglich aus dem materiellem Recht beantwortet werden kann und muss”.

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E proprio in tal senso viene intesa la nozione di Sachlegitimation quando la dottrina tedesca, per individuare la streitbefangene Sache, afferma che essa è data “wenn auf rechtlicher Beziehung zu ihr die Sachlegitimation des Klaegers oder des Beklagten beruht”. Non v’è dunque nessuna connotazione processuale in tale nozione.

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Così è indicativo che MÜHLENBRUCH, Die Lehre, cit., 16, equiparasse obbligazioni e azioni sotto la

definizione di diritti di credito (Forderungsrechte): “ Dem dominium pflegt die obligatio entgegengesetzt zu werden. Damit indessen dieser Gegensatz vollstaendig erscheine, muss hinzugefugt oder hinzugedacht werden: et actio. Beides zusammengenommen wird sehr gut durch unser: Forderungsrecht bezeichnet. Jede Forderung nun setzt eine zwischen bestimmten Personen stattfindende Beziehung voraus, sie mag in einer obligatio oder in einem absoluten Recht ihren Grund haben”. Tale equiparazione giungeva fino al punto di affermare

MÜHLENBRUCH, Die Lehre, cit., 245, s. “ nur Forderung in der eigentlichen Bedeutung, diese aber im vollen Sinne

des Worts, d.h. sowohl mit Einschluss der dinglichen Klagen […] koennen Gegenstand der Cession sein”; 246: “der Begrif von Forderung […] auf alle Klagen zu beziehen sei. […] Vindicationen eben so gut und zu gleichen Rechtswirkungen wie persoenliche Klagen abgetreten werden koennen”; Cfr. anche SINTENIS, Das practische,

cit., 808, il quale, tra i crediti (Forderung) possibili oggetto di una cessione annovera “endlich der aus einem Sachenrecht entsprungenen, gegen eine bestimmte Person durch Verletzung von deren Seite bereits begruendet Klagen, indem hierdurch stets ein obligatorisches Verhaeltnisse entstanden ist, so dass nicht das Sachenrecht selbst cedirt wird, sondern nur dessen Ausuebung in jener Richting”, aggiungendo in nt. 26 “wodurch es uebrigens zum Erwerb des Eigenthums kommen kann, wenn dies sonst zwischen dem Cedenten und Cessionar beabsichtigt war”.

causa (Parteiwechsel): ciò perché, pur inverandosi una successione in una situazione meramente obbligatoria (sia che questa fosse stata preesistente al processo, sia perché fosse sorta dalla violazione del diritto reale), sarebbe stato lo stesso meccanismo processuale – il giudicato – che avrebbe infine condotto all’acquisto definitivo della proprietà a favore dell’attore una volta che la domanda fosse stata accolta434

Soltanto apparentemente divergente sarebbe risultata la relativa disciplina, in età successiva, sotto la vigenza del § 265 ZPO interpretato alla luce degli schemi imposti dalla Relevanzthoerie. L’istituto della sostituzione processuale avrebbe permesso – mutatis mutandis – di operare di fatto un mutamento della qualità dell’attore, da legittimato ordinario a sostituto processuale del proprio avente causa, senza necessità di procedere anche formalmente ad un avvicendamento delle parti del processo.

Al contrario, in riferimento alla disciplina delle res litigiosa, a venire in rilievo sarebbe stato il carattere assoluto delle situazioni soggettive di natura reale coinvolte nel processo e nel trasferimento operato in corso di causa dal convenuto: sarebbe così bastato richiamarsi a tale carattere e all’opponibilità erga omnes della posizione di vantaggio fatta valere e riconosciuta in capo all’attore sul bene controverso per implicarne la soggezione dell’avente causa alla sentenza emessa nei confronti del solo autore.

Anche in tal caso è possibile registrare una sostanziale continuità di soluzioni tra il più antico regime della Veraeusserungsverbot e le discipline particolari codificate nei singoli Laender che sarebbero da ultimo confluite nell’odierno istituto della Veraeusserung der in Streit befangene Sache ai sensi § 265 ZPO. Che l’alienazione della res fosse assolutamente vietata, ovvero resa del tutto irrilevante nel corso del processo, il dato costante della disciplina sarebbe consistito nella possibilità per l’attore vittorioso di opporre la sentenza e di metterla in esecuzione nei confronti del successore ex latere rei senza necessità di un ulteriore processo.

In chiosa alla evoluzione tracciata sembra potersi effettivamente dire che tutto sarebbe dovuto formalmente cambiare perché di fatto tutto restasse come prima.

Tali erano le direttive di tendenza che si andavano delineando nella Germania di diritto comune, ancor prima della codificazione processuale unitaria e in mancanza di una normazione precipua che disciplinasse la successione nel diritto controverso. Ciò che del resto corrispondeva alla netta suddivisione dei diritti patrimoniali in diritti reali e diritti di credito che veniva tracciata dalla dottrina del tempo435.

Atale proposito, sempre mantenendosi in una prospettiva storico-comparata, può rivelarsi utile un raffronto con la coeva ma del tutto antitetica tendenza che si andava delineando in Francia agli inizi dell’800. Si è visto, infatti, come sin dall’inizio del secolo si andasse profilando nel paese d’oltralpe un consolidato orientamento giurisprudenziale in materia di limiti soggettivi della sentenza e, in via riflessa, di successione nel diritto

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Sul punto WINDSCHEID, Die Actio des römischen Civilrechts, vom Standpunkte des heutigen Rechts,

Düsseldorf, 1856, 119, il quale ammette la possibilità di una cessione separata della Anspruch dal diritto di cui era espressione: “Es ist moeglich, dass die einem Rechte entsprechende Actio auf Jemandem uebergeht […] Moeglich ist es durch die Selbststaendigkeit der Actio”.

435Cfr. per tutti SAVIGNY, Sistema del diritto romano attuale, in tr. it. Scialoja, I, Torino, 1886, § 56, 367: “Due [ sono gli oggetti del diritto patrimoniale, cose e atti dell’uomo. Di qui la divisione principale di esso in: diritto sulle cose e diritto di obbligazione”.

controverso, tendente a differenziare la disciplina a seconda della diversa situazione di vantaggio trasferita in pendenza del processo436.

Ebbene, sembra possibile avanzare la congettura che tale apparentemente contrastante fenomeno dipendesse dalle particolari condizioni politico -sociali che contraddistinguevano lo stato francese post-rivoluzionario, e dalla sua legislazione particolarmente liberale.

Infatti, è opinione unanimamente condivisa che la rivoluzione francese abbia rappresentato il coronamento dell’affermazione del potere politico ed economico della borghesia, diretto a trasformare irreversibilmente l’assetto statale e a spogliarlo delle parassitarie strutture feudali proprie dell’ancient regime. Quest’ultimo, come ampiamente noto, costituiva un sistema di potere politico-economico imperniato principalmente sulle concessioni del patrimonio immobiliare, sulla rendita fondiaria, nonché sul vassallaggio e sui privilegi. Tale rete di vincoli imposti sulla proprietà privata rappresentavano un evidente freno alla libertà di sfruttamento, di disposizione e di circolazione dei beni mobili ed immobili per il dinamico ceto borghese e, al contempo, costituivano ancora fonte di disuguaglianza tra classi sociali ed occasione di scontri e controversie con le classi privilegiate.

Era, evidentemente, contro il mantenimento di tale sistema di diritti e di privilegi che doveva dirigersi l’azione politica degli organi rivoluzionari prima437 e, successivamente, di quelli del nuovo Stato francese.

Assunte le redini del nuovo corso politico, la nascente classe dirigente borghese seppe forgiare a propria immagine la struttura e la costituzione economica del nuovo stato, influenzando in senso decisivo gli orientamenti del futuro legislatore fino al punto di imporgli le proprie esigenze e programmi economici: liberalizzazione della proprietà privata da ogni persistente vincolo giuridico e decisivo impulso alla circolazione dei beni438.

In tale complessivo contesto economico-culturale è più che naturale ritenere che anche la giurisprudenza della Cour de Cassation – del resto nata come longa manus del potere politico – venisse influenzata da tale complessiva atmosfera, e fosse di conseguenza

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Richiamo. In breve: mentre in caso di trasferimento di diritto di credito lite pendente la sentenza sarebbe stata efficace anche nei confronti del cessionario, il quale sarebbe stato legittimato a promuovere contro di essa autonoma impugnazione, al contrario in caso di trasferimento di una posizione di consistenza reale la sentenza sarebbe stata inopponibile all’acquirente, salvo suo intervento o chiamata in causa nel processo, con consequenziale possibilità di avvalersi della tierce opposition.

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In tale direzione si pone la soppressione del sistema dei diritti e degli antichi privilegi che sarebbe dovuta avvenire, in base alla deliberazione dell’Assemblea Costituente del 4 agosto 1789, dapprima mediante il riscatto e poi, con il decreto della Convenzione del 17 luglio 1793, senza alcun indennizzo. A ciò si aggiunga la nazionalizzazione dei beni del clero secolare e regolare, di alcuni ordini militari, nonché la confisca del patrimonio della corona.

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E’ in tale complessivo programma di riforme che si collocano i risultati più emblematici del nuovo corso politico: non è del resto un caso che la proprietà privata venga considerata come diritto sacro e inviolabile dall’art. 87 della Costituzione francese del 1791, o che venisse inclusa, insieme alla libertà e alla sicurezza, tra i diritti naturali e imprescrittibili dell’uomo agli artt. 2 e 17 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino La stessa legislazione ordinaria avrebbe dato meramente esecuzione a tale complesso disegno politico -economico: si è, infatti, esattamente osservato come il Code Napoleon avrebbe posto al centro del proprio sistema il “dogma della proprietà”, mentre le obbligazioni verranno considerate come meri modi di acquisto della proprietà (art. 711).

portata ad intravvedere, nel giudicato altrui che minacciasse l’intangibilità del diritto di proprietà, benché acquistato in pendenza di un giudizio che lo concerneva, uno di quei tanti vincoli contro cui dovesse porsi argine.

32. Brevi considerazioni in tema di diritto soggettivo e di rapporto giuridico L’aver toccato nelle pagine che precedono alcuni temi nevralgici di teoria generale del diritto come quello del rapporto giuridico, impone a questo punto di operare una decisa presa di posizione. I più recenti orientamenti in dottrina – muovendo dalla valutazione critica e dal conseguente rifiuto della concezione imperativistica del diritto439

– hanno finito con lo svalutare grandemente la portata del concetto di rapporto giuridico. Con la conseguenza di aver infranto il nesso di necessaria interdipendenza tra rapporto giuridico e diritto soggettivo(440).

In particolare, una volta venuta meno l'idea che la norma giuridica possa essere configurata come un comando – come un imperativo, appunto – si è sentita la necessità di negare la preminenza della posizione giuridica soggettiva del dovere, rispetto al diritto. Di modo che non appare ulteriormente sostenibile la posizione di chi individua il diritto soggettivo sulla base della destinatarietà dell'obbligo441, e che, pertanto, vincola

indissociabilmente il diritto soggettivo di un soggetto al dovere (o all'obbligo) di uno o più soggetti diversi.

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Ci si riferisce, com'è noto, alla concezione che individua nella norma un comando, propugnata, in Italia, da CARNELUTTI, Teoria generale del diritto, 2a ed., Roma, Sefi, 1946, passim; DEL VECCHIO, Lezioni di filosofia del

diritto7, Milano, Giuffrè, 1950, 220. Tale teoria va incontro a non poche critiche. In primo luogo, è stato acutamente rilevato che il comando presuppone una “volontà” e, dunque, l'esistenza di un individuo che pone il comando, e – a meno di non voler antropomorfizzare lo stato – nella legge non c'è alcuna persona che ponga questo comando. La critica non è stata efficacemente superata da chi ha “despicologizzato” il comando (KELSEN, Teoria generale del diritto e dello stato6, tr. it. a cura di COTTA e T REVES, Milano, 1994, p. 33 e s.; OLIVECRONA,

L'imperativo della legge, in Jus, 1954, 451 ss., il quale parla di «imperativi impersonali»), essendosi acutamente osservato che «la concezione della norma come comando o riconduce all'autore di essa e la intende come il risultato di una determinata volizione psicologicamente individuabile, ovvero nell'ipotesi del comando “depsicologizzato” esprime null'altro che lo stesso essere norma della norma e si risolve pertanto in una tautologia» (così MODUGNO,

Norma (teoria generale), in Enc. del dir., XXVIII, Milano, Giuffrè, 1978, 334). In secondo luogo, pur a voler accettare l'imperativismo “depsicologizzato” dal lato attivo, non può non osservarsi come alcune norme, dal lato passivo, riguardino soggetti incapaci, verso i quali nessun comando è pensabile (sul problema della norma si vedano, in generale, BOBBIO, Teoria della norma giuridica, Torino, 1958, oggi riprodotto in ID., Teoria generale del diritto,

Torino, Giappichelli, 1993, pp. 79 e ss.; MODUGNO, Appunti per una teoria generale del diritto. La teoria del diritto oggettivo2, Torino, 1997, 4 ss. Tra i civilisti si vedano NATOLI , B IGLIAZZI GERI, BRECCIA e BUSNELLI, Diritto civile, I, Norme, soggetti e rapporto giuridico, Torino, Utet, 1986, pp. 14 e ss.). A mio avviso, inoltre, la teoria imperativistica non è in grado di spiegare il fenomeno della consuetudine, né quello delle norme abrogatrici di altre norme. In questi casi, infatti, non è possibile ravvisare, rispettivamente, l'autore del comando ed i suoi destinatari.

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Tale nesso è ancora presentato come inscindibile da una larga parte della dottrina civilistica, ancorché vi siano state – da parte di alcuni autori – delle progressive ed evidenti aperture verso la direzione qui sostenuta. Per il nesso tra rapporto giuridico e diritto soggettivo, si vedano ALLARA, Vicende del rapporto giuridico, fattispecie, fatti giuridici, (1941), rist., Torino, 1999, passim; IRTI, Introduzione allo studio del diritto privato4,

Padova, Cedam, 1990, pp. 34 e ss.

441

Si utilizza la terminologia adottata da IRTI,Introduzione allo studio del diritto privato4, cit., p. 35 e s., il

quale prosegue affermando che «il diritto soggettivo non può essere concepito se non con riferimento ad un obbligo altrui; cioè come destinazione dell'obbligo gravante su uno o più soggetti diversi dal titolare del diritto. La direzione dell'obbligo esprime l'esistenza del diritto soggettivo, e ne identifica il titolare, il quale è nulla di più di un semplice destinatario, utile a soddisfare la domanda: verso chi sono obbligato?» (i corsivi sono dell'Autore).

La norma giuridica, nelle elaborazioni più recenti, si presenta non come comando – ché altrimenti sarebbero inspiegabili una lunga serie di suoi effetti(442) –, ma come nesso di condizionalità tra un fatto (meglio: una fattispecie) ed una conseguenza (meglio: un effetto) (443). E tale nesso di condizionalità, quando sia riferito all'azione umana, contiene un giudizio

di valore, espresso in termini di doverosità o di libertà di una condotta(444).

Se si accolgono tali premesse non è ulteriormente sostenibile che al dovere di un soggetto debba sempre corrispondere il diritto soggettivo di un altro(445).

Con ciò non si vuole negare che spesso il dovere di un soggetto sia legato funzionalmente alla realizzazione di un diritto altrui – nel qual caso il dovere viene tradizionalmente denominato obbligo –, ma si esclude che tutte le condotte che la norma giudica qualifica come doverose siano correlate ad un diritto(446). E', dunque, da

condividere la posizione di chi esclude che i diritti assoluti possano essere identificati con un rapporto giuridico strutturato in guisa che al potere del titolare corrisponda il dovere di astensione di tutti gli altri consociati(447). Infatti, il dovere di astensione è posto come

semplice «rete di protezione» a presidio di ogni interesse meritevole di tutela – e dunque anche a presidio di ogni diritto soggettivo – e non come posizione soggettiva speculare al diritto soggettivo(448).

442

Si fa riferimento, oltre che alle ipotesi di norme i cui destinatari siano soggetti incapaci, alle ipotesi di norme che abrogano altre norme ed alle norme nascenti da “fonti fatto” (ad es., consuetudine interna ed internazionale) per le quali sembra francamente inaccettabile la nozione imperativistica del diritto.

443

In questi termini FALZEA, Efficacia giuridica, in Enc. dir., XIV, Milano, Giuffrè, 1965, p. 477 (ora

riprodotto in Ricerche di teroria generale del diritto e di dogmatica giuridica. II. Dogmatica giuridica, Milano, Giuffrè, 1997, pp. 115 e ss.).

444Per indicare la previsione normativa di un diritto soggettivo, preferisco esprimermi in termini di «libertà», anziché in termini di «liceità», atteso che anche la condotta doverosa – pur senza essere libera – è lecita. Giova qui richiamare quanto osservato da COLZI, Diritto soggettivo, in Enc. forense, III, Milano, 271, il quale – distinte le attività

lecite tra quelle garantite e quelle imposte da una norma – conclude: «diritto ed obbligo si contrappongono l'uno all'altro, come titoli contrari di qualificazione del lecito, per cui da un lato abbiamo un comportamento libero e garantito, dall'altro lato un comportamento vincolato in cui si esaurisce la liceità, in quanto il non adottare da parte del soggetto quel comportamento determina immediatamente lo sconfinamento nella illiceità». Osservazioni simili sono compiute, nell’area del diritto civile, da DE CUPIS, I diritti della personalità, cit., p. 210; PUGLIATTI, Esecuzione

forzata e diritto sostanziale, Milano, Giuffrè, 1935, p71; CARNELUTTI, Diritto alla vita privata, in Riv. trim. dir. pubbl., 1955, p. 3, il quale – con la consueta chiarezza

– afferma che «non per altro il diritto si distingue dal dovere se non perché è espressione di libertà» (citato da DE CUPIS, loc. cit.).

445

() Tale conclusione è condivisa persino da chi ritiene che ogni diritto soggettivo sia sempre correlato ad un dovere. Cfr. N. IRTI, Introduzione allo studio, cit., p. 36.

446

() La disarticolazione tra diritto soggettivo e dovere è oramai un dato acquisito della dottrina pubblicistica. Si vedano, tra gli altri, ROMANO, Corso di diritto costituzionale3, Padova, Cedam, 1932, p. 73;

PERASSI, Introduzione alle scienze giuridiche, (1922), rist., Padova, Cedam, 1967, p. 48; S ANDULLI, Manuale di

diritto Amministrativo15, Napoli, Jovene, 1989, I, p. 105 e 114; BARILE, CHELI e GRASSI, Istituzioni di diritto

pubblico7, Padova, Cedam, 1995, 40.

447

() Strutturando i diritti assoluti come rapporti giuridici di tal fatta, non si potrebbero ad esempio distinguere il diritto di proprietà e quello di usufrutto, il cui tratto differenziale è costituito dai particolari limiti che incontra il contenuto di quest'ultimo rispetto al contenuto della proprietà. Non, dunque, il generalizzato dovere di astensione, ma il contenuto del diritto è ciò che consente di distinguere un diritto assoluto dall'altro.

448

() Sul punto si rinvia alle perspicue pagine di COMPORTI, Diritti reali in generale, in Trattato di diritto civile e commerciale Cicu-Messineo, Milano, Giuffrè, 1980, 17 e ss., il quale con ampia motivazione – e con il

Quanto affermato – è bene ribadirlo – non esclude che vi siano doveri finalizzati al soddisfacimento di un diritto soggettivo. In questo caso, tuttavia, il dovere non costituisce la «rete di protezione» di una serie aperta e indefinita di interessi, ma è il mezzo attraverso il quale l'ordinamento garantisce il soddisfacimento di un interesse specifico449.

Anche in questi casi, tuttavia, ha modo di operare la «rete di protezione» del dovere di astensione. Il quale, però, non è posto a carico del soggetto obbligato, ma riguarda tutti gli altri consociati, come si trae dal progressivo ampliamento dell'area della tutela aquiliana del credito, inizialmente accordata solo nell'ambito dei rapporti di famiglia a tutela del credito alimentare(450).

Pertanto si ha una posizione di dovere ogni volta che l'ordinamento impone una condotta a taluno a protezione di un indefinito numero di interessi altrui. Viceversa, si ha una posizione di obbligo in tutti i casi in cui la condotta dell'obbligato costituisce l'unico mezzo di soddisfacimento del diritto altrui. Solo in tale ultimo caso, perciò, si ha la necessaria corrispondenza dell'obbligo con un diritto soggettivo.

Da ciò consegue che l'inosservanza di un obbligo determina necessariamente la lesione di un diritto soggettivo, mentre l'inosservanza di un dovere non implica necessariamente tale lesione, che, anzi, può invece rappresentare il fatto costitutivo di un diritto (di credito), ogni volta che alla violazione del dovere consegua un danno ingiusto (cfr. art. 2043 cod. civ.)451

corredo di un notevole impianto bibliografico, cui si rinvia – disarticola il diritto reale dal cosiddetto dovere di astensione. Per una sintesi del pensiero di questo Autore, sul problema dei diritti reali, si rinvia anche alla sua

Nel documento La successione nel diritto controverso (pagine 114-121)