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Il contesto dogmatico

Nel documento La successione nel diritto controverso (pagine 84-97)

22. Le premesse teorico-sistematiche della civil-processualistica tedesca del XIX secolo: Aktionenrechtliches Denken

E’ risaputo che la linea di sviluppo seguita dagli ordinamenti europei, ed in particolare per quanto qui interessa di quello tedesco ed italiano, è stata segnata dalla progressiva emancipazione del diritto processuale da quello sostanziale. E’ noto, infatti, che gli ordinamenti attualmente vigenti si sono sviluppati dalle ceneri del diritto romano: un sistema giuridico che non avvertiva soluzione di continuità tra diritto materiale e processuale, ma che anzi concepiva le situazioni giuridiche di vantaggio in termini di azioni (actiones) più che di diritti309.

Tale sistema di pensiero, passato alla storia in progresso di tempo come

Aktionenrechtliches Denken310, avrebbe permeato di sé la prospettiva da cui, nelle epoche a

309

Cfr. ARANGIO-RUIZ,Istituzioni di diritto romano, 10aed., Napoli, 1951, 108, avverte che “se nello studio del

diritto vigente il processo civile può essere separato dal diritto privato (o, come usa dire, materiale), ciò non è possibile nello studio del diritto romano. La concezione moderna dei rapporti giuridici fa sì che essi possano essere descritti nel loro stato di pacifico godimento ed attuazione, e che la violazione e la conseguente applicazione della sanzione abbiano una portata sussidiaria; mentre lo svolgimento degli istituti giuridici romani ha preso le mosse, in certi periodi storici, piuttosto dal mezzo di difesa concesso a chi si trovasse in determinate situazioni anziché dai rapporti di diritto materiali considerati in sé medesimi.” Si veda anche PUGLIESE, voce Azione (diritto romano), in Nvs. Dig., II, Torino, 1958, 24 ss., 27, secondo cui “l’actio, dunque,

non era l’equivalente di ciò che diciamo pretesa o diritto soggettivo, ma piuttosto stava al posto del diritto soggettivo, nel senso che i Romani, anziché parlare il linguaggio dei diritti, usavano preferibilmente quello di actiones”. Ancora, TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano, Milano, 1990, 273: “E’ opinione consolidata che

nell’esperienza romana l’aspetto processuale abbia giocato un ruolo di grande importanza anche con riguardo all’aspetto del diritto sostanziale. […] I giuristi romani impostavano il discorso sugli istituti giuridici sostanziali e sulle situazioni giuridiche soggettive non utilzzando la categoria del diritto soggettivo, bensì riferendosi prevalentemente ai mezzi posti a disposizione dei soggetti per far valere i propri diritti nel processo: ciò accade soprattutto mediante l’impiego del termine actio”.

310

Sul significato da dare a tale locuzione si veda, in particolare, TALAMANCA,Istituzioni, cit.,273, secondo il quale l’espressione, resa a senso, suona “modo di pensare il diritto mediante il riferimento al sistema delle

venire, si sarebbe guardato – a partire dal diritto sostanziale – alle forme e alle condizioni di tutela delle situazioni giuridiche individuali311. In simile contesto, che non andò esente

da , l’inquadramento dei rapporti tra diritto e processo avrebbe riposato con sicurezza e stabilità sulla celebre definizione di Celso secondo cui “Nihil aliud est actio quam ius quod sibi debeatur iudicio persequendi”312.

Ora, l’economia del presente lavoro non consente di seguire partitamente la storia – più che millenaria – dell’elaborazione e degli alterni rapporti tra le nozioni di diritto subiettivo e di azione313, che hanno attraversato i secoli e le nazioni colorandosi delle diverse accezione che il contesto storico, filosofico e giuridico loro imponeva314.

In questa sede, e per i limitati fini prefissi, basterà ricordare come la rivoluzione copernicana che avrebbe, da ultimo, imposto l’ancora attuale primazia del diritto sostanziale sul processo sarebbe stato compiuto in seno al giusnaturalismo e al giusrazionalismo del XVII-XVIII secolo.

Tali correnti filosofiche, di forte impronta individualista, avendo elevato la persona umana a principio ordinante della realtà in ogni ramo del sapere, pervennero in ambito giuridico – attraverso l’opera di concettualizzazione delle tutele concesse in diritto romano – alla enucleazione della figura dei diritti soggettivi, concepiti come attributi originari dell’individuo315 che l’ordinamento positivo avrebbe sol dovuto riconoscere e tutelare. Il “sistema del diritto privato” veniva pertanto ad identificarsi con il sistema dei diritti soggettivi.

Da tale impianto concettuale doveva tuttavia restare escluso il diritto dell’organizzazione dello Stato, concepito come una realtà antitetica e contrapposta azioni”. Cfr. anche KAUFMANN , Zur Geschichte des aktionenrechtlichen Denkens, in Juristen Zeitung, 1964, 482

ss.: “Und zwar handelt es sich um eine eigentuemliche Ausrichtung materiellrechtlicher Gesetzesbestimmungen und ihrer Dogmatik an den Bedingung, unter welchen die einzelnen materiellen Rechte im Prozess durchgesetzt werden koennen”. Lammeyer, Konlikt, cit., 139;

311

Risale al WIECKER, Privatrechtsgeschichte der Neuzeit, 1952, 100, la definizione dell’Aktionenrechtliches

Denken “als Brueckenschlag vom materiellen Recht zum Prozess”. Si veda invece KAUFMANN, Zur Geschichte,

cit., 482, per l’osservazione secondo cui esso – presentemente – costituisca solo “der Restbestand einer bis vor wenigen Jahrzehnten viel intensiver im Prozess verwurzelten Anschaung vom materiellen Recht”.

312

In Dig. 44, 7, 51. Nelle Istituzioni giustinianee se ne rinviene la forse più celebre parafrasi: “ actio autem nihil aliud est, quam ius persequendi iudicio quod sibi debetur”; Inst. IV, 6, pr. Cfr. sul significato fondamentalmente storico assunto da tale definzione, si veda ORESTANO, voce Azione in generale, in Enc. Dir.,

IV, Milano, 1959, 792; nonché CHIOVENDA, L’azione nel sistema dei diritti, in Saggi di diritto processuale civile,

Milano, 1993 (saggio che – come noto – costituisce la versione scritta, arricchita delle note, della famosa prolusione bolognese del 1903).

313

Non può che rimandarsi, per una trattazione di carattere generale, a THON, Norma giuridica e diritto

soggettivo, Padova, 1951; PUGLIESE, Actio e diritto subiettivo, Milano, 1989; ORESTANO, voce Azione in generale,

in Enc. Dir., IV, Milano, 1959, 785 ss.

314

In particolare, sulla storicità e varietà del concetto di azione, si v. ORESTANO, voce Azione in generale, cit.,

786; CALAMANDREI, La relatività del concetto di azione, in Riv. Dir. Proc., I, 1939, 22 ss.; PEKELIS, voce Azione

(teoria moderna), in Nvs. Dig., II, Torino, 1958, 29 ss.

315

Cfr. ORESTANO, voce Azione in generale, in Enc. Dir., IV, Milano, 1959, 788: “il giusnaturalismo aspirava a

fondare un ordine giuridico che comportasse una serie di attributi inviolabili e insopprimibili della persona umana, posti fuori d’ogni discussione e per ciò stesso svincolati il più possibile dai rapporti politici”. Si veda anche COMPORTI, Contributo allo studio del diritto reale, Milano, 1977, 9, secondo cui “il giusnaturalismo […]

presentava ed esaltava, in un nuovo significato, la categoria del diritto soggettivo perché, considerando il diritto in funzione dell’individuo (subiectum iuris), introduceva l’idea degli iura connata quali attributi, potestà, predicati, qualità morali coessenziali alla stessa persona umana”.

all’individuo316, a cui continuava a pertenere lo studio del processo e delle forme volte alla tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive. Per effetto di simile impostazione, l’antica (romanistica) unità concettuale del diritto risultava quantomeno incrinata: l’età moderna aveva portato con sé la percezione di una potenziale frattura tra la sfera soggettiva dei privati e quella pubblica, tra ius privatum e ius publicum317.

Tuttavia, nonostante l’operata inversione dei rapporti di forza tra diritto e processo, quel modo di pensare alle situazioni di vantaggio in funzione della tutela ad esse apprestata – l’Aktionenrechtliches Denken cui si è fatto più sopra riferimento – si è preservato e ancora rappresentava l’abito mentale caratterizzante dei giuristi di ogni estrazione e provenienza per quasi tutto l’ottocento europeo318. Esso sopravviveva

principalmente nell’opera dei pandettisti, che tentavano di colmare la frattura che si era aperta nell’unità concettuale del diritto, cercando una nuova “saldatura” tra il sistema dei diritti soggettivi e il diritto oggettivo, e così tra diritto e processo319. Per tutto il XIX secolo

nozioni come il diritto materiale di azione e la cosa giudicata risultano così ancora appannaggio del diritto sostanziale e costituiscono il necessario momento di passaggio con la dottrina del processo, mentre quest’ultima ancora si occupa delle sole forme dei giudizi320.

316

Sul punto, SOLARI, Individualismo e diritto privato, Torino, 1959, 1 ss., afferma che l’armonia tra individuo

e Stato si ruppe sia a causa della dottrina della Chiesa, sia a causa del sorgere degli stati nazionali, con tendenze assolutistiche ed incompatibili con le libertà dell’individuo.

317ORESTANO , voce Azione in generale, in Enc. Dir., IV, Milano, 1959, 789, il quale evidenzia come “l’elaborazione del diritto privato, inteso come sistema dei diritti soggettivi, e quella del diritto pubblico, inteso come l’insieme delle norme di organizzazione dell’ordinamento politico, cominciarono ad andare ciascuna per la propria strada, facendo capo a fondazioni diverse, l’una basandosi sugli attributi originari della persona, l’altra sugli attributi originari dello Stato e della sovranità. […] In questo rivolgimento di punti di vista e in questo smembrarsi dell’unità concettuale del diritto, comincia il dramma della scienza processuale”

318E’ difficile, al riguardo, segnalare precise date nel passaggio da una impostazione di pensiero ad un altra. In realtà, l’influenza dell’Aktionenrechtliches Denken, e del suo plurisecolare bagaglio culturale, ancora si sarebbe fatta sentire, anche in Italia, per buona parte del XX secolo. Basti ricordare, in proposito, come ancora Chiovenda, nel suo classico saggio del 1903 sulla identificazione delle azioni (CHIOVENDA, Identificazione delle azioni. Sulla regola “ne

eat iudex ultra petita partium”, in Saggi di diritto processuale civile, Milano, 1993, 157 ss.), ancora avrebbe largamente

attinto a quel patrimonio comune del pensiero giuridico europeo. Si è infatti rilevato come la teoria dei tre elementi identificatori della domanda – e, cioè, le parti, la causa petendi e il petitum – fosse il risultato cui pervenne una tenace tradizione culta nella ricerca, iniziata già a partire dal medioevo, “di un criterio sommario, affatto empirico e non generale, destinato a determinare, prevalentemente i limiti del giudicato”. cfr. al riguardo GRASSO, La regola

della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e le nullità da “ultra” o da “extrapetizione”, in Riv. Dir. Proc., 1965,

387 ss., in part. 389)

319

Alla”frattura” fra diritto e processo, così come alla “grande illusione” della pandettistica di rinvenire il loro nuovo punto di “saldatura”, sono dedicate le indimenticate pagine di ORESTANO, voce Azione in generale, cit.,

791 ss.

320

Indicativa è la dichiarazione di intenti all’esordio dell’opera di Savigny, System des heutigen roemischen Rechts, I, Berlin, 1840, 3, ove l’A. dichiara di occuparsi solo del sistema dei diritti. Invano si cercherebbe nella manualistica processual-civilistica del XIX secolo qualche capitolo o paragrafo dedicato alla nozione di azione, di diritto di agire o di cosa giudicata. Ciò resta confermato sol passando in rassegna l’indice di opere come

WETZELL, System des ordentlichen Civilprocesses, 3. Aufl., Leipzig, 1878; BAR, Systematik des deutschen

Civilprocess-Rechts auf Grundlage der deutschen Reichsjustizgesetze, Breslau, 1878; WACH, Handbuch des

deutschen Civilprozessrechts, Leipzig, 1885 (pur dovendosi allo stesso autore il primo studio di stampo moderno in tema di cosa giudicata: W ACH/LABAND , Zur Lehre von der Rechtskraft, Leipzig, 1899). E non è un

caso che la grande polemica sull’actio romanistica aveva coninvolto alla metà dell’800 due grandi romano- civilisti: Windscheid e Muther. La si veda riportata in Windscheid/Muther,

Così, in base a quella che poteva dirsi la concezione ancora imperante al momento della redazione della Civilprozessordnung e direttamente riconducibile all’autorità del Savigny, l’azione in senso sostanziale altro non era che lo stesso diritto posto in stato di lesione321.

Si riteneva infatti che dal verificarsi di un fatto antigiuridico si sarebbe instaurato un nuovo rapporto giuridico tra l’autore della violazione e il titolare del diritto leso, a prescindere dalla consistenza – reale od obbligatoria – di quest’ultimo 322. Oggetto di tale rapporto era, appunto, lo stesso diritto soggettivo nella configurazione (“Gestalt”) che ad esso derivava dalla lesione: direzionalmente rivolto contro l’autore della violazione e reclamante il ripristino dell’ordine giuridico violato323. In tale dimensione relazionale e

preprocessuale era vista consistere l’azione in senso materiale (l’actio, termine preferito324 dal Savigny al tedesco Klagrecht ovvero alla Klage in materiellen Bedeutung325), configurata come uno stadio di sviluppo o una metamorfosi (“Metamorphose”) dello stesso diritto sostanziale326

Simili costruzioni, che risolvevano il problema dell’azione nell’ambito delle categorie civilistiche e la concepivano come lo stesso diritto violato in un suo particolare stato o condizione, ovvero come una facoltà, pertinenza o contenuto dello stesso, potevano dirsi imperanti per tutto il XIX secolo ed erano, al di là di ogni dubbio, ancora poste a base della CPO del 1877 ed ancora della successiva redazione della ZPO del 1898.327

Polemica intorno all’actio, Firenze, 1954.

321

SAVIGNY, System des heutigen roemischen Rechts, V, Berlin, 1841, § 204, 4: “Die besondere Gestalt, welche

jedes Recht in Folge einer Verletzung annimmt ”. Cfr. SIMSHAEUSER, Zur Entwiclung des Verhaeltnisses von materiellem Recht und Prozessrecht seit Savigny, Bielefeld, 1965, 59, che definisce

322

SAVIGNY,System, cit.,, 2: “Indem wir ein Recht in der besonderen Beziehung auf die Verletzung desselbe

betrachten, erscheint es uns in einer neuen Gestalt, im Zustand der Vertheidigung: Theils die Verletzung, theils die zur Bekaempfung derselben bestimmten Anstalten, aeussern eine Rueckwirkung auf den Inhalt und das Dasein des Rechts selbst, und die Reihe von Veraenderungen, die auf diese Weise in ihm ensteht, fasse ich zusammen unter den Namen des Actionenrechts”.

323

SAVIGNY, System, cit., , 5: “Die Verletzung unserer Rechte aber ist nur denkbar als Thaetigkeit eines

bestimmten Verletzers, zu welchem wir dadurch in ein eigenes, neues Rechtsverhaeltniss treten; der Inhalt dieses Verhaeltnisses laesst sich im Allgemeinen dahin bestimmen, dass mir von diesem Gegner die Aufhebung der Verletzung fordern”

324

La dimensione preprocessuale dell’actiodel Savigny è spesso misconosciuta o fraintesa, ma sul punto si vedano le lucide osservazioni di SIMSHAEUSER,Zur Entwiclung des Verhaeltnisses von materiellem Recht und Prozessrecht seit Savigny, Bielefeld, 1965, 58. Al riguardo, si confronti sempre in prima battuta SAVIGNY,

System, cit.,, 5: “Das hier beschriebene, aus der Rechtsverletzung entspringende Verhaeltniss heisst Klagrecht oder auch Klage, wenn man diesen Ausdrueck auf die blosse Befugnis des Verletzten bezieht; denn allerdings wird derselbe auch gebraucht, um die in bestimmter Form er Si veda anche SAVIGNY, System des heutigen

roemischen Rechts, VI, Berlin, 1841, § 256, 2

325

SAVIGNY,System,V,cit.,, 7

326

SAVIGNY, System, cit.,, 3, dove apertamente il Savigny respinge l’idea che le actiones costituiscano

autonome tipologie di diritti: “Es gehoeren vielmehr diese Rechte nur zu dem Entwicklungsprozess oder der Metamorphose, die in jedem selbststaendigen Rechte eintreten kann, und sie stehen daher auf gleicher Linie mit der Entstehung und dem Untergang der Rechte, welche gleichfalls nur als einzelne Momente in dem Lebensprozess der Rechte, nicht als Rechte fuer sich, aufgefasst werden duerfen”.

327Concezioni del genere, seppur con diversa formulazione ma tutte contraddistinte dalla frammistione tra il diritto sostanziale e l’azione da esso originata, si rinvengono in realtà nella maggioranza degli autori sin quasi sul finire del XIX secolo. Si veda ad esempio W ÄCHTER, Pandekten, I: Allgemeiner Theil, Leipzig, 1880, 502 s.,secondo cui “Das Klagrecht ist daher nicht ein besonderes Recht fuer sich, sondern nur ein Theil des Inhalts,

La mancata distinzione del diritto processuale dal diritto materiale, tra azione e situazione giuridica sostanziale, avrebbe avuto la sua necessaria conseguenza nell’impossibilità di riconoscere altra forma di tutela che non fosse quella di condanna. Quest’ultima, anzi, esprimeva la generale concezione dei rapporti intercorrenti tra diritto e processo – scanditi secondo le dinamiche che si sono più sopra viste della lesione del diritto e della sua metamorfosi in azione – e il paradigma di ogni forma di tutela giurisdizionale dei diritti ancora al momento della entrata in vigore della Civilprozessordnung. A tale modello, ancora per diverso tempo, sarebbe stata ricondotta la stessa azione di mero accertamento, attraverso il forzoso ricorso ad una pretesa di riconoscimento (Festellungsanpruch) in capo all’attore ed al corrispondente dovere del convenuto di non disconoscere le situazioni giuridiche altrui328. Mentre ancora più tarda sarebbe stata l’enucleazione della categoria delle azioni costitutive, anche a causa dello scarso impiego che ne avrebbe fatto il legislatore tedesco

23. (Segue): Materieller Parteibegrif e legitimatio ad causam

L’indistinta unità di diritto materiale e processuale, incorporata nella nozione di actio ed ereditata dalla tradizione di ascendenza romanistica, sarebbe stata solo il punto di partenza di un imponente e affascinante processo di sviluppo – durato oltre un secolo e portato a compimento in forma collettiva dai più brillanti esponenti del pensiero giuridico tedesco – che avrebbe in ultimo condotto ad una nuovo configurazione (rectius: alla definitiva scissione) dei rapporti tra diritto e processo, facendo loro assumere quella fisionomia che ancora oggi è dato rinvenire nelle trattazioni scientifiche della materia.

Ora, il punto di partenza di quell’imponente sviluppo cui si è sopra fatto riferimento è costituito dalla cd. concezione sostanziale della nozione di parte processuale (materieller

Parteibegrif) diffusa e imperante in Germania fino alla fine del XIX secolo329.

In base a tale concezione, la giusta parte legittimata ad agire e a difendersi nell’ambito di un procedimento giurisdizionale era individuata dall’interesse sostanziale

ein Bestandtheil desjenichen Rechts, zu dessn Schutz die Klage dient”. GIANTURCO,Istituzioni di diritto civile

italiano, II ed., Firenze, 1888, 343: “L’azione è il mezzo per far reintegrare o riconoscere in giudizio il diritto violato […] Di conseguenza ad ogni diritto, civilmente riconosciuto, inerisce un’azione. L’azione non si può pertanto separare dal diritto perfetto, cui inerisce”. Si trattava, in definitiva, di quel concetto”misto o impuro di azione” che attirerà le critiche del CHIOVENDA, L’azione nel sistema dei diritti, cit., 6

328

L’autonomia della tutela di mero accertamento rispetto a quella di condanna verrà riconosciuta solo a partire dall’opera del WACH, Der Festellungsanpruch. Ein Beitrag zur Lehre vom Rechtsschutzancpruch, in

Festgabe fuer Windscheid, Leipzig, 1888; nonché ID., Handbuch des deutschen Civilprozessrecht, I, Leipzig,

1885, 15. Su tale circostanza si veda per la dottrina tedesca ROSENBERG/SCHWAB/GOTTWALD, Ziviliprozessrecht,

17.Aufl., Muenchen, 2011, 493 s., nonché HENCKEL, Parteilehre und Streitgegenstand im Zivilprozess, Heidelberg, 1961, 26 ss. In Italia la medesima acquisizione è maturata a seguito della prolusione di CHIOVENDA,

L’azione nel sistema dei diritti, cit., 84 ss.

329

La letteratura più recente ha sensibilmente contribuito a sottolineare l’ascendenza romanistica e l’incidenza, spesso obliterata, della nozione sostanziale della parte processuale (materieller Parteibegrif ) sulle elaborazioni sistematiche compiute dalla dottrina del XIX secolo e sullo stesso impianto della Civilprozessordnung. Tra tutti, valga qui richiamare, in ordine di apparizione, DE BOOR, Zur Lehre vom Parteiwechsel und vom Parteibegrif, Leipzig, 1941, 33 ss.; HENCKEL, Parteilehre und Streitgegenstand im Zivilprozess, Heidelberg, 1961, 15 ss.: “Der materielle Parteibegrif ist gegruendet auf die Vorstellung der Einheit des materiellen und des prozessualen Rechtes”; LUEKE, Die Prozessfuehrungsbefugnis , in ZZP, 1963, 1 ss.; HEINTZMANN, Die Prozessfuehrungsbefugnis, Koeln, 1970, 3 ss.; BAUMGARTEN , Der richtige Klaeger im

fatto valere, e doveva pertanto coincidere con il soggetto che si fosse dimostrato effettivo titolare, attivamente o passivamente, della situazione giuridica controversa. Al suo radicamento nella cultura giuridica tedesca dovettero indubbiamente contribuire le forme – per lungo tempo vigenti – del processo di diritto comune, ove la trattazione propriamente meritale (l’Hauptverfahren) sarebbe stata preceduta da una fase preliminare (il Vorverfahren) in cui le parti – per poter sperare di accedere al vero e proprio giudizio di merito330 – avrebbero dovuto comprovare o contestare la rispettiva legitimatio ad

causam331. Quest’ultima era dunque configurata come condizione non solo per una decisione sul merito, sebbene anche per la sola trattazione del medesimo, e dunque come vero e proprio presupposto processuale la cui mancanza avrebbe decretato la nullità (rectius: l’impossibilità di instaurare) dell’intero processo.

Di qui i tentativi, intrapresi dalla dottrina, di elaborare validi criteri per distinguere la questione della titolarità subiettiva del diritto – oggetto di una trattazione preliminare – da quella della sua esistenza oggettiva332. Così, secondo un esempio

piuttosto ricorrente nelle fonti, già nella fase preliminare del giudizio il cessionario di un credito avrebbe dovuto provare il fatto della cessione per accreditare la propria legittimazione, e solo una volta assolta la prova dell’avvenuta successione sarebbe stato ammesso a provare l’esistenza del diritto333.

In progresso di tempo, tuttavia, la difficoltà – del resto ben evidente – di procedere a tale netta ripartizione dovevano convincere prima il legislatore334 e poi la dottrina ad obliterare la distinzione: ai fini della trattazione del merito non sarebbe stata più richiesta la preventiva prova della legitimatio ad causam, come viene ancora definita in questo

330

Era infatti all’epoca opinione diffusa, anch’essa di diretta derivazione romana, quella per cui il vero e proprio “processo” sarebbe coinciso con il procedimento che avrebbe potuto portare a una definizione nel merito della controversia. Si veda sul punto HELLWIG, Klagrecht und Klagmoeglichkeit, Leipzig, 1905, 54:

Nel documento La successione nel diritto controverso (pagine 84-97)