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Gli elementi strutturali delle situazioni di vantaggio come criteri di riferimento del regime della successione nel diritto controverso

Nel documento La successione nel diritto controverso (pagine 122-145)

Sezione IV: teoria della rilevanza e della irrilevanza 33 Prospettiva d’indagine

34. Gli elementi strutturali delle situazioni di vantaggio come criteri di riferimento del regime della successione nel diritto controverso

L’intuizione di base che può condurre a dirimere una volta per tutte la diatriba tra Relevanz- e Irrelevanztheorie è quella per cui le situazioni di vantaggio esibiscano, in se stesse, delle caratteristiche strutturali che rendano consigliabile, se non addirittura imposta, l’adesione all’una piuttosto che all’altra lettura dell’istituto.

In effetti, la distinzione tra diritti reali e diritti personali si fonda una matrice di verità che aspira all’universalità e che – in disparte da preconcetti dogmatici e filosofici – sviluppa un’intuizione del tutto empirica: quella per cui alcune situazioni di vantaggio – che una tendenza generalizzante vorrebbe far coincidere con quelle di natura reale – sono identificate dai loro caratteri di struttura, in particolare dal loro contenuto e indipendentemente dal titolo di acquisto (dalla causa petendi) che ne costituisca il fondamento. Ciò, del resto, corrisponde a una tradizione remotissima, di origine romana455, preservata dal diritto intermedio e fatta propria dalla migliore dottrina456 contemporanea, tedesca ed italiana457.

In tale direzione si rivelano di fecondo interesse le profonde ed accurate indagini compiute da Cerino Canova in tema di elementi identificatori della domanda giudiziale, che hanno contribuito a precisare e a definire i contorni della tradizionale distinzione tra diritti autodeterminati ed eterodeterminati. In particolare è stato messo in luce come solo una arbitraria generalizzazione possa condurre a far coincidere detta ripartizione con quella tra diritti assoluti e relativi, mentre il criterio discretivo sembrerebbe piuttosto risiedere non tanto nella natura del diritto, ma in un’idea molto più empirica: la irripetibilità della medesima situazione tra le stesse parti458. Caratteristica che, in materia

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D. 44, 14, 2 (Paul. l. 70 ad ed.): “Actiones in personam ab actionibus in rem hoc diferunt, quod, cum eadem res ab eodem mihi debeatur, singulas obligationes singulae causae sequuntur nec ulla earum alterius petitione vitiatur: at cum in rem ago non expressa causa, ex qua rem meam esse dico, omnes causae una petitione adprehenduntur neque enim amplius quam semel res mea esse potest, saepius autem deberi potest”.

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Si vedano al riguardo le attestazioni in SCHMIDT,Die Klagaenderung, Leipzig, 1888, 34 s., 54 ss., 76 s.; in

GARRONE, Contributo alla teorica della domanda giudiziale, Casale, 1910, 84 ss.; nonché in CERINO CANOVA, La

domanda giudiziale e il suo contenuto, in Commentario, cit., 24, nt. 78.

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In Italia, sulla scia di CHIOVENDA, Principii, cit., 283; ID., Istituzioni, cit., 330; accolgono tale tradizione

ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, 3 ed., I, Napoli, 1954, 290; LIEBMAN, Manuale, cit., I, 153;

GIANNOZZI, La modificazione della domanda nel processo civile, Milano, 1958, 81 ss.; MANDRIOLI, Corso, cit., I,

131 s.; SEGNI, Della tutela giurisdizionale, cit., 352; COSTA, voce Domanda giudiziale, cit., 167; MONTESANO,

Invocazione per la prima volta in appello dell’usucapione a fondamento di un’azione di rivendica. Osservazioni in tema di “jus novorum” e di “causa petendi” in appello, in Giur. Compl. Cass. Civ., 1948, 114; SATTA,

Commentario, II, 1, 23

di successione nel diritto controverso, sembra destinata a coincidere in ultima istanza con la specificità del bene trasferito in corso di causa.

Per quanto interessa ai fini del presente studio, quell’intuizione può considerarsi feconda in quanto evidenzia una incompatibilità di fondo tra la conformazione strutturale di talune situazioni di vantaggio e le stringenti maglie con cui si è inteso far coincidere il meccanismo operativo dell’istituto della successione nel diritto controverso con quello della sostituzione processuale. Infatti, se si accoglie da un punto di vista sistematico la categoria dei diritti autodeterminati risulta incontestabile che il diritto controverso trasferito all’avente causa non possa essere per definizione dedotto nel processo attraverso la mera allegazione del titolo di acquisto del successore, a meno di una vistosa contradictio in adjecto.

In altri termini, risulta in radice escluso che il dante causa possa essere il sostituto processuale in senso tecnico per il “diritto autodeterminato” oramai trasferito in capo all’avente causa. E di ciò, del resto, reca una tangibile conferma il fatto che il 4° comma dell’art. 111 c.p.c. escluda espressamente che possano rientrare nell’ambito dell’accertamento vincolante contenuto nella sentenza, opponibile al successore, fattispecie di acquisto del ‘diritto del successore’ diverse da quella del trasferimento derivativo.

Ma, ancora, pur supposta in astratto la possibilità di considerare che tali situazioni di vantaggio si declinino nel processo, a seguito di una vicenda successoria, in quanto eterodeterminate (cioè dedotte nei limiti del titolo di acquisto del nuovo titolare del diritto)459, diverrebbe estremamente complesso – per non dire impossibile – definire

l’esatto perimetro del giudicato portato dalla sentenza conclusiva del giudizio. Non volendo ravvisarsi quest’ultimo – in thesi – nella posizione di vantaggio ancora in capo al dante causa, né potendo poi coincidere – de facto – con quella del successore, si sarebbe costretti ad assumere che l’oggetto dell’accertamento debba cadere su un’entità giuridica artefatta costituita dal diritto dell’alienante e – in aggiunta – dall’efficacia dell’atto traslativo.

L’argomento formulato sembra congiurare per una tendenziale inconciliabilità strutturale, ricavata in termini affatto empirici e lontani da ogni dogmatismo, tra teoria della rilevanza e irripetibilità della situazione sostanziale trasferita in corso di lite.

Ma la conclusione ora raggiunta può essere corroborata con un ulteriore argomento tratto dalla fattispecie – la successione costitutiva – che avrebbe rappresentato la prima vittima sacrificale immolata sull’altare del progressivo affermarsi della Relevanztheorie e del meccanismo della perdita della Sachlegitimation che ne avrebbe costituito il postulato di base. Ciò che permetterà di precisare la nozione di autodeterminazione in relazione ai caratteri delle situazioni di vantaggio rilevanti ai fini dell’applicazione dell’istituto in esame460

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Il ché significherebbe comunque introdurre una vistosa deroga in un ordinamento i cui interpreti sono da sempre propensi ad individuare l’entità posta ad oggetto del processo in un diritto sostanziale e non in un’entità astratta – come sarebbe questo novello Streitgegenstand – creata per esigenze meramente processuali.

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In generale, sulla successione costitutiva, si vedano SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali, cit. , 93;

PUGLIATTI, Acquisto del diritto, 513 s.; BARBERO, Sistema del diritto privato italiano, 6a ed., Torino, 1962, I, 260;

Si ricorderà, infatti, come già in Germania la postulazione del fenomeno della ‘perdita della Sachlegitimation’ (quest’ultima intesa, come si è visto, nel senso di legittimazione sostanziale) quale presupposto applicativo del § 265 ZPO avrebbe indotto la dottrina tedesca a distinguere a seconda che la successione costitutiva si fosse verificata su di un credito ovvero su una situazione giuridica di consistenza reale. In quest’ultimo caso l’applicazione dell’istituto in esame sarebbe stata esclusa proprio perché il dante causa avrebbe comunque conservato intatta la propria legittimazione sostanziale461.

La medesima impostazione sarebbe stata in seguito importata anche in Italia in relazione all’art. 111 c.p.c. semplicemente traducendo il termine Sachlegitimation con la nozione di legittimazione ad agire intesa in un primo tempo come effettiva titolarità del diritto controverso462, e poi come titolarità meramente affermata463.

Il risultato finale non doveva tuttavia cambiare. Anzi, generalizzando le conclusioni cui era pervenuta la dottrina tedesca, si è arrivati a sostenere che dall’ambito applicativo dell’art. 111 c.p.c. sarebbe stata in toto estranea qualunque forma di successione costitutiva, rinvenendone la spiegazione dogmatica nella circostanza che essa avrebbe concretato una successione in un “rapporto giuridico avente elementi non solo soggettivamente, ma anche oggettivamente diversi da quello dedotto in giudizio”464.

Preclusa così a tali fattispecie la possibilità di partecipare della disciplina dell’istituto in esame, si sarebbe ritenuto sufficiente (onde garantirne un adeguato trattamento processuale) variamente465 postulare un’efficacia riflessa della sentenza a cui assoggettare il

successore in sostituzione di quella prevista dal 4° comma dell’art. 111 c.p.c. Mentre, per soddisfare il suo diritto al contraddittorio, sarebbe bastato lo spazio di manovra concesso dall’intervento adesivo (art. 105, 2° comma, c.p.c.), privo come tale della facoltà di impugnare la sentenza. Il fio di simile ricostruzione della disciplina sarebbe

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MEISTER,Die Veraeusserung, cit., 58

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DE MARINI, La successione, cit., 173 s.: “per legittimato ad agire si intende colui che può far valere in

giudizio una propria pretesa. […] la pretesa fatta valere è quella del titolare del rapporto e nel suo interesse, pertanto la legittimazione spetta, secondo la regola generale, a quest’ultimo”.

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PROTOPISANI, La trascrizione, cit., 64. Sul concetto di legittimazione ad agire si tornerà nel proseguo di questo lavoro.

464PROTO PISANI, Opposizione di terzo ordinaria, cit. 148 ss; ID., La trascrizione, cit., 168 s., 183 ss., 198 nt. 353, 265nt. 88, 309, 386 nt. 265, 271; SATTA, sub art. 111, cit., 419 s.; CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale

civile, cit., II, 148; WIDMANN, La successione a titolo particolare, 426. A tale conclusione la dottrina sopra citata

perviene anche sulla base del definitivo e condivisibile superamento della tesi secondo cui la costituzione di tali diritti reali limitati costituirebbe un frazionamento della proprietà.

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Diverse, sul punto, sono le ricostruzioni prospettate dai vari autori per fondare la soggezione all’efficacia riflessa – della sentenza o del giudicato stesso – dell’acquirente di un diritto reale limitato in corso di causa. Secondo PROTO PISANI, Opposizione di terzo ordinaria, cit. 149, ciò costituirebbe un necessario corollario della

permanenza in capo al dante causa della legittimazione ad agire in giudizio sul proprio rapporto nonché della sussistenza “della dipendenza giuridica fra diritto cd. base oggetto del processo e diritto cd. limite” (sul rapporto, prefigurato dall’autore in commento, tra legittimazione ed limiti soggettivi di efficacia della sentenza, si veda PROTO PISANI, Opposizione di terzo ordinaria, cit. 90 ss., in particolare, 92 s.). WIDMANN, La successione a titolo particolare, 442 riconduce tale soggezione a “un principio generale [che troverebbe solo parziale estrinsecazione nelle disposizioni degli artt. 2909 c.c. e 111, 4° comma, c.p.c., n.d.a.] in forza del quale chiunque acquisti, successivamente all’instaurazione del giudizio, un diritto dipendente – benché non necessariamente ‘corrispondente’ – a quello oggetto del giudizio stesso, è immancabilmente investito dell’efficacia riflessa della sentenza pronunciata nei riguardi del suo autore”. Sulla variegata nozione di efficacia riflessa diffusa nella dottrina italiana si tornerà in seguito nel corso del presente capitolo.

tuttavia stato pagato proprio da quella controparte a cui tutela era stato predisposto l’art. 111 c.p.c., alla quale sarebbe stato sottratto

Non sembra inutile a questo punto evidenziare ancora una volta come a tali conclusioni si sia potuti pervenire portando alle estreme conseguenze i postulati ereditati dalla Relevanzthoerie466, la quale – come già ampiamente dimostrato – avrebbe offerto i suoi peggiori risultati applicativi proprio in relazione a situazione di vantaggio di natura reale467.

Del tutto obliterate dalla stringente logica che tesseva le fila del ragionamento riferito sarebbero rimaste invece le fattispecie – pur sempre di successione costitutiva468

della concessione di usufrutto o di pegno sul credito controverso, alle quali le norme del codice civile che le disciplinavano (artt. 1000 e 2803 c.c.) riconnettevano espressamente la perdita della legittimazione ad agire del dante causa469, con ciò ricorrendo quel medesimo presupposto applicativo che la dottrina riferita riconduceva alla ratio dell’istituto in esame.

Ed invero la ragione, peraltro intuitiva, di tale fenomeno può essere individuata nel diverso riverbero che la prescelta nozione di legittimazione ad agire (la titolarità, meramente affermata, del diritto controverso quale fondamento del meccanismo sotteso all’art. 111 c.p.c.) avrebbe esercitato sulle note di struttura che esibiscono alcune posizioni soggettive di vantaggio, soprattutto in riferimento al loro oggetto immediato.

E’ noto infatti come i beni corporali sono suscettibili di costituire il referente oggettivo di una pluralità di situazioni giuridiche soggettive di diverso contenuto e natura (proprietà, usufrutto, servitù, etc), senza che la loro contemporanea esistenza le ponga in relazione di necessaria incompatibilità470. Per tali situazioni di vantaggio, se si assume a

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Così, infatti, PROTOPISANI,La trascrizione, cit., 12 nt. 16, che liquida la possibilità di interpretare l’art. 111

c.p.c. alla luce della teoria della irrilevanza nello spazio di una nota. Diversamente CONSOLO, Spiegazioni di

diritto processuale civile, cit. , II, 148, affronta la questione ma in prospettiva critica. Ancora su un diverso piano WIDMANN, La successione a titolo particolare , 426, che pur sostenendo la possibilità di interpretare

l’istituto in esame alla luce della teoria della irrilevanza, non coglie in prospettiva storica la stretta connessione – che si è tentato di evidenziare nel primo capitolo del presente lavoro – tra la riferita Theo

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L’esempio ricorrente degli autori citati alle norme precedenti

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E’ lo stesso PROTOPISANI,Opposizione di terzo ordinaria, cit.148, nt. 60, a ricomprenderle nella categoria:

“rientrano in tale categoria tutte le ipotesi in cui si parla (impropriamente) di diritti su diritti, cioè in cui l’oggetto di un diritto è lo stesso di un diritto preesistente che il nuovo rapporto, da quello derivato, suppone e limita: così ad esempio il diritto di pegno su crediti, il diritto di ipoteca su diritti reali diversi dalla proprietà”. Deve comunque darsi conto del fatto che nella dottrina civilistica la ricostruzione del pegno e dell’usufrutto di crediti appare controversa.

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Presumibilmente si tratterà per lo più della legittimazione ad agire dell’attore/creditore (che abbia costituito in pegno o in usufrutto il credito controverso) nel processo di condanna promosso contro il debitore, ma non è escluso che possa trattarsi anche del creditore convenuto nel giudizio di accertamento negativo del credito promosso dal debitore.

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Cioè, a dire, un bene può essere contemporaneamente oggetto di diritti di diverso contenuto (il bene di cui si è proprietari può essere concesso in usufrutto, può costituire oggetto di ipoteca, vi possono essere costituite servitù ovvero altri diritti reali di godimento) e natura (il medesimo bene può essere concesso in locazione, comodato, etc.), senza che l’esistenza di uno di essi contraddica quella degli altri; si avrà piuttosto la mera compressione dell’esercizio di uno di essi a vantaggio dell’altro. Cfr. PROTO PISANI , Opposizione di terzo

ordinaria, cit. 149: “la successione cd. costitutiva, infatti, non spoglia il titolare del cd. diritto base della titolarità del diritto stesso o di una sua parte, ma solo ne comprime l’esercizio”. Ancora, per l’osservazione secondo cui la proprietà sia compatibile con un diritto reale limitato altrui (per restare all’ipotesi di cui al

monte una nozione di legittimazione ad agire imperniata sul metro della formale titolarità – affermata dall’attore e, rispettivamente, negata in capo al convenuto – di un diritto di un certo contenuto su di un dato bene, sarà fatale che la stessa non venga meno per il fatto che in corso di causa il convenuto costituisca, sul medesimo bene, diritti di diverso contenuto a favore di terzi. Da una parte è, infatti, la stessa realità dell’oggetto del diritto controverso che garantisce la coesistenza delle diverse situazioni di vantaggio e, dall’altra, è la nozione formale di legittimazione ad agire assunta a non essere in grado di escluderne la coesistenza.

Diverso discorso deve essere fatto invece per situazioni di vantaggio aventi ad oggetto una prestazione generica, come le obbligazioni pecuniarie e segnatamente i diritti di credito. Nei processi di condanna che riguardano questi ultimi, infatti, la domanda ha di mira essenzialmente la realizzazione del diritto di credito, in quanto è rivolta alla dichiarazione del dovere del debitore di effettuare la prestazione471.

Dunque, la legittimazione ad agire in giudizio per far valere un diritto di credito si traduce in ultima istanza nella legittimazione dell’attore a ricevere la prestazione472: in tali

ipotesi, la costituzione di un diritto limitato (di pegno o di usufrutto) sul credito interferisce inevitabilmente sulla legittimazione a ricevere la prestazione, e dunque nella stessa legittimazione ad agire da parte del creditore originario, il ché poi fattualmente si traduce in una ipotesi di colegittimazione (art. 1000 c.c.)473 ovvero di legittimazione esclusiva da parte del titolare della situazione ritenuta prevalente dal legislatore (art. 2803 c.c.)474.

testo, può immaginarsi la costituzione di un diritto di servitù o usufrutto da parte del convenuto in corso di causa), si vedano REDENTI, Il giudizio civile, cit., 142 s.; Fornaciari, Situazioni potestative, cit., 331 s.;LUISO, Sul

concetto, cit., 446 s.; VERDE, L’onere della prova nel processo civile, Camerino, 1974, 528; CAVALLINI, L’oggetto

del processo di rivendica, Napoli, 2002, 250; MAIORCA, Azione petitoria, in Nvss. Dig., II. Torino, 1958, 87, “ciò

discende dal concetto stesso della proprietà, la quale ammette (come effetto dell’esercizio dei poteri di disposizione nell’ambito stesso della situazione giuridica della proprietà) situazioni giuridiche reali derivate, compatibili col permanere della situazione di proprietà e, in caso di collisione, prevalenti ratione temporis, 83, nt. 8

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In tal senso, di recente, anche MOTTO, Poteri sostanziali e tutela giurisdizionale, Torino, 2012, 476, sulla

scia di CHIOVENDA, Azioni e sentenze di mero accertamento, in Saggi di diritto processuale civile, III, cit., 19 ss.,,

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E’ evidente infatti che il debitore, in conseguenza della costituzione dell’usufrutto o del pegno sul credito, non potrà più liberarsi efficacemente del proprio debito con un pagamento effettuato al (solo) creditore. In tal senso, ancor prima delle chiare disposizioni degli artt. 1000 e 2800 ss c.c., depone la stessa natura del diritto di usufrutto e del pegno su crediti.

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Nel senso che l’art. 1000 c.c. configuri un’ipotesi di litisconsorzio necessario, si veda PUGLIESE,Usufrutto,

uso, abitazione, in Trattato Vassalli, Torino, 1954, 664. Ebbene, non sembra potersi dubitare che anche in mancanza di una norma come quella contenuta all’art. 1000 c.c., alla medesima soluzione debba pervenirsi per via di una interpretazione sistematica. FEDE, L’usufrutto di crediti e di titoli di credito, 2008, 54 Diversamente,

il § 1077 BGB prevede espressamente che sia il creditore che l’usufruttuario agiscano disgiuntamente per ottenere la condanna del debitore al pagamento ovvero al deposito delle somme dovute ma sempre a favore di entrambi.

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Ed invero è da credere che, anche in assenza delle disposizioni contenute negli artt. 1000 e 2803 c.c., la perdita della legittimazione ad agire da parte dell’originario creditore discenderebbe dai medesimi principi e dalla logica del sistema. Si faccia l’esempio del del credito controverso che venga pignorato in pendenza del giudizio promosso dal creditore nei confronti del debitore. Non v’è una norma che sancisca espressamente la perdita della legittimazione ad agire da parte del creditore procedente, ma è più che logico che una tale conseguenza sia evincibile dall’art. 2917 c.c. nonché dall’art. 546 c.p.c.; e dunque anche tale ipotesi

Può dunque concludersi che il diverso comportamento esibito da situazioni soggettive di vantaggio di diversa natura, in ipotesi di successione costitutiva, altro non sia che il riflesso del diverso riverbero che la prescelta nozione di legittimazione ad agire (la titolarità affermata del diritto, ergo una posizione di preminenza su una determinata utilità) avrebbe esercitato sui caratteri di struttura delle medesime: in particolare il loro oggetto immediato, un bene ovvero una prestazione.

Non aver messo in debita luce tali peculiarità delle situazioni giuridiche soggettive475, insieme a una interpretazione unilateralmente rivolta ad aderire ai postulati

della teoria della rilevanza, sono i fattori che hanno inevitabilmente contribuito a diffondere una visione quantomeno parziale dell’istituto della successione nel diritto controverso.

35. Implicazioni di carattere sistematico: Relevanz- e Irrelevanztheorie come mero riflesso della diversa natura della situazione di vantaggio coinvolte nel fenomeno della successione nel diritto controverso

Ora, sembrerebbe difficile negare che anche la costituzione in pegno o in usufrutto del credito fatto valere in giudizio possa dar luogo all’applicazione del § 265 ZPO476 o

dell’art. 111 c.p.c.477.

Innanzitutto su tale conclusione dovrebbe convenire anche quella parte della dottrina che ravvisa quale tratto caratteristico dell’istituto in esame la perdita della legittimazione ad agire da parte del dante causa. In tal senso, del resto, depongono espressamente gli artt. 1000 e 2803 c.c.

Inoltre, anche per tali fattispecie478 ricorrono le medesime ragioni di tutela che

costituiscono la ratio fondante dell’istituto in esame: evitare cioè che la controparte estranea alla successione, per effetto dell’atto dispositivo sul “diritto controverso”, sia esposta alla necessità di dover iniziare il giudizio da capo o di doverne affrontare un secondo con il successore a titolo particolare, perdendo in ogni caso i risultati dell’attività processuale svolta fino a quel momento, 479.

Del resto, non sembra neanche potersi scorgere, tra le pieghe del codice di rito, un diverso trattamento processuale che risulti confacente alle ipotesi ora prese in

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