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La successione nel diritto controverso nel diritto italiano sotto il codice del 1865 secondo la dottrina esegetica

Nel documento La successione nel diritto controverso (pagine 51-59)

Come si vedrà, l’approccio metodologico della dottrina italiana per la successione nel diritto controverso risente fondamentalmente del generale indirizzo che gli studi processuali hanno assunto nel corso degli ultimi secoli, ed in particolare dal progressivo passaggio dal metodo esegetico di stampo francese all’approccio storico-sistematico proprio della dottrina tedesca184. Ciò giustifica il diverso trattamento che in progresso di

tempo la dottrina riserverà all’istituto in esame, pur nell’immutata disciplina positiva – peraltro del tutto assente – dei codici del 1865.

Indubbiamente, la carenza di una regolamentazione espressa della materia dovette contribuire alla sua mancata sistematizzazione concettuale e a mantenere in ombra il fenomeno nella sua interezza e complessità. Per tutto il secolo, infatti, non si rinvengono trattazioni specifiche riservate alla materia; singole questioni ad esso afferenti venivano discusse a margine di istituti limitrofi.

Così, l’eventualità che una delle parti del processo potesse trasferire a terzi il diritto controverso si rinviene nel commento relativo agli artt. 332 e 333 c.p.c. 1865, che prevedevano quali cause di “sospensione dell’istanza” la morte, la cessazione dell’uffizio

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Oltre alla già riferita Cass., 15 mars 1847, incit.,(“si la créance a fait l’object d’une instance et a donné lieu àun jugement, le cessionaire peut prendre et suivre l’instance, se prévaloir du jugement ou l’attaquer par les voies de droit, sans qu’on puisse lui opposer qu’il n’y a pas eté partie, puisq’il represente son cedant”), si vedano anche tra le pronunce più antiche: Cass., 4 novembre 1868, in Jurisprudence genérale du royaume en matière civile, commerciale et criminelle, 1869, 469 ss; Cour d’appel de Nimes, 30 juin 1890, in Jurisprudence genérale du royaume en matière civile, commerciale et criminelle, 1890,, 35 ss., che ammette il debitore ceduto a proporre direttamente appello contro il cessionario in corso di causa; Cour d’appel de Nimes, 30 juin 1890, ibidem, 38 s.; Cass. 14 mars 1892, Jurisprudence genérale du royaume en matière civile, commerciale et criminelle, 1892, 267 ss.; tra le pronunce più recenti: Cass., 22 septembre 2011, n. 09-16198, secondo cui: “Lorsqu’une cession de créance est intervenue au cours d’une instance d’appel relative au recouvrement de celle- ci, engagée par la cédant et poursuivie par ce dernier posterieurement à la cession signifiée au cours de l’instance en cassation, le cessionaire, substitué de plein droit au cédant dans les actions lui appartenant, intervenu volontairement devant la Cour de cassation et devenu ainsi partie à cette instance, a qualité pour saisir la cour d’appel de renvoi”; ancora, in caso di successione universale nel credito per fusione di società: Cass. 21 octobre 2008, n. 07-19102; nonché, Cass. 11 juin 2008, n. 06-20104; Cass., 19 juin 2007, n. 05-21678; Cass., 10 janvier 2006, n. 03-17839; queste ultime rinvenibili su legifrance.gouv.fr.

183

A tal fine si rimanda al secondo capitolo del presente lavoro.

184

Scrive con profonda, ma veritiera ironia SCALISI, Negozio astratto, inEnc. Dir., XXVIII, Milano, 1978, 52

ss., 56, “la fine del XIX secolo segna anche il tramonto della sudditanza della dottrina italiana verso quella francese, e l’inizio di una nuova soggezione, quella verso la metodologia e la dogmatica espresse nella pandettistica tedesca da Savigny a Windscheid”

della parte185, nonché il suo “cangiamento di stato”186, disponendosi all’uopo la

rinnovazione dell’atto di citazione alla parte per la prosecuzione del giudizio. Ebbene, la dottrina unanime era solita precisare, in nota alle citate disposizioni, che tali cause di interruzione fossero tassative, e che il trasferimento del diritto controverso, determinando il semplice “cambiamento di qualità della parte in causa”, non avrebbe determinato alcuna necessità di sospensione. La procedura sarebbe piuttosto proseguita nei confronti del dante causa, con facoltà di intervento del successore anche senza il consenso delle parti originarie187.

Tuttavia, il tema centrale e fondamentale che doveva animare il dibattito nella dottrina a cavallo tra XIX e XX secolo doveva essere costituito, ancora una volta, dalla questione dell’eventuale vincolo alla sentenza da riconoscersi nei confronti del successore che si fosse reso cessionario del diritto controverso prima della conclusione del giudizio. La dottrina maggioritaria riconosceva che anche in tal caso l’avente causa fosse legalmente rappresentato nel giudizio dal suo autore, e pertanto assoggettato al giudicato ed agli effetti esecutivi della sentenza188, ammettendo il successore a dispiegare intervento, anche

in appello189, ovvero a proporre direttamente impugnazione avverso contro la sentenza

emessa nei confronti del dante causa190.

185

GARGIULO, Il codice di procedura civile del Regno d’Italia, II, 2aed., Napoli, 1877, sub 332, 471: “ossia la

cessazione di qualità in forza di cui la parte stava in giudizio”

186Sul significato dell’espressione, si veda CARNELUTTI, Sistema del diritto processuale civile, III, Padova, 1938, 451 ss.:“La parola stato è usata in questa formula con il significato proprio di modo di essere del soggetto rilevante in ordine o a tutti i suoi rapporti giuridici o a una parte di questi; appunto perciò, che lo stato di una persona cambi vuol dire che avviene un mutamento concernente il soggetto dei rapporti giuridici”.

187

Così GARGIULO,Il codice di procedura civile del Regno d’Italia, II, 2aed., Napoli, 1877,sub 332, 472, che fa

riferimento espressamente all’ipotesi di alienazione di un immobile in corso di giudizio. Secondo l’A., l’acquirente avrebbe avuto – in alternativa alla possibilità di intervenire nel processo – anche la facoltà di “farsi sostituire dal venditore se lo stimi conveniente”. Più controversa era la questione in ordine alla possibilità di estromissione del dante causa dopo l’intervento del successore. In particolare, l’opinione negativa poggiava sulla considerazione dell’eventuale addebito delle spese processuali e della possibile incapienza del successore; preoccupazione che – si osservava – poteva essere facilmente elusa attraverso l’offerta, formulata dall’estromettendo dante causa, d’esser pronto a corrispondere le spese maturate fino alla sua estromissione. Sulla tassatività delle cause di interruzione e l’esclusione da esse del cambiamento di qualità della parte in causa (ovvero del il trasferimento del diritto controverso), v. anche MATTIROLO, Trattato di diritto giudiziario

civile italiano, III, rist. 5a ed., Torino, 1931, 754; per la giurisprudenza: Cass. Torino, 15 novembre 1876 (in

Giurisprudenza, 1877, p. 53); Cass., 9 agosto 1899 (ibidem., 1889, 646).

188

Le parole nel testo sono tratte da MATTIROLO, Trattato di diritto giudiziario civile italiano, V, rist. 5a ed.,

Torino, 1931, 95; nello stesso senso, GARGIULO, Il codice, cit., 472.

189

Della facoltà del cessionario di intervenire anche in appello e di continuare la lite del suo autore non dubita MORTARA, Commentario del codice delle leggi di procedura civile, IV, 3a ed., Milano, 462, in nota, che

cita in senso conforme App. Milano, 23 gennaio 1908, in Giur. it., 1908, I, 2, 172, e in senso contrario Cass. Firenze, 29 febbraio 1908, Giur. it., 1908, I, 1, 432 fondandosi sull’art. 491 c.p.c. 1865 – a torto secondo l’A., in quanto tale disposizione sarebbe stata applicabile al terzo, e non al successore o rappresentante. Nello stesso senso del Mortara anche GARGIULO, Il codice, cit., 472.

190Si era generalmente disposti ad ammettere che il successore potesse “appellare dalle sentenze pronunziate contro il venditore per giudizii cominciati prima che la vendita fosse compiuta” (MANCINI-PISANELLI-SCIALOJA,

Commentario del codice di procedura civile per gli Stati sardi, IV, Torino, 1857, 91), dandosi così luogo ad una

sostituzione tra dante e avente causa, seppur nel passaggio da un grado all’altro. Nello stesso senso MATTIROLO,

Trattato di diritto giudiziario civile italiano, IV, rist. 5a ed., Torino, 1931, 492. Ancora CARLE, Dell’appellazione secondo

il codice di procedura civile italiano, Torino, 1868, 56, non aveva “niun dubbio infine che colui il quale compri un

Al contrario, una parte minoritaria ma consistente della dottrina – probabilmente sotto l’influsso della coeva giurisprudenza e della dottrina francese – riteneva che in ipotesi di trasferimento del diritto controverso anteriore alla pronuncia della sentenza, quest’ultima non avrebbe esercitato alcun effetto nei confronti del successore, che sarebbe stato pertanto ammesso a proporre contro di essa opposizione di terzo191. In particolare si

sosteneva che il successore, divenuto soggetto della pretesa fatta valere in giudizio, acquistasse anche il diritto di agire e di vedere giudicato il rapporto litigioso solamente col suo contraddittorio192.

Del tutto minoritaria rimase invece in Italia l’opinione che faceva dipendere l’efficacia della sentenza nei confronti del successore dalla conoscenza che questi avesse avuto della pendenza della lite193.

Come appare evidente, gli schemi argomentativi e le parole stesse della dottrina italiana erano quello in uso in Francia: il comunicarsi dell’efficacia della sentenza nei confronti del successore veniva giustificato attraverso l’istituto della rappresentanza, mentre la questione fondamentale dibattuta riguardava ancora una volta il momento a cui si sarebbe dovuto far riferimento: quello della domanda ovvero della pronunzia della sentenza194.

A favore della prima delle due alternative avrebbe infine deposto l’art. 1933 n. 3 c.c. 1865, il quale prevedeva che dovessero essere trascritte “per gli effetti speciali stabiliti dalla legge […] le domande di revocazione, di rescissione e di risoluzione indicate negli articoli 1080, 1088, 1235, 1308, 1511, 1553 e 1787”195. Tale disposizione venne infatti comunemente

sorti d’un primo giudizio, possa, se la prima sentenza non passò ancora in giudicato, interporne appello a nome del proprio autore. In tutti questi casi chi introduce appello 0 prese parte egli stesso al primo giudizio, 0 subentrando nelle ragioni di chi fu parte nel medesimo, acquistò pure il diritto che a lui apparteneva d’ introdurre l’appello”. Ma subito soggiungeva che “da questi casi in fuori, credo che non si possa mai parlare di vera appellazione, ma soltanto d’opposizione di terzo proposta in via d’appello. E il criterio per distinguere l’appellante dal terzo opponente sarà il seguente: - è appellante nel vero senso della parola chi reca in appello una questione, una controversia che per quanto lo riguarda fu già discussa nel primo giudizio; - è terzo opponente in via d’appello chi vi reca una questione affatto nuova che per quanto a lui si riferisce, non subì ancora il primo grado di giurisdizione”. Addirittura RICCI, Commento al codice di procedura civile italiano, II,

Firenze, 1876, 516 s., riteneva che non dovesse distinguersi tra acquirente in corso di causa e anteriore alla lite, ma che in forza del principio “nemo plus iuris in alium trasferrepotest quam ipse habet” il dante causa rappresentasse sempre e comunque il suo avente causa, e che dunque il successore (anche ante litem) non potesse proporre opposizione di terzo.

191

Tale era la posizione di GATTI, L’autorità della cosa giudicata civile, 2a ed., Roma, 1911, 256 ss.; TUOZZI,

L’autorità della cosa giudicata nel diritto civile e penale, Torino, 1900, 235 ss.; COVIELLO, Manuale di diritto

civile italiano, Milano, 1910, 549; (Non vidi: Caprile, Temi veneta, 1891, 101 ss.; Galuppi, nn. 168 e 169). A sostegno di tale opinione veniva invocata la giurisprudenza francese che, come si è visto, in materia di diritti reali disconosceva che il fenomeno della rappresentazione in giudizio del successore ad opera del dante causa una volta che il diritto controverso fosse stato trasferito.

192

COVIELLO,op. cit., 570; GATTI,op. cit., 258

193

Era questa – a quanto consta – la posizione assunta, in Italia, da LAI,Dell’identità di persona per gli efetti

della cosa giudicata, 45; ANGIONI/CONTINI, La litis contestatio nei giudizi civili, in La legge, 1884, 2, 251.

194

Esemplificativo in tal senso è il ragionamento di MATTIROLO,Trattato di diritto giudiziario civile italiano,

V, rist. 5a ed., Torino, 1931, 95

195

Si trattava, nello specifico, delle domande di rescissione per lesione (art. 1308), di risoluzione (art. 1511; per evizione della cosa permutata, art. 1553; della rendita vitalizia, art. 1787) e di revocazione (della donazione per inadempimento del modo, art. 1080; per ingratitudine o sopravvenienza di figli, art. 1088; di atti di disposizione in frode dei creditori, art. 1235)

interpretata come una norma che –pur volta a limitare l’applicazione del generale principio “resoluto jure dantis, resolvitur et jus accipientis” – avrebbe inteso disporre la soggezione all’efficacia diretta della sentenza di chiunque avesse acquistato il “diritto controverso” dopo la trascrizione delle domande giudiziali elencate196.

Dal canto suo, la giurisprudenza italiana – diversamente da quella d’oltralpe – si atterrà saldamente a tale principio anche al di là della specifica disciplina della trascrizione197.

15.Il nuovo approccio all’istituto sotto l’influenza della scuola germanista

La svolta nell’approccio allo studio della disciplina della successione nel diritto controverso doveva intervenire – come si è detto – per effetto dell’avvicinamento, compiuto verso l’inizio del XX secolo, degli studi processualistici italiani al metodo storico-sistematico della dottrina tedesca.

La chiave del nuovo inquadramento dogmatico doveva essere costituita proprio dalla figura della sostituzione processuale, recepita dalla Germania, per connotare la posizione del dante causa, rimasto in giudizio per far valere un diritto ormai proprio del successore198. Anzi, può forse dirsi che l’ipotesi della successione nel diritto controverso avrebbe rappresentato il caso paradigmatico della sostituzione processuale199.

Tuttavia, al di là di tale inquadramento formale – che sembrerebbe rappresentare l’indice della recezione, da parte della dottrina italiana, della disciplina della Veraeusserung der streitbefangenen Sache ispirata alla Relevanztheorie tedesca – si rivela particolarmente interessante indagare le ragioni del convincimento che per la dottrina avrebbero giustificato la legittimità dell’importazione dell’istituto in assoluta mancanza di una disciplina positiva.

Ebbene, secondo un’opinione autorevolmente sostenuta, la permanenza in causa della parte originaria e il dispiegarsi degli effetti della sentenza nei confronti del successore sarebbero stati un corollario del generale principio per cui la necessità di

196In tal senso proprio COVIELLO, Della trascrizione, II, Napoli-Torino, 1924, 626 ss., il quale – come si è visto – escludeva in tutte le altre ipotesi qualsiasi efficacia della sentenza nei confronti dell’acquirente in pendenza di lite; nonché CARNELUTTI, Efficacia diretta ed efficacia riflessa della cosa giudicata, in Riv. Dir. Com., 1922, 473 ss., 477

197Possono citarsi al riguardo Cass. Torino, 18 febbraio 1875, in Giurisprudenza , 1875, 289; App. Bologna, 22 febbraio 1879, in Rivista giuridica di Bologna, VII, 55; Cass. Torino, 15 marzo 1881, in Giurisprudenza, 1881, 397; Cass. Torino, 12 giugno 1883, ibidem, 1883, 820; Cass. Torino, 30 gennaio, 16 marzo e 10 agosto 1886, ibidem, 1886, 244, 372, 627; Cass. Firenze, 23 febbario 1891, in La legge, 1891, 1, 439; nonché in Foro, 1891, 298; Cass. Torino, 10 agosto 1892, id., 1892, 689 s.; Cass. Torino, 6 dicembre 1893 (id., 1894, 70); Cass. Torino, 15 giugno 1896 (id., 1896, n. 46, 710); Cass. Roma, 12 giugno 1908, in Giur. it., 645; App. Palermo, 17 luglio 1911, in Foro sic., 1911, 410; App. Catania, 9 giugno 1922, in Foro it. , Rep. 1922, voce Cosa giudicata, n. 17; Cass., 26 settembre 1925, in Foro it., Rep. 1925, voce Cosa giudicata, n. 16; App. Milano, 18 gennaio 1929, in Foro it., 1929, I, 623

198La qualifica del dante causa quale sostituto processuale del successore pendente lite risulta affermata per la prima volta già in CHIOVENDA , Diritto processuale civile, 3a ed, s.l., s.n., 557 (citato da GATTI, L’autorità, cit., 258), e a tale insegnamento l’A. si atterrà in tutte le sue successive opere; si v. CHIOVENDA , Principii di diritto processuale civile, 597 s., 874 ss.; ID. Istituzioni di diritto processuale, rist. 2a ed., Napoli, 1957,. Recepiscono l’istituto in riferimento alla successione nel diritto controverso anche il BETTI, Diritto processuale civile italiano, Roma, 1936, 481 ss.; CARNELUTTI, Lezioni di diritto processuale civile, II, ; CARNACINI, L’alienazione dell’immobile colpito da

pignoramento nel diritto italiano, in Riv. Dir. Proc., 1934, I, 354 ss., in part. 397 ss.

199

Basti considerare che quello della successione nel diritto controverso è il primo esempio di sostituzione processuale portato da CHIOVENDA, Principii, cit., 597 s

servirsi del processo non deve andare a danno di chi in esso è costretto ad agire o a difendersi200, ovvero di un principio di analogo contenuto qualificato come perpetuatio

legitimationis201, il cui esito doveva concordemente essere ravvisato nella retroazione degli effetti della sentenza al momento della proposizione della domanda202.

Non può non sorprendere l’impiego, per sostenere l’efficacia della sentenza contro il successore a titolo particolare nel diritto controverso, di un espediente argomentativo così inequivocabilmente ispirato ad uno dei temi ricorrenti della Irrelevanztheorie tedesca203. Tanto

da poter sollevare l’illazione di una implicita adesione a quest’ultima da parte della dottrina italiana, se non fosse per la mancata condivisione dell’assunto di base,

200

Si veda CHIOVENDA, Principii, cit., 876; ID.,Istituzioni, cit., 380, e in particolare, ID., Sulla “perpetuatio jurisdictionis” , in Saggi di diritto processuale civile, Roma, 1930, 271 ss., 273, principio che si connetterebbe a tendenze più vaste concernenti l’attività dello Stato intese a tutelare l’interesse del litigante in quanto ha ragione per cui “la sentenza che accoglie la domanda deve riconoscere il diritto come se ciò avvenisse nel momento stesso della domanda giudiziaria […] Con questa idea fondamentale si spiega una serie di casi nei quali la legge provvede a salvaguardare il diritto dedotto in giudizio, togliendo a taluni fatti che possono verificarsi durante la lite l’effetto pregiudizievole che avrebbero se si verificassero prima della lite: il diritto deve attuarsi come se ciò avvenisse in un momento in cui i fatti non si erano ancora verificati” (op. cit , 277). Di qui la conclusione per cui “l’alienazione della cosa litigiosa non muta i termini entro cui potrà farsi valere la cosa giudicata” (op. cit., 279). In adesione alla tesi di Chiovenda si esprime COSTA, L’intervento coatto, Padova,

1935, 41, il quale – parafrasando il pensiero del primo – riferisce: “la formazione del giudicato verso il successore è un’applicazione del noto principio degli effetti sostanziali della domanda”; quest’ultimo non viene “ad annullare la successione pendente lite; questa si intenderà avvenuta dopo la sentenza sicché l’alienazione a titolo particolare riguarderà non un diritto litigioso ma un diritto certo”.

201

Cfr. CARNELUTTI, Sistema del diritto processuale civile, III, Padova, 1938, 451, 456 ss., il quale scrive: “è

irrilevante che il fatto costitutivo della legittimazione venga meno nel corso del procedimento; si applica a questo proposito il principio della perpetuatio legitimationis […] Quella durata del processo […] è certo un inconveniente, contro il quale si reagisce […] cercando di neutralizzarne gli effetti: se pertanto uno di questi effetti è la possibilità che si alterino, durante il procedimento, i fatti dai quali deriva la legittimazione delle parti, la reazione consiste nel non tenerne conto e pertanto nel consentire che il procedimento continui malgrado che tali fatti si siano alterati e la legittimazione sia venuta a mancare; di qui la formula della perpetuatio, cioè di un prolungarsi della legittimazione nel tempo anche dopo il suo reale venir meno Tale principio […] si ricava precisamente dalle norme contenute negli art. 332 e seg. cod.. proc. Civ”. Del resto anche per l’A. in commento – così come era stato decenni prima nella dottrina tedesca per Kohler ed Hellwig – solo con una forzatura concettuale la figura della sostituzione processuale si sarebbe potuta attagliare alla fattispecie dell’alienazione della res litigiosa, dal momento che l’elemento caratterizzante del sostituto processuale viene individuato nell’agire per un proprio interesse (il quale normalmente viene a mancare proprio con l’alienazione del diritto controverso); cfr. CARNELUTTI, Sistema del diritto processuale civile, I,

Padova, 1936, 379.

202

In tal senso CARNELUTTI, Efficacia diretta, cit., 477; CHIOVENDA, Principii, cit., 138; ID.,Sulla “perpetuatio

jurisdictionis, cit , 274, 276. Si tratta, tuttavia, di un leit motiv ricorrente anche nella dottrina antecedente: si veda sul punto MATTIROLO, Trattato, cit., V, 105; PACIFICI MAZZONI, Istituzioni, cit., III, 34; MORTARA,

Commentario, cit., III, 229.

203

Si è infatti osservato in proposito (PAVANINI, Appunti sugli efetti della successione nelle pretesa per atto

tra vivi durante il processo, in Riv. Dir. proc., 1932, II, 137 ss., 148) che “la sentenza, retroagendo i suoi effetti al giorno della domanda, riconosce, accerta, risolve la controversia come se ciò avvenisse in quell’istante; ma in quell’istante il rapporto stesso correva tra autore e avversario e la sentenza quindi fra autore e avversario dovrà manifestare il suo effetto. Onde, per salvaguardare la legittimazione processuale dell’antecessore, verrebbe annullata la successione a titolo particolare nella pretesa”. SI veda sul punto anche Anche secondo VACCARELLA,

Trascrizione delle domande giudiziali e successione nel diritto controverso, in Trattato della trascrizione, 2, La trascrizione delle domande giudiziali, diretto da GABRIELLI E GAZZONI, Torino, 2014.

ovverosia l’esclusione del fenomeno successorio dall’orizzonte cognitivo e decisorio del giudice204.

Invece – e sempre a volersi attenere alla catalogazione di matrice germanica dell’istituto – non parrebbe dubbia la collocazione sul versante della Irrelevanztheorie di altra parte della dottrina che, sempre sotto la vigenza del codice del 1865, scorgeva un’analogia di disciplina tra il trattamento processuale della res litigiosa con quello della res pignorata205, evidenziando ancora una volta la matrice pubblicistica su cui l’istituto

sembrava risiedere206.

In sostanza sembra potersi dire, che al di là dell’adesione – prettamente formale – alla configurazione di una sostituzione processuale nell’ipotesi di successione nel diritto controverso, la comprensione della dottrina italiana del tempo per l’istituto in esame si muova secondo direttrici in gran parte diverse da quelle che si sono viste alimentare il

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